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Racconti Erotici Etero

Compagna di Corso – Capitolo I

By 9 Febbraio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Erano i primi giorni di maggio, io frequentavo ancora l’università a quei tempi. Avevo 24 anni ed ero felicemente fidanzato con una ragazza coetanea. Fino a quel giorno, non avevo mai avuto altri generi di voglie, all’infuori del rapporto con lei.
Una mattina, arrivato presto in facoltà, mi diressi verso un divanetto di fronte all’aula in cui avrei poi avuto lezione; come di consuetudine, la facoltà era praticamente vuota, erano più o meno le 7,45 di mattina.
Quel giorno stranamente fui allibito nel constatare che il divano era già occupato da una mia compagna di corso, Silvia. Subito prima di salutarla, venni incuriosito dal suo abbigliamento, era un’amica e spesso ci fermavamo a chiacchierare assieme, la conoscevo da almeno due anni, ma non mi ero mai del tutto accorto di quanto fosse attraente fisicamente.
Sarà stato l’arrivo del caldo di fine primavera, per cui era vestita molto meno pesante che nei mesi precedenti. Aveva addosso una giacchettina di color rosso, appena sbottonata, che lasciava intravedere una canotta color amaranto con una evidente scollatura. Il mio sguardo si diresse più in basso e mi accorsi che era la prima volta che la vedevo con una gonna e non un pantalone. Gambe accavallate con una gonnellina nera ne troppo larga ne troppo aderente, il giusto direi.
Pensai che aveva due gambe davvero stupende e mi chiesi come mai non le mostrasse molto più spesso vista l’alta qualità. Per finire un paio di stivaletti baige che le le coprivano metà gamba.
Dopo averla salutata e averci scambiato quattro parole, sempre cercando di non far vagare troppo lo sguardo su quel trionfo di bellezza e sensualità, iniziò la lezione.
Per ben tre ore la mia mente non pensò ad altro che a come era vestita, non che di solito prestassi molta attenzione alle lezioni, ma quella mattina per ovvie ragioni avevo la mente molto più assente del solito.
Finalmente verso le 12 finì la lezione e come una saetta mi diressi verso la porta d’uscita dell’aula. Guardai l’orologio nel display del cellulare e con profondo terrore scoprii che avevo perso il pullman delle 12,10. Un sacco di bestemmie ed imprecazioni si affollarono nella bocca, ma mi trattenni dall’espletarle al pubblico.
Come un filmine a ciel sereno mi venne l’illuminazione divina: Silvia andava nella mia stessa direzione e paese; e non avendola vista sul pullman in mattinata, significava che era venuta in auto.
Corsi da lei e chiederle cortesemente un passaggio, ma non riuscii del tutto a trattenermi nel non guardarla spesso in corrispondenza di gambe e seno. Cercai di fare finta di niente, non volevo fare una brutta figura e per di più perdere l’unico passaggio per casa.
Lei a mio avviso si accorse

dei miei ripetuti sguardi alle sue “grazie”, ma con mio completo sgomento, sembrò esserne lusingata e appagata. La sua risposta positiva alla mia richiesta non si fece attendere, disse che non c’era motivo per cui non dovesse darmi uno strappo.
Ci incamminammo alla sua auto, una Stilo Grigia, e dopo aver riposto borse e tracolle nel bagagliaio, ci apprestammo a sederci in macchina.
Appena aperte le portiere uscì un’afa e un calore allucinante e aprimmo immediatamente i finestrini e sparammo a palla l’aria condizionata.
Lei si allacciò la cintura e immediatamente si blocco! Si slacciò nuovamente la cinta e si tolse la giacchetta. Era visibilmente accaldata, bhe era irreale se non lo fosse.
Era ormai solamente in canotta e il mio sguardo involontariamente si cominciò a fissare sulla sua abbondante scollatura, aveva sicuramente uno stupendo decolette. Una terza abbastanza abbondante. Ma lo sguardo impallidì alla visione del suo petto ricoperto di sudore per il troppo calore; tra i suoi due seni c’era quel sensuale filo di sudore che ecciterebbe chiunque.
Appena mi accorsi di star esagerando, immediatamente diressi o sguardo fuori dal finestrino. Con la coda dell’occhio cercai di capire se se n’era di nuovo accorta o meno. Sembrava proprio che non le sfuggisse nulla quella mattina, se n’era accorta sicuramente, ma non sembrava seccata, anzi.
Partimmo! Ci aspettavano almeno 45 minuti di viaggio per arrivare!
Stranamente nei primi 20 minuti parlammo davvero poco, come se ci fosse un’aria di titubanza e imbarazzo in auto.
Inconsapevolmente, mi ritrovai di nuovo a fissarle il seno, di nuovo sudato. Appena vidi che il suo sguardo si stava rivolgendo su di me, riuscii istantaneamente a dirigere lo sguardo al pannello di controllo e mi salvai dicendole che era entrata da poco in riserva. Conveniva fare benzina.
Poco più avanti uscimmo dalla tangenziale, per fare benzina in autogrill.
Cercai di capire più di una volta in quale autogrill fossimo finiti, ma non lo avevo proprio mai visto. Era davvero strano. Solo il benzinaio era visibile. Il bar e i bagni erano completamente dalla parte opposta divisi da un’immensa siepe.
Accostò l’auto di fianco alla siepe e quando mi voltai verso di lei per chiedere come mai non andava a fare benzina lei mi zittii velocemente dicendo che prima doveva andare al gabinetto.
Nell’attesa che lei tornasse dai servizi, cominciai a pensare a ciò che stesse facendo in bagno.
Si sarebbe sicuramente abbassata le mutandine, che aim&egrave non sapevo come fossero, e certamente avrebbe solo alzato quella attraente gonnellina per poi chinarsi e fare la pipì. Il pensiero mi fece gonfiare le mutande in un batter d’occhio.
Quando mi accorsi che il rigonfiamento stava diventando troppo evidente, cominciai a farmi prendere dall’ansia e agitazione. Non volevo fare una figuraccia del genere.
Cominciai a fare dei profondi respiri pensando ad altro, ma non sembro cambiare qualcosa. Aprii gli occhi e vidi che stava tornando Silvia.
Appena lei mise la mano sulla maniglia della portiera, io misi entrambe le mani sul mio pacco.
Lei capì immediatamente la situazione, ma non disse nulla. Le affiorò un solo sorriso guardando il quadro dei comandi.
Eravamo seduti entrambi senza fiatare e muoverci. Lei avrebbe dovuto mettere in moto e andare a fare benzina, ma invece restò immobile.
Ad un certo punto, intravidi con la coda dell’occhio la sua mano muoversi, pensai che si stesse dirigendo verso la leva del cambio e allora mi rilassai mentalmente.
Quella mano, invece, andò a posarsi sulle mie due che erano ovviamente ancora sul mio pacco in erezione.
Prese la mia mano sinistra e se la portò verso di se. In pochi secondi sentii il suo enorme seno tra le mia dita e senza pensarci su, cominciai a stringergliela e palpargliela vigorosamente. Intanto la sua mano si staccò dalla mia ormai intenta ad assaporare la sua immensa mammella e andò a posarsi sulla mia pancia. Con movimenti lenti e sensuali oltrepassò la paglietta e scostando delicatamente i pantaloni di tuta e le mutande, finì col mio pene in erezione in mano.
Cominciò a massaggiarmelo per bene, mentre la mia mano variava da un seno all’altro. Decisi che ora toccava a me e infilai la mano all’interno della sua scollatura e oltrepassando anch’io la sua canotta e reggiseno finii con le dita sul suo capezzolo.
Lei da quella mia mossa, sembrò prendere vigore e cominciò ad uscirle un pezzetto di lingua dalle labbra, volta a bagnarsi molto evidentemente le labbra.
Il mio cazzo era un palo di marmo tra le sue dita che mi segavano con forza sublime.
Dopo alcuni minuti in quella arrapante situazione, lei ritrasse la mano dalle mie mutande.
Pensai che purtroppo quel momento era ormai giunto al termine, invece con mio profondo appagamento, lei cominciò una parabola discendente con la testa verso le mie gambe.
In pochi istanti mi ritrovai con il pene fuori dalle mutande e lei pronta a prenderselo in bocca. Le sue labbra bagnate e calde si posarono sulla mia cappella qualche istante dopo, facendomi andare ancora di più in erezione.
Non so come potesse contenere, in quella bocca, un cosi grande membro in erezione. Sta di fatto che Silvia, la mia compagna di università, mi stava facendo un clamoroso pompino.
Passava dal cercare di prenderlo tutto in bocca, quasi fino alla gola, all’appoggiare le sue labbra colme di saliva sulla mia cappella e ciucciare molto forte.
Dopo vari minuti di completo godimento e gemiti sia miei che suoi, arrivai al punto di dover quasi venire.
Non volevo che finisse così, se dovevo fare ciò alla mia ragazza, almeno dovevo farlo tutto fino in fondo.
Mi accorsi che stava accelerando il tutto nel procinto di farmi venire. Allora le presi la testa fra le mie mani e la tirai su, lei mi guardò con sguardo confuso, ma non fece in tempo a capire le mie intenzioni che ormai l’avevo gia girata a pecora.
Non fece obiezioni e dopo averle alzato la gonna e abbassato le mutandine (nere), le ficcai il mio pene in completa erezione e bagnato di saliva, su per la figa.
Un colpo secco e il cazzone entrò facendole fare un urletto, che mi spinse a scoparla vibratamente per diversi minuti ad alta intensità.
La stavo scopando, facendole ballonzolare le tette, dopo averle tirate fuori dal reggiseno, sentivo i suoi umori colare sul mio pene e il suono di quest’ultimo che entrava e usciva dalla sua bagnatissima vagina, mi fece accelerare il tutto e in pochi istanti mi ritrovai a venirle dentro, riempendola di caldo sperma e facendola gemere ancora di più.
Finii di svuotarmi in alcuni minuti e poi lo tirai fuori accompagnandolo con un fazzoletto ci carta per non rischiare di sporcarle i sedili.
Lei sembrava essere completamente spossata e non si mosse da quella posizione per alcune decine di secondi.
Poi decise che era il momento di ricomporsi e dopo essersi rivestita, mi guardò con sguardo provocante e mi disse semplicemente “Grazie”. Io di tutta risposta la guardai fissandola caldamente e le dissi “Di niente… Alla prossima”. Accompagnammo quella breve conversazione con due sorrisi. Lei aveva un’espressione che sembrava voler dire che non sarebbe stata l’ultima volta.
Ci ricomponemmo, riallacciammo le cinture e dopo aver fatto benzina tornammo sulla strada.
Neanche una parole fuoriuscì dalle nostre bocce nella restante strada da fare fino a casa mia.
Scesi dall’auto e la salutai come se non fosse successo nulla. Lei fece lo stesso e le nostre strade per quella giornata si divisero. Consapevole che non avrei permesso che la cosa finisse soltanto lì.

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