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Racconti Erotici Etero

Blade: giorni diversi

By 25 Giugno 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Per chi non mi conosce: salve!
Io sono Alexander Mirror, meglio noto nel sottobosco criminoso e negli ambienti dello S.H.I.E.L.D. come Blade, un mutante con artigli e un fattore rigenerante, roba molto utile quando gli strozzini si stancano di chiederti i soldi gentilmente’
Il lettore avveduto e informato sui racconti che mi riguardano può saltare le prossime righe.
Invece, il lettore che legge per la prima volta un racconto che mi riguardi può gustarsi questa breve presentazione.
Vivo negli States, nella città di New York (un tempo si chiamava New Amsterdam perché edificata da olandesi’). Non lavoro (specialmente a causa del mio ottimo rapporto con lo S.H.I.E.L.D. che mi ha pagato gli ultimi favori fatti) e, come ho già accennato, sono un mutante.
I miei due interessi nella vita sono le donne e le arti marziali, in quest’ordine. C’é anche altro, ovviamente ma il resto &egrave marginale.
Un’altra cosa: non mi considero un eroe, diciamo che cerco di fare la cosa giusta ma non di rado mi lascio tentare dall’usare le mie abilità per furtarelli, o almeno così facevo…
Comunque nel mio ultimo lavoretto per lo S.H.I.E.L.D. qualche tempo fa, una mutante capace di divenire acqua che risponde al nome di Flux mi ha riempito di botte. Me la sono legata al dito e dopo averla trovata e averle reso il favore alcune volte siamo finiti alleati (ed amanti). Nell’ultima missione insieme, Flux é apparentemente morta. Apparentemente, perché ha lasciato un chiaro segno della sua sopravvivenza qualche tempo dopo. Un segno di cui so unicamente io e che si &egrave ripetuto in ben due diverse occasioni. Intanto io sono andato avanti con la mia vita, spesso e volentieri interrompendo quella di gente che a volte lo meritava e altre volte no.
Flux sta tornando. Io lo so. E sarò pronto. A tutto.

-Baro!-. La parola venne urlata, mi fu quasi scagliata contro da un nero malvestito con un inquietante tatuaggio in volto che io personalmente trovavo veramente di pessimo gusto.
Baro. Un’accusa, falsa e decisamente mossa da odio e rancore maturati grazie a diverse mie vittorie a poker.
Ora, sarebbe giusto sottolineare che i miei sensi sono leggermente amplificati rispetto a quelli dell’essere umano medio. Non sorprende quindi che, al tavolo da poker io possa letteralmente leggere i miei avversari.
Quel tizio di colore, Adam Qualcosa, ha praticamente telegrafato le sue strategie in tutta la partita. Se la stava prendendo con me solo e unicamente perché in realtà era stufo di perdere ma non riusciva a vincere.
Io me ne rimasi seduto. Avevo ucciso un bel po’ di gente negli ultimi tempi. Inutile prendersela con lui.
Inutile, oltre che stupido. Se fallisci puoi biasimare solo te stesso. Una regola di vita che mi sono imposto e che, spesso e volentieri mi ha fatto pure male.
-Dai, Adam, non rovinarci la serata.-, quello che aveva appena parlato era Edwin Leopard. Ancora adesso non saprei dire che lavoro faccia ma a Poker aveva un tratto distintivo, la capacità di non perdere i nervi.
E, a differenza di Adam, non riteneva che restare a vedere fino al Turn fosse un diritto inalienabile e un dovere come giocatore e uomo. Due ottime qualità.
A essere sincero, se anche non ci fossi stato io, Adam sarebbe stato spennato. Non si trattava di me, ma di lui.
Era un novellino e solo perché aveva vinto un paio di mani si era esaltato. E aveva scelto di continuare, ignaro delle semplici ma spietate regole del poker.
Ora che aveva perso voleva solo sfogarsi.
-Fanculo! Lo sapete anche voi che bara! Sennò come fa a vincere così tanto?!-, esplose il nero con una rabbia bestiale. Io me ne stetti zitto.
-&egrave bravo, Adam. &egrave diverso. Gioca, fai pratica e lo diventerai anche tu.-, disse una giovane donna.
Non ricordavo il suo nome, sapevo solo che non era stupida: non era solita restare in gioco a meno che non le uscissero ottime carte sin da subito. Una buona strategia, per quanto scontata.
-Zitta, Cheryl! Tu… tutti voi qui mi trattate come un idiota!-, la rabbia di Adam non accennava a placarsi.
Edwin scosse il capo.
-Adam, sei liberissimo di pensarla così ma fuori da qui.-, Edwin non era solo un buon giocatore, era anche il padrone del locale nel cui retro stavamo giocando. Se diceva “fuori”, eri fuori.
Adam contrasse il viso in una smorfia di rabbia. Uscì imprecando e sbattendo la porta.
Ebbi la netta sensazione che l’avrei rivisto.
Io, impassibile, mi limitai ad aspettare che Cheryl desse le carte. Quella serata mi stava andando bene ma scommettevamo meno del solito. Piatti piccoli e quindi piccole vincite. Tranne per l’ultima che era costata qualcosa come cinquanta dollari al povero Adam, in perdita da più o meno due ore.
Il buon giocatore di Poker sa quando alzarsi dal tavolo.
Nel bene o nel male, in vittoria o sconfitta.
Passarono altre mani. Cheryl perse altri cento dollari e anche io assaporai la sconfitta. Capitava.
Edwin chiuse in pardita di soli venti dollari.
Alla fine me ne andai con qualcosa come duecentodieci dollari in tasca.

Mentre tornavo lentamente a casa pensai che sicuramente ne ero uscito bene ma forse avrei dovuto smettere di giochicchiare nelle bische e puntare più in alto. Ma mi sarebbe costato. Parecchio.
Inoltre mi domandavo se, con tutti i pregiudizi sui mutanti, mi avrebbero concretamente accettato a un torneo di alto livello. Immerso in questi pensieri e arrivato a casa, lo sentii all’ultimo. Passi, verso di me, rabbia. Schivai all’ultimo il piede di porco.
-Sei finito, stronzo!-, esclamò una voce. Adam, appunto.
Se l’era proprio legata al dito! Non persi tempo a replicare e contrattaccai con un calcio al ginocchio. L’uomo gemette, cercando goffamente di colpirmi. Mancato ancora. Colpii io, due pugni da K.O. Adam ruzzolò a terra. Lo afferrai per la maglia.
-Spero ti sia bastata, come lezione. Prenditela con te stesso, non con me.-, dissi. Lo lasciai in angolo e uscii.
Inutile rincasare con lui sulla soglia.

Mi rtirovai in un altro bar. Ed’s Bar, o qualcosa così.
Donne, nessuna. E la clientela era comunque poca.
Ma andava bene: bevvi il mio coca e rhum senza protestare. Era pur vero che, da quando avevo il fattore rigenerante, le sbronze o altre cose simili non avevano attrattiva. A che serviva spaccarsi se poi si tornava come nuovi in mezz’ora?
Tanto meglio, comunque non sono mai stato uno che esagera. Pagai e uscii.
Tornai verso casa. E trovai una sorpresa.
Adam era sparito, sicuramente dopo la lezione che gli avevo dato non si sarebbe rifatto vivo per un bel po’.
In compenso, sulle scale vidi una ragazza con un abbigliamento troppo sexy per non essere voluto.
-Ciao… Tu sei Blade, vero?-, chiese. Blade, lama.
Il mio nome d’arte per un lavoro che arte non era.
-Sono io.-, dissi. Inutile negarlo.
-Ah, capisco. Ho un messaggio da parte di Zhara.-, disse la giovane. Zhara al-Jilani, una trafficante di merci varie, mutante anche lei e dannatamente sexy. Me l’ero pure fatta, questo dopo averle fatto qualche piccolo favore in cambio di qualche soldo. Il sesso é stata solo una naturale conseguenza. Sorrisi.
-Dimmi pure.-, dissi.
-Zhara ti ringrazia per tutto e dice che starà lontana dagli States per un po’.-, disse la giovane.
Capelli castani, occhi color nocciola, viso delicato, un filo di trucco, veste sexy, profumo di Chanel e qualcos’altro, sottile. Annusai appena. Sì. Era lei.
Quella ragazza per qualche ragione mi voleva.
-Ottimo.-, dissi. Non che non avessi voglia di lei ma volevo capire che legame c’era tra le due cose.
Non puoi vivere una vita come la mia se non impari a essere diffidente.
-Dice anche che vorrebbe che tu ti rilassassi e mi ha mandato per… aiutarti.-, disse la giovane.
Beh, più esplicito di così poteva esserlo solo danzando nuda con “per Blade” scritto sul seno con della crema al cioccolato…
Sorrisi. Aprii la porta.
-Entra pure.-, dissi. C’era ancora qualcosa che non quadrava. Una sensazione sottile. Ma andava bene.

La feci entrare, ci sedemmo sul divano.
-Come ti chiami?-, chiesi.
-Dana.-, disse lei sorridendo.
-Vuoi qualcosa da bere?-, chiesi. Lei sorrise. Annuì.
-Dell’acqua va bene.-, disse. Qualcosa non andava.
Una sensazione mi diceva che c’era qualcosa di veramente molto, molto, molto sbagliato. Comunque le servii un bicchiere d’acqua. Lei ringraziò e lo tracannò.
Come se fosse stata agitata. Ora ne avevo la conferma.
Quella era lì per una ragione.
-Dunque… iniziamo?-, chiese lei. Mi mise una mano sul petto, mi prese l’altra e se la posò sul seno decisamente grosso, probabilmente rifatto.
-Mi puoi fare quello che vuoi.-, disse. Invitante.
Sentii un fermito al bassoventre. Dio, ci sarebbe anche stato, farmela ma non a rischio della mia vita.
Così feci la cosa più giusta.
-Facciamo che mi dici perché sei qui senza recitare la parte del regalino, prima che perda la pazienza.-, dissi.
Stupore. Evidentemente non l’aveva previsto.
-Io… non capisco!-, esclamò.
-Allora ti aiuto.-, sibilai, -Quando ti ho dato il bicchiere hai bevuto, in fretta. Troppo in fretta.-.
-Avevo sete!-, protestò lei.
-Già. Allora perché tremi?-, chiesi.
Era vero. Tremava. Mi guardò, improvvisamente consapevole di essere scoperta.
-Ti aiuto se vuoi. Tremi perché hai paura. Sai di essere stata scoperta. Sai che io so. Ma io non so tutto e ti consiglio di aiutarmi a riempire i vuoti prima che io rimpia te di piombo.-, dissi.
Bugia: non avrei usato una pistola, faceva troppo rumore e poi, avevo quattro splendidi artigli ossei (due per mano). Perché non usare quelli?!
La povera Dana tremò di nuovo, sapventata, sull’orlo del pianto e delle lacrime.
-Se parli non ti succederà nulla.-, dissi, conciliante.
-Sono la moglie di Khalim al-ased.-, iniziò lei. Annuii. Ricordavo il suo nome. Zhara l’aveva torturato e fatto giustiziare perché io avevo scoperto che era uno dei traditori. Non si poteva certamente dire che la moglie non gli fosse fedele.
-E il tuo vero nome non é Dana, scommetto.-, dissi.
-Sì, invece! Vuoi un documento?-, chiese lei.
Non avrei saputo che farmene.
-Hai rovinato una rete che poteva essere tre volte più ampia di quella di quella troia di Zhara!-, esclamò la giovane piangendo, -Hai fatto uccidere mio marito! &egrave colpa tua! Lui voleva solo più soldi!-. Pianse.
-Perché?-, chiesi.
-Per un’operazione per me…-, sussurrò lei.
-Quale?-, chiesi. Lei annuì tra le lacrime.
-Soffro di una rara forma di encefalite cronica. I medici hanno scoperto che si tratta di un problema risolvibile solo tramite un operazione ma… Costa. Molto. Khalim voleva solo salvarmi! Solo quello! Non gli importava in quanti sarebbero dovuti morire perché accadesse.-.
-Già. Cosa che lo differenzia da me.-, dissi io. Avevo sentito abbastanza. Raggiunsi la mia cassaforte. Estrassi duemila dollari. Glieli diedi.
-Ma…-, chiese lei.
-Prendili. E vivi.-, dissi. Mi guardò. Guardò i soldi. Sorrise.
-Grazie.-, disse. Mi baciò. Un bacio sottile, breve. Casto.
Annuii, lasciando che se ne andasse. Poi chiusi la porta. A volte essere buoni fa davvero schifo ed essere malvagi é anche peggio.
Avevo fatto la scelta che sentivo giusta, perdendoci perché qualcun’altro potesse almeno provare a vincere.
Mi stesi sul divano, ma il sonno non arrivò. Così mi alzai.
Faceva schifo. Tutto quanto. New York era marcia e non importava quanto ci si provasse, marcia sarebbe rimasta.
Ma non era marcia come altre parti del mondo.
In ogni caso, a volte avrei davvero voluto andarmene, fuggire, lasciarmi tutto alle spalle.
Sospirai. Non era facile. Per niente.
Quel dono, le mutazioni che mi avevano cambiato la vita, l’avevo ottenuto al prezzo di sofferenze che avevano ridefinito il concetto stesso di “dolore”.
E fuori, lontano da quel laboratorio da cui ero fuggito per fortuna o tempismo, era anche peggio. Il dolore non era più fisico. Era mentale, emozionale, spirituale.
Avevo smesso di credere in un dio, da parecchio.
Da quando era morto mio padre a causa di una malattia tremenda. Da quando avevo vissuto quel giorno di dolore puro, raffinato al calor bianco e inciso nel mio essere.
Il cielo era vuoto. Ma anche fosse stato pieno, la cosa non sarebbe cambiata. Per nulla.
Sguainai gli artigli. Snikt!
Poi li guardai. Eccoli lì. Causa e soluzione.
Causa dei problemi, poiché da quando ero uscito da quel laboratorio avevo smesso di presentarmi a colloqui di lavoro, di inviare curricula, ecc ecc. Che senso avrebbe avuto farlo? Non ero normale. Non lo ero più. E mai più lo sarei stato. Non si trattava solo dell’aspetto. Anche la mia mente, il mio modo di pensare, era cambiato.
Soluzione perché mi aveva aperto un mondo nuovo, un nuovo modo di vivere. Un nuovo me. Che qualche volta mi spaventava anche.
Lasciai che rientrassero nelle loro sedi.
Era quello che mi aspettava? Una vita così, a margine? Ad aspettare e fingere e aspettare ancora di agire?
Non volevo sapere la risposta. Trovai le cuffiette e il lettore MP3. Pigiai Play e mi distesi sul divano.
Scivolai nel sonno pochi istanti dopo.

La verità era che da qualche tempo a quella parte mi sentivo stanco, stranito, esausto senza ragione. Potevo passare un giorno senza fare nulla e poi, la sera, ero a pezzi. Incominciai a chiedermi se qualcosa nella mia trasformazione non fosse andato storto e stesse improvvisamente palesandosi.
Ma ne dubitavo. Avrebbe potuto farlo tempo prima, no?
In ogni caso quel giorno non feci granché e neppure quello dopo. Attesi. Lasciai che il tempo passasse.
E che forse, col tempo, sarebbe passato anche quello strano disturbo. Che invece c’era ancora.
Al terzo giorno uscii. Dovevo cercare qualcuno.

Evan Salieri era un chimico. Un genio in chimica, biochimica, anatomia e mutazioni varie.
Il genere di genio non riconosciuto. Mi feci visitare da lui.
Al termine di una visita di tre ore e di duemila bigliettoni mi disse che andava tutto bene. Allora cos’era?
Nessuna mutazione interna o esterna.
Doveva essere mentale. Sì, lo era sicuramente.
Una volta a casa feci esercizi di Aiki Taiso, prese di Judo e movimenti di Krav Maga. Per sfiancarmi e per riprendermi. Ancora e ancora.
Dovevo restare vigile. Scattante. Dovevo.

Passarono tre giorni e ancora niente.
In compenso mi arrivò una chiamata sul cellulare, da parte di Dana. Mi disse che aveva prenotato l’operazione. Voleva ringraziarmi di persona. Pensai che non ci sarebbe stato nulla di male, specialmente se non mi avesse piantato un coltello nella schiena. Comunque accettai, non senza meravigliarmi del fatto che avesse il mio numero. Avrei dovuto cambiarlo.
Ma a suo tempo.
Dana bussò alla mia porta solo un giorno dopo, tutt’altra persona. Decisamente in versione più seria e meno sexy ma sprizzava un’allegria non comune. Parlammo del più e del meno, mangiammo e bevemmo qualcosa di moderatamente alcolico e poi io buttai l’esca.
-Ma… che ne dici se stanotte restassi a dormire da me?-, chiesi. Lei sorrise.
-Non mi violenterai, vero?-, chiese. Ridemmo.
-Non credo di avere l’aria di uno stupratore.-, dissi.
-Sicuramente potresti. Sono sempre gli insospettabili a fare le peggiori cose.-, disse.
-Senti chi parla!-, esclamai con un sorriso.
-Era un’altra cosa!-, esclamò lei.
-Oh, sicuro.-, dissi io, -Ora taci.-.
Il primo fu un bacio titubante. Poi il secondo fu un po’ meglio. Dal terzo in poi eravamo scatenati. Fortunatamente eravamo già a casa mia.
La camicetta di Dana cadde, seguita dalla mia maglietta.
I miei pantaloni furono aperti e abbassati, i suoi idem.
Tutto questo mentre pomiciavamo stesi sul divano.
Il reggiseno fu levato mostrando due seni di misura decisamente eccelsa. Non esagerati ma secondo me erano rifatti. Dana mi sorrise, già impegnata a cercare e manipolarmi il pene attraverso le mutande.
-Me le sono fatte gonfiare a San Francisco. Ma anche toccandole uno non se ne accorge, prova!-, mi disse.
Provai. Era vero. Sembravano vere in tutto e per tutto.
-Aspetta…-, dissi. tolsi le mutande e le infilai il membro tra i seni. Lei sorrise stringendoli l’uno contro l’altro in una spagnola eccelsa.
-Piacevole, tesoro?-, chiese. Sorrisi.
-Enormemente, ma credo che entrambi vogliamo qualcos’altro, no?-, chiesi io dopo un paio di passaggi tra i suoi seni. Lei annuì.
-Verissimo, ma purtroppo per te non prendo la pillola da parecchio quindi ti toccherà farlo con il guanto…-, disse.
Il guanto, il goldone, il condom, il preservativo…
Tutti sinonimi. Ne trovai uno e lo infilai dopo averle abbassato le mutandine e averle accarezzato la vulva.
-Ah, sì… continua. Lento!-, esclamò lei.
Lo feci. Un passaggio dopo l’altro sulla sua vulva, su quel fiore di carne che tutti i maschi bramano d’invadere…
Dana si bagnò parecchio. Non lo fece in fretta ma lo fece.
E io mi preparai.
-Aspetta… Fai stare me sopra.-, disse. Annuii. Lei sorrise. Fremette. E s’impalò sopra di me.
-Aaaahhh, siiiii!-, eclamò lei. Cominciò a fare su e giù con me che le accarezzavo i seni. A tratti delicato, a tratti meno. Baci che ci scambiavamo con rapidità. I respiri divennero ansiti. Mi morse un labbro. Sorrisi.
-Vengo.-, mi sentii in dovere di avvisarla.
-Anch’io. Non fermarti!-, esclamò lei. Godemmo insieme.
Poi lei si tese, inarcandosi e infine si abbatté su di me.
Non era stato il miglior amplesso della mia vita ma neppure il peggiore e ci sarebbe stato tempo per rifarlo.
Poi però Dana estrasse qualcosa dai pantaloni che aveva lasciato a terra, accanto al divano. Si raddrizzò sopra di me. Sorrise.
-Sai, é un peccato perché scopi bene. Ma Adam mi ha pagato parecchio per questo.-, disse. Mi puntò la pistola al petto. Sparò.
Il cuore fu mancato. Aveva colpito i polmoni. L’effetto fu comunque spiacevole: un tunnel rovente tra carne e ossa e nervi, un grido strozzato, il mio e il suo sorriso.
Spietato. Come non mai.
-I tuoi soldi bastavano per l’operazione ma volevo di più. Voglio una nuova vita. E Adam me l’ha promessa.-, disse. Mi guardò mentre sputavo sangue.
-Non metterci troppo a morire.-, disse.
-Neanche un po’, tesoro!-, ringhiai. La mano sinistra si chiuse sulla pistola sollevandola, la destra chiuse a pugno e le affondò tra i seni siliconati. Dana sparò. Mi ustionò la mano ma nulla più.
Snikt! Gli artigli destri uscirono con rapidità e trapassarono il cuore della giovane.
Un’altra traditrice. Alla fine tutti usano tutti, no?
Mi alzai rivestendomi quasi un ora dopo, quando fui abbastanza in forze per farlo. Avrei dovuto pensare a un piano, fare qualcosa. Piangere o cose così. Non volevo nulla di tutto ciò.
Volevo la vendetta.

Adam sorrideva. La bisca clandestina in cui si trovava non la conoscevo ma un paio di domande alle persone giuste mi avevano permesso di arrivarci.
Entrai.
-Adam!-, gridai. Le carte di Adam caddero.
Una coppia di Donne. Peccato. Era pure una buona mano. Peccato per lui, non l’avrebbe giocata.
Gli altri giocatori avrebbero voluto fare qualcosa ma la mitraglietta Ingram che reggevo in pugno non era esattamente uno stimolo alla solidarietà. Avrei potuto uccidere quello stronzo e andarmene impunito.
Ma non lo feci. Spari al tavolo. La donna di fiori si disintegrò. E Adam gridò. I colpi, forse uno solo dei due o forse no, gli erano arrivati alle ginocchia.
-Scusa per lo sporco.-, dissi al barman. Gli gettai un paio di banconote da cento dollari.
Rientrai a casa. Era l’alba. Sospirai. Non ero stanco, peggio. Volevo dormire, e non svegliarmi. Almeno non finché il mondo non fosse cambiato completamente.
Ero stanco di scontri così meschini con gente incapace di capire.

Entrai appoggiando la mitraglietta sul mobile più vicino e poi mi accorsi di aver calpestato qualcosa.
Acqua. C’era acqua sul pavimento.
Guardai sopra di me. Nessuna perdita. Capii.
-Ok, so di essere stato maleducato, Flux.-, dissi.
L’acqua schizzò verso il divano, dotata di vita propria. Lì prese forma. La giovane di colore dai capelli lunghi e il viso bellissimo che era stata per molto tempo mio cruccio e desiderio era tornata dal mondo dei morti.
Flux era lì. Sorrisi. Forse non era ancora finita. Flux ancheggiò sino al divano, dove si sedette con apparente noncuranza. In realtà, se la conoscevo bene (e la conoscevo decisamente meglio di quanto molti potessero dire) aveva già notato le macchie di emoglobina che avevo tentato di rimuovere.
-Immagino che qualcuna non sia rimasta molto soddisfatta dalle tue prestazioni, Blade.-, disse.
Sorrisi appena. Liberarmi del corpo di Dana non era stato esattamente semplice, fortunatamente avevo avuto modo di farlo prima di rincasare e scorpire che la bella mutante di colore era arrivata a farmi visita.
-Immagini male. Centrava un bel giro di soldi a poker.-, dissi, -Vuoi dell’acqua? Qualcosa da bere o da mangiare?-. Flux annuì, optando per dell’acqua e un po’ di salatini che avevo tenuto da parte per eventualità simili (quantomai rare). Terminammo quasi subito lo spuntino.
-Allora, che ti serve?-, chiesi, -Perché ti serve qualcosa, giusto? O é una visita di cortesia?-.
-Perspicace come sempre, Blade.-, disse lei sorridendo.
Attesi che fosse lei a parlare.
-Conosci Melchor?-, chiese Flux mentre prendeva un sorso d’acqua. Melchor. Quel nome mi diceva qualcosa.
-Un tizio che traffica in oggetti magici? So che é stato beccato dal Dr. Strange durante un furtarello ed é finito dentro per un po’.-, rammentai. Una notizia dappoco.
Flux annuì, apparentemente soddisfatta della risposta.
-Già. Ma Melchor é uscito di prigione pochi mesi fa. Si é dato a un altro tipo di traffici.-, disse.
-Roba anche peggiore, suppongo.-, ipotizzai.
Nonostante il mio tono convinto mi era davvero difficile immaginare qualcosa di peggiore di un ex stregone da strapazzo che pasticciava con armi mistiche e portali extradimensionali. Ma lo sguardo di Flux non cambiò.
-Blade, quel bastardo sta mettendo su un suo personale impero, nei bassifondi di Madripoor.-, disse.
-Sorprendente che la Tigre non se ne sia accorta.-, notai.
La Tigre, la signora e la padrona di quel minuscolo staterello asiatico criminale. Non le sfuggiva mai nulla…
Di solito. Ma per sfuggirle bisognava essere molto bravi.
O molto comodi.
Flux si alzò, passeggiando per la stanza.
-&egrave stato Melchor a salvarmi, dopo la nostra missione.-, disse lei. Annuii. Parlava della missione contro il Culto Smedi. Fanatici che rapivano bambini per fini abominevoli. Lo S.H.I.E.L.D. aveva soprasseduto sui passati crimini di Flux (che non era esattamente una santa) in cambio della sua collaborazione. Il Culto era stato distrutto ma Flux era stata dichiarata morta.
E ora veniva fuori che a salvarla era stato questo qui…
-Che ci faceva, laggiù?-, chiesi.
-Cercava reclute. Ha un suo piano per Madripoor, non so quale sia ma non mi piace. Per ora sta partendo dal basso e la Tigre non si é ancora accorta di nulla. Però, se dovesse decidere di agire…-, lasciò la frase in sospeso.
Annuii. Non era una bella situazione. Proprio no.
-Ok. Ma ti ha salvata, dicevi.-, dissi.
-Già. Pensava che questo gli desse qualche diritto su di me, o sulle mie capacità. E quando ha capito che non avrei collaborato… Diciamo che se l’é presa.-.
-Immagino che tu non sia riuscita a ucciderlo.-, dissi.
Lei si avvicinò. Nient’affatto lieta della mia ultima uscita.
-Melchor é ancora uno stregone. Non é capace come Strange ma sta facendo cose… Vuole mischiare i mutanti coi demoni, ottenenre dei guerrieri perfetti con cui prendersi Madripoor. E poi tutto il resto.-, spiegò.
-Suppongo che tu non abbia qualche filmato o delle prove…-, dissi. Il suo profumo stimolava pensieri decisamente inadatti alla serietà della situazione.
-Supponi bene. Per questo ti ho cercato. Dobbiamo agire. Nessun’altro lo farà per noi.-, disse Flux.
-Già. Immaginavo. Una bella situazione…-, dissi.
Due secondi dopo mi trovai un coltello alla gola. Doveva averlo afferrato dopo essere entrata.
-Non sono in vena di scherzi, Blade. Mi aiuti o no?-, chiese. Io le sorrisi.
-Non é esattamente un modo carino per chiedermelo.-.
In quel momento lei si accorse che la mia mano destra era chiusa a pugno, appoggiata sul seno inguainato dalla tuta. Flux non era un’idiota. Ma probabilmente non avrebbe mai voluto scommettere su quanto potente fosse il suo fattore rigenerante rispetto al mio.
Sentivo il suo cuore. Percepivo un miscuglio di feromoni. Miei e suoi. Amanti e nemici. Eternamente in bilico.
Andava bene così. Respiravamo appena.
La lama intaccava appena la pelle del mio collo, bruciore trascurabile. Ma per ogni istante, Flux giocava con la morte. La minima perdita di autocontrollo avrebbe fatto scattare gli artigli. E gli artigli le avrebbero letteralmente spaccato il cuore. Ma lei non ci badò.
Occhi negli occhi, a scrutarci, analizzarci, studiarci.
Poi, d’un tratto, lei sorrise.
-Proprio come ti ricordavo.-, disse. Il coltello se ne andò, perfetto, senza tagliare nulla. Poi lei si avvicinò e mi baciò. Anche io la baciai. La nera aveva lo stesso profumo del nostro ultimo incontro. La mia mano le strinse una natica. Lei m’infilò una mano nei calzoni.
Previdi che i prossimi minuti sarebbero stati estremamente piacevoli…
E fui deluso quando il campanello suonò, proprio mentre una mia mano scivolava sotto la tuta a stringere uno dei seni di Flux. Lei si fermò. Improvvisamente in ansia.
-Ti hanno seguita?-, sussurrai.
-Forse… Ma sono stata molto prudente…-, rispose lei.
Dubbio, incertenzza. Allungai la mano fino a una M9 che tenevo in un cassetto della cucina.
-&egrave aperto.-, dissi. Flux si acquattò dietro al divano.
A entrare fu un tizio orientale. Tratti asiatici tipici, capelli neri impomatati di gel. Canottiera e jeans.
Non particolarmente brillante. Pareva disarmato. Pareva.
-Stiamo cercando una donna.-, disse.
Stiamo. Dietro di lui c’era un nero più o meno altrettanto trasandato. Entrambi odoravano d’alcol ma parevano ugualmente abbastanza sobri.
-Beh, come vedete, io non sono una donna.-, dissi.
-Quella che cerchiamo é nera, ha i capelli lunghi sulla schiena e risponde al nome di Flux.-, disse il nero.
Ok. Evidentemente le precauzioni di Flux non erano bastate. Annuii, preparandomi a scattare.
-Non l’ho vista.-, dissi.
-Beh, questo é strano perché abbiamo lasciato un nostro uomo di sotto e abbiamo perquisito ogni appartamento. Manca solo il tuo, quindi fai largo.-, disse l’asiatico.
-Ascoltatemi bene: ci tengo alla mia privacy. Se l’avessi vista ve l’avrei detto, no?-, chiesi, sorridendo.
Calcolai a occhio la distanza. L’asiatico era già morto, solo che non lo sapeva. Il nero invece… lui avrebbe avuto il tempo di reagire.
-Ascolta, bello. Può andare in due modi. Opzione 1: ci fai entrare e tutto va bene. Opzione 2: entreremo passando sul tuo cadavere.-, disse l’asiatico estraendo un ballisong. Coltello a farfalla. Utile se vuoi fare impressione ma a usarlo bisogna essere bravi.
E quell’idiota non era bravo per niente. Gli tirai un pugno.
Impattò contro lo zigomo sinistro. Estrassi gli artigli.
Snikt! Trafittura della scatola cranica.
Il nero indietreggiò di un passo. Sparò a distanza ravvicinata. La mia gamba destra venne giusto sfiorata. Lui invece si beccò l’artigliata sinistra in pieno petto.
Flux si alzò, pistola in presa a due mani.
-Dobbiamo andarcene.-, disse.
Perfettamente d’accordo, soprattutto se consideravo quanto la mattanza appena avvenuta avrebbe influito sul mio rapporto coi condomini.
Mi girai e poi lo sentii. Dietro di me. Un clack! secco.
Il tizio all’entrata doveva esser salito a controllare.
Il boato di uno sparo riverberò lungo le scale. E il tizio cadde all’indietro. Flux l’aveva freddato con un colpo in testa perfetto.
-Muoviamoci.-, disse. Presi il Tanto e l’Ingram che avevo appoggiato sul mobile poco prima e uscimmo.

Mai come quel giorno New York mi parve ostile.
L’intera metropoli pareva una gigantesca trappola, pronta a richiudersi su di noi.
-Dell’areoporto neanche a parlarne, temo.-, dissi.
-Sono d’accordo. Ma io non posso dire di avere molte alternative. Sono arrivata con passaporti falsi ma sarà dura eludere i controlli.-, disse lei.
-Già. Inoltre le armi non ce le potremo portare dietro.-, notai, -Anche se forse alla fine quelle sono il meno.-.
-In ogni caso ci staranno aspettando.-, disse Flux.
-Il che mi fa capire che dovremo rivolgerci a qualcun’altro per lasciare gli States.-, dissi. Riflettei.
-Il mare?-, chiesi. Flux scosse il capo.
-Malchor ci avrà pensato. E più corpi ci lasceremo dietro, più attireremo l’attenzione.-, disse.
Ci stavamo intanto muovendo verso Time Square.
-Dobbiamo sbrigarci.-, dissi. Presi Flux per mano e andammo verso la metro.
Poi lo vidi. Impassibile rispetto alla folla, attento. Connotati mediorientali ma talmente serio da non appartenere che ad una razza, quella dei predatori.
-Anche la metro é da scartare.-, disse la nera.
Tornammo in su. Chiamai un Taxi.
-Per dove?-, chiese il tassista messicano. Ebbi un’idea.
-Sailor Pub.-, dissi. Salimmo.

Il Sailor Pub era un pub per marinai, oggi come allora i lupi di mare ci andavano per alcool e donne, non necessariamente in quest’ordine. Certe cose non cambiano mai, indipendentemente dal tempo passato.
Ma c’era una cosa, del Sailor Pub che era cambiata.
La seconda funzione di quel posto era come base.
La base di Zhara al-Jilani.
Ora, chiunque abbia letto le mie precedenti avventure sa chi é Zhara. Per chi invece non l’avesse fatto, Zhara al-Jilani traffica in roba rubata, mai esseri umani o droghe. &egrave una mutante, metà rettile, ed ha avuto un breve intrallazzo amoroso col sottoscritto oltre a un enorme interesse nell’utilizzarmi per i suoi fini.
No, Zhara non era una santa. Ma era sincera, cosa che non si può dire proprio di tutti quanti.
-Ti fidi di questa tipa?-, chiese Flux.
-All’incirca. Diciamo che é più o meno come te. Ti piacerà.-, dissi io, sorridendo.
-Ma io piacerò a lei?-, chiese Flux. Doveva essere una battuta ma non mi fece ridere, anzi sollevò un problema di una certa entità.
Perché se Melchor aveva comprato anche Zhara noi stavamo letteralmente infilandoci nello sterco.
Non risposi e chiamai Zhara. L’araba rispose in qualche minuto.
-Pronto.-, sapeva già che ero io. Inutile presentarsi.
-Mi serve un favore.-, dissi.
-Non sarà gratuito.-, disse lei. Tipico suo.
-Lo so.-, ribattei.
-Che ti serve?-, chiese Zhara. Pareva curiosa.
-I favori sono due. Il primo é di vederti. Il secondo te lo dirò di persona.-, dissi.
-Capisco. C’entrano qualcosa i tre tizi morti fuori casa tua, eh?-, chiese. Non si aspettava una risposta ma se non altro, quella frase mi fece capire che Melchor non l’aveva comprata. Non ancora.
-Anche. Ti spiego appena ci vediamo.-, disse.
-Stesso posto dell’altra volta. Solita procedura.-, disse lei.
-Grazie.-, dissi. Chiusi la chiamata e invitai Flux a seguirmi all’interno.

Il Sailor Pub non era cambiato. Neanche il barman. Mi avvicinai dicendogli che io e la mia compagna eravamo lì per vedere Zhara. Lui annuì e ci indicò la solita porta.
Entrammo. Un budello di cemento culminante in una sala. Zhara ci guardò arrivare. Metà del volto coperta dal cappuccio. Io sapevo cosa celava ma non l’avrei detto.
Non avevo nessuna voglia di farmi un’altra nemica.
-Blade.-, un saluto come un altro.
-Zhara. Lei é…-, iniziai io.
-Flux.-, completò Zhara. La nera tradì il suo stupore.
-Mi conosci?-, chiese. L’araba annuì.
-Venite.-, disse. Diede un paio di ordini in arabo a due dei suoi cerberi e ci guidò verso le sue stanze.
Stessa stanza dell’altra volta. Stesso letto. Solo il tavolino degli alcolici era cambiato. Ce n’erano di meno.
-Servitevi pure.-, ci disse Zhara mentre recuperava una sigaretta decisamente introvabile negli U.S.A.
Flux si limitò a un dito di Vodka e io presi il solito Rhum.
-Allora, indovino: dovete uscire dal paese ma Melchor non vi molla.-, esordì la padrona di casa.
Rimasi spiazzato. Davvero sapeva tutto?
-Non sono quella che sono perché ignoro, Blade. Le informazioni sono armi.-, disse Zhara, notando il mio stupore, -E io intendo averne molte, di armi.-.
-Immagino che non ci aiuterai a gratis.-, disse Flux.
Sguardi dardeggianti tra le due. Un pizzico di tensione.
Poi Zhara sorrise. -Esatto.-, disse.
-Siamo disposti a fare quello che chiedi.-, dissi io, stando bene attento a non sembrare servile. Non mi ero guadagnato la stima di quella giovane tramite leccate (almeno, non leccate che non fossero prettamente fisiche…). No, per avere il rispetto di Zhara bisognava sfidarla. Stando attenti a non passare un preciso limite.
Oltre il quale non si era più divertenti, solo nemici.
E lei non era solita permettere ai nemici di sopravvivere a lungo. Nel suo ambiente un errore simile poteva costare.
-Blade parla anche per te?-, chiese la giovane alla nera.
-Diciamo di sì. Anche se non credo che ti saremo molto utili negli U.S.A. Siamo braccati, ricordi?-, ecco, quella era la Flux che ricordavo. Zhara annuì. Pensosa.
Passò qualche istante. Bevvi un sorso di Rhum.
Fuoco in gola. Ottimo. L’araba fece un paio di tiri.
-&egrave vero.-, ammise, -Negli States non mi siete di nessuna utilità…-. Non completò la frase.
Istanti di sudore freddo. Se ci avesse messi alla porta…
-Ma Madripoor… &egrave lontana. E qui ormai le cose stanno diventando problematiche. Farmi una sorta di riparo da quelle parti… Ed é anche vero che laggiù girerà parecchia roba.-, disse Zhara.
-Nuove opportunità di mercato, dico bene?-, chiesi io.
Si vedeva che era interessata e non se ne vergognava per niente, anzi.
-Oh, non solo. Pensa quanto potrebbe risultare interessante un alleanza con la Tigre!-, ormai il cervello di Zhara aveva ingranato la quinta (ma anche la sesta).
-E quale migliore prova di buona volontà che l’eliminazione di un nemico comune, qualcuno che al momento rappresenta una minaccia, anche se velata, per tutti quanti…-, suggerì Flux.
L’araba finì la sigaretta e bevve uno shot di Vodka.
-Esatto.-, sussurrò. Era in piedi, accanto a noi, ora.
-Mi fa piacere vedere che le voci sul tuo conto non erano esagerate.-, disse a Flux. La nera rimase ferma, il bicchiere di Vodka a mezz’aria. Zhara glielo tolse di mano con una delicatezza tutta particolare.
Feromoni. Di tutti quanti. Desiderio. E brama.
Ma anche avidità, speranza, paura. E tensione.
Zhara bevve appoggiando di proposito le labbra dove le aveva appoggiate Flux. Poi le rese il bicchiere quasi vuoto, assolutamente calma. Flux finì la Vodka bevendo dallo stesso punto, fissando l’araba senza soggezione.
Ero eccitato e lo sapevo. Così come sapevo che quel teatrino non era stato fatto solo per impressionare Flux.
Ma qualunque possibile divagazione erotica avrebbe dovuto attendere, almeno per un po’.
-Allora?-, chiesi, -Abbiamo un accordo?-.
-Sì. Decisamente.-, gli occhi di Zhara passarono da me a Flux e da Flux a me, -Abbiamo un accordo.-.
-Ok. Come lasciamo gli States?-, chiese Flux.
-Spero tu non soffra di mal di mare.-, disse Zhara.
-Mi trasformo in acqua, ti ricordo.-, rispose la nera.
L’araba sorrise, ma brevemente.
Poi prese a spiegarci il piano.
Il piano non faceva acqua ma passare tre ore in una cassa che avrebbe dovuto contenere un mobile del 1700 fu tutt’altro che piacevole. Flux invece arrivò sulla nave che avrebbe dovuto portarci a Madripoor in un’altra maniera. In una fiala. Nella sua forma liquida, la nera non insospettiva nessuno e, più importante ancora, nessuno si sarebbe sognato di compiere analisi su una fiala di acqua santa di Lourdes.
Zhara aveva lavorato bene. Quando un marinaio mi liberò dalla cassa e ebbi modo di uscire stirandomi la schiena che protestava per l’immobilità, notai che eravamo già in alto mare.
-Benvenuto sulla Plumbatt.-, disse il marinaio.
-Grazie.-, risposi io, -Avete qualcosa da mangiare?-.
Un tizio con più tatuaggi che pelle mi passò due sandwich. Li divorai senza quasi sentirne il sapore.
-La mia… compagna?-, chiesi.
-Qui.-, disse Flux, apparendo da sottocoperta. Una bionda la seguiva.
-Capitano Sofia Haptmann, piacere di conoscevi.-, disse stringendo la mano a me e poi alla mia socia.
-Il piacere é tutto nostro.-, dissi.
-Già. Ora, Madripoor sta cercando di entrare nella comunità mondiale senza dare scandalo quindi comprenderete che farvi sbarcare senza visto non é esattamente l’ideale per evitare problemi.-, disse Sofia. Flux e io annuimmo.
-Inoltre, se vi trovassero sulla mia nave, un po’ tutto quanto andrebbe a quel paese.-, continuò la donna.
-Immagino tu abbia un piano.-, disse Flux.
A un cenno della bionda, un marinaio aprì un container.
-&egrave sufficiente come piano?-, chiese.
Decisamente. C’era persino un letto.
-Ci troveremo bene.-, dissi.
-Lo spero. Arrivare a Madripoor richiederà qualche giorno.-, concluse lei.

-Dunque… una volta laggiù saremo da soli.-, dissi.
-La cosa ti crea problemi?-, chiese Flux.
-Non direi.-, dissi io. Le accarezzai appena il viso, scendendo sul collo, -Anzi, mi va più che bene…-.
Lei sospirò. Poteva fare la dura quanto voleva, e da un certo punto di vista la amavo per quello, ma io sapevo dove e come toccarla.
-Ohh, Blade…-, sussurrò lei. Scesi lungo le spalle.
Era un massaggio, una carezza appena accennata.
Ma bastava, sicuramente bastava ad attizzare lei… e me. Il suo profumo era eccitante, senza nessuna particolare essenza artificiale.
Dio, la volevo. E lei mi voleva. Si girò a baciarmi.
Lingue in lotta, mani sui corpi, cuori al massimo, feromoni impazziti, puro desiderio.
Cristo, avrei dovuto stare attento, qui rischiavo di venire precocemente…
Lei mi tolse la maglietta. Io armeggiai con quella sua tuta che la rendeva così eccitante.
-Stavolta…-, iniziai. Mi bloccai improvvisamente.
Sentivo un rumore. Sottile. Leggero. Ma c’era.
Anche Flux si fermò e improvvisamente il container fu scosso.

-Che cazzo…?-, Flux si riassestò la tuta a una velocità prodigiosa. Io non persi tempo a rimettermi la maglia.
-Dobbiamo uscire.-, dissi. Sguainai gli artigli ma improvvisamente mi resi conto che erano inutili.
Eravamo in trappola, intrappolati in un container dalle pareti troppo spesse per essere perforate persino dai miei affilatissimi artigli.
-Siamo in trappola.-, disse Flux. Annuì. Lo eravamo.
-Aspettiamo.-, dissi. Non ci fu bisogno di pazientare molto. Le porte si aprirono. Mi lanciai all’esterno.
E due dardi stordenti mi centrarono al petto.
Il Capitano Sofia Haptmann mi guardò sorridendo, stringendo la pistola a dardi.
-Niente di personale, ragazzi.-, disse.
-Miserabile puttana…-, sibilai. Quei cazzo di dardi erano roba forte. Non mi reggevo in piedi.
-Semplice legge di mercato: l’offerta più alta batte le altre. Melchor é stato… molto persuasivo.-, disse Sofia. Io la fissai con odio. Ma in quel momento il problema era un’altro. Flux dov’era? Conoscendola si era trasformata in acqua per potersela battere e darmi una mano più tardi. Era una schema che solitamente funzionava. Notai che non eravamo più sulla Plumbatt. Eravamo su un’altra nave. Il container era stato spostato. Evidentemente Melchor non era proprio così a corto di mezzi come amava far credere.
-La ragazza! &egrave sparita!-, esclamò un marinaio.
-Problema risolvibile.-, disse Sofia. Mi puntò una pistola alla testa. Desert Eagle .50. Un’arma che mi avrebbe fatto esplodere il cranio.
-Ti do fino al Tre per uscire e arrenderti, dopodiché disintegrerò la testa del tuo amico.-, disse.
I fottuti sedativi… il fattore rigenerante si muove al rallenty. Ma ora forse riesco a stare in piedi.
-Uno!-. Niente. Ok, riuscivo a sentire le gambe ma non dovevano capirlo.
-Due!-, Ancora niente. Flux non era stupida. Sicuramente stava aspettando che mi riprendessi.
Oppure mi aveva proprio abbandonato.
-Tre!-, e come per magia, la nera apparve dal nulla.
Sofia sorrise, vittoriosa. Abbassò la pistola.
-Funziona sempre. Prendetela.-, disse.
-No, troia.-, dissi io. Braccio destro in avanti. L’artiglio uscì trapassando il petto di Sofia. La bionda morì male. Panico nell’equipaggio, composta da alcuni marinai della Plumbatt e altri tizi paramilitari. Uno dei quali fece la bella mossa di tentare di finire di ammanettare Flux. La nera gli tirò una testata, girò, strappò la pistola dalla fondina aperta del nemico, tolse la sicura e mise il colpo in canna. Sparò abbattendo un tizio. Quello che la stava ammanettando decise di rinunciare alle buone maniere e prese l’MPX che teneva a tracolla. Fu l’ultimo gesto: gli sparai con la Desert Eagle di Sofia mentre Flux eliminava un altro nemico.
-Dobbiamo andarcene!-, esclamai.
-Qualche idea?-, domandò lei. Mi guardai attorno. Degli zodiac, piccoli gommoni con motore tipici dei militari operanti in zone fluviali o costiere, parevano pronti alla calata dalla fiancata destra della nave.
-Ora sì.-, dissi. Sparai altri due colpi costringendo un tizio col fucile a prendere copertura dietro a una cassa. Ci muovemmo a tratti. Lei copriva me e io coprivo lei ma le munizioni stavano finendo.
Salimmo sullo Zodiac dopo aver dato fondo agli ultimi colpi. Guardai sotto di noi. Eravamo a parecchi metri dal mare, ma non c’era scelta.
-Reggiti!-, esclamai. Sguainai gli artigli e tranciai le corde. Lo zodiac impattò contro la superfice oceanica con violenza. Quasi ci buttò fuoribordo. Appena mi ripresi, armeggiai col motore. Funzionava.
Dirigemmo la prua verso la direzione opposta a quella della nave dei nostri rapitori.
Se tutto fosse andato bene saremmo arrivati a Madripoor in poco tempo. Vivi.

-Allora, credi che Zhara ci abbia venduti?-, chiese Flux. Scossi il capo. Non era credibile, conoscevo quella donna. Non avrebbe mai fatto qualcosa di così idiota in un luogo del genere, con così poco controllo sulla situazione.
-Credo che Sofia abbia agito per conto suo.-, dissi.
-Il potere dei soldi, eh?-, chiese Flux.
-Già. Beh, una mela marcia in meno.-, dissi io.
-Da questo punto di vista, trovo sia molto meglio se siamo solo tu ed io.-, disse la nera.
-Beh, se non altro, nessuno ci tradirà quando staremo per fare sesso, tesoro.-, ribattei. Lei sorrise, ma il sorriso sparì pochi secondi dopo.
-Comincio a pensare che dovremmo approffitare di questo momento…-, disse, -Visto che ho come l’impressione che a Madripoor ci aspetterà ben di peggio.-. Non le davo torto.
Mi protesi a baciarla. Il bacio divenne ardito, infuocato.
Poi la vidi, appena oltre Flux e poco distante.
Una spiaggia. La costa di Madripoor.
-Ci tocca rimandare di nuovo.-, dissi. Lei si voltò.
-Beh, vorrà dire che la prossima sarà quella buona.-.

Fummo fortunati: attraccammo in un punto parecchio fuori mano senza che nessuno lo notasse. Ci disperdemmo nei vicoli di Madripoor.
Madripoor… era un posto dove tutto poteva essere comprato, rubato o venduto. Vite umane incluse.
L’odore dei bassifondi era di spezie misto a sudiciume, unito a quel tanfo di miseria.
La consapevolezza che laggiù nessun giorno era regalato, nessuna vittoria sinonimo di garanzia.
Era una lotta continua. E se era per questo che Melchor aveva scelto quel posto, probabilmente non avrebbe potuto trovare location migliore per creare il suo esercito. I volontari non sarebbero certamente mancati. E neppure i sacrifici…
-Da dove iniziamo?-, chiese Flux.
Non lo sapevo. Ma potevamo ancora contare su una cosa che non avevamo perso. Il mio cellulare.
Chiamai Zhara.
-Pronto. Siete a Mardipoor?-, chiese.
-Sì. La tua socia ha voluto giocare su due tavoli.-, dissi io. Silenzio. Poi la voce dell’araba riprese.
-Beh, suppongo che non sia più un problema.-.
-Esattamente. Come ci muoviamo?-, chiesi io.
-Cercate Wu. &egrave il mio unico contatto a Madripoor. Gestisce un negozio di antiquariato cinese nella parte turistica della città.-, disse Zhara.
-Ok.-, chiusi la chiamata. Flux mi guardò, in attesa.
-Andiamo a cercare un cinese.-, dissi.
Le spiegai strada facendo.

La parte turistica di Madripoor offriva di tutto.
Ma anche lì c’erano rischi. Se qualcuno avesse consultato una guida ufficiale, avrebbe scoperto che a dispetto dell’enorme pubblicità, Madripoor offriva anche emozioni da infarto non esattamente piacevoli.
L’ultima guida che avevo consultato al riguardo sconsigliava caldamente di recarsi a Madripoor, piazzandola comodamente tra l’Afghanistan e la Somalia, il che era tutto dire.
Comunque nella zona turistica perlomeno c’era la polizia che interveniva (se non era corrotta).
-Eccolo.-, disse Flux. Un insegna in inglese diceva chiaro e netto: “Wu’s chinise arts”.
Sospirai. I cinesi erano capaci di spuntare ovunque come funghi. Entrammo. I negozi di chincaglierie cinesi sono tutti uguali a tutte le latitudini. Porcellane tutte uguali, vasi Ming (repliche, poco ma sicuro), l’I-Ching (famoso libro oracolare cinese) in tutte le sue forme e dimensioni, pergamene buddiste, taoiste o confuciane della cui falsità si poteva tranquillamente star sicuri (questo grazie a quel simpaticone di Mao e ai suoi giovani e ignoranti seguaci che distrussero un’infinità di antichi testi e monumenti), marche di té da abbinare a servizi da té decisamente invecchiati ad arte. Ciondoli portafortuna con simboli così antichi che spesso neanche i proprietari riuscivano a spiegare convincentemente la loro storia e il loro significato. Libri sulla Cina di eminenti autori occidentali (così, per diversificare suppongo…). Statue di Bodhisattva e Arhat cinesi col pancione, persino qualche provocante posacenere con donna nuda scolpita (così, per variare sul tema). Il tutto ricoperto di un conveniente strato di polvere che desse un’idea di incuria e, immancabile, il proprietario (rigorosamente cinese) assiepato dietro una scrivania che pareva parte del campionario, a battere su un registratore che doveva essere vecchio quasi quanto lui.
Wu, l’uomo di Zhara. L’unico alleato che avremmo avuto in quella giungla urbana. Posto che anche lui non si fosse venduto.
Perché a Madripoor tutto e tutti erano in vendita.
Se c’era un posto sulla terra su cui la paranoia era pienamente giustificata, era Madripoor.
-Il signor Wu?-, chiese Flux. Il cinese, un cinquantenne che pareva fossilizzato sulla sedia, alzò lo sguardo, mettendoci a fuoco attraverso due lenti che parevano fondi di bottiglia.
-Sì?-, chiese lui, -Volete una ricetta afrodisiaca? Ho appena venduto l’ultima, dovrete aspettare. Però ho delle stampe erotiche della Città Proibita, se volete. Autentiche al cento per cento, potete scommetterci.-.
“E perdere”, pensai con un sospiro. Basta così.
-Ci manda Zhara.-, dissi. Wu, che si era messo ad armeggiare con alcuni papiri raffiguranti procaci giovani impegnate in evidenti atti amorosi con imperatori e dignitari di corte.
Il vecchio sospirò. Annuì. E posò la mole di pornografia antica sullo sgabello. Poi ci fissò.
-Vi manda Zhara?-, chiese.
-Sì. Per…-, iniziò Flux. Wu scosse il capo, posandosi un dito sulle labbra. Guardingo, si guardò attorno.
-Anche i muri hanno orecchie, qui.-, disse.
Scese dalla sedia caracollando sino all’entrata, girando un cartellino da Open a Closed e chiudendo la porta a doppia mandata.
-Venite.-, ci disse. Io e Flux ci scambiammo uno sguardo. Sicuramente quel tizio non era così svitato.
Sicuramente era prudente. Molto. Logico, in un posto come Madripoor la prudenza era la linea sottile tra il fotografare da un pontile coccodrilli e pescecani o il diventarne il pasto.
Entrammo nel retrobottega dietro la porta oltre la cassa, arrivammo in una sorta di magazzino con tre sedie in cerchio e un fornello con una teiera su una delle placche. Wu mise su del té.
-Allora… Ditemi tutto.-, disse.
-Zhara non l’ha avvisata?-, chiese Flux.
-Sì. Ma non di tutto. Mi ha detto, cito testualmente: “Tieni d’occhio Melchor”. Ed é quello che ho fatto.-.
-E suppongo che tale sforzo abbia dato frutto.-, disse Flux. Wu annuì. Ecco il mio momento per introdurmi.
-Noi siamo qui per questo, per uccidere Melchor.-, dissi, -Ma a quanto ho capito, non sarà facilissimo.-.
-Non proprio. Ha assunto il controllo di una gang di strada bella grossa e sta progettando altre cose. Si é fatto una base da qualche parte. Traffica in un po’ di tutto ma per ora non sfida la Tigre, non gli conviene.-, disse Wu. Flux accavallò le gambe, un movimento talmente sexy da infliggere una sciabolata di eccitazione al mio bassoventre.
-Però si muove, giusto? Ammassa gente, tira cavi, si prepara al colpaccio, no?-, chiese. Wu annuì di nuovo.
La teiera fischiò. Il cinese si alzò e prese tre bicchieri.
-Té verde. Volete?-, chiese. Io annuì. Flux invece no.
-Sono a posto così, grazie.-, disse. Comprensibilmente diffendente. Potevo credere che fosse già stata avvelenata in qualche modo…
Bevvi il té, caldo e senza zucchero. Nessun sapore anomalo, il che non garantiva l’assenza di veleni ma andava bene. E Wu non era agitato. Al contrario, pareva calmo, quasi felice.
Come se per lui la nostra comparsa fosse un’occasione di tornare a vivere.
Un po’ come per me…
-Sì, Melchor sta preparando qualcosa. Non so esattamente cosa. Ma so da dove potreste inziare.-, disse Wu. Io e Flux eravamo tutt’orecchi.
-il Gal’s é un bordello di infima categoria. ma é anche un posto in cui gli uomini di Melchor vanno a spassarsela. &egrave sotto la sua tutela. Ho infiltrato qualcuno. Una spia. Li Ying.-, disse, -Cinese, di bell’aspetto e decisamente capace a fare le domande giuste nei giusti momenti…-. Mi domandai se Wu non l’avesse scelta per la sua bravura nell’Ars amatoria, piuttosto che per altro ma preferii tenermi la curiosità.
-E dove si trova questo bordello?-, chiesi.
-Poco lontano da qui. Lungo la Via Rossa.-, disse Wu.
Poi lo sentii. Passi. E colpi, sulla porta.
Wu sospirò.
-Certa gente non capisce che “chiuso” vuol dire “chiuso”.-, disse. Si alzò e camminò fino oltre la cassa. Non fece un altro passo. La mitraglietta che gli sparò lo avrebbe colpito in testa ma Wu svanì in un bagliore e ricomparve, in piedi e accanto a noi.
-Sei un teleporta…-, disse Flux, stupita.
-Già. E quelli sono gli uomini di Melchor. Evidentemente hanno capito che lavoro per Zhara, oppure vi hanno seguiti, oppure Li Ying é stata catturata… Non importa ora. Dovete battervela.-, replicò lui. Io valutai però che i tizi erano solo tre. Una sfida che potevamo vincere…
-Non possiamo mica lasciarti qui!-, esclamai.
-Come avete visto non sono esattamente indifeso.-, disse il vecchio. Andò verso una sciabola cinese da Tai Chi Chuan e la staccò dal muro.
-Io li rallenterò. Voi dovete abbattere Melchor. Il suo piano… quello che ha in mente é abominevole.-, disse. Io annuì. Capivo. Un rumore di vetri infranti mi segnalò che i lacché di Melchor avevano infranto la vetrina. Wu mise in mano a Flux una pistola.
-Oltre quelle casse c’é una botola. Vi farà arrivare in cantina. Procedete per un po’ e arriverete a un’altra scala. Sbucherete in un magazzino. Da lì potrete muovervi liberamente.-, disse Wu. Poi scomparve in un lampo. Un istante dopo, il rumore di carne tagliata e urla in cinese e inglese mi fecero capire che si era messo all’opera.
Io e Flux decidemmo in un istante e seguimmo le sue istruzioni.

Arrivammo al magazzino. Erano le 23.02.
Flux si accasciò contro un paio di casse.
-Dio, che stanchezza.-, disse. Non le potevo dare torto, anche io ero esausto.
-Su, tesoro, dobbiamo muoverci.-, dissi.
-Solo un momento…-, sussurrò lei. Scherzava?
-Solo un bacio?-, chiesi io. La baciai. Flux mi voleva e io volevo lei ma nessuno di noi era così idiota da credere che gli sgherri di Melchor si sarebbero fermati una volta ucciso il vecchio Wu. La nera ristabilì le distanze tra noi e sorrise.
-Siamo a quattro occasioni mancate…-, disse.
-Vedrai, quando potremo, ti prometto che sarà epica.-, le sorrisi. Lei sorrise a sua volta.
-Posto che sopravviviamo a tutto questo.-, sussurrò.
-Sopravviveremo.-, dissi io. La accarezzai appena.
-Blade, quello che hai detto tempo fa sul bisogno di avere un nemico… e un amico, &egrave tutto vero.-, disse lei.
Sorrisi. Sì che lo era. Lo sapevo per esperienza.
-Quella persona sei tu.-, disse Flux, io sorrisi.
-Vale lo stesso per te, cocca.-, e qui Wolverine potrebbe sentir fischiare le orecchie ma che diavolo, con la vita che faccio, usare il suo appellativo é un rischio calcolato… Oggi potrei morire…
-Ce la fai?-, chiesi. Flux annuì. Si alzò. Era bellissima.
-Andiamo.-, dissi.

I vicoli di Madripoor avevano un odore da schifo che interferiva con le mie percezioni. Flux mi aveva affidato la pistola e aveva preferito passare allo stato liquido. Saggia mossa. Di noi due, lei era quella più facilmente identificabile. E non solo perché a Madripoor non c’era praticamente nessuno di colore.
Melchor la conosceva personalmente. Io invece… ero abbastanza anonimo. D’un tratto le sentii. Urla. Femminili. Deviai. Ci sono cose che un uomo deve fare. Ci sono cose che non possono essere accettate.
Come quella che quel tipo stava facendo: mitraglietta cecoslovacca alla mano, minacciava la giovane.
Lei, sicuramente una prostituta, implorava per una pietà che non sarebbe mai arrivata.
Almeno, non se io me ne fossi rimasto a casa…
Ma, fortunatamente per lei, ero lì.
Il tizio, tutto testosterone e libidine si credeva il padrone del mondo e dimenticava la più elementare regola per chiunque facesse vite come la sua:
guardarsi sempre le spalle.
Il clack! del cane del mio revolver lo paralizzò.
La ragazza fuggì. Troppe emozioni…
-Giù la mitraglietta.-, dissi. La Skorpion cadde a terra.
Flux era ancora accanto a me in forma liquida.
-Ora… tu lavori per quel simpaticone di Melchor, giusto?-, chiesi. Lui annuì.
-E scommetto che sei anche uno di quelli che hanno attaccato il vecchio Wu.-, dissi. Risate isteriche.
-&egrave tardi per salvarlo! Il vecchio stronzo é morto…-, disse. Già lo sapevo.
-Come siete arrivati a lui?-, chiesi.
-Una troia, Li Ying, si occupava di fare la spia per il vecchio. Ora anche lei é in fondo all’oceano.-, disse lui. Annuii. Le nostre uniche risorse sul territorio erano morte. Melchor sapeva sicuramente come mantenere una lunghezza di vantaggio.
-Beh, questo é un male, per te.-, dissi. Sudore freddo.
Quel tizio aveva una fifa blu. Tutti bravi a fare i duri coi deboli ma poi… arriva il giorno in cui devi essere duro coi forti ed é la prova del nove, che molti falliscono.
-Dov’é Melchor?-, chiesi. Lui scosse il capo, disperato.
-Non lo so!-, esclamò. Sguainai un’artiglio con l’altra mano, graffiando appena il collo. Un sottilissimo filo di sangue scese lungo il collo del bastardo.
-Sicuro?-, chiesi. Lui piagnucolò qualcosa. Un sì.
-Ok. Ma avrà una base, o qualcosa di simile.-, dissi.
Lui annuì. Tremebondo.
-Dove?-. Esitazione. L’artiglio tagliò appena un po’ di più. E il tizio divenne un fiume in piena. Parlò, rapidamente e senza troppi tentennamente.
-Bravo.-, dissi. Lo colpii con la canna della pistola. K.O. A lui ci penseranno i suoi compagni oppure, se é sveglio, scapperà da quest’isola dove la vita umana vale meno di un sandwich. Flux riprese le sue sembianze. Raccolse la Skorpion.
-Mi ha detto che la base di Melchor é in una vecchia miniera del 1800.-, dissi, -Sarà tosta. E credo che non ce la faremo assaltando frontalmente.-.
-Hai un piano, vero?-, chiese Flux.
Sì. E sapevo benissimo che non le sarebbe piaciuto.
-Ehi!-, l’esclamazione e i passi mi fecero muovere per puro istinto. Flux divenne acqua. Io sparai due colpi inchiodando il tizio coi nunchaku. Quello dietro di lui impugnava un Tanto. Venire sbudellato dalla mia arma preferita non era nei piani e decisi di protestare, al piombo. Il cranio del tizio si aprì tipo melone.
Flux riapparve dietro a uno che spuntò da un vicolo impugnando una calibro 9. Applicò una presa che mise K.O. l’uomo e, impadronitasi della pistola, sparò alla donna con la mitraglietta. La cinese scivolò lungo il muro con due buchi in petto. Piombo in volo.
-Di qua!-, esclamò la nera. Mi gettai all’indietro.
Ushiro-Ukemi sull’asfalto. Una caduta all’indietro da manuale. Ma purtroppo, una botta di fortuna capita a tutti… Il proiettile 9 mm mi centrò in piena spalla destra. Dolore a ondate, sangue. Sparai con la sinistra. Ero meno abile ma riuscii comunque a ferire uno degli inseguitori. Flux sgranò una rafficata che costrinse gli altri a ripararsi. Ci dileguammo per i vicoli.
-Dannazione.-, la sentii proferire. La guardai. Ferita anche lei. Al braccio sinistro. Bella coppia, proprio…
-Non é grave come sembra…-, disse la nera.
No, sicuramente. Ma sarebbe stato meglio evitare.
-Forza!-, dissi. Improvvisamente però una luce abbagliante ci inquadrò dal cielo. Elicotteri?
-Melchor ha pure il supporto aereo?-, chiesi.
-Mi sa di no.-, disse Flux. Aveva ragione.
Un istante dopo scesero dalle funi dei soldati in tuta nera, privi di mostrine identificative se non una: la bandiera di Madripoor. Armati di tutto punto. Ci circondarono. Doppio anello: il primo cerchio ci teneva sotto tiro, il secondo controllava i dintorni.
Un ufficiale ci venne incontro.
-Flux… e questo tuo nuovo amico, chi é?-, chiese.
-Lo conosci?-, chiesi io sottovoce.
-&egrave il capitano Wuong.-, disse lei, -Ci conosciamo di fama.-. L’ufficiale fece una smorfia.
-Più correttamente, ti impedii di distruggere una delle fabbriche principali di Madripoor.-, corresse.
-Era un lavoro, come ogni altro.-, disse Flux.
-Già. E questo invece?-, chiese lui. Ostilità. Palpabile.
-Mi chiamo Blade. Io e Flux siamo in missione per conto di qualcuno molto potente negli States. Siamo qui per eliminare Melchor.-, dissi, decidendo di intervenire. Wuong mi guardò, pensoso. I suoi soldati sembravano quelli che ci avevano quasi rapiti sulla nave, con la complicità della non compianta Sofia Haptmann. Passò qualche istante.
-Gettate le armi.-, disse Wuong, -E preparatevi a essere presi in custodia.-. Scambio di sguardi tra me e Flux. Poteva essere un’occasione come un grandissimo guaio ma non l’avremmo potuto sapere se non rischiando. In più, allo stato attuale, ogni miglioramento della situazione anche se minimo era benaccetto. Gettai il revolver e Flux buttò la sua arma.
Ci facemmo ammanettare. Pensai che, bene o male, almeno non ci avevano ancora sparato.
Pensai che forse quegli uomini lavorassero per Melchor e che quella fosse tutta una messinscena ma che ci avrebbe permesso di saltare tutta una serie di vagabondaggi nei vicoli di quell’isola decadente.
Pensai che fosse un bene, tutto sommato.
Però, appena assicurati ai sedili dell’elicottero, il capitano ci iniettò qualcosa.
-Giusto per non correre rischi…-, disse. Le sue ultime parole si distorsero nel nulla che mi strappò alla consapevolezza.

Ripresi conoscenza un indeterminato tempo dopo in una cella dalle pareti in plastica. Flux pareva quasi dormire serena. Quasi. Mi alzai, lentamente.
-Figli di puttana…-, sussurrai. Se era Melchor, aveva delle prigioni a prova di fuga. Guardie a ogni angolo…
Ma qualcosa non mi quadrava. Poteva anche non essere lui. Potevano essere uomini della Tigre, o di qualche altra organizzazione.
Flux sbatté gli occhi un paio di volte, intontita.
-Quanto abbiamo dormito?-, chiese.
-Minuti, ore… Non lo so.-, dissi, -Quello che so é che da qui non si esce.-. La nera annuì. Poi chiuse gli occhi un istante e li riaprì. Lo rifece e infine imprecò.
-Dannazione!-. Nessun bisogno di spiegarsi.
Ci avevano sedati e poi ci avevano tolto i poteri. Misura temporanea ma fattibile, l’avevo già usata contro Flux, a suo tempo. Certo, non potevano togliermi gli artigli, ma senza fattore rigenerante, uno scontro era sicuramente una pessima idea. Notai però che la mia ferita alla spalla era stata medicata e così anche quella di Flux. Sicuramente non volevano che morissimo di setticemia, o almeno non volevano che morissimo subito. Il che era un bene.
-Ho una fame che non ci vedo.-, dissi.
-Silenzio!-, esclamò un soldato. Provocare non serviva, almeno non nell’immediato futuro.
Dovevamo aspettare, vedere come cambiavano le cose. Capire a chi eravamo finiti in mano.
E cercare di reagire, di sopravvivere, di cambiare le carte in tavola. Soprattutto di sopravvivere.
Improvvisamente arrivò il capitano Wuong.
L’orientale ci guardava senza la benché minima emozione in volto. Ordinò alle guardie di aprire la cella. Eseguirono e una sezione laterale del muro trasparente scese in basso. Wuong entrò.
Avevamo ancora i polsi legati. Agire in una situazione simile era pura follia.
-Allora… ho una buona e una cattiva notizia.-, disse.
-Parti dalla cattiva.-, dissi io con un ghigno.
-La cattiva é che avete ucciso alcuni uomini dell’esercito di Madripoor. La buona é che non abbiamo idea del perché quell’unità si trovasse tanto distante da dove doveva trovarsi.-, disse Wuong.
L’esercito di Madripoor… In un istante feci i collegamenti del caso. Eravamo in custodia delle truppe della Tigre… E formulai un piano.
Probabilmente anche Flux ci aveva pensato, perché sorrise all’improvviso.
-Ok. Possiamo spiegare.-, dissi.
-Lo spero per voi. Sapete, siete clandestini, senza documenti validi, avete fatto un casino del diavolo e so che avete a che fare anche con la morte di Wu Youming, vi hanno visti entrare nel suo negozio. Ce n’é abbastanza per la pena capitale.-, chiarì Wuong.
-Il mio telefono… l’avete preso voi?-, chiesi. Non attesi risposta, -Chiamate Zhara. E poi cercate di fare sì che venga messa in contatto con la Tigre. Sono dell’idea che la nostra presenza qui diverrà molto più gradita.-, dissi. Avevo sparato alto, consapevolmente.
Ma Wuong scosse il capo.
-Vedremo.-, disse.
-Wuong, la Tigre é in pericolo. Che tu ci creda o no, siamo dalla stessa parte!-, esclamò Flux.
-Oh, sicuro… Detto da te!-, Wuong si girò per uscire.
-Il vostro caso sta venendo analizzato in contumacia. Non é necessario che vi chiarisca che le probabiltà sono contro di voi. Per ora, il giudice ha appena iniziato. Ora mi direte tutto quanto e io riferirò al giudice.-, disse. Flux annuì e così anche io. Raccontammo la verità, tutta.
Wuong, dopo qualche ora, ordinò qualcosa a una guardia. L’uomo si defilò. Il capitano fece per uscire.
-Quel che avete detto é preoccupante e interessante ad un tempo. Tuttavia vi siete comunque macchiati di vari reati nei confronti dello stato sovrano di Madripoor.-, disse. Sospirai. Era così? Saremmo morti come dei criminali? Forse alla fine un po’ lo meritavo…
-Wuong, te lo ripeto, chiama Zhara, lei potrà spiegare…-, il capitano interruppe Flux prima che potesse finire. Si voltò.
-Il caso é già stato portato all’attenzione di chi di dovere. Attendete qui. Prossimamente vi verrà comunicata la sentenza.-, e detto ciò, uscì.

-Cazzo!-, imprecò Flux. Io non dissi nulla.
-Sai, di tutte le morti che pensavo di fare, questa é decisamente quella più idiota.-, dissi.
-Al diavolo, speravo che avesse più cervello.-, disse lei. Io scossi il capo. La colpa non era di Wuong.
Era solo un ingranaggio.
-Zitti, là dentro!-, esclamò un soldato.
Un soldato entrò. Ci pose davanti un vassoio con due scodelle di brodo.
-Cercate di godervelo, é il vostro ultimo pasto.-, disse.
Uscì e riprese posto con gli altri.
Trangugiai la mia e così anche Flux. Fanculo il cibo.
-Se dobbiamo morire, non é questa l’ultima gioia che voglio avere.-, dissi. Flux mi guardò. Sollevò i polsi. Una muta domanda a cui sapevo già rispondere.
Pensai di usare gli artigli. Sì, in fondo si poteva ma non così, non da lontano. Ci baciammo. Fu il bacio più goffo che avessi mai dato, forse nemmeno il mio primo bacio fu così terribilmente impacciato. Ma in tutto ciò c’era qualcosa, il desiderio di strappare alla vita un ultimo istante di gioia. La mia lingua e quella di Flux che si trovarono e persero dieci o mille volte. I nostri respiri che diventavano uno.
-Mi spiace che…-, iniziai.
-Non perderti, non abbiamo tempo. Continua.-, disse lei. Obbedii, la baciai ancora, disperatamente mentre i soldati ridevano, protestavano, facevano foto.
Fanculo anche a loro. Gli mostrai il medio, mandando letteralmente a quel paese la morte. Nel nostro baciarci cademmo a terra ma continuammo, sfiorandoci in modi che non pensavo possibili, le nostre mani avvinghiate, a cercare e torvare una libertà a me ancora ignota.
Poi qualcuno picchiò sulla parete della cella. Che importava? Continuammo, gli occhi chiusi persi in un mondo tutto nostro.
E infine, aprii gli occhi. Wuong, e altri due uomini. Entrò. Dovevano essere il plotone d’esecuzione.
Flux e io ci guardammo, la nera mi sorrise.
-Quando avete finito, gradiremmo che vi alzaste.-, disse, leggermente irritato.
-Stiamo per morire, no? Dacci almeno quest’ultima soddisfazione.-, dissi. Wuong scosse il capo.
Improvvisamente la speranza rifiorì.
-Qualcuno vuole parlarvi.-, disse.
Sulla Tigre si é detto di tutto e di più. Chi sa qualcosa su come sia salita al potere non ne parla e chi ne parla non sa. In verità, sulle origini e sull’ascesa della padrona di Madripoor si sa veramente molto poco.
Così abbondano le congetture.
La Tigre é una gangstar delle Triadi. La Tigre é una telepate mutante, o una strega di qualche genere.
La Tigre é leggenda. Letteralmente e totalmente.
La Tigre é un animale pericoloso e bellissimo, ma questo é risaputo. Quel che la gente non sa sulla Tigre é come sia spuntata dal nulla e sia giunta a dominare l’intera isola di Madripoor. Ed é questo, prima di ogni altra cosa, a inquietare i più.

Nel mio caso, io posso dirmi un po’ meglio informato.
Ho saputo da una fonte affidabile che la Tigre ha ucciso un tale Roche, un tizio che prima di lei spadroneggiava su tutta Madripoor. Credo che abbia avuto qualche aiuto da qualcuno che conosco abbastanza bene.
Esattamente: sto proprio parlando del canadese basso e artigliato… Volete mettere? Potrei tranquillamente giocarmi il mio braccio destro (se non fosse per l’assoluta iniquità della posta, dato che ricrescerebbe).
Detto ciò, non ne so molto più degli altri. Le origini della Tigre sono un mistero ben celato.

Mentre il Capitano e i suoi ci scortavano verso la sommità di quel grattacielo che trasudava lusso da ogni singolo centimetro quadrato, non potei fare a meno di ripensare a tutte le dicerie che avevo avuto modo di cogliere. La Tigre era essenzialmente una gangstar non differente dal non compianto Roche.
Poi ovviamente potevo sbagliarmi. Magari, oltre l’apparenza spietata, la Tigre celava un animo nobile…
Forse. E forse i maiali volavano.
Arrivammo alla sommità del grattacelo. Le porte dell’ascensore si aprirono. Guardie armate di tutto punto, statue che dovevano costare più di tutto il palazzo in cui vivevo, un tappeto rosso di seta orientale…
Quel posto trasudava lusso. Non mi pareva possibile che fosse l’ufficio di un gruppo di ministri. No. Era qualcos’altro. Doveva esserlo e immaginavo anche cosa.
Era l’antro della Tigre. La sua tana. Il suo trono.
-Qui una parola sbagliata basta e avanza a perdere la testa.-, sussurra a Flux. Eravamo stati condotti sin lì dalle prigioni nel silenzio più totale.
Uno dei soldati mi guardò e sorrise.
-Per voi, penso che anche mezza sarà più che sufficiente.-, disse. Non capivo cos’avessero da farsi tanto fighi: anche loro correvano quel rischio. Forse c’erano abituati e non ci facevano più caso.
Ci fermammo davanti a delle porte in legno. Furono aperte dall’interno. Due soldati ci spinsero dentro.
-In ginocchio!-, esclamò uno dei due.
“Nei tuoi sogni”, pensai io. Ma acconsentii, e così fece Flux. Non eravamo giunti sin lì per tornare in cella in attesa di morire.
-Alzatevi.-, la voce apparteneva a una donna. Una dai tratti indefinibili, occhi neri e capelli altrettanto scuri.
Vestiva un abito che sicuramente costava più del mio affitto annuale ed esprimeva una totale e assoluta sicurezza di sé, oltre ad essere assolutamente impassibile. Io e la mia compagna perdemmo un istante.
La Tigre! Ero al cospetto di una dannatissima leggenda.
-Quando vi hanno catturato credevo foste solo una seccatura ma ora, la vostra mandante mi ha informata della situazione. Melchor é un leone travestito da agnello.
Ho sempre creduto sarebbe stato più saggio di così. Tentare di prendere il mio trono implica un enorme coraggio oltre che una grande capacità di pianificazione.-. Io e Flux tacevamo.
Stavamo pensando la stessa identica cosa, domandandoci se fosse possibile essere tanto fortunati.
-Melchor possiede entrambe? Forse. Oppure é semplicemente folle. Comunque, Zhara al-Jilani mi ha detto del suo piano e credo sia molto meglio colpire per primi. Quello che sta progettando é pura follia e che funzioni o meno vedrà Madripoor sprofondare in un abisso di pazzia e morte. Non intendo permetterlo.-, continuò la Tigre, -E per impedirlo, avrò bisogno assoluto di voi.-.

Quella era un ottima notizia. Era ora di estrarre gli assi nella manica. Annuimmo quasi in contemporanea.
-Sappiamo dove si trova il covo di Melchor.-, disse Flux.
-Tu sei Flux, vero?-, chiese la Tigre tagliando la nera con lo sguardo. La giovane annuì.
-Uhm, diciamo che considererò la tua collaborazione come una pena sufficiente per riparare ai danni causati.-, decretò la donna, evidentemente memore delle azioni di Flux precedenti alla nostra visita a Madripoor.
-Ti ringrazio.-, disse la nera con un leggero inchino.
-Già… Aspetta a farlo. Vi aspetta un viaggio all’inferno, temo.-, disse la Tigre.
-E nel passato.-, dissi, -La base di Melchor é in una vecchia miniera del 1800, la Golden Cave.-.
-Melchor é un idiota.-, disse la padrona di Madripoor mentre attivava un proiettore. Sulla parete si materializzò la mappa fisica di Madripoor. La zona della miniera era poco distante dalla costa. Un posto fuori mano ma comunque noto. Non così idiota, considerando che nessuno avrebbe mai sospettato di quel posto.
-La miniera é un cenote con vari piani in cui si estraeva l’oro.-, spiegò la donna mentre mostrava uno spaccato della miniera. Un profondo pozzo principale faceva seguito a diverse diramazioni. Tunnel che seguivano (o avrebbero dovuto seguire) vari filoni d’oro.
-La miniera fu abbandonata agli inizi del ‘900. Esaurita. Da allora é stata dimenticata. Come sito turistico é pericolante e quindi… é il posto ideale per Melchor e la sua banda.-, concluse la Tigre.
-Che é composta solo da brutti ceffi locali?-, chiesi. La donna scosse il capo. “Ecco”, pensai, “altre brutte notizie.”.

-Melchor sta trafficando con la magia nera. Questo lo so bene. Quel che mi chiedo é come sia possibile essere tanto idiota da credere di poter fondere mutanti con demoni di altri universi e ottenerne l’obbedienza.-, disse la Tigre, -Per ora la sua… manovalanza, si limita ai mortali armati di pistole e abbastanza abili nelle risse da strada. Pietosi. Ma potrebbe non essere così in eterno.-.
L’accenno di preoccupazione che sentii nel tono della donna mi fece capire che qualcosa stava cambiando o forse, molto peggio, era già cambiato.
-Il fatto che abbia corrotto alcuni dei miei uomini é un affronto che non intendo tollerare, ma anche la miglior dimostrazione che probabilmente non potrò fare affidamento su di loro. Ed &egrave qui che entrate in scena voi.-. Io annuii, già consapevole di come sarebbe finita quella conversazione. D’altronde mi andava più che bene, non ne volevo sapere di una vita ordinaria. La routine mi pesava, era anche per quello che vivevo quella vita.

-Zhara vi ha definiti degli ottimi elementi. Non sarete soli, ma la prima parte del lavoro spetta a voi.-, disse la Tigre.
-Che sarebbe?-, chiese Flux. La donna sorrise.
-Sarebbe entrare nella tana del demonio e lanciare un guanto di sfida.-, disse.
-Da soli? Ci sopravvaluti, Tigre.-, dissi io.
-Non sarete soli. La vostra comparsa sarà l’inizio di una diversione che permetterà ai miei migliori uomini di entrare in azione dal bordo del cenote.-, disse lei.
-E noi come entreremo?-, chiese Flux.
-Uno dei tunnel é poco sotto la superfice. Entrerete da lì.
Fate casino. Ho saputo che ci sapete fare, da quel lato.-, ribatté la Tigre. Io sorrisi. Era vero, senza falsa modestia lo potevo ammettere.
-L’obiettivo é eliminare Melchor e recuperare questi due oggetti: tre fiale di siero mutageno non meglio identificato e un libro di evocazioni demoniache.-, disse la Tigre.
Io annuii. Nemici e incidenti a parte pareva tutto fattibilissimo, almeno sulla carta.
-Quando iniziamo?-, chiesi.
La Tigre mi sorrise. Nei suoi occhi vidi la ferocia che le aveva fatto guadagnare quel soprannome.
-Ora.-, disse. Subito dopo il colloquio fummo scortati all’armeria. Ci furono tolte le manette. Finalmente eravamo considerati alleati e non nemici. L’armeria era… enorme.
Armi di ogni tipo. Dai semplici coltelli e kunai da lanciare alle mitragliatrici leggere con ottica a infrarossi e proiettili esplosivi o al tungsteno.
Non si poteva certo dire che la Tigre lesinasse sulle spese per la difesa…
-Servitevi. Ma fate in fretta, il capo vuole che questa faccena finisca quanto prima.-, disse il Capitano Wuong.
Il tono non era tra i più amichevoli ma sicuramente pareva meglio disposto di prima nei nostri confronti.
Valutai alcune armi, scegliendo infine una mitraglietta.
MPM, un’arma che il mercato civile e quello militare ancora non potevano dire propria, telaio simile alla Uzi, leggerissima, costituita in larga parte da polimeri. Selettore di fuoco a tre modalità di tiro (singolo, raffica da due e automatico), precisione di tiro al centesimo di millimetro. Lo state of art delle mitragliette, il non plus ultra delle armi leggere. Venti colpi di caricatore. Venti proiettili subsonici ad elevato potere di penetrazione.
Rinculo quasi interamente assente. Una bestia.
Mi riempii le tasche di caricatori. Presi poi un Tanto, dite quel che volete ma é un arma che sento molto mia, ancora adesso. Granate stordenti di ultima generazione, almeno tre e qualche pane di C4, principalmente per garantirci l’accesso a più o meno ogni area.
Flux fu molto più sintetica nellla scelta. Prese due pistole M93F, armi di ultima generazione, capaci di sparare 15 colpi in due modalità. Precisissime. L’ideale se volevi coadiuvare la certezza di centrare il bersaglio col minimo ingombro. Prese anche un paio di coltelli da lancio e due granate a frammentazione.
Ci munimmo anche di giubbotti antiproiettili. Una sicurezza extra, nulla di più. Con il nostro fattore rigenerante potevamo comodamente andare senza ma nel tempo che ci avremmo messo a riprenderci da un polmone perforato o cose simili, i nemici ci avrebbero potuti comodamente fare secchi.
Radio. Due. Per poter comunicare con la Tigre e i suoi.
Annuii, avevamo fatto. Wuong sorrise.
-C’é un elicottero che ci aspetta.-, disse.

Viaggi come quelli volano, specialmente quando stai andando verso la morte, tua o di altri.
Era una cosa che avevo capito tempo fa.
Guardai gli occupanti dell’elicottero. Flux mi guardò di rimando, trasmettendomi determinazione. Certezza.
Ce la saremmo cavata. Ancora una volta.
Wuong pareva una statua. Calmo e assolutamente indifferente. D’altronde non sarebbe stato lui a dover entrare nella tana del diavolo.
L’elicottero si posò con delicatezza su una collinetta.
-Ok.-, spiegò il Capitano, -I nostri hanno già creato un tunnel il cui fondo é a pochi metri dal soffito del tunnel della miniera. Quello é il vostro punto d’entrata.-.
-Immagino abbiate scavato senza produrre il minimo rumore.-, disse Flux. Si mise dei guanti. Calarsi dalle corde messe a disposizione da Wuong e i suoi sarebbe stata l’ultima parte facile.
-Immagini bene. Non hanno la minima idea di cosa li aspetta. Lo strato di roccia che vi separa é sottilissimo. I britannici hanno fatto del loro meglio per poter spremere le ricchezze di Madripoor sino all’osso. E così facendo vi hanno facilitato l’entrata. Basterà del C4.-, disse il Capitano. Annuimmo. Non c’era altro da dire. Ci preparammo alla calata. Il tunnel scendeva nelle viscere della terra. Calammo e piazzammo il C4.
-E ora…-, dissi io. Flux sorrise.
-Fuoco e fiamme.-, sussurrò. Premette il detonatore. L’esplosione ci avrebbe assordati se non avessimo avuto i paraorecchi. Si levò una nube di pulviscolo, proprio mentre noi entravamo. Probabilmente qualcuno dei nemici sospettò qualcosa. O tentò di reagire.
Nel dubbio, noi sparammo ad altezza uomo. Urla in risposta. Disperate, agonizzanti, rabbiose.
-Insistiamo!-, esclamai. Lanciai una flashbang nell’ingresso di una stanza. Flux buttò una granata letale.
L’esplosione fu tale che la sala parve crollare. Chiunque ci fosse stato dentro, ora non era più un problema.
-Arrivano!-, il grido della nera mi fece capire che, dopo la sorpresa, gli sgherri di Melchor si erano decisi a darci dentro. Sparai mentre mi riparavo dietro a un blocco di pietra, unitamente alla mia compagna che prese copertura dietro a un cumulo di macerie di pietrisco.
Una donna tatuata con un braccio che finiva in una lama ricurva fu scagliata indietro dagli impatti. Flux sparò a sua volta. Due uomini crollarono col petto perforato.
-Dobbiamo muoverci!-, esclamai io. Buttai una stordente. L’impatto sonoro rimbambì quei bastardi quanto bastava. Un uomo con la bocca piena di tentacoli si alzò, barcollando. Due proiettili alla testa lo abbatterono. Un secondo, stavolta ancora perfettamente umano sparò.
Tuoni da monsone. Stava sparando con qualche tipo di arma a pompa. Sparammo in risposta e cadde all’indietro. Scattammo in avanti. E fummo assaliti.

Non erano creature di questo mondo, ma questo era perfettamente comprensibile dalla loro fisionomia.
Veniva da pensare che il Dr. Strange si fosse fatto sfuggire qualcosa. Perché gli esseri che ci attaccarono forse un tempo erano stati umani ma ora di umano avevano ben poco: occhi molteplici o totalmente assenti. Braccia tentacolari o arti di pietra e fuoco. Mutazioni imprevedibili. I risultati del caro Melchor nella sua personalissima interpretazione di dio…
Il braccio di uno di quei tizi mi fuse l’MPM. Estrassi il Tanto. Calore, tremendo. Bloccai il braccio di fuoco con la destra, ustionandomi fino quasi all’osso il tempo necessario per pugnalarlo prima al petto, poi alla gola.
Flux evitò di misura di essere ghermita da un tentacolo, solo per venire spinta a terra poco dopo. Rotolando sul terreno, sparò point-black a distanza ravvicinata. La testa del suo nemico si disintegrò. Una tizia con una chiostra di denti da squalo e due martelli in mano ci venne incontro.
Rideva, completamente impazzita.
“Follia, morte e caos puro. Ecco i risultati del tuo progetto, Melchor.”. Sparai con un’arma presa da terra. Raffica incontrollata. La donna incassò al petto ma continuò ad avanzare. Cadde a terra dopo che Flux ebbe svuotato tutti i caricatori su di lei. La nera raccolse un’arma, controllando che fosse carica.
-Dobbiamo sbrigarci!-, esclamò, -Sicuramente i rinforzi stanno arriv…-.
BANG! Esplosione assordante. Il proiettile centrò Flux al torace. La giovane volò all’indietro.
L’uomo che l’aveva abbattuta era un tizio in smoking nero, sul quale indossava un paramento evidentemente esoterico. In una mano aveva un libro, il Libro. Nell’altra invece brandiva una Desert Eagle. Arma da gangstar malriusciti, da feticisti dei grossi calibri.
Io sparai. Mancato. Clack! L’arma s’inceppò. Dannazione! Imprecai sommossamente mentre cercavo di sbloccarla.
E poi li vidi. Arrivarono da dietro. Da oltre il crollo.
Idioti in maglietta o canotta, armi piccole e mal utilizzate. La bassa manovalanza di Melchor. Gli sgherri.
-Fermo!-, esclamò uno di loro. Puntava una pistola alla testa di Flux, che sebbene avesse un cratere in petto e non fosse decisamente nella sua forma migliore, era ancora viva.
Ma lo sarebbe rimasta solo se avessi obbedito.
-Giù le armi.-, ordinò Melchor. Obbedii a malincuore.
-Prendetelo.-, ordinò ancora il signore di quel luogo.
Mi bloccarono le braccia dietro la schiena. Legacci da dilettanti. Flux non si reggeva in piedi. Il torace della giovane era stato quasi interamente aperto. Per chiunque altro non ci sarebbe stato nulla da fare. Ma lei non era chiunque: lei era come me. Una mutante. Una sopravvisusta. Per questo sapevo che se la sarebbe cavata. Dovevo solo guadagnare tempo. Solo un po’.
-Immagino tu sia Melchor…-, dissi. Lui annuì, compiaciuto. Sorrisi, sprezzante.
-Ti facevo più alto.-, dissi, Il pugno allo stomaco assestatomi mi fece piegare in due. “Resisti!”, m’imposi.
-Porta rispetto. Sei al cospetto del padrone di un nuovo mondo.-, sibilò Melchor. Alzai lo sguardo per poterlo fissare negli occhi biechi e malvagi con cui mi squadrava.
-Io vedo solo un pazzo che gioca a fare finta di esser dio.-, ribattei, -E i suoi risultati sono solo follia e morte.-.
Melchor mi sorrise, in modo inquietante.
-Flux…-, sussurrò, guardandola. Gli occhi della nera lo fissarono con odio purissimo, -Non saresti dovuta tornare.-. Melchor si avvicinò alla giovane. Le prese il viso tra le mani, sorridendole oscenamente.
-Speravo che tu, più di chiunque altro, avresti capito la grandezza della mia opera. Quest’umanità non ci vuole. Siamo odiati. Tu per ciò che sei, io per ciò che so. Ci odiano e disprezzano. E non aspettano che la nostra fine. Quel che io sto facendo qui é solo prevenzione. &egrave guerra ed é o noi o loro. E voi lo sapete.-, disse.
Flux continuò a fissarlo, con odio. Inspirò, un suono tremulo. Rabbrividii pensando alla sua sofferenza. E all’orrore dei piani di Melchor.
-L’intera umanità diverrà come noi! Non ci sarà più il normale. Non esisterà più l’homo sapiens o il superior. Solo il Caos, da cui tutto potrà rinascere!-, esclamò il pazzo, -E io ne sarò padrone e signore!-.
-Sei pazzo. Stai giocando con forze che non si possono dominare. Credi che tentare di rubare al Dr. Strange non mi abbia insegnato nulla?!-, chiesi.
Eh, ammetto di averci provato ma ho fatto solo due passi e il Dott mi ha molto gentilmente respinto, invitandomi a evitare di addentrarmi nell’insondabile QG dello Stregone Supremo. Tutto sommato, ha avuto pietà.
-Un opinione miope. Io sono l’araldo del futuro. E tu sei solo un pavido idiota.-, disse Melchor.
Alzò la Desert Eagle al livello della mia testa. Stavo guardando la mia morte. Lanciai un’occhiata a Flux.
Forse alla fine non ce l’avremmo fatta.
-Me..Me..Melchor…-, le labbra della nera si mossero lentamente, esalando le parole con una straziante e lenta espirazione frammentata mentre alveoli e carne si riprendevano. Il pazzoide si concentrò su di lei.
-Tu…-, iniziò Flux. Analizzai la situazione. Non c’erano vie di fuga. Solo un modo per cavarcela. Ed era soffrire. Più di quanto non stessimo già facendo. Guadagnare tempo.
-Sì, mia cara?-, chiese Melchor. La pistola ora ondeggiava tra me e Flux, come se il proprietario fosse indeciso su chi sparare per primo.
-Tu… sei…-, Flux sussultò, -Un pazzo!-, esclamò.
Melchor rimase fermo. Per un lungo istante.
-Oh, sicuro.-, disse infine. Affondò l’indice nel petto devastato della nera.
-Sai, da qui posso sentire il tuo cuore. Fa una fatica boia a battere, vero?-, chiese.
-LASCIALA!-, esclamai io. Ero furioso. Pensai che se avessi sguainato gli artigli al momento giusto…
-Oh, pensi che la ucciderò? No, sarebbe un’immane spreco ucciderla… con un colpo di pistola.-, il sorriso folle di Melchor tornò, -La ucciderò un modo molto più… soddisfacente. E tu guarderai, tutto quanto.-.
-Ti ucciderò, bastardo!-, ringhiai divincolandomi.
Niente. I bastardi dietro di me erano forti. E io non ero Wolverine. Non avevo una forza eccezionale o ossa in adamantio, solo la consapevolezza di quello che stavo per perdere e di quanto poco potessi fare per impedirlo.
-Come dicevo…-, e improvvisamente giunse l’esplosione. Le forze della Tigre, i mercenari di Mardipoor entrarono in azione. Neanche troppo tardi, dovevo dire.
L’espressione di Melchor passò dal compiaciuto al sorpreso, per poi tornare sul compiaciuto.
-Beh, ora capisco. Attaccare in due e da soli sarebbe stato stupido. La Tigre é stata saggia a colpire su due fronti. Peccato che io disponga di altri alleati. E ora finalmente potrò vedere come se la cavano i figli dell’uomo contro gli abitanti dei regni oltre il velo tra i mondi!-. Ancora la follia nello sguardo.
-Servirà un sacrificio…-, sibilò Melchor.
Lo sguardo del bastardo era fisso su Flux. Capii.
-Te lo sogni!-, ringhiai. Trapassai con gli artigli i due che mi tenevano. Colpi letali al petto. Non rimasi a guardare. Mentre cadevano calciai l’arma del tizio che si era portato davanti a me. I proiettile che avrebbero dovuto colpirmi colpirono il soffitto. Io invece gli aprii la gola.
Mentre gorgogliava, gli strappai la mitraglietta dalle mani.
-Molto scenografico, molto bello, mister Blade.-, disse Melchor. Sparai. I proiettili della Uzi attraversarono lo spazio tra me e Melchor, per svanire nel nulla.
-Oh, forse avrei dovuto dirti che nessun uomo può più uccidermi. Credevi davvero che non avessi pensato seriamente a qualcosa di simile?-, chiese. Sparò.
BLAM! Il mio braccio destro si staccò quasi dal suo alveo. Sangue a fiumi. Lottai per restare in piedi. Riuscii ma mi sentivo sull’orlo dello svenimento.
-Ora… Il portale…-, disse Melchor, -Spero tu non ne abbia a male, Flux.-. La nera lo guardò con odio. Assoluto e totale. La sua voce pareva uscire dall’oltretomba quando parlò.
-Vaffanculo!-. Melchor sorrise.
E piantò un coltello di qualche centimetro nel petto di Flux. La giovane smise improvvisamente di respirare.
Sputacchiò qualcosa. Spuma rossastra.
E disse una parola. Una sola, che mi sarebbe rimasta in testa a vita.
-Blade!-.

Il dolore svanì. La paura svanì. Tutto quanto svanì.
Ma la rabbia no. Ce n’era per un eone.
L’urlo che mi uscì dalla bocca non aveva più nulla di umano. Era il grido di una bestia, di un uomo che aveva ceduto al suo lato più oscuro e che ora voleva la vendetta.
Da sopra il corpo di Flux, abbandonato a terra si aprì uno squarcio. Una vera e propria breccia nel tessuto della realtà. Da cui si sarebbe riversata la progenie del male.
-Melchor! &egrave finita!-, urlò il capitano Wuong. Lui e due dei suoi entrarono nel tunnel. Melchor sorrise. E sparò. Wuong e i suoi uomini furono colti in pieno. Un proiettile ciascuno. Non sapevo dove fossero gli altri rinforzi ma supponevo non ci fossero.
Dovevo essere io… a farla finita.
-MUORI!-, gridai. Trapassai con gli artigli del braccio sinistro uno dei teppisti. Il secondo mi sparò. Impatti allo stomaco. Non li sentii neppure. La furia che provavo spingeva il mio fattore ringenerante al suo massimo.
Avrei potuto attraversare l’inferno e non bruciarmi… O quantomeno non sentirlo.
Tirai un calcio a Melchor e rimbalzai contro il suo scudo.
No. Non esisteva, non l’avrei permesso.
Quel bastardo aveva ucciso Flux. Non esisteva che l’avrebbe fatta franca. In nessun universo!
-Figlio di puttana!-, ringhiai colpendo inutilmente l’uomo che sorrideva. Dal vortice empirico iniziavano a giungere creature. Non sapevo che fine avesse fatto l’esercito della Tigre ma sapevo che dovevo chiudere il varco.
Ma non avevo idea di come fare.
No, non avrei accettato la sconfitta. Sarei morto, piùttosto che soccombere così. Melchor mi sorrise. Puntò la pistola. E fu centrato da un proiettile che gli disintegrò la mano. Urlò.
Io mi voltai. E me la trovai davanti. Armatura da battaglia ipertecnologica, pistola puntata su Melchor, la Tigre avanzava per difendere il suo dominio.
-Bel colpo, Tigre! Un peccato che sia tardi!-, urlò Melchor.
Dal portale interdimensionale uscirono esseri spettrali amorfi e terribili. La Tigre parve esserne impaurita. Per un istante. Io stesso non ero proprio immune alla paura.
Ma mi feci forza.
-Se pensi che basterà dell’ectoplasma a uccidermi, ti sbagli.-, disse la padrona di Madripoor.
-&egrave solo una diversione.-, disse Melchor. alzò il braccio mutilato e prese a salmodiare qualcosa.
-Dietro di me!-, esclamai. La Tigre era una donna. Un uomo non poteva uccidere Melchor ma lei sì.
E perché Flux venisse vendicata, la Tigre doveva vivere.
E se io dovevo morire per proteggerla, andava bene. Mi preparai all’impatto, pensando a un posto lieto. Un aldilà felice in cui Flux mi aspettava.
Il fulmine si schiantò su una barriera mentre un’ombra entrò sulla scena.
-Melchor… pensavo avessi capito.-, disse una voce nota.
-Ce ne hai messo di tempo.-, disse la Tigre.
Il Dr. Strange sorrise.
-Stavo impedendo ai Fleuanacii di invaderci e…-, iniziò.
-Morirai qui!-, urlò Melchor. Altro lampo che lo Stregone Supremo vanificò con pochissimo sforzo. Poi toccò a lui. I pentacoli magici presero forma nell’etere e il varco dietro Melchor si chiuse. Il pazzo capì che la sua ora era giunta. Fece per lanciare un altro incantesimo ma era tardi: la Tigre aveva già mirato e sparò un istante dopo.
Melchor cadde all’indietro. Con un buco in petto.
-Bene. Questa é fatta. Certo che sarebbe stato bello se fossi arrivato un po’ prima.-, disse la sovrana di Madripoor. Strange sorrise.
-Meglio tardi che mai, e comunque il mio tempismo é perfetto, mi pare.-, disse.
Non per me. MI inginocchiai accanto a Flux.
-&egrave morta…-, sussurrai.
-No. La sua anima c’é ancora. Si può ancora riportare indietro.-, disse Strange.
-Lei può farlo, non é vero?-, chiesi.
-Sì. Ma lei lo merita?-, chiese lui. Probabilmente no.
Ma d’altronde nessuno aveva mai ciò che meritava.
-Io non lo so. Non credo neppure che m’importi.-, ammisi, -Ma vorrei che avesse una possibilità… per essere migliore.-. Fissai Strange negli occhi.
-Tu sei Blade, giusto? Quello che cercava di derubarmi.-, non negai. Inutile farlo. Strange sospirò.
-Secondo l’occhio di Agamotto, tu non sei malvagio…-, disse. Si avvicinò a Flux ed estrasse il pugnale dal suo cuore. Non accadde nulla.
-La convocazione deve aver portato la sua anima su un piano intermedio. Servirebbe un sacrificio opposto per poterla riavere.-, disse Strange.
-Prendi me… Prendimi tutto ciò che vuoi.-, dissi.
-Sei consapevole che questo significherà in ogni caso perdere qualcosa, vero?-, chiese lui. Annuii.
-Darei la mia vita… se servisse a riportarla qui.-.
Strange annuì. Tese una mano su di me, in corrispondenza del petto e l’altra su Flux.
E prese a salmodiare qualcosa. Una cantilena che non capivo. Poi lo sentii. Qualcosa mi fu strappato. Qualcosa che non sarebbe tornato. Rantolai in preda a un nuovo tipo di dolore. Qualcosa che non avevo mai provato.
Passò un lungo istante. Poi Flux espirò. E tossì.
La carne sul suo petto e le sue vesti si rigenerarono.
Io invece sentii un dolore al petto. Mi strinsi il petto, accorgendomi che le fitte partivano dal costato. Tolsi l’antiproiettile e guardai.
Una parte dei miei muscoli pettorali era svanita, divorata dal nulla, sacrificata. E non solo…
Mi sentivo oscenamente debole. Come se avessi corso una maratona con due blocchi di cemento sulla schiena e il tutto dopo aver soddisfatto cento donne in una notte.
Mi venne un capogiro.
-La stanchezza sparirà in un giorno. Forse due. Ma il costato non potrà tornare quello che era. Il danno é permanente e lascerà la sua traccia su di te…e su di lei.-, disse Strange. Prese il libro che Melchor aveva lasciato cadere e sparì teletrasportandosi un minuto dopo.
Altri soldati arrivarono. La Tigre diede alcuni ordini… ordini che non sentii. Caddi in un abisso oscuro e senza tempo alcuno.

Ripresi conoscenza lentamente, riemergendo dal nulla.
-Dove…-, avevo la bocca impastata, -Dove sono?-.
-A Madripoor.-, disse una voce. Un’infermiera. Tratti del viso cinesi, capelli scuri corti. Bassa. Mi porse un bicchiere con la cannuccia. Bevvi e ne chiesi un altro.
-La mia compagna?-, chiesi.
-Qui.-, disse Flux. Mi guardò. La guardai. Non era cambiata. Almeno non visibilmente.
-Ciao…-, sussurrai.
-Ciao a te.-, disse lei. Sorrise, -E grazie.-.
-Te l’ho detto…-, sussurrai io.
-Già.-, disse la nera, -Abbiamo bisogno di qualcuno…-.
-Già.-, sussurrai io. Bevvi il secondo bicchiedere.
Controllai la spalla. Apposto. Tutto, salvo il buco nel petto. Ma non si può avere tutto.
-La Tigre ha pagato tutte le spese per la degenza ospedaliera. Dice che…-, voci da fuori. L’infermiera si voltò. Uscì. Conciliabolo in qualche lingua asiatica. Cinese forse. Non importava. Flux mi si avvicinò.
-Mi hai fatto preoccupare.-, disse. Io sorrisi. Lei non aveva idea. Non ne aveva.
-Non ricordi?-, chiesi.
-Ricordo un pugnale in petto. Poi il buio. La Tigre che mi ha detto che stavi male, quando mi sono ripresa. Non capivo.-, si fece seria e preoccupata, -Blade… Cosa é successo?-, chiese.
Sospirai. Ecco il problema delle cose belle. Prima o poi finiscono e iniziano i guai. Incominciai a spiegare tutto.
Flux annuì. Sorrise.
-Appena ti sarai ripreso ti ricompenserò come meriti. Ma non credere che sarà una ricompensa rilassante solo per te. Me ne devi una, ricordi?-, sorrisi.
-Già. Te ne devo più di una. Da un po’.-.
Incominciammo a ridere. Poi le tende si aprirono.
La Tigre entrò, insieme a due guardie.
-Devo ringraziarvi. Avete fatto un ottimo lavoro.-, disse.
-Melchor é morto e la sua organizzazione é allo sbando. &egrave finita. Il siero mutageno é in mano mia e il Dr. Strange si é preso il libro demonico. Tutto é bene quel che finisce bene.-, disse.
-Già. Salvo per i morti.-, dissi io.
-I miei uomini conoscevano i rischi. Il Capitano Wuong sapeva cosa sarebbe potuto accadere-, ribatté la Tigre.
-Wuong é morto?-, chiese Flux. Annuii. La nera sospirò.
-Alla fine era un brav’uomo.-, disse.
-Era un uomo in gamba. Sostituirlo non sarà facile e suppongo che né tu né Blade siate interessati.-.
L’offerta era allettante ma non faceva per me. Un incarico come quello implicava giorni sempre ugauli, e io vivo per ben altro. Flux scosse il capo.
-Non mi sentirei a mio agio.-, ammise.
-Capisco.-, disse la Tigre, -Comunque vi sono debitrice. Avete fatto un buon lavoro e mi avete permesso di mettere le mani su tutta la rete di traffici di Melchor. I suoi collaboratori sono stati molto accondiscendenti. La vostra mandante, Zhara al-Jilani avrà una fetta dei proventi. E se avrò bisogno di qualcuno negli U.S.A. mi rivolgerò certamente a lei.-. Io annuii. Zhara non avrebbe certamente avuto da ridire, anzi.
-Per quanto riguarda voi, siete da considerare come ospiti di riguardo a Mardipoor finché resterà sotto il mio controllo. Attaccarvi sarà come attaccare me stessa. Inoltre, mi sono presa la libertà di frugare nei vostri portafogli. Ho lasciato un bonifico da 30’000 dollari sui vostri conti.-, continuò la Tigre.
30’000 dollari…
Una bella cifra. Abbastanza da poter pensare a una vacanza in grande stile. Forse, una vacanza per due…
-Wuong aveva famiglia?-, chiesi. La Tigre annuì.
-Una moglie, per quanto ex, e due figli. Non lo immaginereste mai come il tipico padre di famiglia… Eppure ci provava davvero.-, l’espressione della donna cambiò. S’impietosì.
-Ti sarei grato se versassi parte del mio bonifico su un conto per i figli.-, dissi. La Tigre annuì.
-Circa la metà dovrebbe andare.-, dissi.
-Sicuro che tutto quel dormire non ti abbia rimbambito?-, chiese Flux. Scossi il capo. Era la cosa più giusta.
-Ok.-, disse la Tigre. Nessun disappunto e nessuna sorpresa sul suo volto. Evidentemente aveva imparato a conoscermi. Passò un istante di silenzio.
-Ce la fai a camminare?-, chiese Flux. Io me lo chiesi.
Ero rimasto a letto per giorni. Ci provai. Posai un piede a terra. Poi l’altro. Mi alzai. Barcollai appena, con la nera che mi tenne in extremis. Mossi un passo. Poi un altro. Il sangue riprese ad affluire correttamente alle gambe.
-Beh, direi di sì.-, sorrisi. Abbracciai Flux, godendomi il momento. Il suo calore, il suo profumo… Era viva.
-Bene. Perché il problema é che le autorità degli States vogliono qualche risposta su di un cargo dirottato al largo delle coste di Madripoor. La cosa potrebbe portare a una crisi e se si sapesse che c’entrano due cittadini U.S.A…-, la Tigre lasciò che il discorso deragliasse. Ma io annuii.
Avevo capito: avevamo fatto il nostro dovere e ora dovevamo levarci di torno.
-Il mio Jet personale farà scalo a Singapore e da lì ripartirete verso gli States con documenti forniti dalla vostra amica, Zhara.-, decretò la padrona di Madripoor.
Ok, poteva andare. Annuii.
Il Jet della Tigre era supersonico. Arrivammo a Singapore in pochissimo tempo (basti pensare che sull’aereo ci limitammo a baciarci). Poi ripartimmo per gli States.

Il Sailor Pub era sempre il solito, con pochi avventori e il barista sempre presente. Zhara ci aveva annunciato che sarebbe arrivata dopo. Nei meandri dietro e sotto il pub ci aveva riservato una stanza.
Letto king-size, doccia, una vasta scelta di bibite alcoliche e non, persino un interfono per ordinare del cibo. Si potevano dire tante cose di Zhara al-Jilani, ma non che non sapesse essere ospitale.
-Bisogna dire che Zhara sa come trattare un ospite.-, osservò Flux. Annuii. I miei pensieri erano un maelstorm in cui si mischiavano il desiderio per Flux, il dubbio su cosa sarebbe cambiato in lei, la paura per ciò che avrei visto e la felicità di riaverla al mio fianco, anche solo per quell’istante. Sospirai. Forse era ora di spiegarle.
-Ascolta… Quando Strange ti ha riportata indietro, ha detto che sarebbe rimasto un segno. Uno su di me é la mancanza di alcuni muscoli al costato. Però, non so cosa possa essere accaduto a te.-, dissi.
-Io non ho notato nulla.-, ribatté Flux. Annuii.
Poteva essere un ottimo segno. O l’esatto opposto.
Perché se il corpo non era cambiato magari era la mente, o l’anima, ad esserlo. Non volevo pensarci.
Ma era difficile se non impossibile non considerare quella possibilità, e come avrei potuto?!
-Flux… tu… ti senti bene, giusto?-, chiesi. Lei si sedette, accanto a me. Mi baciò. La lingua della nera mi dardeggiò in bocca. I nostri corpi si avvinghiarono.
Durò un istante ma sarebbe potuto durare per sempre.
-Questo ti basta, come risposta?-, chiese.
No. Naturalmente no. Come diavolo poteva quella donna essere così calma davanti a una simile incognita?
-Sì.-, mentii. Sì mi bastava ma non mi bastava.
Non ero sicuro, e forse non lo sarei stato mai ma se non altro, almeno una parte della Flux che avevo consosciuto c’era ancora. C’era e ci sarebbe sempre stata.
E questo era sufficiente. O così amavo pensare.
Flux se ne sarebbe andata prima o dopo. Prima era più probabile. Com’era sua abitudine non si sarebbe legata.
E anche io preferivo evitare che accadesse.
Le nostre non erano vite semplici, rischi spirituali a parte tutti quanti noi eravamo esseri solitari. La compagnia era gradita ma non necessaria e soprattuto mai per sempre.
I nostri erano giorni diversi, differenti da quelli dei più.
-Abbiamo ancora una cosa in sospeso…-, sussurrò lei.
-Già.-, sorrisi io. Non ero l’unico emozionato da quella prospettiva. La volevo, era parecchio che la volevo.
Che volevamo poterci concedere ancora l’un l’altra.
Poi lo sentii. Un’odore. Un respiro. Qualcosa di diverso.
Che stonava con l’ambiente.
Misi una mano sulla spalla della nera. Flux annuì.
Mi voltai verso l’armadio.
-Esci fuori.-, dissi. La porta si aprì.
Zhara al-Jilani sorrise. Avvolta nei suoi tipici abiti, aveva l’aria felice e beata di chi ha vinto.
-Siete stati fantastici.-, disse. Le luccicava l’unico occhio visibile. Un luccichio che avevo già colto. Eccitazione.
-Dobbiamo brindare alla vittoria.-, disse. Riempì tre bicchieri di Champagne Blanc de Blanches, annata 1992.
-Che ci facevi lì dentro?-, chiese Flux. Zhara sorrise.
-Volevo farvi una sorpresa ma immagino di aver esagerato…-, disse. In effetti non si poteva dire che fosse stata una piccola sorpresa.
-Potevi entrare dalla porta…-, dissi. Lei mi sorrise.
-Qual’é il bello di avere un armadio comunicante con l’altra stanza se non lo usi, ogni tanto…-, disse.
Sorrisi.
-Alla nostra vittoria.-, disse Zhara. Nostra, non solo sua.
-A noi.-, disse Flux. Sorrisi, già. Potevo brindare a noi.
-Alla vita!-, esclamai.
-Alla vita!-, ripeterono loro. I calici tintinnarono e bevemmo. Zhara sorrise. Di nuovo. Era raro vederla sorridere tanto.
-So di aver interrotto qualcosa.-, ammise.
-Non hai interrotto quasi nulla… Eravamo solo all’inizio.-, disse Flux. Il sorriso non scomparve.
-Allora… potrei unirmi a voi…-, disse, -In segno di stima.-.
Flux parve indecisa. Zhara le sorrise e la baciò. In bocca. Fu appena uno sfiorarsi di labbra ma la nera parve starci.
-Aspetta…-, sussurrò Zhara. Sciolse una parte del suo abito e scoprì il capo. Metà rettile metà donna, scaglie da un lato e pelle dall’altro. Era impressionante. Non avrei biasimato Flux se avesse palesato segni di disgusto. Invece la giovane rimase ferma. Io non seppi come reagire. Parlare o tacere?
-Ti fa schifo?-, chiese Zhara. Flux la abbracciò.
-Schifosamente bella.-, sussurrò. Poi baciò Zhara. Stavolta fu un bacio vero, uno di quelli infoiati, con lingua e tutto. Pura e semplice lussuria che scorreva dentro di loro… E dentro me. Le volevo. Entrambe.
Fanculo il domani, oggi siamo vivi, domani chissà.
Mi avvicinai.
-Ehi, non dimenticate qualcuno?-, chiesi sorridendo.
Flux e Zhara si staccarono dal bocca a bocca e sorrisero.
Flux mi baciò. Non usò mezze misure, e neppure io. Le nostre lingue s’incontrarono, persero, ripresero, ripersero.
Le mani sui rispettivi corpi. A godere del momento.
Sentivo anche altre mani sul mio corpo. Una, specificatamente. Appartenente a Zhara. L’araba mi sfiorò il membro da sopra i calzoni.
-Spero tu sia abbastanza carico per entrambe, Blade.-, sussurrò. Flux si staccò per rispondere.
-Beh, dopo tanto rimandare…-, baciò Zhara mentre mi slacciava i calzoni con una mano mentre l’altra andava a cercare un modo per liberare l’araba dai suoi vestiti.
Io tolsi la tuta a Flux. E lo vidi.
Perfetto e preciso, poco sopra i seni, di un rosso sanguigno che contrastava con l’incarnato scuro della nera. Un tatuaggio. Una runa… Che avevo anche io.
-Oh, vedo che a Madripoor hai potuto anche farti un tatuaggio, tesoro.-, disse Zhara accarezzando il petto e il tatuaggio di Flux, beatamente ignara di tutto.
Dissimulai lo stupore, a fatica.
-Splendido, vero?-, chiese Flux. Neanche lei era priva di stupore ma evidentemente solo io riuscivo ad accorgermene.
-Sexy…-, sussurrò Zhara. Liberatasi delle vesti e del reggiseno, si strusciò contro Flux, mentre mi prendeva in mano il membro. Cazzo! Uno stimolo simile avrebbe potuto farmi esplodere come un giovincello alla prima scopata. Ma non m’importava… Quella notte era la nostra festa, il nostro personalissimo pezzo di paradiso.
Mi dedicai a Flux, leccandole la schiena mentre le mie mani indugiavano sui corpi delle giovani. Le due, prese a esplorare il terriotrio saffico, non si risparmiarono dallo spogliarmi.
-Blade… ti é sparita delle pelle…-, disse Zhara.
Era vero. Il mio costato aveva subito l’asportazione di un muscolo. Non sapevo quanto e se mi sarebbe costato ma così era andata. Era il prezzo da pagare per quella notte. Sorrisi, sprezzante.
-Ferita di guerra, tesoro. Ferita magica.-, dissi.
-Meriti un premio…-, sussurrò l’araba. S’inginocchiò leccandomi l’interno coscia, i testicoli e il pene.
-Ehi, lasciane un pò per me, sorella!-, esclamò Flux.
-Non subito, tesoro.-, dissi io, tintillando la vulva della nera. La lingua di Zhara era un animaletto diabolico che mi stuzzicava, passando poi sulla vulva di Flux.
-Credo che a letto staremmo molto più comodi.-, dissi.
Ci spostammo sul letto king-size con lentezza massacrante mentre Zhara e Flux si contendevano il mio membro e il mio corpo e io contendevo loro il diritto di darsi piacere. Zhara prese lo champagne e bevve a canna, offrendolo anche a me. Non rifiutai.
Caddi sul letto accanto a Flux e presi a gratificarne la nera vulva, leccando, suggendo e baciando. L’orgasmo della giovane, sin troppo a lungo negato, non si fece attendere.
-Oh… sì… sì! Sì!-, il piacere liquido della giovane mi spruzzò in faccia. Zhara mi leccò il viso. Eravamo regrediti a uno stato animalesco, presi in un triangolo folle ma immensamente piacevole. Flux s’impalò sul mio membro, lasciando che le affondassi dentro mentre gratificavo la vulva di Zhara, toccando i seni di entrambe.
L’araba venne con un gemito e il suo piacere si mischiò a quello di Flux sulla mia pelle. La nera venne una seconda volta, proprio mentre anche io venivo. Le scaricai dentro litri di sperma, felice di quel momento, di quel posto e di quelle donne.
Giacemmo, ansimanti e stanchi sul letto, reduci di una battaglia erotica priva di vincitori o vinti.
Mi sollevai appena e sorrisi. Camminai sino al tavolo-bar.
Mi scolai una bottiglia di Perrier.
-Voi volete qualcosa?-, chiesi.
-Magari un bis…-, fece Flux con un ghigno. Sorrisi anche io e due secondi dopo ridevamo tutti e tre. Flux, in attesa che il mio membro tornasse al pieno delle forze, si dedicava a baciare il corpo di Zhara, senza repulsione per quella pelle squamosa e così diversa dalla sua. Si trasformò in acqua più volte, cambiando posizione, esplorando, giocando. Per l’araba doveva essere una goduria, tanto che venne ancora.
-Oh… che bello….-, evidentemente neanche nei suoi sogni più folli qualcuno le aveva mai dato piacere a quel modo. Flux, ridivenuta umana, sorrise.
-Dovrebbero farlo tutti.-, disse Zhara, trasognata.
-Dovrebbero.-, dissi io, -Ma il mondo é imperfetto.-.
-Fortuna per voi che ci sono io.-, ribatté Flux.
-infatti ora ti ricompenso.-, dissi io.
-Sbattimi.-, sibilò lei. Non sono sicuro che Zhara abbia compreso fino in fondo il tono di Flux nell’implorarmi o la mia risposta. Sicuramente, non se n’era data peso
-Ti apro.-, sibilai. E fu così. Puntai all’imbocco della vagina ed entrai nella nera con forza. Flux afferrò le lenzuola. Divenne acqua, forse involontariamente, forse no. Il risultato fu che rimasi piantato in una conca acquosa. Fantastico. Durò qualche istante poi la nera riprese il suo aspetto.
-Ah! Sì! Ancora!-, implorava mentre Zhara le mordicchiava i capezzoli. L’araba le montò in viso, sbattendole la vulva in faccia. Flux prese a leccare.
Io ero quasi al limite. MI fermai.
Zhara capì, la nera meno. Mi guardò male.
-Non essere avida. Una volta a ciascuno.-, dissi.
Flux sorrise. In fin dei conti l’avevo sbattuta come una porta girevole. Sbatté la vulva in faccia all’araba imponendole lo stesso trattamento dato poco prima mentre affondavo tra le pieghe roventi di Zhara.
-Ah, ha una lingua fenomenale!-, esclamò Flux.
Mi baciò, il respiro ridotto a un ansimare, le frasi smozzicate, il cuore accelerato dal fuoco della passione.
-Vengo…-, sibilò mordendomi mentre io, completamente dentro l’araba mi riversavo a fiotti in quella vulva rorida e caldissima. Quando crollammo, capii che avevo appena passato la notte più epica della mia vita.
Quelle erano notti, o anche giorni, per cui vivere.
E per cui morire.

Il mattino dopo, Flux ripartì. Non avevo idea di dove andasse o perché. Aveva i suoi piani e non stava a me giudicare. Zhara riprese coi suoi traffici e io tornai alla mia (in)solita vita.
Tutto sommato, andava bene. Per ora.

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