Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Alla Stazione

By 3 Giugno 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

– ALLA STAZIONE ‘

Alle sette e mezzo del mattino, dal lunedì al venerdì.
E’ questo il mio appuntamento fisso con il treno per raggiungere il mio ufficio.
Impossibile raggiungere il centro a quell’ora in auto e poi i treni sono comodi. Si aggiunga che abito vicino alla stazione. Chi me lo fa fare di mettermi in coda insieme con altre migliaia di sventurati?
E poi, il tragitto in treno non dura più di quaranta minuti, se tutto va male, e questo tempo lo investo nelle letture.
Mi piace leggere libri e quotidiani e riesco a concentrarmi senza problemi.
Avrei addirittura la possibilità di sedermi ma non lo faccio mai.
Tutta questa routine, in realtà, mi piace.
Dieci minuti prima del treno, il caffè, al baretto della stazione’E’ buono e a buon mercato. La signora è gentile anche se un po’ troppo ciarliera, ma non importa. Le solite quattro parole di circostanza sul tempo, il lavoro, la politica e i parenti, mentre mescolo il caffè bollente che bevo rigorosamente amaro.
Il saluto e via verso la stazione.
La colazione, quella vera, la faccio a casa con Patrizia, la mia fidanzata, ma a quel caffè, in quel particolare momento, non saprei rinunciare.
Convivo con Patrizia da quasi quattro anni, ormai, e ci conosciamo e frequentiamo da più di dieci.
Le cose tra noi vanno abbastanza bene, e non sentiamo la necessità di sposarci o di avere figli, al momento.
Lei lavora nel negozio dei genitori a pochi chilometri da casa nostra e esce sempre dopo di me.

Quel treno, alle sette e mezzo del mattino, lo prendo da parecchio tempo, ormai.
Forse, quello che sto per dire, sarà capitato anche a voi.
Diventa normale, dopo un po’, che le facce, le persone che incontri in stazione e sul treno, diventino, come dire’familiari.
E’ come se ogni mattino tu ti aspettassi di incontrare, di vedere sempre quelle facce e rimani sorpreso quando queste facce, un giorno qualsiasi, non le incroci.
I chiassosi studenti, i crocchi di signore che vanno a fare le pulizie presso i facoltosi della città, altri impiegati come il sottoscritto, extracomunitari dalla faccia triste.
I riti sono sempre quelli, i discorsi pure’il tempo, il lavoro, la politica, i parenti.
Poi ci sono quelli solitari, che fumano o che leggono come me.
E quelli che non fanno assolutamente nulla.
Ma come fanno?
E’ una cosa che non concepisco e che ho detto più volte a Patrizia.
‘Come si fa stare per quasi un’ora senza far nulla? In quel tempo puoi solo aspettare di arrivare e pensare’Cavolo! Ascoltati un po’ di musica, leggiti un giornale’ma non ti annoi?’
Io impazzirei a non fare nulla. E difatti leggo in continuazione.
La mia curiosità fu stuzzicata da una di queste persone.
Una ragazza, di circa venticinque anni, credo, che, come me, prende quel treno.
Anche lei, ogni mattina, si presenta camminando piano ma con grande anticipo, e si posiziona sempre al solito posto nell’attesa del treno.
Non è una ragazza appariscente o particolarmente bella.
Ma la curiosità, o la particolarità della cosa, è da riallacciare a quanto vi ho detto poco fa.
E’ una di quelle persone con le quali ho ‘appuntamento’, a quell’ora, dal lunedì al venerdì, mese di agosto escluso.
Sono mesi, ormai, che a quest’appuntamento non manchiamo.
Io arrivo subito dopo e, a volte, la vedo camminare e prendere posto, nell’attesa del treno.
La vedo con l’immancabile sigaretta, la borsetta e una borsa di plastica che, forse, contiene documenti. Impiegata anche lei, non ho dubbi.
Ho notato, da parecchio tempo ormai, che lei, una volta giunta sul posto, si gira per guardare verso la mia direzione.
Un caso? Forse.
Io incrocio il suo sguardo per non più di un paio di secondi e tutto finisce lì.
Saliamo poi sullo stesso vagone.
Io salgo sempre dopo’posso così osservare da dietro come è vestita, le sue forme, le sue scarpe’
Porta di solito pantaloni neri, raramente una gonna leggermente sopra il ginocchio.
E’ poco più alta di me, e questo non è indicativo vista la mia statura non certo da cestista, e ha il culo un po’ piccolo. Ho potuto notare, però, un seno prosperoso, che svetta su di un fisico asciutto e magro.
Il volto pare essere sempre corrucciato. I capelli castani a caschetto e gli occhi dello stesso colore.
Sono sicuro che questa minuziosa analisi che ho fatto io di lei, lei l’ha fatta su di me.
Solo una volta mi è capitato di sentire la sua voce.
Una sua amica, credo, aveva preso il treno con lei e, dunque, avevo potuto ascoltare il timbro della sua voce. Anche in questo caso non mi è rimasto particolarmente impresso. L’ho trovato ordinario e un po’ piatto, senza particolari inflessioni.
Il suo volto, invece, l’avevo potuto finalmente vedere assumere un espressione diversa da quella solita.
Il sorriso le accendeva il viso e le faceva brillare gli occhi.
Avevo scoperto questo nelle fugaci occhiate che davo, stando in piedi, mentre lei e la sua amica sedevano qualche metro più in là.
Ora che ricordo, anche lei aveva avuto modo di sentire la mia, di voce.
Quel giorno presi il treno insieme con un mio collega che era rimasto appiedato.
Lei stava a qualche metro di distanza e il treno era un po’ in ritardo. Sono sicuro che ascoltava tutto, sono sicuro che voleva sentire quello che avevo da dire’non tanto per il senso, ma per ascoltare la mia voce.
Inoltre, sono sicuro che mi spiava. Lo faceva nascondendo lo sguardo dietro gli occhiali scuri.
Eh già’gli occhiali scuri.
Era qualche giorno che li indossava, anche se il sole era ancora pallido.
Con quello stratagemma poteva osservarmi più a lungo senza temere di incontrare il mio sguardo anche per una frazione di secondo che sarebbe stata imbarazzante in ogni modo.
Ricambiai con la stessa moneta.
E io avevo anche la scusa, per indossare gli occhiali da sole.
Indosso le lenti a contatto, per cui’
Da quella volta gli sguardi nascosti possono durare molto, molto più a lungo, prima di salire in treno.
Avremmo voluto entrambi, sono sicuro, che quegli occhiali scuri, oltre ad occultare gli sguardi, potessero far leggere i pensieri!
Chissà quali curiose scoperte!
Stavo fantasticando’senz’altro era così. Però era bello. Era come un rito, che si perpetuava tutte le mattine’lavorative.
La giornata aveva un buco se, per caso, una mattina, non la trovavo. Magari si era presa un giorno di ferie, oppure era ammalata.
Magari era lo stesso anche per lei, quando mancavo io.
In realtà, non sapevo nemmeno dove lavorava fisicamente.
Una volta che il treno arriva in centro città, centinaia di persone sciamano veloci come formiche verso le loro destinazioni’la metro, o gli altri mezzi di trasporto di superficie o gli uffici, per chi ha la fortuna di lavorare in centro e di poter raggiungere il posto di lavoro a piedi, così come è per me.
Una volta l’ho seguita, stando a debita distanza.
Ma le nostre direzioni divergevano in sostanza subito fuori la stazione, perciò lasciai stare.
Non ho mai saputo dove lavora, ma ricordo bene cosa accadde un giorno, in pieno centro.
Ero uscito durante la pausa pranzo per prendermi un panino e fare due passi.
Era una splendida giornata di primavera e valeva la pena uscire per una mezz’oretta e staccare dal lavoro.
Entrai in un bar qualsiasi per il panino proprio mentre lei usciva!
Anche in questo caso, il solito fugace sguardo, ma, stavolta, pieno di sorpresa da parte di entrambi.
In questo caso non c’era il rito del mattino, non c’era un orario prefissato.
Il caso aveva voluto che c’incontrassimo in mezzo ad altre migliaia di persone, in quel momento, in quel posto, in quel bar, e a questo ho pensato dopo, dove ero entrato per la prima volta!
Chissà cosa avrà pensato’che l’avevo seguita? O anche lei pensava al caso, al destino?
Non lo so’ed il bello è proprio questo.
Tutto ciò andò avanti per parecchi mesi.
A volte ho pensato che bastava che uno di noi facesse anche solo un cenno all’altro per instaurare finalmente un rapporto che andasse aldilà di quello sguardo fugace.
Quella volta ero deciso a farlo, quel cenno.
Una mattina di settembre il tempo non prometteva nulla di buono.
Penso che l’ombrello sia uno degli oggetti più inutili del mondo, però Patrizia aveva insistito perché lo prendessi’stava per piovere, di lì a poco.
Raggiunsi la stazione e lei era, come al solito già lì e c’eravamo scambiati il solito sguardo.
Cominciò a piovere abbastanza forte e il treno era in ritardo.
Aprii l’ombrello e notai che lei non l’aveva.
Presi la decisione di invitarla sotto il mio ombrello offrendole il riparo dalla pioggia.
Il treno sarebbe arrivato di lì a poco e, una volta saliti, lei mi avrebbe ringraziato, ci saremmo salutati augurandoci una buona giornata e un arrivederci. Intanto avremmo riempito quel tempo parlando della pioggia che si portava via l’estate e del lavoro.
Stavo partendo in quarta con in mio invito quando lei estrasse dalla borsetta un ombrello pieghevole!
Che sfiga!
Sorrisi tra me e me, per la figuraccia evitata per un attimo.
Ma ve l’immaginate? Io, l”uomo del mistero’, che si comporta come un perfetto lumacone! Noooo’!!!
Meglio così.
Il ‘gioco’ poteva continuare.
Ricordo ora un altro episodio particolare di tutta questa storia.
Quel giorno il treno non arrivò a destinazione.
Un incendio sulla linea lo aveva bloccato fra due stazioni e fummo tutti costretti a scendere e a fare un bel tragitto a piedi, sino a raggiungere la stazione più vicina.
Da lì, si sarebbe potuta prendere la corsa sostitutiva con autobus.
Io decisi, invece, che me ne sarei tornato a casa.
Il lavoro non era importante, quel giorno, l’idea era di tornarmene a casa a piedi. Non valeva la pena di chiamare Patrizia o qualcun altro per farmi venire a prendere.
Lei era lì, alla stazione, che parlava al telefonino.
Forse chiamava il suo ragazzo o suo padre per farsi venire a prendere.
Forse chiamava in ufficio per spiegare il contrattempo accaduto.
Stava dall’altro lato della strada’i nostri sguardi s’incrociarono, di nuovo, per una frazione di secondo.
Io m’incamminai verso casa, lei rimase lì.
Avrei potuto tentare un approccio, chiederle se potevo esserle utile in qualche maniera.
Ma questa ‘relazione’ non aveva bisogno di questo. Doveva rimanere tutto nell’immaginario mio, e, forse, suo.
Già’ma lei pensava quello che pensavo io, o stavo solo fantasticando?
Rimasi con questo dubbio per settimane, per mesi.
Quel dubbio, un giorno, fu spazzato via.

Un martedì qualunque del mese di novembre, dopo il solito caffè, con il mio giornale e la mia valigetta mi recavo al mio posto alla stazione.
Lei, come al solito, era già lì.
Il solito sguardo sfuggente, solo presunto, visto che portava gli occhiali da sole.
Io li avevo dimenticati a casa, me n’accorsi solo quando lei mi guardò.
Mi misi a leggere il giornale. Anche per quel giorno ero stato presente all’appuntamento. Avevo fatto la mia parte.
Ma quel giorno accadde qualcosa di sconvolgente, che cambiò il corso di tutta questa storia.
Il treno sarebbe arrivato di lì ad un paio di minuti, ma vidi lei muoversi.
Cominciò a camminare piano verso la mia direzione.
Smisi di leggere e la guardai.
C’erano decine di persone, ovviamente, intorno a me.
Lei sembrava proprio decisa ad andarsene, dietro ai suoi occhiali scuri.
Occhiali scuri che si tolse, una volta arrivata vicino a me.
Uno sguardo rapidissimo verso di me, come un cenno, come una parola d’ordine.
Lo sguardo finì di nuovo imprigionato negli occhiali scuri. Voltò la testa e camminò decisa, mentre il treno stava per sopraggiungere.
Senza pensare a nulla e senza tentennamenti cominciai a seguirla.
Le decine di persone intorno a noi parevano non aver notato a quanto stava accadendo.
Non pensai nemmeno al fatto che potevo andare incontro ad una figura clamorosa da me evitata in un paio d’occasioni.
Non pensavo a nulla’e a nessuno. No. Nemmeno a Patrizia.
Lei, la donna del mistero, continuava a camminare, senza voltarsi.
Come se sapesse benissimo che io ero dietro, a qualche passo da lei, con la certezza che l’avrei seguita dappertutto.
La seguii per circa mezzo chilometro, tra le strade del nostro paese.
Giunse presso una palazzina signorile, prese qualcosa dalla borsetta ‘ dovevano essere le chiavi ‘ e gettò la sigaretta appena finita.
Io ero lì, a pochi passi.
Lei aprì il cancello e lo lasciò aperto.
Entrai anch’io.
Poi aprì il portoncino e lasciò aperto pure quello, sempre senza voltarsi.
Passai anche il portoncino e nella testa continuavo ad avere il vuoto totale, preso completamente da quella storia.
Facemmo due rampe di scale sino a raggiungere il primo piano.
Io mantenevo sempre una discreta distanza da lei.
Non avevamo incontrato nessuno durante il tragitto all’interno della sua palazzina, ma avevo come l’impressione di come a lei non interessasse nulla essere vista rientrare a casa a quell’ora.
Solo per una frazione di secondo mi balenò l’idea che stavo per fare una gaffe della madonna.
Forse stavo fantasticando chissà che.
Ma lei lasciava troppe briciole dietro di se per lasciarmi ancora dei dubbi.
E poi un’inspiegabile sicurezza, la certezza che lei voleva tutto quello che stava accadendo come lo volevo io.
Lei aprì la porta del suo appartamento usando due chiavi mentre io salivo gli ultimi scalini.
Entrò in casa lasciando la porta spalancata.
Entrai e richiusi la porta dietro di me.
Una volta nell’appartamento, lei si diresse verso quella che doveva essere la sua camera.
Avevo come l’impressione che vivesse ancora con i suoi che, ovviamente, in quel momento, non erano in casa.
Ma la razionalità durò solo per quel momento.
Una volta nella camera l’istinto ebbe il sopravvento sulla mente.
Lei si girò verso di me, sempre senza dire nulla, e si sfilò gli occhiali.
Ci fissammo a lungo, senza dire nulla, senza lasciare trasparire dai nostri volti alcun’espressione’non un sorriso o una smorfia.
Era come se si trattasse di un tacito accordo, fatto solo di sguardi.
Sguardi che si stavano per trasformare in azioni.
Prese il telefonino e lo spense e poi appoggiò la borsetta su di una sedia.
Io feci lo stesso con il mio cellulare e la mia valigetta.
Poi lei si tolse il cappotto.
Feci lo stesso con il mio giubbotto.
Si tolse la giacca del suo completo.
E io feci lo stesso con la mia.
Questo spogliarello a due era come un rituale.
Ci toglievamo un capo alla volta, alternandoci e continuando a guardarci, per vedere e scoprire tutto il possibile dell’altro.
Ci fermammo solo quando entrambi rimanemmo con la biancheria intima, maglietta e boxer io, slip e reggiseno neri lei.
Continuavamo a guardarci, ma non c’eravamo ancora avvicinati di un centimetro.
Ora gli sguardi non rimanevano incollati agli occhi e sul volto dell’altro.
Rapide occhiate furtive di entrambi frugavano tra le pieghe più intime dei nostri corpi solo in parte ancora coperte dalla stoffa della biancheria intima.
Con un rapido movimento, lei si tolse il reggiseno, liberando il petto rigoglioso e generoso.
Guardai solo per un attimo quel seno imponente. Era giusto che mi togliessi la maglietta a mia volta.
Anche lei non poté evitare di guardare il mio petto.
Tutto quello che stavamo facendo, la situazione e quella storia strana fatta solo di sguardi aveva fatto crescere l’eccitazione ai massimi livelli.
La forma che s’intravedeva nei miei boxer non dava motivo di fraintendimenti e i suoi capezzoli erano enormi e turgidi’l’eccitazione era ai massimi livelli, ormai.
I nostri cuoi battevano all’impazzata e il gioco era arrivato al round finale, ormai.
Si sfilò gli slip facendoli scivolare dalle gambe e lasciandoli in terra.
La imitai con i miei boxer liberando il mio uccello quasi completamente in tiro all’aria.
Ci scambiammo l’ennesimo sguardo, senza sorrisi, senza espressioni, com’era stato sino a quel momento.
Non c’eravamo scambiati neanche una parola, non conoscevamo i nostri nomi.
Come diavolo si chiamava?
La mia mente, nei giorni passati, aveva fantasticato su diversi nomi, sino ad arrivare ad un ‘definitivo’ e sintomatico ‘Valentina’.
Chissà se lei avrà fatto lo stesso su di me.
In quel momento, però, il nome non era certo il primo dei miei pensieri. Anzi, per dire la verità, in quel momento non avevo alcun pensiero per la testa.
‘Valentina’ si adagiò piano sul suo letto ad una piazza e mezza senza distogliermi lo sguardo da dosso e lanciando una rapida occhiata al mio sesso.
Si sdraiò e spalancò le gambe.
Salii piano sul letto continuando a fissarla in volto e, finalmente, i nostri corpi si toccarono.
Avevo il suo volto a pochi centimetri e il mio petto premeva sul suo.
I cuori sembravano impazziti mentre i nostri sessi facevano di tutto per incontrarsi.
Lei muoveva piano in suo bacino alla ricerca della punta del mio cazzo eccitato e pulsante sino al momento in cui il contatto avvenne.
Continuavamo a fissarci senza baciarci, mentre il mi sesso scivolava piano dentro il suo.
Ora potevo sentire l’interno del suo corpo ribollire, emettere liquidi vischiosi e dolcissimi mentre cominciavo a penetrarla piano.
Cominciammo a gemere, ma di parole e baci nemmeno l’ombra.
Era come se quel modo di fare era quello che volevamo entrambi senza che ce ne fosse stato il bisogno di dirlo mai.
All’improvviso lei sobbalzò con il bacino facendo così entrare il mio cazzo interamente nel suo corpo.
Incrociò e strinse le gambe sui miei glutei mentre con le mani mi cingeva il collo.
Avevo capito che voleva che la montassi velocemente e in maniera animalesca
Assecondai questo suo volere più che volentieri, prendendo a scoparla senza posa, uscendo quasi totalmente dal suo corpo con il mio sesso per poi farlo sprofondare totalmente all’interno della sua fica ribollente, mantenendo quel ritmo forsennato quanto più a lungo potevo.
Ma io ero troppo eccitato e già troppo avanti.
Sentivo le palle scoppiare e il mio seme premere per uscire esplodendo.
Da lei uscivano rantoli di piacere e non sapevo quanto lei era lontana dall’apice del suo piacere, ma io, ormai, avevo preso la strada del non ritorno.
Credo che lei lo avesse capito, visto che, invece di farmi capire di rallentare i movimenti spingeva il suo corpo contro il mio sempre di più.
A quel punto lasciai da parte ogni ulteriore remora e con gli ultimi colpi raggiunsi l’orgasmo.
Venni dentro di lei urlando il mio piacere guardandola negli occhi.
Secondi che sembravano eterni mentre il mio seme invadeva la sua fica, umida, bollente e accogliente.
Mentre le ultime gocce di seme uscivano il mio uccello a poco a poco si ritraeva.
Continuavo a guardarla, ma ora lei, invece che guardare me, aveva volto la testa sul cuscino, guardando verso il muro.
L’espressione che aveva non mi piaceva per niente.
I nostri cuori tornarono ad avere un battito regolare.
Io avevo una mezza intenzione di parlare, ma non lo feci.
Mi piaceva mantenere quel gioco e non infrangere le regole anche se quel momento mi sembrava effettivamente molto triste.
Nella sua espressione potevo vedere l’espressione di una ragazza delusa, non da me, ma da lei stessa.
Forse si riteneva una puttana. Forse si era pentita di quello che aveva appena fatto. Pentita d’avere appena scopato con un perfetto sconosciuto e d’avere, molto probabilmente, tradito il fidanzato.
E, fra tutto, di non avere nemmeno raggiunto il piacere.
Anche quegli attimi sicuramente non belli, sembravano durare un eternità.
E i pensieri ripresero a scorrere a decine.
Pensavo a come mi sarei dovuto comportare di lì a pochi minuti.
Senza dire nulla, mi sarei vestito e sarei tornato in stazione per andare al lavoro con un paio d’ore di ritardo.
La classica scopata occasionale e via, cosa che, magari, qualcun altro poteva farsene vanto con i colleghi o con gli amici’
Patrizia! All’improvviso mi venne in mente lei, lei che avevo completamente dimenticato nell’ultima ora.
Non riesco nemmeno a trovare le parole adatte per descrivere il mio stato d’animo in quel momento quando Patrizia mi è tornata in mente.
Mi sentivo un verme, un traditore.
Ero deluso da me stesso e quello che avrei più desiderato in quel momento era tornare indietro di un ora con il tempo per non commettere quell’errore.
Lei, ‘Valentina’, era ancora sotto di me. Respirava piano e continuava a guardare il muro.
Sentivo il suo corpo bollente ancora attaccato al mio.
Io mi ero issato di poco sulle braccia per non pesarle, mentre il mio uccello, ora piccolo, sfiorava il suo pube.
Fu questione di un attimo.
Lei rivolse il suo sguardo verso il mio.
L’espressione era la stessa di quando avevamo cominciato a fare l’amore.
Quell’espressione che io avevo interpretato come triste e di pentimento era andata via.
Il solleticare dei peli del suo pube sulla punta del mio sesso in un attimo mi aveva fatto tornare l’eccitazione.
Lei lo sapeva benissimo e cominciò a muovere di nuovo il suo bacino molto lentamente spingendolo contro il mio corpo.
In un attimo, tornai a pensare a nulla.
Il battito dei nostri cuori cominciò ad aumentare mentre i respiri si facevano via via più affannati e il mio cazzo cominciò a crescere di nuovo, così come il volume dei suoi già enormi capezzoli.
Tutto ciò ancora senza parole, ancora senza baci, ma solo ed esclusivamente con quello sguardo.
Stavolta volevo farlo piano. Volevo gustarmi quel nuovo momento di passione e calore e volevo farlo godere anche a lei.
Ma come la volta precedente fu lei guidare il gioco e il movimento.
Mentre ero di nuovo dentro di lei, sentendo con il mio sesso tutti i fluidi emessi dalla sua fica, lei mi spinse da un lato facendomi capire che voleva cambiare posizione.
Senza mai uscire da lei ora mi ritrovavo sulla schiena con ‘Valentina’ sopra di me.
Ora potevo palpargli l’enorme seno con le mie mani mentre lei faceva lo stesso, continuando a tenere lo sguardo fisso sui miei occhi.
Intanto, si muoveva piano con il corpo assecondando le sensazioni provocate da quell’amplesso.
Aumentava a poco a poco la velocità gemendo e rantolando.
Io potevo sbirciare il mio cazzo venire inghiottito dalla sua fica affamata di piacere, mentre il suo volto si stravolgeva.
I lineamenti di quel volto fine cambiavano e assecondavano il piacere di tutto il resto del corpo mentre lei, ogni tanto, fermava quella cavalcata per muovere il bacino facendolo roteare sul mio cazzo pulsante e gonfio.
Riprese a montarmi ma stavolta in maniera forsennata.
Ora le tenevo le chiappe con le mani, ma lei era partita in quarta e mi montava senza posa, proprio come avevo fatto io la volta precedente.
Ora mi guardava mentre gemeva e sobbalzava sul mio cazzo in tiro.
I nostri sessi emettevano suoni curiosi e liquidi vischiosi e densi, mentre sentivo ribollire il seme nei miei testicoli.
Stavolta toccò a lei urlare il suo piacere, mentre mi cavalcava, esplose il suo orgasmo.
Si affondò di nuovo completamente sul mio cazzo godendosi quel piacere carnale sino all’ultimo attimo.
Tornò a muoversi su e giù molto lentamente mentre io voltavo la testa sul cuscino da una parte e dall’altra.
Lei smise di scoparmi facendo uscire il mio cazzo dalla sua fica diventata, evidentemente, troppo sensibile dopo l’orgasmo.
Ma lei doveva avere capito il mio stato e rimase in quella posizione prendendomi l’uccello tra le mani e cominciando ad accarezzarmi velocemente.
Mi guardava e mi accarezzava. Io la guardavo e sentivo sopraggiungere il piacere, ormai.
Il piacere fece la sua apparizione sotto forma di una sborrata violentissima e copiosa. Invasi i palmi delle sue mani del mio sperma vischioso e denso, mentre sobbalzavo e gemevo.
Avevo goduto come non mai, soprattutto perché il piacere era stato raggiunto anche da lei.
Lei smise di accarezzarmi solo quando il mio uccello tornò piccolo.
Mi accarezzò il petto con le mani piene del mio seme, spargendomelo sui seni e sul ventre, sempre continuando a guardarmi.
Io non distoglievo lo sguardo dal suo, sino al momento in cui lei si alzò per
andare in bagno.
Rimasi sul letto immobile sino al momento in cui lei tornò.
Senza dire nulla, andai a mia volta in bagno.
Avevo la necessità di orinare, di pulirmi e di lavarmi.
Tornai in camera e ‘Valentina’ era lì, in piedi e nuda.
Sempre guardandomi fisso in volto, si abbassò per prendere gli slip per infilarseli.
La imitai con i miei boxer.
Continuò con il reggiseno.
Feci lo stesso con la mia maglietta bianca.
E così con tutti gli altri indumenti. Stavano ripetendo, al contrario, lo stesso rituale della svestizione.
Riaccendemmo i cellulari e uscimmo dalla sua casa poco dopo.
Come quando eravamo entrati, non incontrammo nessuno.
Ci dirigemmo verso la stazione camminando con lo stesso ritmo e mantenendo la stessa distanza di quando, un paio d’ore prima, eravamo andati a casa sua.
Arrivammo alla stazione cinque minuti prima dell’arrivo del treno.
Lei camminava davanti a me ed era come ripetere lo stesso rito d’ogni mattina.
Arrivata al suo posto si bloccò per voltarsi e guardarmi dietro gli occhiali scuri.
Ricambiai lo sguardo fugace e mi voltai.
Tirai fuori il giornale dalla valigetta e mi misi a leggere.
Arrivò il treno.
Salii sul suo stesso vagone, come al solito, per ultimo.
Lei entrò nello scompartimento per mettersi a sedere.
Io rimasi vicino alle porte d’entrata per rimanere in piedi, come facevo sempre, per continuare a leggere il mio giornale.
Non era facile stare in piedi dopo il movimento fatto poco prima a casa sua!
Avevo solo una chiamata di lavoro sul telefonino, ma non era nulla d’urgente.
Stranamente, mi sentivo la mente libera, vuota.
Tecnicamente, mi ero fatto una scopata coi fiocchi, con una persona di cui non conoscevo nemmeno il nome o il timbro della voce ‘vero’.
Non avevo nemmeno guardato il cognome sulla targhetta della sua porta di casa, ma era meglio così.
Quasi sicuramente quella cosa non si sarebbe ripetuta mai più e questo, per un certo verso mi consolava.
O mi dava l’alibi per non sentirmi in colpa con Patrizia’già, Patrizia.
La chiamai.
Volevo sentire la sua voce.
Lei era sorpresa. Non la chiamavo mai durante la mattinata. Solo un rapida chiamata durante la pausa.
Lei ovviamente non sospettava nulla.
Io stesso ero sorpreso del mio comportamento.
Ho sempre fantasticato su queste cose ma non le ho mai materialmente fatte!
Ora dovevo affrontare questa realtà. Avevo fatto l’amore che ora era a qualche metro da me e che. Magari, stava pensando le stesse cose che pensavo io.
Volevo, in qualche maniera, illudermi che quella sarebbe stata la prima e l’unica volta.
Ma non fu così.

Il giorno dopo, alla stazione, ci comportammo come sempre.
Il suo solito rapido sguardo dietro gli occhiali scuri e io che ricambio la rapida occhiata per poi mettermi a leggere in attesa del treno.
Il rituale era rispettato come se il giorno prima non fosse accaduto nulla.
In realtà, ero curioso di vedere se ‘Valentina’ osava scoprirsi un po’ di più alla luce del sole.
Magari mi avrebbe rivolto la parola e avremmo così cominciato a parlare sul treno.
Magari mi avrebbe mandato un sorriso, anche senza parlare.
Avrei ricambiato con la stessa moneta, ma il gioco non sarebbe stato più lo stesso.
Forse eravamo entrambi impazienti di ripetere quell’avventura passionale ma nessuno voleva farlo vedere all’altro.
Con Patrizia non avevo fatto trasparire nulla. Forse anche ‘Valentina’ aveva fatto lo stesso con il suo ragazzo, se mai ce l’aveva.
Patrizia’
Non dovrei dirlo, ma non mi sentivo in colpa. Non provavo rimorso o pentimento.
Non so come reagirei se lei facesse a me la cosa che io ho fatto a lei.
Preferirei non venirlo a sapere mai’forse.
Pensavo anche a quando avrei fatto l’amore con lei e al fatto che avrei pensato a ‘Valentina’, in quel momento.
Patrizia era’è la mia vita, e non potevo immaginare di stare senza di lei.
Leggevo il giornale, ma in realtà pensavo a tutte queste cose, per cui rimasi sulla stessa pagina per tutto il tragitto sino al centro città.
Scesi dal treno facendomi precedere da ‘Valentina’.
Mi piaceva vederla camminare davanti a me. Mi ricordava la mattina del giorno precedente.
Ma da lei nulla, neanche un cenno.
Non si era fermata o voltata.
Il gioco continuava. O forse era finito.
Già’e se per lei si fosse trattato di una scopata e via?
E magari andava bene anche per me, questa soluzione.
Ma io sapevo che non era così.
Immaginavo di sapere quello che provava ed ero sicuro di quello che provavo io.
Io gioco era appena all’inizio e chissà per quanto sarebbe durato.
Passarono settimane dove non accadde nulla di particolare.
Sempre quei nostri incontri dal lunedì al venerdì alle sette e mezza del mattino alla stazione.
Sempre lo stesso rituale di sguardi.
Se capitava che un giorno o io o lei eravamo assenti a quell’appuntamento, il giorno successivo lo sguardo reciproco durava una frazione di secondo in più.
Magari celati dietro i nostri occhiali scuri quegli attimi si potevano allungare decisamente.
Le settimane divennero mesi. Passarono le feste di Natale e l’inverno.
Sino a giungere ad un giorno di marzo che ricordo ancora molto bene.

Era il ventuno ed era un venerdì.
Ora che ci penso, era il primo giorno di primavera, ma non lo ricordo per quello.
L’aria era stranamente pulita e frizzante.
Non faceva né caldo, né freddo. Era il classico clima ideale.
Nei mesi trascorsi io e Patrizia avevamo preso in considerazione l’idea di sposarci.
Ormai eravamo ad un passo. Per noi non sarebbe cambiato più di tanto, ma avremmo fatto molto felici i nostri genitori.
Io e ‘Valentina’ avevamo mantenuto fede al nostro appuntamento quotidiano con il suo rito relativo.
Quel venerdì di marzo, però, il rito andava incontro ad un’eccezione.
Dopo il solito scambio di sguardi, invece che prendere il giornale e mettermi a leggere, girai i tacchi e, lentamente, mi diressi verso il passaggio a livello.
Non mi voltai.
Ero sicuro che lei era dietro di me, e mi seguiva a qualche metro di distanza.
La mia casa dista solo poche centinaia di metri dalla stazione, per cui raggiungerla fu questione di cinque minuti.
Lasciai aperto il cancello e salii le scale.
Non pensavo nemmeno lontanamente alla possibilità che Patrizia sarebbe potuta rientrare per un qualsiasi motivo.
Era come se quel gioco avesse bisogno di quella svolta in quel momento.
La volta scorsa, qualche mese prima, fu ‘Valentina’ a prendere l’iniziativa’Ora toccava a me.
A me che ero il suo ‘Marco’ o ‘Davide’ o ‘Pietro’ o chissà chi.
Ero facilitato dal fatto che la mia casa è una villetta e dunque non ho il problema del vicinato.
Entrai in casa lasciando la porta aperta.
Dopo qualche secondo ‘Valentina’ entrò con lo sguardo avvolto nei suoi occhiali scuri.
Chiusi la porta e appoggiai la valigetta in terra.
Lei si tolse gli occhiali e rimase in attesa della mia prima mossa.
Le tolsi la borsa dalla spalla e l’appoggiai su una sedia.
Poi le sfilai la giacca grigia del suo completo e la feci cadere sul tappeto del salotto.
Lei fece lo stesso con la mia giacca nera.
Le sbottonai la camicetta bianca, gliela tolsi e le feci fare la stessa fine della giacca.
Lei replicò su di me gli stessi movimenti con la stessa cadenza.
Le tolsi le scarpe e poi le calai la gonna grigia.
Lei mi slacciò le scarpe e me le sfilò.
Mi slacciò la cintura, mi sbottonò i pantaloni e li fece scendere a terra.
Le sfilai le calze molto, molto lentamente.
Potevo vedere e sentire la pelle sofficissima delle sue cosce rabbrividire.
Lei mi sfilò i miei calzini e quel gesto, insieme a tutti quelli che lo avevano preceduto, mi provocò un eccitazione tremenda.
La feci voltare. Le sganciai il reggiseno bianco e lo lasciai cadere in terra.
Lei si voltò, infilò le mani sotto la mia maglietta e me la sfilò rapidamente.
Infilai le mani nei suoi slip e li feci rapidamente cadere in terra.
Lei fece lo stesso con i miei.
C’era solo un piccoli impedimento’avevo l’uccello talmente in tiro che ‘Valentina’ si dovette impegnare un po’ di più.
Ma sul suo volto non un sorriso, non una smorfia.
Solo quello sguardo fuggente, l’ennesimo, veloce ma denso di complicità.
Non attesi oltre.
Le toccai le spalle in modo tale da farmi seguire nel mio intento.
La feci sdraiare sul tavolo tondo da pranzo del mio salotto.
Agguantai i suoi piedi con le mie mani e le spalancai le cosce.
Lei mi guardava come sempre, mentre avvicinavo molto lentamente il mio corpo alla sua fica umida, bollente e vogliosa.
I suoi seni enormi parevano scoppiare, i capezzoli erano tremendamente inturgiditi dalla voglia di sesso.
Appoggiai la punta del mio cazzo sulla sua fica facendola gemere e desiderare spasmodicamente quell’amplesso.
Decisi, così, di sottoporla ad una dolcissima e lunghissima tortura.
La posizione assunta mia dava ampia libertà di movimento e mi permetteva di condurre il gioco come volevo.
Essendo lei sdraiata sul tavolo, non aveva l’opportunità di muovere il suo corpo più di tanto.
Entrai in lei solo con la punta del mio uccello.
Lei gemette continuando a fissarmi. Vedevo nel suo volto la sicurezza che di lì a pochissimo l’avrei penetrata totalmente e posseduta forsennatamente.
Forse era quello che più desiderava in quel momento.
Ma io lasciai il mio cazzo duro e pulsante fermo proprio all’inizio della sua fica ribollente.
Lei cercò di spingersi verso di me. E quella era già la mia prima vittoria.
Io mi spostai indietro di quello che bastava per riportare la situazione a quella che era, accentuando il mio potere stringendo le piante dei suoi piedi saldamente in preda delle mie mani.
Volevo sentire finalmente la sua voce implorarmi di scoparla a più non posso.
Volevo vedere sul suo volto la richiesta di possederla e di farla godere.
Affondai il mio cazzo per circa metà della sua lunghezza dentro la sua fica e lì mi fermai.
Lei gemette di nuovo e più forte mordendosi le labbra.
Tornai indietro molto lentamente sino ad uscire completamente dal suo corpo.
Lei continuava a gemere e a rantolare e ora il suo sguardo non era più fisso sul mio. Socchiudeva gli occhi e si mordeva le labbra.
Interpretavo tutto ciò come la volontà di continuare a non parlare e così io continuavo nel mio gioco crudele.
Entrai ancora molto lentamente dentro di lei. La sua fica era bollente e fradicia di umori vischiosi che producevano rumori curiosi una volta che il mio cazzo turgido, pulsante e anch’esso viscido entrava a provocare sconquassi.
Entrai, ma, di nuovo, fino solo a metà.
‘Valentina’ provò a stringere il mio uccello utilizzando i muscoli del suo bacino, ma io scappai da quella presa ritraendo il mio cazzo di nuovo molto lentamente.
Ai gemiti e ai rantoli si aggiunse il dondolare della testa da una parte e dall’altra del tavolo’la stavo facendo impazzire.
Ma lei non cedeva, non parlava, non m’implorava di scoparla decisamente.
Anche per me quel gioco era una dolcissima e lunghissima tortura. Non era per nulla facile resistere a possederla forsennatamente.
Sentivo il sangue pulsare e gonfiare il mio cazzo come mai mi era successo prima, il cuore sobbalzare, mentre anch’io gemevo, mi mordevo le labbra, e socchiudevo gli occhi rivolgendo la mia testa all’indietro e in alto, verso il soffitto.
Ripresi a muovermi piano aventi e indietro senza mai entrare completamente.
La guardavo, ora, mentre le tenevo ben saldi i piedi. La vedevo muovere la testa, ansimare, vedevo i suoi seni esplodere mentre con le mani cercava di afferrare qualche parte del mio corpo che però era irraggiungibile.
Si aggrappò, allora al tappeto verde da gioco che lasciavamo sul tavolo tondo quando non mangiavamo.
Tappeto verde che serviva per le sporadiche partite a poker che io e Patrizia organizzavamo con alcuni dei nostri amici.
Io vedevo i dettagli della mia casa’della casa mia e di Patrizia.
Vedevo i dettagli ma non ci pensavo. In quel momento ero perso in quell’amplesso con ‘Valentina’.
Cambiai strategia.
Uscii di nuovo completamente per poi rientrare decisamente, ma stavolta fino in fondo, fino a dove potevo arrivare.
Lei urlò dalla sorpresa e dal piacere.
Mi bloccai così, in fondo a lei, immobile.
Scuoteva la sua testa come impazzita, cercava invano di muovere il bacino verso di me. Rabbrividiva tutta di piacere.
Ora poteva almeno cercare di stringermi il cazzo utilizzando i muscoli della sua fica in fiamme.
Da parte mia, sentivo le palle esplodermi e le prime gocce di seme far capolino dalla mia cappella che doveva avere assunto un colore violaceo, mentre la sentivo gonfia a dismisura.
Sfilai completamente il mio cazzo stavolta rapidamente, per poi farlo rientrare velocemente e di nuovo fino in fondo.
Ripetei quest’operazione non so per quante volte, sino a decidermi, finalmente, di cominciare a mantenere un ritmo costante.
Tanto lei non mi avrebbe mai parlato, o implorato, chiesto per pietà di scoparla e di farla godere come una pazza.
Ora lei gemeva e rantolava il suo piacere, mordendosi le labbra, scotendo la testa, stringendo e quasi strappando il tappeto verde del tavolo.
Ora il ritmo era quasi forsennato, senza pause, senza rallentamenti.
Il mio cazzo scivolava nella sua fica torrida, bagnata e pulsante.
Fica che trovavo accogliente e che calzava perfettamente al mio uccello in quella posizione.
Non ricordavo una sensazione migliore rispetto alla prima volta con lei. Ora eravamo talmente coinvolti che tutto quello che c’era intorno spariva e ciò che rimaneva erano solo i nostri corpi rappresi e coinvolti in quell’amplesso forsennato.
Non saprei nemmeno dire quanto durò il tutto. Avevo perso davvero il senso e la cognizione dl tempo, mentre ‘Valentina’ scoppiava nel suo orgasmo, urlando di piacere, rabbrividendo su tutto il corpo, quasi sbattendo la testa sul tavolo, ma sempre senza chiedermi nulla, senza chiedermi urlando di venire e di riempirla.
Ancora qualche istante e scoppiai anch’io. Guardando il soffitto, tenendole le cosce spalancate e continuando quel movimento animalesco venni sborrando copiosamente dentro di lei.
Lo sperma rifluì come un fiume di lava bollente dentro la sua fica in fiamme come un vulcano in eruzione.
Continuai con quel movimento sino a quando l’ultima goccia non era uscita e fino a quando il cazzo si rimpicciolì tornando nella sua posizione di riposo.
Lei gemeva e sussultava ancora. Doveva aver goduto come una pazza insieme a me, ma non me l’avrebbe detto mai.
Ora, però, lei aveva un vantaggio, rispetto a me.
Era sdraiata.
Poteva godersi gli effetti del post orgasmo, del dopo piacere, standosene bella comoda.
Io ero in piedi con le gambe di burro e con il volto che doveva essere stravolto dal piacere e dalla dolce fatica appena ultimata.
La guardavo, ora, mentre le stavo tenendo ancora i piedi.
Il suo volto era rilassato e l’espressione meno rude del solito.
Lo sguardo fisso sul mio era quello di sempre, neutro, ma carico di complicità.
Le lasciai le gambe e mi spostai un poco indietro.
Ora le fissavo la fica.
Era uno spettacolo per i miei occhi, mentre cominciava a piangere parte del mio seme, seme che ora gocciolava sul tappeto in panno verde del tavolo.
Già’il tappeto. Avrei dovuto lavarlo’Patrizia’avrei trovato una scusa qualunque la sera quando lei sarebbe tornata a casa dopo di me, tipo che avevo rovesciato la birra.
Ma Patrizia, in quel momento, non rappresentava il pentimento per quello che avevo appena combinato.
E, a dirla tutta, non lo avrebbe più rappresentato.
Quell’avventura, quel piacere, erano una storia a se, un gioco, una sfida.
Ero arrivato a convincermi che Patrizia non c’entrava, in tutto questo, e che ‘Valentina’ era una realtà avulsa.
Forse ero giunto a quella conclusione per trovare una giustificazione a quello che avevo fatto.
Non sapevo se, dove e quando quella cosa si sarebbe ripetuta.
Mentre il seme gocciolava fuori dalla sua fica, sentivo ‘Valentina’ gemere ancora di un piacere residuo.
La guardavo, senza sorridere.
Lei si alzò piano dal tavolo.
Io non la aiutai, sapevo che non avrebbe voluto e, comunque, sarebbe stato un gesto non compreso nel gioco.
Le feci strada per il bagno.
La vidi entrare con il suo corpo snello e con il suo portamento leggero.
Tornai in salotto per mettere il tappeto del tavolo in lavatrice.
Lo sostituii con una tovaglia e cominciai a raccogliere le idee.
‘Valentina’ mi raggiunse in salotto.
Feci una rapida puntata in bagno per darmi una sciacquata.
Quando tornai in salotto, lei mi stava aspettando, in piedi, ancora nuda.
Mi misi gli slip, ma prima che lei potesse fare lo stesso con i suoi, mi rivestii rapidamente e completamente.
Lei aveva capito.
Si rivestì velocemente continuando a guardarmi, sempre con la stessa espressione.
Uscimmo dalla mia casa insieme e tornammo alla stazione, mantenendo una distanza, la solita, di qualche metro l’uno dall’altra.
Nel tragitto riaccesi il cellulare e, sicuramente, lei aveva fatto la stessa cosa.
Un ritardo di un paio di ore al lavoro, anche in quel caso, non rappresentavano un problema.
I pensieri, poi, non erano certo rivolti al lavoro, anzi.
Quell’avventura clandestina e strana mi prendeva, ma non n’ero dipendente.
Ci sarebbe stato un terzo incontro?
Non lo sapevo, non m’interessava.
Quello che m’interessava davvero era rivedere ‘Valentina’ il lunedì successivo, alla stazione, al solito posto.
I soliti sguardi, forse un poco più lunghi e occulti dietro gli occhiali scuri, il mio solito giornale, il solito treno.
E se lunedì o io o lei avessimo mancato l’appuntamento, il giorno successivo lo sguardo sarebbe durato una qualche frazione di secondo in più.
In tutto questo tempo passato, è capitata una volta soltanto che la incontrassi sul treno del ritorno.
Evidentemente avevamo orari diversi o, più semplicemente, salivamo su carrozze diverse.
Comunque, quell’unica volta, caso volle che ci trovammo seduti accanto.
Come detto, al mattino preferisco restare in piedi.
Alla sera, invece, se riesco, mi metto a sedere il più vicino possibile all’uscita su uno dei due posti appena scese le scale nel piano più basso del vagone.
Quella sera mi ero già accomodato e il treno sarebbe partito da lì a poco.
Stavo leggendo un libro, quando lei entrò.
Tutti gli altri posti erano già occupati, tranne quello al mio fianco e sul quel posto lei si accomodò.
Io non mi ero accorto che era lei, non avevo staccato gli occhi dal libro.
Sono quasi sicuro che nemmeno lei si era accorta che ero io.
Cercai di fare l’indifferente per tutta la mezz’ora che ci metteva il treno per compiere il tragitto, ma non fu per niente facile. Ogni tanto solo qualche fugace occhiata di traverso.
Occhiate che lanciava anche lei.
Una di queste occhiate si erano incrociate.
Subito le nostre teste si girarono dalla parte opposta.
Quella mezz’ora sembrava lunghissima.
Questo accadde prima che io andai a casa sua la prima volta.
Prima volta? Significa che c’è stata una seconda volta?
Ebbene, sì.

Giugno, caldo infernale.
Quell’estate del duemilatre rimarrà nella memoria di chi la vissuta.
Un caldo africano giorno e notte per intere settimane.
Tutti alla ricerca di refrigerio nei supermercati e assalto agli ultimi condizionatori.
Mi ritengo un privilegiato, a lavorare in un ufficio.
L’ambiente è condizionato e, almeno sul lavoro, il caldo non si soffre.
Certo che poi gli sbalzi di temperatura sono da infarto.
Io e ‘Valentina’ proseguivamo nelle nostre fugaci frequentazioni giornaliere.
In quel periodo con Patrizia le cose andavano a gonfie vele.
Ero certo e, ovviamente, lo sono tuttora, che è lei la donna della mia vita.
Per qualche episodio, non l’unica.
Dovrei sentirmi un verme e sentirmi in colpa a dire così.
Ma questo è il ‘potere’ che ha avuto ‘Valentina’ su di me.
Come se la nostra storia e i nostri incontri clandestini fossero una cosa fuori da ogni realtà, aldilà di ogni più fantasiosa immaginazione.
Sono sicuro che anche per ‘Valentina’ io rappresentavo la stessa cosa che lei era per me.
Un ‘potere’ al quale era impossibile sfuggire, un gioco delle parti lungo e paziente, un silenzio reciproco fatto di complicità assoluta.
Una dipendenza che andava ben aldilà della carne e della passione.
La consapevolezza che mai e poi mai avremmo rinunciato alle nostre relazioni per stare insieme sempre.
Non era un ripiego, uno sfizio, un’avventura.
Non l’avrei mai raccontato a Patrizia. Lei non sospettava niente.
E io non volevo perderla.
Quella mattina, alle sette e mezza, ci saranno stati più di trenta gradi.
Il sole già picchiava e tutti eravamo vestiti il meno possibile.
La voglia di stare sdraiati dentro una vasca piena d’acqua per tutto il giorno era forte.
Arrancavo a fatica per raggiungere il mio solito posticino in attesa del treno.
Al solito, ‘Valentina’ era già lì, con la sua immancabile sigaretta.
Dava l’impressione che il caldo non la toccasse più di tanto, dietro i suoi occhiali scuri.
Appena giunto al mio posto, lei si mosse.
Mi passò davanti rivolgendo uno sguardo rapido verso la mia direzione, da dietro gli occhiali da sole.
Ricambiai lo sguardo, le diedi una decina di metri di vantaggio e poi mi mossi anch’io.
Il rituale si ripeteva per la terza volta.
Stavolta lasciai più strada tra me e lei. Approfittai di quel tragitto per chiamare in ufficio.
Una scusa e me ne sarei restato a casa tutto il giorno’la cervicale, un problema in casa, un qualsiasi imprevisto.
Non erano certo i giorni di ferie arretrati che mi mancavano.
Mentre chiamavo il mio collega per avvertirlo notai che anche lei era al telefono.
Chiaramente stava facendo la stessa cosa. Mi sarebbe piaciuto sentire la sua voce, ma anche quello che stava dicendo.
Giungemmo in fretta dentro casa sua, e, anche stavolta, non incontrammo nessuno.
La sua casa era climatizzata. Una gradevolissima frescura mi accolse dentro il suo appartamento.
Tirai un sospiro di sollievo. Volevo dirle e renderla partecipe di quel mio godimento, ma, ovviamente, non spiccicai parola.
In camera sua, ci spogliammo rapidamente dei pochi vestiti.
Il fresco della stanza aiutava sicuramente l’eccitazione.
‘Valentina’ si sdraiò sul letto a una piazza e mezza, guardandomi.
La seguii senza esitazione. Rimanemmo sdraiati per un po’, sul fianco, guardandoci, senza parlare, senza sorridere.
Poi, lei si mosse.
Scese verso il mio sesso e senza altri preliminari e lo prese in bocca.
Io avevo il cazzo già quasi completamente in tiro, ma la sua voracità e il bollore della sua bocca quasi me lo fecero scoppiare.
Cominciò a spompinarmi senza tregua mugolando di piacere. Mi faceva sobbalzare e rantolare, mentre succhiava già le prime gocce lubrificanti che il mio uccello emetteva. Ogni tanto mi mordicchiava l’asta e la cappella, mentre con una mano giocava con i miei ciglioni ribollenti di sperma.
Smise di baciarmi il sesso ma solo per farlo inghiottire dal suo enorme seno.
Si stringeva le tette attorno al mio cazzo, accarezzandolo e fagocitandolo in un gesto erotico bollente e lascivo.
Inghiottiva il mio cazzo per farne sbucare la cappella che faceva poi finire ancora dentro la sua bocca.
Andò avanti così non so per quanto, sino a quando io non potei più resistere.
Le esplosi in bocca il mio orgasmo, rantolando, gemendo e sobbalzando sulla schiena, sborrando violentemente il mio carico di sperma bollente e vischioso.
Sperma che a lei doveva piacere tantissimo, visto che mentre lo inghiottiva, gemeva di piacere e lussuria.
Continuava a muovere il seno e la testa aritmicamente mentre il flusso del mio seme e il mio piacere si affievolivano poco a poco insieme al volume del mio sesso.
Succhiò tutto quello che c’era da succhiare sino a tenere il mio cazzo, ora piccolo, ancora dentro la bocca.
Ora lo baciava e leccava amorevolmente, come una mamma gatta fa con i suoi micini.
Potevo vederla compiere questo gesto dolcissimo anche se non vedevo l’espressione del suo volto.
Volevo che salisse verso il mio volto e che mi desse, finalmente, un bacio dolcissimo sulle labbra.
Avrei sentito il suo respiro, il sapore della sua saliva mischiata al sapore del mio seme.
Era solo una speranza. Ovviamente, non lo fece.
Smise di baciarmi e appoggiò la testa su una mia coscia.
Il piacere era totale. Mi sentivo leggero e privo di pensieri.
Faceva fresco e il mio giorno era appena cominciato.
Rimanemmo così per un po’.
Poi lei cominciò ad accarezzarmi piano l’uccello.
Mi accarezzava piano guardandomi il sesso crescere poco a poco.
MI eccitai di nuovo e anch’io volevo darmi da fare per farla stare bene.
Ma era come se lei avesse deciso di dedicarsi completamente a me e stesse facendo tutto per farmi godere al massimo.
Continuo ad accarezzarmi con la mano ancora per un po’. Avevo il cazzo duro come il marmo ormai quando lei lo abbandonò per spostarsi verso il fondo del letto, ai miei piedi.
Ora era sdraiata e mi guardava da lontano. Mi divaricò leggermente le gambe con le mani e allungò le gambe verso il mio uccello.
Unì i piedi intorno al mio cazzo duro e cominciò ad accarezzarlo sempre più forte.
Era una sensazione bellissima e fortissima, che non avevo mai provato.
Io rantolavo dal piacere, mentre lei si muoveva agilmente con i piedi intorno al mio cazzo.
Alzavo la mia testa per vedere quella scena erotica, per vedere la sua fica, le sue tette ballonzolare, il suo solito sguardo.
Ero così eccitato e preso che non potei resistere troppo a lungo.
Sobbalzavo sulla schiena e lei aveva capito che stavo per venire.
Sentivo la palle scoppiare e non feci più nulla per trattenermi oltre.
Il seme mi ribolliva nelle palle pronto ad esplodere fuori nel mio orgasmo forte e devastante.
Schizzai il mio carico di sperma urlando di piacere e gemendo a più non posso, mentre le bagnavo i piedi con il liquido vischioso e dolce del mio miele.
Gemeva anche lei a vedere e sentire quelle sensazioni sensuali e rabbrividenti.
Continuò ad accarezzarmi con le piante dei piedi sino a quando in mio cazzo tornò ad essere piccolo.
Fu allora che allungo i piedi e me li mise praticamente in faccia.
Io ero ancora preso da quell’orgasmo i cui effetti erano da poco terminati e le presi i piedi con le mani e con la bocca.
Cominciai a leccarle i piedi bagnati del mio seme. Succhiavo e leccavo avidamente e questo la doveva eccitare molto dato che cominciò a sditalinarsi forsennatamente.
Mi rigirava i piedi sulla faccia, spalmando il mio seme sul mio viso, mentre io le passavo la lingua tra le dita dei piedi, leccandole le piante, facendola rabbrividire e sobbalzare, mentre sbirciavo la sua mano destra che forsennatamente e violentemente martoriava la sua fica evidentemente affamata di piacere.
Anche lei non durò molto. Raggiunse l’orgasmo entro breve urlando e continuando a menarsi la fica che emetteva curiosi suoni liquidi e voluttuosi.
Diminuiva a poco a poco il movimento della sua mano, mentre rantolava e finiva di gemere di piacere, continuando ad accarezzarmi, ora piano, il volto con i suoi piedi.
I nostri respiri tornarono normali e rimanemmo così, in quella posizione, immobili, per qualche minuto.
Poi ci addormentammo.
Quando mi svegliai guardai la radio sveglia sul suo comodino’Erano le dieci e venti.
Dovevo andare in bagno. Lei si era già alzata, non so dire da quanto.
E ora se ne stava sul letto, ancora nuda e un po’ sonnecchiante.
Mi sdraiai al suo fianco avvicinandomi al suo corpo poco a poco. Ora avevo il viso molto vicino al suo e, pensavo, che forse era giunto il momento del bacio.
Ovviamente, non fu così.
Ma bastava questo ad eccitarci di nuovo. Socchiudevamo gli occhi, mentre strusciavamo i nostri l’uno contro l’altro. Le palavo e stropicciavo le enorme tette e i grandi capezzoli ora turgidi e violacei.
Si girò sul fianco dandomi le spalle e aprendo le gambe.
Impugnò con decisione il mio cazzo grosso e bollente per piazzarselo nella fica umida e vogliosa.
Mi spinsi con decisione dentro di lei facendola urlare per il piacere e per la sorpresa.
Spinsi il mio sesso sino a dove potevo per poi tenerlo, lì, fermo.
Stavolta però, a differenza di quella volta a casa mia, non volevo farla soffrire troppo.
Così cominciai a penetrarla piano, ma aumentando la velocità dopo pochi secondi, sino a portarla a ritmi quasi impossibili.
‘Valentina’ gemeva di piacere. Evidentemente le piaceva sentirsi scopata così, sentirsi scopata da me.
Andammo avanti così per un po’. Poi lei si fermò per sdraiarsi a pancia in giù, ma non prima di essersi messa un cuscino sotto il ventre.
Così il suo culo, un po’ piccolo e piatto, sporgeva in alto.
A questo punto le infilai di nuovo il mio cazzo pulsante dentro la sua fica ribollente di lussuria e ricominciai a montarla con foga.
Quella posizione animalesca ci eccitava e ci faceva rantolare di piacere.
Persi quei pochi freni inibitori che mi erano rimasti e la galoppai forsennatamente.
In quegli attimi non è possibile essere lucidi.
Ma brevi lampi della mente mi portavano a pensare che non mi ero mai scopata Patrizia in quel modo, non l’avevo mai posseduta sul nostro tavolo del salotto, non mi aveva mai fatto una sega con i piedi.
Follie della mente, mentre ‘Valentina’, sotto il mio corpo, stava per raggiungere il suo piacere ed esplodere il suo orgasmo.
Quel tipo di posizione, con quel tipo di velocità, toccavano evidentemente le parti più sensibili del suo corpo, portandola ad un’estasi rapida e violenta, così violenta che dopo aver raggiunto il piacere aveva sentito la necessità di staccarsi subito dal mio corpo, di sfilarsi il mio cazzo duro dalla fica gocciolante di umore vischioso e dolcissimo.
Era diventata evidentemente ipersensibile e, se avesse continuato anche solo per poco, il piacere si sarebbe trasformato in un piccolo, ma fastidiosissimo dolore.
Si era sì staccata, ma era rimasta in quella posizione eccitante e porca.
Non ci pensai due volte’Posizionai la cappella turgida e porpora del mio cazzo bagnato delle prime gocce lubrificanti e umido dei suoi umori proprio sul tenerissimo buco del suo culo che avevo spalancato sotto di me.
Forse stavo osando troppo, non sapevo che tipo di reazione avrebbe potuto avere, ma non avevo resistito.
Sentivo le palle esplodere, sentivo la necessità di possederla anche lì.
I miei pochi timori vennero preso spazzati via.
‘Valentina’ mi incoraggiò ad affondare il mio cazzo nel suo di dietro tenero e voluttuoso. Lo feci piano assecondando i suoi movimenti e stando attento ad ogni suo minimo lamento. Se avessi capito che le stavo facendo male mi sarei bloccato subito. ‘Valentina’ si lamentava, sì, ma non erano lamenti di dolore, anzi.
Sentivo che godeva di quella cosa e dunque mi incoraggiava ad affondare ancora di più il mio cazzo nelle sue terga e ad aumentare la velocità.
Era la prima volta che provavo quella sensazione e mi piaceva da matti. Mi piaceva così tanto che ad un certo punto persi il controllo e cominciai a montarla a più non posso.
Non durai molto, per la verità.
Ero già un bel pezzo avanti dopo la scopata di poco prima e ora ero così sensibile che basto ancora qualche colpo per venire esplodendo il mio seme dentro le sue terga voluttuose e bollenti.
Scaricai tutto lo sperma che avevo nelle palle senza fermarmi, rantolando e urlando di piacere come mai mi era capitato nella mia vita.
‘Valentina’ mi stava facendo fare un giro sulla giostra e il giro era completo di tutti i premi.
Crollammo sdraiati esausti e ansanti.
Dieci minuti fermi così e poi ‘Valentina’ si diresse di nuovo verso il bagno dandomi uno sguardo rapidissimo. La seguii.
Entrammo nel bagno che aveva una vasca con idromassaggio.
Tempo cinque minuti ed eravamo dentro a goderci quella frescura, l’una di fronte all’altro.
Chissà che caldo bestiale c’era di fuori!
Chissà che ore erano, chissà Patrizia’
Ma ora ero lì a godermi quel fresco, quelle bollicine che stimolavano le parti più recondite dei nostri corpi’ero lì a godermi ‘Valentina’ anche se avevo la forte sensazione che dopo quella volta non l’avrei più rivista.
Ma non ero triste. In quel momento mi sentivo davvero bene.
Io e ‘Valentina’ stiravamo i nostri corpi e ci adagiavamo lungo la grande vasca.
MI portai al suo fianco adagio e le cinsi un braccio intorno al collo.
Volevo così stimolarla a baciarmi, ma lei si limitò ad appoggiare la testa sulla mia spalla.
Le nostre mani, intanto, sotto l’acqua tiepida e rinfrescante erano alla ricerca del sesso dell’altro.
La ricerca non durò molto. ‘Valentina’ trovo il mio cazzo e cominciò ad accarezzarlo dolcemente. Ricambiai quella carezza insinuando un paio di dita nella sua fica voluttuosa.
Mantenemmo quel ritmo lento solo per poco. In un attimo eravamo di nuovo eccitati entrambi.
Il mio cazzo si era indurito grazie a quelle carezze morbide e sapienti e la sua fica si gonfiava e bagnava di voglia sotto il roteare dei miei polpastrelli intorno alla sua clitoride nervosa e pulsante.
Gemevamo e rantolavamo di piacere, guardandoci negli occhi di tanto in tanto, socchiudendoli e volgendo la testa verso il soffitto, senza parlare, senza baciarci, come sempre.
Il movimento delle nostre mani, ora rapido, creava curiosi rumori dell’acqua.
Il nostro respiro si faceva più affannoso, mentre sentivo il mio seme ribollire nelle palle e pronto ad esplodere. Sentivo che anche la fica di ‘Valentina’ era pronta a venire. L’umido dei suoi umori si confondeva con l’acqua, ma sentivo che stava per esplodere.
Mi precedette di poco nell’orgasmo, urlando e roteando la testa ma senza smettere nemmeno per un attimo di accarezzarmi l’uccello ribollente e gonfio.
Muoveva il suo corpo intorno alla mia mano che ora diminuiva il ritmo poco a poco sino a staccarsene definitivamente. Doveva essere troppo sensibile ora, dopo quell’orgasmo esplosivo.
Solo una manciata di secondi ancora e anch’io raggiunsi il mio piacere.
Lei mi masturbava velocemente quando schizzai il mio seme inarcando la schiena. Lei si godeva quella scena guardando i rivoli biancastri di sperma navigare nell’acqua della vasca.
Il piacere che provavo era forte. La pressione dell’acqua aumenta il piacere, ma dopo ti lascia senza forze.
Dopo l’ultima goccia di sperma spremuta dalla sua mano morbida, il cazzo si rimpicciolì molto velocemente, diventando, anch’esso troppo sensibile a qualsiasi tocco.
‘Valentina’ lo sapeva e lo lasciò subito.
Attendemmo che i nostri respiri si normalizzassero. Altri cinque minuti e poi uscimmo dalla vasca.
‘Valentina’ mi passò un asciugamano e ci asciugammo a vicenda.
Tornammo in salotto.
Guardai l’orologio. Era quasi mezzogiorno e mezza e non avevo ancora chiamato Patrizia. Quel giorno non lo avrei fatto.
Come detto, il lavoro non era un problema, ma in quel momento facevo fatica a capire cosa avrebbe voluto fare ‘Valentina’.
Mi bastò un minuto. Fece quello che avrei fatto anch’io.
Tutto quel movimento, l’ora e lo stomaco dicevano una cosa sola: bisognava mangiare.
Rimanendo sempre nudi, ‘Valentina’ mi accompagnò in cucina.
La cucina era molto piccola. Dovevano mangiare in salotto, pensai, lei e i suoi genitori, o il suo fidanzato o marito, chissà.
‘Valentina’ preparo velocemente alcuni sandwich con il pan carrè, formaggio e affettato. Le diedi una mano ad apparecchiare il piccolo tavolo della cucina.
Mangiammo i sandwich voracemente bevendo una birra, mentre sul fuoco era pronta la moka del caffè.
Finito il pasto, tornammo in camera da letto.
Ci sdraiammo e in men che non si dica cademmo entrambi in un sonno profondo.
Mi svegliai che lei dormiva ancora. Uno sguardo alla radio sveglia’quasi le quattro.
Avevo la tentazione di accendere il telefonino, ma temevo di svegliarla.
Avevo anche pensato di rivestirmi e andare via, ma sentivo che non era la cosa giusta da fare.
Così rimasi fermo a guardarla. Dormiva dolcemente con il respiro solo un poco pesante.
Il viso aveva tratti morbidi e rilassati. Avrei potuto darle un bacio ora, ma sarebbe stato un bacio rubato.
Passarono più o meno una decina di minuti e anche lei, poco a poco, si svegliò.
Il tempo di guardarmi, di stirarsi un poco e poi si spostò.
Scese con la testa verso il mio sesso che in un batte d’occhio si ritrovò dentro la sua bocca.
Contemporaneamente spalancò le gambe offrendo alla mia, di bocca, la sua fica che odorava intensamente dei suoi umori.
Cominciammo così a baciarci reciprocamente e avidamente . Non ho nemmeno contato le volte che sono venuto quel giorno, ma lei mi eccitava da morire. Il cazzo si inturgidì dentro la sua bocca bollente, mentre la sua fica si bagnava dietro i colpi di lingua che le davo attorno alla clitoride violacea e gonfia e sulle labbra umide che emettevano umori vischiosi e dolcissimi.
Insieme decidemmo di farlo durare a lungo, quel bacio.
Sarebbe stato l’ultimo, sarebbe stato bellissimo.
Riducemmo drasticamente la velocità di quei baci voluttuosi, a volte interrompendoli, ma solo per qualche secondo, per gustare meglio quegli attimi di passione bruciante.
‘Valentina’ mi passava la lingua sulla punta dell’uccello, insinuandola sulla cappella, leccandomi il frenulo, succhiando le gocce lubrificanti che emettevo, accarezzandomi amorevolmente le palle che stavano producendo lo sperma necessario per il prossimo orgasmo. Mi provocava brividi infiniti sulla schiena.
Cercavo di ricambiare facendo girare la sua clitoride dentro la mia bocca, dandole dei piccoli morsi e stringendola delicatamente frale mie labbra.
Anche lei sobbalzava e rabbrividiva.
Non so per quanto andammo avanti così. Ad un certo punto, entrambi non ce la facevamo più e volevamo esplodere.
Cominciammo così ad aumentare il ritmo forsennatamente. ‘Valentina’ arrivò a cacciarsi il mio cazzo sino in gola, io le infilavo la lingua più in fondo che potevo alla sua fica fradicia.
Venimmo quasi insieme. Sborrai nuovamente e violentemente dentro la sua bocca tutto il seme che avevo. Lei bevevo e ingoiava senza posa, senza smettere nemmeno per un secondo di muovere la testa mentre mugolava di piacere. La sua fica emetteva umori a tutto spiano e dal movimento che faceva con il bacino avevo capito che stava godendo anche lei come una porca.
Lunghi attimi di piacere intensissimo che svanì poco a poco mentre i nostri sessi tornavano lentamente alla loro posizione di normale riposo.
Le nostre bocche bevevano, succhiavano, leccavano e ingoiavano le ultime gocce dei nostri umori, vischiosi, densi e dolci come il miele.
I nostri cuori e il nostro respiro tornarono alla normalità.
Ancora qualche minuto in quella posizione e poi ci alzammo.
Erano le cinque, ormai.
‘Valentina’ andò in bagno e io ci andai dopo di lei.
Tornai in camera che lei era ancora nuda, ma in piedi.
Era giunto il momento di andare.
Mi rivestii piano dei pochi abiti che avevo. Stranamente, in quel momento, pensai al caldo che avrei trovato fuori.
Anche ‘Valentina’ si rivestii ma non con gli abiti del lavoro.
Sarebbe rimasta in casa, dunque.
Presi la mia valigetta e la guardai negli occhi per un lunghissimo minuto.
L’ultima speranza di avere un bacio o un sorriso.
Niente.
Mi voltai e uscii dalla sua casa senza voltarmi.
Sentii la porta chiudersi dietro di me.
Appena fuori, il caldo mi assalii. Cercai di riprendermi e accesi il telefonino.
Una sola chiamata, Patrizia, intorno all’una.
L’avrei richiamata da casa, inventandomi una qualsiasi scusa.
In quel momento stavo ripensando a tutto quello che avevo passato con ‘Valentina’ e al fatto che, sicuramente, non saremmo stati più insieme e, forse, non ci saremmo nemmeno più rivisti.
Ma come sarebbe stato possibile? Comunque il treno l’avremmo sempre preso, ogni mattina, dal lunedì al venerdì.
Giunsi presto a casa anche per cercare un po’ di refrigerio anche se in casa mia ‘ e di Patrizia ‘ l’impianto di condizionamento non c’è.
Chiamai Patrizia e la tranquillizzai inventando una balla qualunque.

Il week-end trascorse tranquillo e sempre con quel caldo micidiale.
In un certo senso, ero impaziente che arrivasse il lunedì per poter vedere se ‘Valentina’ fosse stata lì, sempre al suo posto, in attesa di me e dei nostri sguardi fugaci.
Il lunedì arrivò, ma non ‘Valentina’.
Un caso, pensai. Avrà preso un giorno di ferie, o è malata, o ha preso, o prenderà un altro treno.
Per tutta la settimana fu così. E per tutto il mese. Per tutta l’estate.
E per tutto settembre.
Un sabato mattina di ottobre mi decisi. Sarei andato a casa sua.
Il solito caffè al bar e dal giornalaio per le mie riviste. Poi allungai la mia passeggiata sino a casa di ‘Valentina’.
Non la trovai.
Il condomino, la palazzina, non era la stessa. Non era quello il colore, non era quella la forma.
Come era possibile? Ero decisamente spiazzato e confuso.
Rimasi lì fuori per una buona mezz’ora, nella speranza, forse, di rivederla.
Ma questo non accadde.
Tornai piano verso casa pensando che, forse, mi ero immaginato tutto.
‘Valentina’, dunque, non era mai esistita? Non avevo mai avuto quelle avventure con lei? Nessuno sguardo, nessun treno, nessuna visita a casa mia?
Pazzesco, ma come era possibile?
Eppure i dati oggettivi dicevano questo: ‘Valentina’ non esisteva e mi ero immaginato tutto.
Per un certo verso ero contento.
D’altro canto non riuscivo a spiegarmi cosa era effettivamente accaduto.
Non ne parlai con nessuno, ovviamente.

Sono passati tre anni.
Io e Patrizia ci siamo sposati e abbiamo deciso di avere un bambino.
Per dirla tutta, mi sento davvero felice.
‘Valentina’ non era nemmeno un ricordo, ormai.
Ma quel venerdì era destinato a rimanere impresso nella mia mente per sempre.
Tornai a casa dopo il lavoro e Patrizia era già rientrata.
Pregustavo già la cena e il poker programmato con gli amici da lì a qualche ora.
Notai che sul tavolo il tappeto verde non c’era.
Eppure era lì, la sera prima.
‘Patty’ma il tappeto verde per il poker?’
‘L’ho messo a lavare. Oggi sono tornata a casa per il pranzo e ho rovesciato la birra’credo che però farà in tempo ad asciugare prima che arrivino gli amici.’
(Crea ‘ 23/04/2004)

Leave a Reply