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Camicia bianca

By 28 Settembre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Lui mi aveva chiesto di farmi trovare pronta. Non sapevo esattamente a cosa sarei andata incontro, ma quell’uomo tanto più grande di me riusciva ad eccitare i miei sensi come nessuno al mondo. Ero convinta che alcune cose succedessero solamente nei romanzetti da spiaggia: mai avrei immaginato che la mia vita si sarebbe trasformata nella più avvincente e appassionante storia che la mia mente potesse partorire. Mi aveva fatto recapitare in ufficio un pacco, dalle dimensioni non eccessivamente grandi: scatola bianca con intarsi floreali dorati, un piccolo fiocco in alto a sinistra e un biglietto: ‘la taglia dovrebbe essere quella giusta’. Le mie colleghe erano curiosissime di capire che cosa quel dono inaspettato contenesse e io dovetti fare uno sforzo enorme per vincere la mia curiosità e aspettare di essere tornata a casa prima di aprirlo.
Appoggiai il pacco sul letto, sciolsi con cura il nastro che lo teneva chiuso e alzai il coperchio. Campeggiava una stoffa bianco avorio, morbida anche solo a vederla. Presi quell’indumento fra le mani e lo sollevai: una camicia con ampio scollo sul petto, molto morbida che lasciava quasi le spalle scoperte. La stoffa trasparente non avrebbe lasciato molto all’immaginazione, lasciando assolutamente intuire quel che sotto si sarebbe celato. Mi sembrava un capo molto adatto a me, assolutamente centrato in gusti e taglia.
Riposi la scatola e lasciai la camicia ben distesa sul letto.
Mi concessi una lunga doccia, con olio profumato, shampoo e balsamo, per rendere morbida la mia pelle, i miei capelli. Mi cosparsi di crema e asciugai con cura la chioma, che adesso aveva assunto una forma molto morbida, elegante e sensuale: lunghe e morbide onde scendevano lungo le spalle fino a metà schiena, quasi in ordine casuale, ma in realtà secondo un preciso schema.
Indossai la camicia, un perizoma di pizzo nero e nulla altro: piedi nudi con smalto scuro completavano lo spettacolo di una Cagna in attesa del suo Padrone. Sapevo che sarebbe arrivato, lo sentivano i brividi del mio corpo, lo avvertivo fra le gambe, perché una latente eccitazione non mi aveva abbandonato per tutto il giorno. Misi due gocce di profumo alla base del collo, esattamente dove sapevo che lui avrebbe posato il suo naso per sentire il mio odore. Mi misi sul divano, con le gambe distese e un po’ divaricate e aspettai. L’attesa sembrava non finire mai, quando finalmente il telefono di casa squillò. Una, due, tre volte e poi più nulla: quello era il segnale, convenuto da tempo, che indicava l’arrivo del mio Padrone. Non ci sarebbe stata nemmeno una parola per il benvenuto, solo occhi, sospiri, mani, lingue. Era quello che più desideravo, che il mio corpo bramava e la mia mente anelava. Così aprii la porta e mi adagiai nuovamente sul divano. Desideravo che mi vedesse così: lasciva e pronta a far si che il mio corpo soddisfacesse ogni suo desiderio più oscuro.
Entrò. I nostri occhi si incontrarono per un tempo che mi sembrò infinito: vidi che godeva nell’apprezzare una scelta ben fatta, perché quella camicia sembrava assolutamente dipinta sul mio corpo. Si avvicinò e con le sue mani forti e sicure sollevò appena il bordo inferiore della stoffa. Avvicinò subito il suo naso alla mia intimità, mordendo il pizzo e scostandolo appena. Voleva farmi godere subito, senza troppi complimenti. Voleva che subito il mio corpo e la mia sete fossero appagati, affinch&egrave dopo ogni sua voglia potesse essere saziata. Strinse così forte i miei polsi da farmi gemere: immobilizzata non potevo fare altro che sentirmi il suo antipasto, così lasciai libera la mente.
Sentivo la sua lingua che si insinuava leggera fra le mie labbra, dopo essere stato attento a scostare il pizzo. Lentamente andava su e giù lungo tutta la fessura della mia fighetta già grondante di umori. A tratti, senza un ordine preciso, la sua lingua sfiorava il clitoride senza mai esagerare. Fu un attimo. Quell’attimo in cui passi il confine di non ritorno. Lasciò le mie mani giusto il tempo per sfilare via il perizoma e contemplare le mie cosce e il loro interno in tutta la loro possenza.
La sua voce, che ricordavo gentile, si trasformò in un suono gutturale e profondo: la bestia si stava scatenando e io ero pronta. Assolutamente pronta.
‘Adesso ti scopo senza pietà. Farò in modo che tu sia sconvolta, farò in modo che duri poco. Non voglio regalarti un orgasmo da ricordare, voglio che ti senta tramortita e appagata. Perché tu mi appartieni e questa notte voglio che tu mi faccia godere.’
Queste parole furono più potenti di qualunque altra mossa potesse fare e mi eccitarono a tal punto che ero pronta a fare qualunque cosa. Allargai le cosce come una cagna pronta a farsi scopare: lo volevo, e il mio Padrone lo sapeva.
Aprì la cerniera dei suoi pantaloni, sbottonò i due bottoni e lasciò scendere i pantaloni quel tanto che bastava per liberare un’erezione già pronta a essere lo strumento del mio piacere. Non mi diede modo di toccarla, ma solo farmi penetrare senza troppi convenevoli: voleva scoparmi, scoparmi a fondo, scoparmi senza pensare al mio piacere, al mio godimento. Voleva svuotarmi e impedirmi di godere ancora. Quel pensiero accese dentro di me un’eccitazione ancora più profonda e incontenibile e gli bastò davvero poco per farmi arrivare all’apice. Il mio corpo si muoveva sotto i suoi colpi, dentro e fuori senza pietà. I seni, al di sotto della stoffa, si muovevano e desideravano essere torturati, ma a Lui sembrava non interessare. Iniziai a gemere come una Cagna, e squarciai il silenzio con un urlo che venne dalla profondità più nera del mio corpo. Grondavo di liquidi, di sudore, di godimento, senza poter contenere niente di tutto ciò che il mio corpo urlava.
‘Bene, Cagna. Vedo che farti scopare dal tuo Padrone ti piace. Ricorda bene quello che hai provato, quando hai goduto, perché &egrave esattamente quello che farai a me questa notte. Voglio godere. Godere a lungo, godere facendoti fare tutto quello che desidero, come lo desidero, quando lo desidero. E tu mi dirai solo si, perché sei la mia Cagna fedele. E’ tutto chiaro?’
Ancora sconvolta da quel piacere senza ritorno, quel piacere che proprio non potrei chiamare orgasmo, mossi la testa in segno di assenso. Non piacque al mio Padrone, che mi prese per i capelli e mi disse ‘Non ho capito, Cagna’.
‘Si, Padrone’, mugolai aprendo gli occhi. Ora ero la sua Cagna, dovevo conquistarmi quel ruolo. Mi buttò a terra e io mi ritrovai carponi ai suoi piedi.
– ‘Adesso toglimi le scarpe e lecca i piedi del tuo Padrone’. Lo feci lentamente, lasciando che le mie dita sciogliessero i lacci delle scarpe prima e solleticassero le sue caviglie poi, mentre levavo via i calzini. Lentamente, uno alla volta, li riposi nelle scarpe e iniziai a dedicarmi a quei piedi. Succhiai le dita, una per una; leccai il tallone, il collo, i malleoli, l’attaccatura delle unghie. Indugiai fra alluce e indice, perché trovavo estremamente sensuale che la punta della mia lingua si andasse a incastrare proprio in quel punto. Potevo avvertire che il mio Padrone gradiva quel trattamento.
Scelsi una posizione più comoda, allargando le gambe e tenendo il culo ben sollevato. La testa quasi a terra, in segno di reverenza nei suoi confronti. Con la lingua risalii lungo le caviglie, mentre con le mani sollevavo il bordo dei pantaloni. Li sfilai via e Lui mi lasciò fare. Adesso la mia lingua si dedicava ora a una, ora all’altra gamba, leccando su e giù, senza sosta. Polpaccio, ginocchia, cosce. Sentivo i peli sfregare contro la mia lingua, ma la sola idea che il mio Padrone gradisse quel trattamento mi rendeva eccitata e fiera. Le sue mani sfilarono via la mia camicia.
Le sue mani presero con forza i miei seni, li strinsero, li strizzarono. Pizzicarono ora l’uno ora l’altro capezzolo con forza, torcendoli. Era doloroso e meraviglioso, un labile confine senza ritorno. Li tirò verso di se, costringendomi a interrompere la mia attività. Li portò alla bocca e li morse, provocandomi una fitta di dolore violentissima.
‘La mia Cagna ha dei capezzoli turgidi. Vediamo di mantenerli così’.
Non so dire quanto a lungo durò quel trattamento, ma potevo vedere la faccia del mio Padrone e leggere nei suoi occhi un piacere che aumentava di minuto in minuto. E anche il suo cazzo diventava sempre più duro e rigido.
‘Adesso lo succhierai. Lo succhierai tenendo a mente queste semplici regole: non dovrà mai uscire dalla tua bocca. Non devo sentire i tuoi denti. Non supererai mai il limite della cappella. Se lo farai, strizzerò così forte i tuoi capezzoli da farti urlare. E’ chiaro cagna?’
‘Cristallino, Padrone’.
La mia bocca, lentamente, si avvicinò a Lui e fece scomparire il suo membro fra le mie labbra. I suoi ordini erano semplici, ma quell’odore così forte di uomo ebbe quasi il potere di stordirmi. Cercai di tenere a mente le sue parole senza tralasciare nemmeno una virgola e all’inizio sembrava che tutto andasse bene. Poi fu un secondo la momentanea perdita di concentrazione, il bisogno di deglutire e il suo cazzo fuoriuscì dalle mie labbra.
Le sue mani strinsero così forte i miei capezzoli che quasi mi uscirono le lacrime. L’umiliazione fu così forte che mi prostrai a terra a chiedere umilmente perdono. Ricominciai, questa volta facendo del mio meglio per solleticare il piacere del mio Padrone, che chiuse gli occhi e si abbandonò alla mia lingua sapiente, alla mia bocca stretta e accogliente, alle mie labbra che accolsero il bordo della sua cappella senza mai lasciarlo fuoriuscire.
Sentivo crescere il suo piacere, sentivo il suo cazzo irrigidirsi sempre di più e i suoi testicoli gonfiarsi. Con una mano li presi e iniziai a esercitare una lieve pressione, mentre con il dito indice arrivai a toccare il punto di congiunzione con l’ano. Lo fece trasalire e capii che quello era il suo punto debole. Continuai a succhiare, giocando con tutte le parti del suo corpo per un tempo impossibile da quantificare. Avevo la mascella che mi faceva male, un lago fra le gambe, colpa dell’eccitazione che il mio Padrone era in grado di provocare in me con la sua sola presenza. Aumentai il ritmo, volevo che esplodesse nel suo orgasmo, volevo che venisse e si svuotasse completamente nella mia bocca.
E così fu. All’improvviso, senza che potessi contenerlo fui riempita del suo liquido caldo e dolciastro. La bocca, le labbra, il viso. Perfino gli occhi, i capelli.
Fu una cascata che sembrava non finire mai. E mi sentii piena. E il mio Padrone appagato.

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