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Racconti Erotici Etero

AMORE SUI PICCOLI CARPAZI

By 27 Novembre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Morgenburg, 14 novembre 1872.

Quel giorno d’autunno il vento soffiava forte sui Piccoli Carpazi.
Era una sorta di brezza impetuosa, che aveva il sentore delle grandi città russe, dalle cupole verdi o vermiglie, dai tetti che assomigliavano a quelli dei templi d’Oriente, dai profumi indicibili, che avevano l’aridità dei grandi deserti freddi e sabbiosi dell’Asia.
Il sole era meraviglioso sulle conifere e, in particolar modo, sulle fronde lievi delle betulle, che non cessavano mai di muoversi nei chiaroscuri di quella stagione perduta. Qua e là, lungo la strada piantata ad aceri che conduceva al piccolo paese di Morgenburg, ci si imbatteva in contadini, che portavano il badile o il forcone sulle spalle, od erano intenti a menare delle pariglie di buoi o di cavalli bianchi verso i pochi campi, ricavati dai non numerosi spazi di verde che la montagna aveva donato all’agricoltura.
A ridosso del muro grigio e un po’ decrepito di una casa dal tetto aguzzo, verde, spiovente, vidi del fieno ammonticchiato; sul fianco di quella specie di montagnola, avevano adagiato un forcone arrugginito. Lì accanto, vi erano anche delle fascine di legna da ardere, preparate in previsione del duro inverno. Dalla finestra semiaperta trapelava una luce; all’interno di quella dimora di campagna vi erano cinque o sei beoni, che tracannavano della birra scura e danzavano intorno ad un tavolo ricoperto con una tovaglia a quadri bianchi e rossi. Le grida, i canti e le imprecazioni di quei bifolchi erano talmente forti, che s’udivano persino lungo la strada maestra.
Da dietro una delle colline ricoperte di betulle che circondavano Morgenburg, vidi spuntare un piccolo cavallo bianco, che sembrava un pony: trascinava lungo la salita un carretto dalle ruote di ferro. Quel largo sentiero era ricoperto di foglie dorate, autunnali; lungo i suoi cigli, i contadini del luogo avevano raccolto degli imponenti mucchi di fieno e di foraggio, che avevano i colori evanescenti dell’autunno. La lunga briglia di cuoio di quel destriero dal candido manto era tenuta stretta dalle belle mani di una giovane.
Man mano ella proseguiva lungo quella salita, le sue belle fattezze si disegnavano davanti ai miei occhi, nel vento, in quell’aere dorato e un po’ freddo.
– Arrì! – gridò la giovane del mistero. – Avanti, puledro, ai fienili! Ai fienili!
Quella splendida ventenne portava il nome di Henriette e, come quasi tutte le ragazze del luogo, aveva i capelli biondi, che, in quel mentre, erano avvolti in un gran fazzoletto verde scuro. I suoi amici boschi le avevano insegnato ad essere amica di tutti gli esseri viventi che abitavano sui Piccoli Carpazi. Era una contadina di montagna, che amava tanto i cavalli bianchi e le passeggiate nelle foreste, sotto le betulle o i faggi.
All’improvviso passò un giovane, su di un calessino tirato da un destriero che trottava a gran velocità. Sembrava un ragazzo sulla ventina, figlio di montanari del luogo; alla vista di Henriette, egli alzò un braccio, in cenno di saluto e lei, per tutta risposta, si posò l’indice e il medio della mano destra sulle labbra rosse e gli tirò un bacio.
– A domani! – gli gridò. – Vi amo tanto!
I due, invero, si amavano da tempo.
– Eine lange, lange Zeit! – le fece eco il giovane, ma la voce sua si confuse con lo stridore delle ruote della sua vettura ed il suono vago degli zoccoli ferrati del suo cavallo.

Morgenburg, 15 novembre 1872.

La giovane del carro, della quale or ora vi ho narrato, incontrò nuovamente il suo amato, che l’aveva salutata con le parole tedesche, pronunciate con accento arcaico, di cui già ho avuto modo di parlarvi.
Accadde nel centro del piccolo paese di Morgenburg, là dove i Piccoli Carpazi facevano da languido sfondo ai tetti spioventi delle case, nel bel mezzo della piazza, presso la statua grande che raffigurava un eroe dell’Impero Austro-Ungarico. Lui era in divisa, le sue medaglie dorate scintillavano in quel sole di novembre, mentre una brezza russa, dai sentori slavi, come le pianure del Volga in autunno, minacciava di portare con sé il bel copricapo di Henriette, ornato con delle splendide piume di struzzo. Ella era vestita a festa ed anche il suo uomo lo era, la sciabola dal manico dorato al fianco.
– O mio amato, vi voglio bene! – gli disse forte la giovane, mentre lui la sollevava da terra e la prendeva tra le sue braccia. – Cantatemi qualcosa, ve ne prego!
Allora, accadde che il soldato, anzi, l’ufficiale che la amava intonasse l’inno dell’Austria-Ungheria… Fu per lei, per la felicità dei suoi occhi e per nient’altro.
Mentre se ne andava con la giovane tra le braccia per le strade di Morgenburg, l’uomo cantava con voce solenne:
– Gott erhalte, Gott besch’tze
Unsern Kaiser, unser Land!
M’chtig durch des Glaubens St’tze,
F’hrt er uns mit weiser Hand!
La’t uns seiner V’ter Krone
Schirmen wider jeden Feind!
Innig bleibt mit Habsburgs Throne
‘sterreichs Geschick vereint!

Fromm und bieder, wahr und offen
La’t f’r Recht und Pflicht uns stehn;
La’t, wenn’s gilt, mit frohem Hoffen
Mutvoll in den Kampf uns gehn
Eingedenk der Lorbeerreiser
die das Heer so oft sich wand
Gut und Blut f’r unsern Kaiser,
Gut und Blut f’rs Vaterland!

Alla fine la bella giovane, che era impazzita d’amore per il suo amico del cuore, gli disse, con gli occhi socchiusi, le rosse labbra tremanti e quasi svenendo tra le sue braccia:
– Oh, meine Liebe! Meine Liebe! Mein Liebling… Mein Liebling… Mein Liebling!
A quel punto, da dietro una delle ultime case di Morgenburg apparve un’amica di Henriette, che tutti chiamavano la Fioraia dei Carpazi. Allora, costei recava un canestro di vimini sottobraccio, colmo di fiori e di foglie d’autunno. Al vedere la sua amica tutt’assorta nell’estasi della felicità, tra quelle braccia, prese una manciata del contenuto del suo cesto e la gettò in aria, per fare festa, gridando lievemente:
– Viva gli innamorati! Viva gli innamorati!
Una nube di fiori e di foglie d’oro puro li avvolse.

Morgenburg, 18 novembre 1872.

Un giorno, accadde che Henriette presentasse al proprio padre il suo bell’ufficiale. Ella non avrebbe mai dovuto farlo! Dovete sapere che il suo vecchio genitore era un uomo dai mille ricordi, che tutti chiamavano il Montanaro. Portava l’occhialetto e, al vedere Ulrich (questo il nome dell’innamorato della giovane del carro), una nuvola oscura si disegnò davanti agli occhi suoi.
– Mio caro padre, questi &egrave il mio amato! – gridò la bella, ma la voce sua non era destinata a spegnersi nella felicità, come confermò ben presto la collera che inondò il volto del Montanaro.
– Che cosa?! Costui, qui, in casa mia! – gridò il padre di Henriette, guardando fisso negli occhi l’ufficiale che gli stava dinanzi. – No, questo non sarà mai! Figlia mia, vattene in camera tua! E quanto a te, bastardo, esci dalla mia proprietà, finché sei in tempo!
Un ricordo confuso aveva fatto capolino nella mente del Montanaro… Le falci mietevano il fieno sulla prateria che cresceva lungo il fianco di una di quelle montagne, i Piccoli Carpazi… Poteva essere la fine di giugno, o forse la prima decade di luglio… I mietitori lavoravano ardentemente, uno di loro canticchiava e canzonava il suo compagno, quando, ad un tratto, la punta rugginosa e appuntita di una di quelle falci si conficcò nella fronte di uno dei lavoranti. Che incidente! Che sventura! Il fieno si macchiò di sangue, al pari della prateria verdeggiante…
Il Montanaro avrebbe ricordato quell’istante per il resto della sua vita. La vittima di quell’incidente era suo fratello; l’autore di quel misfatto, il padre dell’ufficiale che stava ritto dinanzi a lui.
Da allora, Henriette e il suo amico si incontrarono solo in poche occasioni e di nascosto dagli sguardi di quel cattivo. Accadeva in casa della Fioraia dei Carpazi. Costei viveva tutta sola, in una dimora isolata, fatta di pietra, in mezzo alle betulle. Gli incontri dei due innamorati avvenivano alla lume di una lucerna, alle prime luci dell’alba. La bella giovane mentiva al proprio padre, pur di incontrare colui che amava.
Una volta, la loro protettrice, tenendo in mano la sua lampada, indugiò presso l’uscio semiaperto, che dava nella stanza in cui avvenivano quegli incontri segreti.
Ella li vide.
I due erano nudi, in una tinozza di legno colma d’acqua e consumavano un coito ardente. Credevano che nessuno li vedesse, lei aveva entrambe le gambe alzate, il suo corpo trepidava incessantemente, la sua pelle era dorata e liscia: non per nulla, la ragazza si vantava di non avere un solo pelo dalla nuca in giù. Che affanno! Che scosse! Anche i piedi della bella erano grandi e suggestivi, ma ciò che colpiva maggiormente erano le sue grida, piuttosto animalesche, gettate mentre il corpo di quel maschio quasi la stritolava. Le scosse sembravano non voler cessare mai e lei si divertiva a strillare, ad emettere quei versi secchi, striduli…
Ad un tratto, alla Fioraia dei Carpazi sfuggì una risatina confusa, molto mal celata da una mano posata sulla bocca. I due amanti si accorsero di lei, mentre socchiudeva l’uscio e si allontanava da loro, la lucerna in mano, i passi felpati.
Poi, improvvisamente, il cattivo di cui vi ho narrato svanì.
Egli se n’era andato per sempre e non avrebbe mai più fatto ritorno.
Morgenburg era sola, radiosa e dorata nel bel mezzo dei Piccoli Carpazi. I due innamorati non avevano più nemici. Era il tempo della mietitura: gli abitanti del villaggio si preparavano a trarre profitto dai loro prati, offrendo alle mandrie che salivano verso le creste più alte la paglia ed il fieno, frutto di quella terra.
Un bel giorno, accadde che Henriette facesse capolino da dietro ai fienili, di cui già vi ho narrato. Dinanzi a lei si estendeva una vasta discesa erbosa, ingombra di mietitori e di gente dei campi. Poi, apparve l’ufficiale, sì, l’uomo che ella amava. Sospirando, la bella gli corse incontro, tenendo in mano un mazzo di fieno e di fiori di campo, che non esitò a porgergli, dicendogli:
– O mio amico, o mio caro, ascolta: il tempo della mietitura &egrave giunto, le falci brillano gioiosamente nel sole e tutto il nostro amore germoglia come i fiori di questi prati ed i pascoli di questi monti!
L’altro non le rispose, anzi le sorrise. Quindi si presero forte per mano e s’incamminarono gioiosamente lungo il sentiero che conduceva alla casa della Fioraia dei Carpazi, dove i due amanti chissà che cosa avrebbero consumato, chissà! Ben presto la loro marcia divenne un’affettuosa corsa, tra i mucchi d’erba verde appena colta e i prati in fiore. I mietitori, abbagliati dall’ardore dei due giovani, interruppero il loro lavoro per pochi istanti, salutandoli fraternamente, nella calda luce di giugno.

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