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Racconti Erotici Etero

Alla fine della fiera

By 6 Luglio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

La mia attività mi porta spesso in giro per le fiere, specie nei fine settimana, dopo che già si è lavorato duro per 4-5 giorni. Vendo pannelli solari e quindi cerco di andare alle fiere o i mercati dove si tratta di ecologia, ambiente, ecc., che stanno diventando sempre più numerose e dove trovo una clientela più attenta. Con il mio furgone, lo stand, il materiale informativo. A volte mi chiedo se ne vale la pena, ma dopo 2 giorni di fiera torno sempre con molti contatti in agenda e anche con uno o due contratti firmati. E di questi tempi mi dico, sì, ne vale la pena, finchè ce la faccio, ancora un paio d’anni, quando arrivo a 40 anni stop. Stavolta eravamo a Udine, una fiera-mercato di 3 giorni, nelle vie del centro storico, una fiera un po’ alternativa, con vegani, animalisti, comitati contro quello e quell’altro, ma eravamo in centro e quindi con molto passaggio. Accanto a me c’era il banchetto di due ragazzi di Pescara, una coppia, con due cani, che raccoglievano soldi per un progetto contro il maltrattamento nei canili, roba del genere. Lui era un bel ragazzo, non molto alto, i capelli castani arruffati, la barba di qualche giorno. Lei era più alta, i capelli biondi fatti a dreadlocks, come i giamaicani ma non molto lunghi, un viso infantile con un naso un po’ grande ma sottile, molto caratteristico, con un piccolo piercing. Vestivano tutte e due la maglietta del loro gruppo, e pantaloni corti, lui alla Pearl Jam al ginocchio, lei corti corti tipo da ginnastica che lasciavano scoperte le cosce sottili e lunghe e scarpe da tennis ai piedi. Dato il caldo lei durante il giorno si toglieva scarpe e calzini e se ne stava scalza, bagnandosi i piedi e pure i capelli alla fontanella. Nei due giorni di fiera ci eravamo scambiati solo qualche frase di circostanza, sul loro progetto, sui loro due cani, sempre liberi di girovagare. Il mio sguardo spesso capitava dalle loro parti, specie sulle bellissime gambe di lei, così perfettamente affusolate. Venivano da Pescara, con una vecchia Ford e dormivano in una tendina in campeggio, fuori città. Non saprei dirvi l’età, sui 25 credo. Il patatrac successe la domenica sera, quando eravano tutti impegnati a sbaraccare e caricare la robe su auto e furgoni. Non so perchè, i miei due vicini iniziarono a litigare furiosamente, gridandosi insulti, dandosi degli spintoni, anche i cani si agitarono e abbaiavano in direzione dei loro padroni, senza capire.  Finì che la Ford parti a scossoni, con tutto il carico, i due cani e il ragazzo. Lei rimase seduta sul gradino del marciapiede, con la testa tra le mani e singhiozzante. Non potei fare a meno di avvicinarmi e chiederle se era tutto a posto e le serviva qualcosa. Lei alzò il viso, mi guardò con i suoi bei occhi verdi, e con un po’ di straffottenza mi disse “Sì, sì, tutto benissimo, mi ha mollata qua, senza soldi, con tutto quello che ho fatto per lui”. Mi sedetti anch’io sul gradino e le chiesi “Non torna indietro?”. E lei subito di rimando “Meglio per lui di no, sennò lo ammazzo”. Lasciai passare qualche secondo, i singhiozzi si stavano esaurendo. “Come possiamo risolvere, ti serve un passaggio? Io devo andare a Treviso”. Feci una pausa, intanto nella mia testa si stava girando il film delle mie prossime 12 ore, ed era un film a luci rosse, con dentro tutti i peggiori pensieri. Lei era bella, un fisico superlativo, proprio il mio ideale di ragazza. Il viso era un po’ particolare, non perfetto. Ma poi, a farmi impazzire, era quell’aria infantile, selvaggia, quando girava a piedi nudi sull’asfalto e si faceva leccare il viso dal cane giocando con lui. Nei due giorni non avevo mai visto un momento di intimità con il ragazzo, ma vista la litigata finale dovevano stare assieme. Ripresi. “Io adesso devo passare alla mia ditta a scaricare, ma domani sono chiuso per riposo, dopo la fiera, perciò dopo che ho scaricato posso portarti a Pescara e poi torno a casa a dormire”. Lei mi fissò un attimo negli occhi e disse “Ti ringrazio, non ho molta scelta”. Salì sul furgone e partimmo. Quasi subito suonò il suo cellulare. Era lui, il ragazzo del banchetto, che evidentemente voleva passare a riprendersela. Lei guardò il telefono e disse piano “non rispondo, fanculo”.

Così presi coraggio e le chiesi se col ragazzo del banchetto ci stava insieme, se era il suo ragazzo insomma. Mi raccontò che si erano conosciuti 10 giorni fa, a una festa, e sì, si erano messi assieme. L’associazione era di lui, lei amava i cani ma non faceva parte di quel gruppo. Poi quando c’è stata l’occasione di partecipare alla fiera lei aveva detto ok, ti accompagno. Viveva così, seguendo le occasioni che le capitavano, piccoli lavori, viaggi. Senza di me non sarebbe neanche venuto, l’ho aiutato in tutti questi giorni, abbiamo scopato due notti di fila in tenda e poi mi molla così, che stronzo. Dei motivi della lite non mi interessava, dei cani neanche, la mia attenzione fu attratta, ovviamente, dal fatto che mentre io ero al bed & breakfast schiantato di stanchezza, loro facevano l’amore in tenda per tutta la notte. “Sono contento di poterti dare una mano, ma ti confesso che l’ho fatto anche perchè sei molto bella, in questi giorni mi è capitato spesso di guardarti, sei incantevole. Non è solo una questione di bellezza fisica, che comunque… è proprio come ti muovi, parli, sei spontanea come i tuoi cani, non è un’offesa, eh, anzi, un complimento…”. Come dicevo queste frasi un po’ sconnesse, me ne pentivo un istante dopo, ma ero sincero, lei mi faceva veramente impazzire. Girai lo sguardo dalla strada per vedere come reagiva alle mie avances. Aveva sul viso un sorriso stretto, un po’ imbarazzato, di chi volesse dire “figurati se non l’avevo capito…”. E infatti mi disse: “mi sono accorta che mi guardavi, ogni tanto”. E dopo una pausa “Non ho la vocazione per fare la suora, io vivo così, un po’ come capita, mi fido molto del mio istinto. Come un cane, sì, hai ragione, come un cane…”. E rideva tra sé. Poi si slacciò la cintura di sicurezza e si allungò verso di me e mi stampò un bel bacione sulla mia guancia. “Anche tu non sei male, vesti un po’ da schifo ma mi piaci…”. Avevo una camicia azzurra, un po sudaticcia dopo tutta la giornata passata in strada allo stand, jeans buoni e mocassini marroni senza calze. Un po’ causal un po’ elegante, ma dovevo lavorare, non è che potevo vestirmi troppo male. Lei prese la sua maglietta e ci fece un nodo sul davanti, e così accorciata lasciava libera la pancia, che dire piatta era poco, andava verso dentro! Mi fece pensare che forse aveva fame. “Ci fermiamo a mangiare qualcosa?”. “Ok”. Dopo il panino rigorosamente vegetariano e dopo aver attratto gli sguardi di tutti i camionisti presenti, risalimmo sul furgone. Mentre facevo gasolio lei si era tolta le scarpe da ginnastica e aveva messo i piedi sul cruscotto. Prima di immettermi di nuovo sull’autostrada mi fermai un attimo, misi la folle e le dissi “penso che siano queste gambe che mi fanno impazzire, sono irresistibili” e questa volta mi allungai io verso di lei per ricambiare il bacio sulla guancia. Lei sorrideva tranquilla e mi prese la testa con le sue lunghe mani magre e mi baciò piano sulla bocca, solo sfiorandomi le labbra. “Grazie del panino” sussurrò con una voce mostruosamente sexy. Infilai anch’io le mani tra i suoi dreadlocks e provai a baciarla sul serio. Non si scompose, accettò la mia lingua e ricambiò con un lungo bacio appassionato e umido. “Vai avanti dai”, disse poi con grande dolcezza. Appoggiò la testa sulla mia spalla, con il corpo in diagonale che finiva con i piedi, che immaginavo belli sporchi per le passeggiate sull’asfalto, sul cruscotto, vicino al finestrino. Aveva un odore strano, un po’ di sudore come negli spogliatoio delle palestre, per tutta la giornata all’aperto al caldo, ma non riuscivo a trovarlo sgradevole, anzi mi eccitava. Si staccò la cintura di sicurezza e mi diede altri baci sulla guancia, arrivando anche i bordi della mia bocca, ma dovevo guidare, cosa dovevo fare, fermarmi alla piazzola, che intenzioni aveva? Si posò sul mio grembo, mi aprì i jeans, ecco che intenzioni aveva, e me lo tirò fuori. Tutto senza dire una parola. Lo liberò ben bene dai calzoni, dagli slip e iniziò a leccarlo e prenderselo in bocca. “Non ti sconcentro dalla guida, no? Sennò dimmi…”. Riuscì a risponderle “no, no è bellissimo”. Con una mano le carezzavo i capelli, il collo lungo e sottile, e le sollevavo la maglietta per scorrere sulla schiena, curva su di me. Sentivo le vertebre sotto le mie dita e la pelle liscia e un po’ umida per il caldo. Non era proprio un pompino vero e proprio, più che altro mi stuzzicava, giocava con il mio pene muovendolo tra le dita, e le labbra. Mi sembrava di vivere un sogno, dentro quel film da maschio-maiale che mi ero fatto in testa. E non vedevo l’ora di arrivare in azienda, al capannone, che oltre al magazzino aveva anche l’ufficio, in cui c’era un divano da tre posti, che poteva bastare per finire quel che avevamo iniziato. Facevo i pensieri più strani. Pensavo al suo seno, che mi immaginavo piccolo, vista la sua magrezza. Quando arrivammo al capannone, saltammo giù, io con i pantaloni semi aperti, aprii la porta dell’ufficio e accesi solo una luce da tavolo, così il posto rimase in penombra. La buttai sul divano e ci spogliammo a tempo di record. Le sfilai la maglietta marrone dell’associazione dei cani, e mi si parò davanti un bellissimo seno, tutt’altro che piccolo, ma tondo e sodissimo, sul quale mi attaccai come un bambino. Lei era sempre scalza, io mi sfilai i mocassini con un piede contro l’altro. I suoi pantaloncini scesero subito facilmente, trascinandosi dietro gli slip e fu subito nuda, lunga, sottile, dolce, bellissima. Io dovetti slacciarmi cintura e togliermi i jeans, ma tutte queste operazioni, dall’entrata in ufficio al tutti e due completamente nudi sul divano, non portarono via più di 60 secondi. Mi buttai su di lei, la penetrai subito, facilmente, con forza, e lei spingeva il bacino perchè la mia asta le arrivasse più in fondo. Non ansimava ma mi diceva “Dai, dai, forza, sù…”, come se fosse una gara di ciclismo, e io dicevo “sì, sì, eccomi”. Sarà stata abituata a ragazzi della sua età, belli energici, io avrò avuto 10 anni di più e meno allentamento, abbi pazienza. E poi non volevo venire subito. Mi interruppi, mi inginocchiai alla base del divano e presi a baciarla dai piedi, che effettivamente sotto erano neri, e poi i polpacci sottili… “Cos’hai non ti piaceva” chiese, “no, tutt’altro, ma voglio goderti tutta, voglio, vederti, toccarti, baciarti…”. Non sembrava entusiasta, ma lo stesso la baciai sulle ginocchia, le cosce, che penso fossero la cosa più bella, così lunghe e morbide e comunque toniche ma veramente bellissime. Le baciai il sesso, bagnato e aperto dalla veloce scopata di prima. Quella pancia, dove scoprivo ora un piercing sull’ombelico e poi il seno, tondo, bello, con i solo i capezzoli piccoli ma il resto tutt’altro. Non me l’ero immaginato così, era veramente bello perdersi tra quelle due meravigliose colline. E ancora baci sul petto, fino alla bocca, che avevo già assaggiato ma adesso era più calda e spalancata per la mia lingua. “Scopami, dai”. E ubbidii, tornammo a scopare, violentemente, volgarmente, come due cani. Quel pensiero mi fece venir voglia di vederla da dietro. Così la girai, leggera com’era era facile, e la feci inginocchiare contro il divano. Il sedere che avevo immaginato per tre giorni, sotto i pantaloncini e la maglietta, era proprio come me l’aspettavo, invece. Piccolo, sembrava quasi il semplice prolungamento delle cosce, appena un po’più rotondo. La presi in quella posizione, con forza, come sembrava piacesse a lei. “Ti piace, così””. “Più forte, più forte” – mi incitava “devi farmi male, allora mi piace”. La sbattevo più che potevo, ritirando l’asta fino a quasi farla uscire per poi ripiombare fin dentro, fin dove andava. E poi, quand’ero proprio dentro dentro, mi fermavo e spingevo da lì, come per andare oltre, ancora più a fondo, questo sembrava piacerle di più. Sempre con il cazzo ben dentro di lei mi chinai sulla sua schiena e le sussurrai “senti, se ti piace che ti faccio male, vuoi che te lo metta anche dietro?”. Non rispose niente, ma io andai comunque velocemente a prendere il sapone liquido in bagno e con quello le bagnai il buchetto, infilandoci il dito. Mi lasciava fare e andai avanti nel mio proposito. Mi bagnai anche il cazzo di sapone e lo poggiai sul suo sedere, mentre lei se ne stava sempre accucciata sul divano, di spalle (che belle spalle, larghe, un po’ ossute). Sembrava un po rilassata, un po rassegnata, forse solo stanca. Il buchino era tutt’altro che facile, non voleva saperne di lasciarmi passare. Pensai che anch’io forse ero stanco, ma un’occasione così quando mai mi sarebbe ricapitata. Forzai e forzai, la punta del mio pene sul suo ano che pian piano cedeva, mentre le allargavo le piccole natiche e quando un pezzetto fu dentro sentii che iniziava ad ansimare, per la prima volta e a gemere. Presi coraggio e spinsi ancora e ancora. Ce ne volle per farlo entrare tutto e una volta dentro non riusciva a scivolare, potevo solo spingere ancora e ancora, come per andare sempre più in fondo, anche se ormai sentivo il suo sedere caldo contro il mio bacino, più di così non si poteva. E allora spingevo e spingevo, come potevo. Le tenevo una mano sulla spalla, quasi a tenerla ferma, senza che ce ne fosse bisogno e con l’altra le tormentavo la fessura, anzi poi le infilai decisamente due dita dentro e le muovevo e sentivo che le piaceva. Con un filo di voce disse “che bello, mi pare di scopare con 2 assieme”. Fermai le dita e il membro, comunque sempre dentro di lei e le chiesi “l’hai mai fatto con due ragazzi”. Rispose di sì, ma non contemporaneamente, prima uno poi l’altro. “poi mi racconti” mi feci promettere. Ripresi a muovere le dita nella sua vagina ed a spingere il cazzo più dentro che potevo in fondo al suo culetto e in questa situazione non potevo resistere. Venni dentro il suo culo abbondantemente, dopo tutto questo, capirete. Quando riprendemmo il viaggio verso Pescara rimise i piedi sporchi sul cruscotto, la testa conto la mia spalla e dormì per tutto il viaggio, mentre io me la immaginavo mentre scopava con due uomini e mi chiedevo se l’aveva già preso dietro o fosse stata la prima volta. La svegliai solo alle porte della città, che era ancora buio e mi indicò con la voce piena di sonno la strada da seguire per portarla a casa. Ci eravamo rivestiti sporchi com’eravamo, non dovevamo avere un buon odore, chissà se qualcuno l’aspettava a casa. Mi lasciò il numero di cellulare, chissà se nel mio girovagare la reincontrerò mai.  

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