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Racconti Erotici Etero

Atterraggio in Grecia con primo decollo

By 21 Settembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Come vi avevo promesso, avevo in serbo qualche raccontino della mia ultima vacanza. A Mykonos, questo ve l’avevo già svelato. Quello che non vi ho detto è che la vacanza, malgrado sia durata soltanto dieci giorni, si è rivelata molto movimentata. E con qualche sorpresa non di poco conto. Quelle cose che non ti aspetti, insomma, e alle quali dopo ripensi sorridendo. Un bel periodo, niente da ridire. Anche se sono tornata col sedere dolorante.

Per via delle ore passate sul motorino. Non fate i maiali :D

La prima sera, dicevamo, siamo arrivati nell’appartamentino che avevamo prenotato abbastanza tardi. Le valigie, il chek in, le sigarette ancora da comprare, troppe cose per buttarmi subito in spiaggia. Così il primo tramonto greco l’ho visto in costume sì, ma dal terrazzino dell’appartamento. Per queste vacanze avevo già pensato di portarmi dietro un costume in più, da usare come pigiama. Avevo scelto quello blu sottile sottile.

Quello che è stato interessante, però (per voi che leggete sicuramente :P ) è stato il dopocena. Tutti appiedati, in un posto che nessuno di noi conosceva. Una piccola tribù gelosa della propria privacy, o perlomeno non ancora pronta a mettere la testa fuori.

Ah, ma non vi ho ancora detto in quanti e chi eravamo! Allora, per questa vacanza abbiamo scelto una cosa soft. Due coppie di amici, tre ‘sfidanzati’ (tra cui una zitellina) e ovviamente io. Otto pazzi con la voglia di divertirsi, chè tanto ‘qui non ci conosce nessuno, chissene’.

Stavamo bevendo la nostra seconda bottiglia di rum (venti euro! Venti!), quando qualcuno ha avuto l’idea geniale di metterci a fare un gioco di società. No, non un’orgia. Ma nemmeno il monopoli, purtroppo. Si, avete immaginato bene. Poker. Strip.

Detta così, mi sembrava un’idea carina. Tanto quei dieci giorni li avremmo passati quasi sempre in costume, che vuoi che sia sfilarsi la maglietta quando stai per farlo davanti a mille sconosciuti. E poi, col rum nel boccino, sarebbe stato ancora più divertente.

Detto fatto, Marco ha cominciato a dare le carte. ‘Regola numero uno, le ragazze fidanzate non si spogliano’. Prima regola, primo imbroglio: delle due ragazze, né io né la zitellina lo siamo. Ah si, dimenticavo anche questo: le altre due coppie sono tutti maschietti :P

Malgrado la fregatura all’orizzonte, non abbiamo battuto ciglio e abbiamo cominciato a giocare. E via con la solita fortuna del principiante: in mezz’ora avevo davanti a me quasi tutta la posta in gioco. Dodici bicchierini strabordanti di rum, ben allineati e appiccicosi perché, dopo il primo giro, la mano diventa sempre ballerina.

Dopo il quarto cicchetto mi sentivo a Las Vegas. Francesco, che a giocare non ci stava, era la mia donnina portafortuna, che mi baciava le carte prima che le girassi. E gli occhi cominciavano a girarmi come alle slot machines.

‘Tre cicchetti per la mia maglia’. Era il segnale per dare inizio alle danze. Giorgio, stendendo la bottiglia (e alcolizzando il tavolino) aveva gettato sul tavolo la maglietta. Posta riempita, si continua a giocare. Pochi minuti e il tavolo sembrava la bancarella di un mercato, per quante magliette e pantaloncini ci stavano sopra. E la fortuna cominciava anche a girare. Dal lato sbagliato, ovvio.

La prima a passare sul palco è stata Margherita, che tra gli ululati della truppa si è dovuta sfilare la maglietta. Reggiseno bianco a coppette, non imbottito. C’è poco da imbottire, con una quarta naturale strabordante, che spicca su un pancino sottile sottile. Con gli occhi bassi, ingoiando un altro bicchiere, Margherita ha cercato di nascondere un sorriso a metà tra imbarazzo e divertimento. Poco dopo, non senza bicchierino, si è dovuta sfilare anche i pantaloni, lasciandoseli scivolare lungo le cosce mentre, piegandosi, spingeva all’infuori un culetto sicuramente non statuario, ma altrettanto sicuramente calamita per i maschi. Che, in certe situazioni, non disdegnano qualche macchia di cellulite, specie se ben compensata.

Poi ho cominciato a giocare anche io. Nel casino della partita e delle chiacchiere, il mio montepremi era diventato il bancone del bar. I cicchetti erano finiti, uno dopo l’altro, lasciando pure me in bancarotta. E quindi, per continuare dovevo barattare con la merce di scambio che, tutti, stavano pagando. Il primo biglietto l’ho staccato con la camicetta. Solo tre cicchetti: era già aperta, hanno contestato, quindi non è che mi fossi spogliata molto. E chi aveva intenzione di farlo, poi!

Margherita invece era ormai nel pallone. Si è bloccata solo quando, all’ennesima passata sfortunata, ha capito di avere appena perso il reggiseno. Si è guardata intorno, bambolina imbarazzata, non sapendo cosa fare. Momenti di silenzio, tra chi voleva fermare il gioco (cioè me) e gli altri, con gli occhi puntati su quei due panettoni morbidi pronti a saltar fuori. A rompere l’incantesimo ci ha pensato Francesco che, tanto ragazzone di compagnia tanto troia, da dietro Margherita, con uno schiocco le ha slacciato il fermo, facendole scoppiare le spalline. Istintivamente la mia amica si è portata le mani al seno per coprirlo. Lei, che del topless ha fatto uno stile di vita. E poi risate, quando ci siamo accorti che un capezzolo, duro duro, spuntava irriverente tra il medio e l’anulare. L’imbarazzo è calato come un sipario aperto alla prima, e in men che non si dica ci siamo ritrovati tutti a guardare quelle due tette che, inarcando la schiena, Margherita sfoggiava urlando che, per quello spettacolo, ci volevano almeno dieci cicchetti di rimborso.

I maschietti, invece, di questi problemi non se ne facevano. Ovviamente, aggiungerete voi. Slip e boxer si sono presto aggiunti alla collinetta di vestiti sul tavolino, mischiandosi senza ordine di tempo e di colore.

Con la fortuna voltata dall’altro lato (ma la sfiga addosso implacabile) e senza la mia damina di compagnia (che ormai parteggiava per il branco di allupati), è arrivato presto il turno del secondo ticket: il pareo colorato comprato due ore prima al negozietto all’angolo. Molto riluttante, ho sfilato via anche quello, facendolo cadere dalla sedia. ‘E da qui non mi alzo’, ho detto poi imbronciando il muso. ‘Mi alzo io’, ha risposto di scatto Angelo. Si, quello del mio racconto precedente. Ha preso uno dopo l’altro i quattro bicchierini del mio patrimonio, se li è scolati fissandomi come un indemoniato, l’ultimo lo ha posato violentemente sul legno. ‘Adesso fai quello che ti pare’, ha detto, ed è uscito sbattendo la porta.

Una reazione che nessuno di noi si aspettava. Ad essere sincera, nemmeno io. Però questi scatti d’ira non mi piacciono. Specie se immotivati. No, non mi sono mai piaciuti. Più per puntiglio che per voglia di farlo, ho giocato la mia carta vincente. Mi sarei tolta le mutandine. A patto, però, che mi avessero fatto rimettere il pareo. Inutile dirlo, nessuno ha avuto da ridire. Sbirciando sporgendosi in avanti o piegandosi al lato del tavolino, hanno sistemato i loro punti di osservazione mentre io mi preparavo a quello spettacolino che i fumi dell’alcol scioglievano e al tempo stesso rendevano divertente.

Ho recuperato il pareo da terra, legandomelo alla vita con una lentezza esasperante. Accompagnata da fischi da osteria. Stretto il secondo nodino mi sono alzata, voltata, tenendomi saldamente con le mani alla sedia. Sporgendo indietro il sedere, lentamente ballando come per un latino americano al rallentatore. Tenendomi gli occhi puntati. Spostando quel fiore che attirava le api, divertendomi del fatto che, in quel momento e in quelle condizioni, c’erano diversi pungiglioni pronti a colpire. E, forse, ad occhi chiusi, quasi immaginando che qualcuno di loro lo facesse sul serio. Voltandomi appena, con la coda dell’occhio, potevo vedere che il mio trattamento stava cominciando ad avere i primi effetti. Scoppiati in cori da stadio quando Margherita, che con quel gioco ci aveva preso gusto, si è offerta di sfilarmi lei le mutandine.

La posizione, con il sedile dietro le ginocchia, mi faceva stare in una posa ancor più innaturale, e ancora più esposta sul davanti, piantata con le punte dei piedi al pavimento, con le braccia dietro la schiena a reggermi e l’intero corpo che dipingeva una morbida curva. Margherita, incalzata dal branco, aveva preso a strusciarsi con le guance contro il mio viso. Poi, piano piano, andava giù, verso il seno. Una mia occhiataccia le aveva fatto capire che sarebbe stato meglio non soffermarsi lì, pena la fine dei giochi. Arrivata all’ombelico, con un soffio leggero mi ha strappato una risata. E da lì, al fianco. Sentivo le sue tette morbide premermi sulle ginocchia mentre mi grafficchiava la coscia cercando di afferrare l’elastico delle mutandine. Due puntine dure, intanto, mi sfioravano le cosce facendomi venire la pelle d’oca.

Lei si che lo voleva, il pungiglione. E sono sicura che, se fosse arrivato, non avrebbe nemmeno accennato a una protesta. ‘Sento il tuo odore’, mi ha detto, novella Hannibal Lecter ma rivisitato da Tinto Brass, facendo scattare un applauso e colorandomi di rosso le guance. Forse diceva sul serio, o forse l’aveva solo intuito. Ma in fin dei conti aveva ragione. Contorcendosi buffa, con le mutandine diventate ormai un perizoma e quasi leccandomi le cosce, Margherita è riuscita a tirarmi giù le mutandine, che poi ha agitato come un trofeo, rifiutandosi di metterle tra gli altri vestiti ed infilandosele nell’elastico delle sue come un guerriero indiano con la testa di un nemico.

Quando la bottiglia offriva solo un paio di dita rimanenti, le mie carte mi stavano regalando l’occasione per rivestirmi. Tutti a carte sul tavolo, era diventata una partita a scacchi tra me e il mio avversario. Ai miei tre sette ha risposto con due dieci e due cinque. Spegnendomi il sorriso sulle labbra quando ha calato il terzo dieci. Full. Mi ero appena giocata anche la parte superiore del costume.

‘Dai ragazzi, non farete mica sul serio?’, ho provato a chiudere l’argomento. I loro occhi, puntati sul mio seno, erano una risposta sufficiente. Così come lo erano i miei capezzoli, che premevano da sotto al costume azzurro pronti a svettare all’aria aperta. La mia damina ha provato lo scherzetto precedente, tentando di afferrarmi il gancetto del costume. Fregato, era di quelli senza. Con la situazione ormai sfuggita di mano, sono scattata in piedi e gli ho mollato un ceffone sul viso. ‘Stronzi!’, e ho imboccato la porta, veloce come un’anguilla.

In costume e pareo, senza mutandine, da sola nella movida di Mykonos. Non male, come prima sera.

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