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Convivenze

By 30 Aprile 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Era un giovedì mattina grigio e noioso, di quelli che ti fanno venir voglia di non alzarti nemmeno dal letto. La mia coinquilina si era già alzata da almeno un’ora e la sentivo girare per casa, andare avanti e indietro per la sua stanza, probabilmente preparando la borsa dell’università. Faceva più fracasso del necessario, molto più del solito almeno, così mi decisi ad alzarmi, mettendo un tanga nero sotto la canotta troppo larga che usavo per dormire, giusto per convincermi a cominciare la giornata.
Mi avvicinai alla porta della sua camera sbadigliando, incuriosita dai suoi borbottii, e la trovai accosciata davanti all’armadio che occupava gran parte della parete di fronte al suo letto, visibilmente contrariata. Ai suoi piedi e su gran parte delle superfici della stanza si stavano accumulando quasi tutti i vestiti del suo considerevole guardaroba.
-Si può sapere cosa stai combinando a quest’ora di mattina?- le chiesi.
Si voltò di scatto, come se l’avessi colta a fare qualcosa di terribilmente inappropriato, da sola ed in intimo nella sua stanzetta, e mi guardo con due occhi da cerbiatto spaventato. Mi leccai involontariamente le labbra.
-Oh Kat! Non volevo svegliarti… stavo solo cercando qualcosa da mettere stasera. Sai, al Black Rose c’&egrave un party fantastico a sentire le ragazze. Vorrei davvero, davvero andarci- mi rispose.
Lasciai scorrere lo sguardo tra i vari capi che aveva lasciato in giro, poi tornai a guardarla. Il Black Rose era un locale piuttosto esclusivo e dubitavo che l’avrebbero mai lasciata entrare con uno dei suoi abiti da ragazzina casa e chiesa. A quanto pare il mio sguardo fu sufficiente a confermare i suoi timori.
-Non posso andare a cercare qualcosa in giro per negozi, ho lezione fino a tardi!- gemette snocciolando parole alla velocità della luce. Le capitava spesso quando era agitata.
-Non puoi saltare qualche ora per una volta? Ti accompagno in un paio di posti carini e poi vai in università- mi offrii.
La ragazza scosse la testa, offrendomi il bellissimo spettacolo dei suoi capelli rossi che ondeggiavano lasciando scoperta la pelle candida del suo seno, con la sua curva generosa che sembrava dover esplodere dal reggiseno da un momento all’altro.
-Lo sai che non posso assolutamente mancare, soprattutto quando sono così vicini gli esami!- Lei ed il suo senso del dovere dannatamente innaturale. Cosa diavolo le avevano insegnato in quella famiglia di teste di legno? Non avevo mai smesso di chiedermelo.
-D’accordo allora, vediamo se posso darti io qualcosa per questa volta- dissi, fingendo di pensarci qualche momento.
Lei saettò in piedi proponendomi il delizioso movimento delle sue tette morbide, venendomi ad abbracciare con trasporto. La sua pelle aveva un vago sentore di pesca ed i suoi capelli mi solleticarono la pelle del collo. Il suo corpo era caldo e morbido, la sua pelle liscia sotto le mani mi fece venire in mente diversi giochi per farla diventare ancora più calda e molto più sensibile. Mi stava salendo dal basso ventre un’incontentabile voglia di toglierle quello slip colorato per assaggiare tutti i suoi sapori. Mi staccai invece da lei, indicandole platealmente la mia stanza e la feci avviare, decisa almeno a godermi le sensuali rotondità dei suoi fianchi e delle sue natiche.
Alice era il genere di ragazza acqua e sapone che non aveva bisogno di far molto per conquistare un uomo. Madre natura l’aveva dotata di un corpo sensuale, dalle curve accentuate e di una bellezza delicata e femminile con quei capelli fiammanti e gli occhi scuri. Era quasi il mio opposto per la morbidezza dei tratti e la dolcezza della voce. Sfortunatamente, ma forse faceva parte anche questo del suo fascino, era stata cresciuta in una campana di vetro, con modi antiquati e rigidi che l’avevano lasciata completamente priva di qualunque esperienza del mondo. Mi ero presa il compito di farle conoscere qualcosa di più dei doveri scolastici e familiari e, anche se la strada sarebbe stata ancora lunga ma molto divertente, stava finalmente cominciando ad aprirsi e sperimentare la vita di una giovane donna. Qualcuno avrebbe potuto dire che l’avevo portata sulla cattiva strada ma io sapevo che quello era solo l’inizio. Quel pensiero mi fece sorridere.
La feci accomodare sul mio letto sfatto e aprii la finestra per far entrare un po’ di luce e di aria fresca. Pioveva e il vento primaverile mi solleticò le gambe nude, infilandosi sotto la maglia troppo grande che usavo come camicia da notte, inturgidendomi i capezzoli. Adoravo la sensazione del freddo sulla pelle. Per i successivi venti minuti cercai nel mio armadio qualcosa che potesse andare bene per mettere in risalto le curve esuberanti di Alice senza farla sentire troppo a disagio.
Un paio di volte la aiutai a vestirsi, approfittando dell’occasione per sfiorarla o accarezzarla casualmente e la osservai con un certo piacere arrossire ogni volta. Era così innocente da far tenerezza, ma allo stesso tempo questa sua caratteristica riusciva ad eccitarmi e a mettermi in testa idee davvero interessanti, molto più di quanto immaginassi.
Mi resi conto che il mio corpo stava reagendo a quei giochi e a quei pensieri, bagnandosi e preparandosi ad un rapporto. Sentivo l’umido dei miei umori iniziare a bagnarmi le mutandine, li immaginavo scendere lentamente… Mi morsi le labbra, costringendomi ad avere pazienza ed a frenare le mie voglie.
Era ancora troppo presto.
Finalmente trovammo un abito che faceva al caso suo. La fasciava senza strizzarla, mostrando tutta la forza delle sue curve, pur senza lasciarle scoperte. L’unica pecca era la lunghezza: invece di essere a mezza gamba le arrivava quasi al ginocchio, ma non pensavo sarebbe stato un grosso problema.
Il suo entusiasmo per la soluzione trovata mi contagiò tanto che le promisi di aiutarla a sistemarsi per la festa, prima che andassi a lavorare. Solo allora si accorse dell’orario e senza smettere di ringraziarmi si cambiò per schizzare in università.
In poco più di dieci minuti rimasi sola in casa, ancora in tumulto per le fantasie che mi erano balenate nella mente, per il desiderio di accarezzare, esplorare, assaggiare e portare al limite del piacere la dolce e piccola Alice. L’idea di inserire le mie dita tra le sue gambe e sentirla gemere fu sufficiente a farmi salire un brivido caldo di piacere da ventre. La mia astinenza forzata stava cominciando a farsi sentire.
Accesi la luce e mi stesi sul letto, ancora indecisa sul da farsi. Solo in quel momento mi accorsi che nel palazzo di fronte, giusto un piano sopra il nostro appartamento, un uomo stava guardando dalla finestra esattamente quella di fronte alla mia stanza e stava osservando me. Non riuscivo a distinguere bene i lineamenti del viso, ma dalla camicia bianchissima e i capelli ben pettinati sembrava un impiegato probabilmente sulla quarantina, ed ero quasi sicura che stesse già guardando il cambio di vestiti mio e di Alice.
La sola idea mi fece diffondere un’ondata calda tra le gambe. Senza riflettere mi tolsi il tanga, facendolo cadere drammaticamente a terra. Se voleva osservare gli avrei dato un bello spettacolo quel giorno. Tirai lentamente su la maglietta, scoprendo le anche e il fianco con il grande tatuaggio in bianco e nero che partiva dalle costole fino alla natica, accarezzandomi il ventre e salendo fino alla parte inferiore del mio seno. Il mio corpo rispose all’istante scaldandosi. La pelle divenne sensibile, i capezzoli duri ed eretti, gli umori cominciarono a bagnarmi. Immaginai che il vicino si accorgesse del caldo liquido che aveva cominciato a colare tra le piccole labbra, verso un’altra apertura tra le gambe, calda, pronta per essere stuzzicata…
Le mani scivolarono verso il basso, aprendo le labbra bagnate, soffermandosi sulla morbida protuberanza del clitoride, cominciando un movimento delicato e circolare dopo aver bagnato le dita nei miei stessi fluidi.
L’uomo alla finestra si allentò la cravatta come se avesse cominciato ad avere caldo, ma non si mosse dal suo posto. I suoi occhi erano concentrati su di me.
Immaginai una calda e dura erezione che premeva fastidiosamente sui pantaloni, pronta per essere liberata e sfruttata. L’idea che il pene di uno sconosciuto fosse eretto a causa della mia “performance” mi fece gemere. Il calore si espandeva dal centro del mio ventre come piccole onde, aumentando al ritmo delle mie dita. Magari l’uomo alla finestra sarebbe corso a chiudersi in bagno a farsi una sega, dopo avermi vista venire, magari avrebbe pensato a me scopando sua moglie.
Improvvisamente suonò il citofono, rompendo l’incantesimo. Al secondo squillo mi alzai dal letto con un sospiro, delusa e lievemente incazzata. L’ammiratore sconosciuto era ancora alla finestra e sperai che fosse famelico quanto me: forse avrei potuto giocare ancora con lui prima del turno al bar o l’indomani. Si stava rivelando più divertente del previsto alla fine.
Andai a rispondere pensando che fosse Alice, senza nemmeno rimettermi le mutandine, invece scoprii che era un corriere con un pacco per la vicina che non era in casa.
Avevo gli umori che gocciolavano lungo una coscia e una voragine tra le gambe che chiedeva di essere riempita con insistenza, non potevo uscire in quelle condizioni e senza nemmeno pensarci gli chiesi la cortesia di salire fino al secondo piano.
Mi infilai il tanga, facendo ben attenzione a piegarmi proprio davanti alla finestra, e misi un paio di shorts che trovai appoggiati sulla sedia, giusto per non presentarmi completamente nuda alla porta, ma tenni la lunga canotta e lasciai i capelli scompigliati, pensando che se ne sarebbe andato in fretta, lasciandomi di nuovo al mio gustoso passatempo.
Quando aprii la porta il corriere era appena arrivato sul pianerottolo. Era molto giovane, non dimostrava più di una ventina d’anni, aveva grandi occhi chiari e un filo di barba incolta che nel complesso lo rendeva piuttosto attraente. Portava una felpa con cappuccio completamente fradicia di pioggia e sembrava infreddolito, ma quando mi vide arrossì. In effetti i miei pantaloncini erano talmente corti da vedersi appena e la maglia aveva l’apertura delle maniche talmente ampia che lasciava intravedere il lato del seno.
Mi venne subito voglia di farlo imbarazzare ancora di più, così gli andai incontro, innocentemente preoccupata. “Ma lei &egrave completamente zuppo! Venga dentro un attimo che le faccio un the caldo” lo invitai, prendendogli un braccio. L’acqua fredda mi bagnò la canotta, incollandomi il tessuto sul petto e parte della pancia, ma feci finta di non accorgermene, nonostante il brivido di piacere che mi percorse la schiena.
Il ragazzo balbettò qualcosa a proposito del lavoro ma la sua voce si spense quando i suoi occhi ma la sua voce si spense quando i suoi occhi si posarono sulla mia scollatura. Si era fermato sulla soglia della porta, indeciso, senza riuscire a smettere di squadrarmi.
Ricambiai il suo sguardo con un sorriso, chiedendo di chiudere la porta e raggiungermi nella zona giorno, dove lo feci accomodare sul divano mentre mettevo a bollire l’acqua, prima di andare a prendere qualche asciugamano.
Sentivo già l’eccitazione tornare a crescere, mentre pregustavo le possibili variabili di quell’incontro inaspettato. -Tieni, asciugati pure mentre preparo- gli dissi chinandomi verso di lui e lasciandogli inavvertitamente vedere una parte della scollatura. Notai con un certo piacere il lieve rigonfiamento dei jeans tra le sue gambe e la scintilla di desiderio nei suoi occhi che facevano fatica a staccarsi dai miei capezzoli duri.
Mi allontanai per tornare ai fornelli sentendo il peso del suo sguardo su di me e lo ringraziai lasciandogli ammirare le mie natiche, rese tonde ed invitanti delle ore in palestra, piegandomi a raccogliere un cucchiaio mentre parlavo del più e del meno. A poco a poco si sciolse cominciando a rispondere alle varie domande con maggior tranquillità, arrivando a fare anche qualche battuta spiritosa per cercare di capire fin dove fossi disposta a spingermi.
I suoi tentativi erano inesperti e fin troppo semplici da eludere per quanto non fossi poi molto più grande di lui. Mentre il the finiva l’infusione tornai da lui, offrendomi di aiutarlo ad asciugarsi. Gli tolsi delicatamente la felpa, poi mi appoggiai al divano per concentrarmi sui capelli, facendo attenzione a non metterlo troppo in imbarazzo. Lui rimase tranquillo a farsi strapazzare chinando la testa verso di me. Il suo fiato caldo mi arrivava proprio tra i seni e il suo viso era a pochi centimetri dal mio corpo. Vedevo chiaramente il suo pene gonfio lottare contro la resistenza offerta dai pantaloni e rimasi piacevolmente sorpresa dalle sue dimensioni.
Mi sorprese molto anche sentire la mano calda del ragazzo sulla mia natica, visto che la sua timidezza iniziare era sembrata estremamente pronunciata. Il contatto mi fece fremere, mentre smettevo di pensare e mi concentravo sulla sensazione degli umori che tornavano a colare. Mi fermai, gustandomi la sua stretta, guardandolo scendere a cercare uno dei miei seni per succhiare il capezzolo turgido.
Sentii le sue mani cominciare a vagare sul mio corpo, sui miei fianchi, trovare l’elastico dei pantaloncini e abbassarli lentamente. Gli tolsi l’asciugamano dalla testa e mi alzai, finendo di sfilarmeli con calma davanti ai suoi occhi famelici, rimettendomi poi a cavalcioni su di lui che riprese ad esplorare, spostandosi tra le mie gambe. -Dio…- gemette infilando un dito nella mia vagina e trovandola stretta e fradicia, pronta per essere penetrata.
Quasi mi strappò di dosso la canotta e il tanga dalla foga di avermi nuda e bagnata davanti a lui, talmente disponibile che rischiavo di impazzire per l’attesa. Mi trattenni e lo spogliai con calma, soffermandomi su ogni indumento per portarlo al limite della sopportazione, mentre mi crogiolavo nella dolce sensazione di averlo completamente sotto il mio controllo.
Finalmente il suo pene svettò libero e duro, caldo e tremante. Lo presi tra le mani per saggiarne larghezza e lunghezza, come fosse la spada creata da un artigiano, e cominciai a far scivolare la pelle sulla cappella, lentamente, tra i suoi gemiti di piacere ed impazienza. Mi fermai solo quando mi resi conto che stava per venire, quindi mi rimisi a gambe aperte su di lui, concentrandomi sulla sua lingua per farlo calmare.
Lo sentivo dibattersi sotto di me, aggrapparsi alla mia schiena, prendermi i fianchi, strusciandosi contro quell’apertura bagnata quasi ne dipendesse la sua vita. Solo a quel punto mi abbassai con calma e decisione, facendolo entrare tutto dentro di me con un gemito di piacere.
Anche il ragazzo gemette, liberando un fiotto bollente di sperma dritto nell’utero con mio sommo godimento. Non mi fermai, concentrata com’ero sul piacere che mi dava il sentire le pareti della mia vagina aprirsi e stringersi sul membro del ragazzo ad ogni mio più piccolo movimento. Sentivo umori e sperma mischiarsi e lubrificarmi in profondità ed aumentai il ritmo seguendo il suono umido del pene che scivolava dentro di me, fino a raggiungere la bocca dell’utero con la sua cappella.
Venni con un ansito quando il ragazzo si svuotò nuovamente, ma continuai il mio movimento ritmico costringendolo ad adeguarsi alle mie richieste e facendolo venire di continuo, fino a quando non fui sicura di avergli svuotato i testicoli completamente.
I suoi gemiti erano diventati un lamento roco e soddisfatto, le sue mani si aggrappavano ancora alle mie natiche con forza mentre mi alzavo, facendo colare parte dello sperma e dei miei umori sul suo pene ormai soddisfatto.
Mi inginocchiai, usando la bocca per pulirlo, gustandone il sapore forte e beandomi della sensazione di calore e appagamento che per il momento mi riempiva il ventre, dopo cdi che mi allontanai per lasciarlo ricomporre infilandomi la canotta e tornando verso l’angolo cottura. Il the era ormai freddo ma ne bevvi qualche sorso mentre il ragazzo si rivestiva in silenzio, ancora scombussolato.
Nel complesso l’esperienza era stata piacevole e intensa, ma ben lontana dai focosi amplessi che mi servivano per essere completamente soddisfatta. Il problema non era la durata in questo caso, ma l’inesperienza del ragazzo. Era sempre eccitante “prendersi cura” di un giovane così innocente, magari anche di una vergine, ma cominciavo a desiderare un partner in grado di stupirmi e di gestirmi…
Lo accompagnai alla porta qualche minuto più tardi e lo salutai facendogli l’occhiolino dopo aver firmato la bolla per il ritiro del pacco della mia vicina. Nonostante tutto mi rispose con un sorriso gentile e le guance di nuovo imporporate facendomi scappare una risata felice.
Forse sarebbe tornato a trovarmi, quando si fosse stancato della sua mano o della sua ragazza, ma in quel momento era troppo imbarazzato per farmi la domanda che gli occupava la mente e gli si leggeva negli occhi, così si limitò a voltarsi mentre scendeva le scale guardandomi un paio di volte, indeciso.
Chiusi la porta scuotendo la testa, ma mentre andavo in bagno per una doccia ancora sorridevo. Solo quando passai davanti alla camera mi ricordai del guardone del palazzo di fronte. Andai a controllare la finestra ma dello sconosciuto non c’era più traccia. Senza neanche pensarci presi un foglio dalla scrivania per lasciargli un messaggio, attaccato al vento della finestra. Non sapevo se e quando lo avrebbe letto, ma scrissi comunque un invito per il prossimo lunedì mattina, con tanto di orario nel caso volesse guardarmi ancora.
Inutile dire che il mio sorriso si era allargato mentre la mia mente vagava tra le idee che si rincorrevano su quello che avrei potuto mostrargli quel giorno.
La serata era piacevolmente tiepida, con un’arietta frizzante che trasportava le nuvole lontano dalla città, lasciando il cielo terso. Era finalmente arrivato il weekend, con le sue promesse di svago e piacere, anche se per chi lavorava in un’attività commerciale era il momento più pesante della settimana.
Il mio turno al bar sarebbe dovuto iniziare alle 23, così mi ero infilata in vasca per lavarmi e, visto che ero in casa da sola, decisi di approfittare di quella tranquillità.
L’acqua calda rilasciava un gradevole profumo di vaniglia, impregnando i miei capelli neri e la pelle accaldata, mentre un’intensa e persistente vibrazione stimolava il mio clitoride e la parete interna della mia vagina, solleticando il mio punto G e facendomi mugolare di piacere. A volte capitava che mi masturbassi prima dell’orario di lavoro, soprattutto per scaricare la tensione e non rischiare di trovarmi a metà serata troppo stressata dalle richieste pressanti e spesso sconclusionate dei clienti. Un’alternativa salutare a bere qualche bicchiere durante il servizio.
Sentivo il calore dei miei umori mischiarsi all’acqua e una piacevole frenesia farsi strada nel mio ventre, come increspature create da un sasso che cade in un laghetto, ma che invece di allargarsi e sparire si facevano più serrate e intense.
Aumentai la vibrazione lasciandomi sfuggire un sospiro soddisfatto, mentre le mani sfioravano i contorni dei miei seni soffermandosi sui capezzoli turgidi, tirandoli e giocandoci, per poi scendere verso la mia apertura bollente. Il vibratore a mezzaluna era discreto e sottile ed entrava tra le mie labbra allargando appena l’apertura. Inserii un dito, premendolo con più decisione verso la parete. Il calore esplose nel mio grembo come una scossa elettrica, risalendo per tutto il corpo e facendomi contrarre i muscoli in uno spasmo di intenso piacere, scemando a poco a poco e ritirandosi come un’onda dopo qualche minuto.
Mi rilassai di nuovo nell’acqua, diminuendo al minimo la vibrazione per regolarizzare il respiro e godermi la sensazione di riacquistare il controllo del mio corpo gradualmente .
Improvvisamente il cellulare cominciò a squillare facendo partire Youth of the Nation, la suoneria che avevo associato al mio capo. Piacevole idillio interrotto. Non erano neanche le nove e mi chiesi se non fosse possibile rimandare la chiamata, almeno per il tempo necessario a farmi concludere il test così promettente del nuovo giochino. D’altro canto lavoravo con Gianluca ormai da un anno e non mi aveva mai cercato senza un valido motivo, soprattutto se ci saremmo visti da li a poche ore.
Spensi il vibratore con un sospiro di rassegnazione, allungandomi sopra il bordo della vasca per asciugarmi le mani con l’accappatoio. Il vibratore si mosse, provocando un piacevole sfregamento sulla mia carne ancora sensibile e facendomi correre un brivido lungo la schiena nuda e bagnata.
Risposi alla chiamata, mettendo in vivavoce, con la voce ancora roca per l’orgasmo, come se non avessi parlato per giorni. Lo sentii fare una breve pausa, interdetto.
“Katia, stasera ho bisogno che tu mi raggiunga prima” disse, infine, senza tanti convenevoli dall’altro capo del telefono. La sua voce profonda si sentiva a stento sopra il sottofondo di gridolini e risate, mentre in lontananza si avvertiva appena la musica del locale: probabilmente era uscito apposta per chiamarmi e questo in parte spiegava la premura che avvertivo. “In quanto tempo puoi essere qui?”
“Posso arrivare tra circa mezz’ora se mi lasci il cancello di servizio aperto” gli risposi senza fare ulteriori domande, lieta che almeno il mio cervello avesse ripreso a funzionare a pieno ritmo. Quello che avevo sempre apprezzato del mio datore di lavoro era che non chiedeva mai un favore se non era strettamente necessario. Se aveva bisogno di me al locale doveva essere un’urgenza e in quel caso non lo avrei certo raggiunto a piedi.
“Ti lascio le chiavi per richiudere nel vaso, al solito posto”.
Lo sentì appena chiamare Lawrence, il nostro buttafuori, prima che la comunicazione si chiudesse senza ulteriori saluti, così mi alzai, cominciando ad asciugarmi, indecisa su cosa fare con quel piccolo gioiellino che avevo ancora tra le gambe. Un altro giro non mi sarebbe dispiaciuto, ed ero quasi certa che avrei avuto bisogno di una piccola distrazione visto la lunga nottata che si prospettava, ma era soprattutto l’idea di tenerlo mentre lavoravo, di rischiare di essere scoperta a portarlo che mi faceva eccitare, facendo viaggiare la mia mente verso possibili ed entusiasmanti risvolti della serata. Sorrisi quasi senza accorgermene lanciando il telecomando a controllo remoto nella borsa.
Sbocconcellando un toast lasciai i capelli bagnati, mi infilai un reggiseno a balconcino nero senza spalline e con la chiusura tra i seni, che abbinai a una brasiliana in cotone, una maglietta dello stesso colore che si legava dietro il collo, lasciando completamente scoperta la schiena e i fianchi, ma abbastanza lunga da coprire le natiche e farmi completare il tutto con un paio di leggings in finta pelle. Rimasi colpita nel constatare che il vibratore rimaneva comodamente fermo al suo posto, nascosto dalla lunghezza della maglia ed a malapena ci si rendeva conto della sua presenza al tocco. Sarebbe stato divertente testare quanto potente ed effettivamente discreto si sarebbe rivelato.

Entrai con la moto nel cortile di servizio dopo meno di 20 minuti parcheggiandola vicino all’entrata sul retro e smontai con l’adrenalina che ancora scorreva nelle vene ed il sorriso soddisfatto. Ogni occasione in cui riuscivo ad accendere il motore 4 cilindri e a sentirne il rombo cupo il mio cuore batteva di gioia. Chi non ha mai guidato una moto non può capire l’estasi che ne deriva, il misto di euforia e paura che si ha nell’avere tra le mani un bolide che ha il rischio di sfuggire al proprio controllo da un momento all’altro. In molti possono dire che amano le moto perché sono più scattanti nel traffico cittadino, perché permettono di sentire il vento sulla faccia e di divertirti sulle strade più tortuose, ma quelle sono cose che puoi fare anche con uno sgraziato scooterone. La verità &egrave che chi ama le grosse cilindrate ama la sensazione di essere sul ciglio del baratro e sfrecciarvi a velocità folle.
Recuperai le chiavi che mi aveva lasciato Gianluca e chiusi il cancello prima di entrare nel locale e venire accolta dai bassi della musica della pista principale. Lasciai la borsa nell’anticamera comune dove avevano sistemato gli armadietti in attesa che gli spogliatoi venissero resi di nuovo agibili, togliendomi il giubbotto e il pantalone da moto e finendo di prepararmi per la serata con un trucco appena più calcato sugli occhi e un rossetto color rame.
In corridoio trovai Gianluca, che borbottava tra sé e sé tornando in sala dal suo ufficio. Quando mi vide mi si affiancò, squadrandomi con attenzione per controllare se fossi pronta per iniziare la serata.
“Grazie per essere venuta con così poco preavviso; Tommaso ha avuto un piccolo incidente ed &egrave dovuto andare in ospedale a farsi dare un paio di punti. Dovrai prendere il suo posto al bancone principale, ho già messo a posto le tue cose” mi spiegò finalmente, lanciando uno sguardo dubbioso ai capelli ancora bagnati che formavano onde irregolari sulla schiena scoperta. “Spero di non aver interrotto nulla di importante con la mia chiamata”.
Trattenni una risata al pensiero di dirgli la verità e mi limitai a scuotere la testa “Non preoccuparti, spero solo che non sia successo nulla di grave” risposi, ma non seppi mai se avesse intenzione di continuare la discussione perché il boato della folla radunata sulla pista da ballo coprì qualunque altro suono.
Quella sera il locale era gremito e dalle porte principali continuava ad entrare un flusso costante di clienti che si riversava tra la pista, la sala secondaria con i divanetti e i due banconi bar. L’atmosfera era calda, elettrica e coinvolgente, la musica sembrava scivolarmi sotto la pelle, quasi costringendo ogni fibra del corpo a ballare.
Anche se solitamente la domenica lavoravo nella saletta mi diressi al banco principale, proprio davanti alla pista da ballo, godendomi il ritmo vibrante che stava mandando su di giri la sala mentre raggiungevo Michele, il bartender con più esperienza nel locale. Era lui che mi aveva guidato le prime sere dopo la mia assunzione, dandomi consigli e dritte sul lavoro. Lavorava con Gianluca da quando il locale aveva aperto, sei anni prima. Ora non capitava spesso che ci trovassimo allo stesso bancone insieme, se non in casi di particolare ressa come quella sera, ma mi trovavo molto bene a dividere la postazione con lui e non solo perché era molto bravo nel suo lavoro. Era attraente con il piercing al sopracciglio, i capelli bruni legati in un codino e la barba lunga ma curata, ci divertivamo a stuzzicarci a vicenda quando la serata lo permetteva e questo contribuiva a far passare più velocemente il tempo.
Mi fece l’occhiolino per salutarmi, allungandomi uno shottino di black russian come benvenuto.
“Mandalo giù, ti voglio carica stasera!”
Scossi la testa con un sorriso, buttando giù il contenuto del bicchierino tutto d’un fiato. Il calore del liquore mi pervase la gola e lo stomaco, dandomi una piacevole sferzata di energia. Presi da sotto il bancone la valigetta con gli “attrezzi” e richiamai l’attenzione di un gruppo di ragazzi che faceva la fila per essere servita da Michele. Il turno era ufficialmente iniziato.

La serata proseguì senza intoppi. Io e Michele preparavamo cocktail a flusso continuo, concedendoci qualche battuta tra di noi e con i clienti più simpatici ogni tanto. Al contrario di altre sere altrettanto caotiche non ci furono problemi particolari con clienti troppo insistenti, anche se più di una volta mi ritrovai il bancone invaso di avventori brilli che chiedevano il mio numero di telefono. Al mio collega andava meglio, quantomeno perché i numeri li riceveva su tovaglioli, fogli di carta e notes che poteva tranquillamente conservare sotto il piano bar. La moltitudine di clienti cominciò a diradarsi dopo le tre, permettendoci di alternarci al servizio mentre a turno ci prendevamo una pausa.
Quando riuscii a raggiungere lo spogliatoio avevo le spalle e la schiena contratti per la stanchezza ed un principio di mal di testa. Adoravo il mio lavoro, ma non potevo dire che fosse una passeggiata servire una simile quantità di clienti, gestendo contemporaneamente i più intraprendenti, flirtando un po’ con tutti senza dare troppa corda a nessuno. Anche la musica della pista che ad inizio serata riusciva a dare la carica, dopo sette ore diventava un rimbombo sordo alla base del cranio.
In particolare, però, mi dispiaceva essere riuscita a sfruttare così poco il nuovo giochino, così decisi che era il momento buono per vivacizzare la serata: sarebbe stato un peccato finire il turno sottotono.
Impostai la vibrazione ad un’intensità intermedia, con variazioni di ritmo minime ma costanti, e rimasi alcuni secondi a godermi la sensazione di piacere che si spandeva delicatamente dal basso ventre. Intorno a me altre colleghe entravano ed uscivano dallo spogliatoio e immaginai che una di loro mi sorprendesse a causa dell’espressione del mio viso o si accorgesse di qualcosa, riferendolo a Gianluca.
L’idea del rischio che correvo a essere scoperta dal mio capo o da uno dei clienti mi fece correre un brivido lungo la schiena mentre tornavo verso il bancone. Un paio di volte colsi Michele a guardarmi di sottecchi e la cosa aumentò la mia eccitazione già alta, spingendomi a rendere i movimenti del mio corpo più sensuali, quasi lascivi. Da come mi guardava ero quasi sicura di averlo fatto eccitare in alcune occasioni, ma solo una volta riuscii ad averne la certezza: scivolando davanti a lui con la scusa di dover raggiungere un bar spoon, sfregai le mie natiche contro il suo bacino -un movimento COMPLETAMENTE casuale- sentendo la dura e considerevole erezione del collega contro la mia carne. Mi leccai le labbra senza quasi accorgermene.

Solo alle cinque di mattina passate la pista da ballo rimase finalmente deserta. I pochi ospiti rimasti erano per lo più quelli troppo ubriachi per alzarsi dai gradoni o quelli che si erano concessi la comodità dei divanetti privati. Le cameriere giravano per raccogliere i bicchieri rimasti incustoditi negli angoli più impensabili mentre Lawrence e Gianluca si occupavano dei clienti più chiassosi accompagnandoli all’uscita. Michele si era allontanato dal bancone da una ventina di minuti, mentre io stavo cominciando a ripulire i piani di lavoro e parte delle attrezzature usate durante la serata. Avevo ancora in circolo l’alcool dell’ultimo cocktail che mi aveva preparato Michele a causa dell’invito di un gruppo di ragazzi a brindare con loro, e anche se non potevo certo definirmi ubriaca mi sentivo abbastanza su di giri, complice anche il piccolo segreto che vibrava ancora docilmente tra le mie gambe.
Lawrence si avvicinò alla mia postazione, sedendosi pesantemente su uno sgabello e allungandomi un bicchiere ormai vuoto. La carnagione scura e il fisico imponente risaltavano in maniera quasi esagerata a causa dell’aderente camicia bianca che comprendeva la sua divisa da lavoro.
“Dammi qualcosa da bere, qualunque cosa pur che ci sia dentro della vodka” mi disse sbadigliando, con la voce lievemente impastata di chi non &egrave al primo bicchiere. Aveva addosso l’odore pungente del fumo e lo sguardo stanco di chi dorme troppo poco da troppi giorni, così scelsi io per lui, optando per un drink che aveva apprezzato qualche sera prima.
“Il secondo lavoro ti sta sfiancando?” chiesi chiudendo l’acqua del lavandino, ma non sentii la sua risposta.
Una scarica improvvisa di piacere mi percorse tutto il corpo, facendomi sfuggire di mano lo shaker e troncandomi il respiro. Mi aggrappai al bordo del lavandino con gli occhi spalancati e il fiato corto mentre il vibratore impazziva contro le pareti della mia vagina, portato al massimo della potenza. Mi morsi il labbro per non urlare e tenni la testa chinata sentendo il calore affluirmi al viso e calde gocce scivolare dal mio sesso. Nel mio ventre si era aperta una voragine che smaniava di essere riempita e avevo le gambe tremanti e instabili.
La vibrazione si attenuò dopo quella che mi parve un’eternità e cercai di regolarizzare il respiro, riportando l’attenzione sul buttafuori che mi guardava confuso.
“Tutto bene?” mi chiese premurosamente “Hai le guance arrossate”
“Credo di essere stanca anche io, ho avuto una specie di mancamento” risposi quando finalmente riuscii di nuovo a parlare. La mia voce suonò roca e incerta e quando lo guardai negli occhi vidi nel suo sguardo accendersi una scintilla di eccitazione. Mi ritrovai a chiedermi se si fosse accorto di quello che era successo nonostante l’ebrezza dell’alcool, e cosa avrebbe pensato conoscendo la verità. Avrebbe intuito il motivo di quello strano comportamento? Avrebbe pensato che fossi solo ubriaca? Più di tutto però ero curiosa: volevo vedere la reazione del suo corpo, volevo sapere se il suo pene era diventato duro alla vista della mia faccia goduriosa.
Il vibratore si riaccese di colpo, concentrando le vibrazioni unicamente sul clitoride. Serrai le mani sul lavandino e chiusi gli occhi, stringendo le cosce nel vano tentativo di placare le ondate di piacere.
“Mi piace la tua espressione di godimento, sembra quasi disperata” mi sussurrò all’orecchio Michele, facendomi sussultare. Ero talmente concentrata sulle sensazioni che provavo e sul cercare di controllare il mio corpo impazzito che non mi ero neanche accorta che fosse tornato. In testa mi rimbombava solo l’idea di essere stata scoperta e il suo sguardo incuriosito, ardente e volutamente impudente contribuì non poco ad aumentare il mio bisogno già alle stelle. L’eccitazione che mi provocava la situazione, il ghigno libidinoso che si andava ad aprire sempre di più sulle labbra del mio collega, il suo sguardo che continuava a vagare con insistenza sul mio viso e sul mio corpo, uniti al piacere fisico che mi dava il vibratore continuando a stimolare il clitoride fin troppo sensibile non facevano che aumentare il mio bisogno di essere riempita. Persino lo sguardo, divenuto attento, del buttafuori mi infervorava.
Mi sforzai di finire il negrosky per Lawrence, dando la schiena all’uomo per prendere il ghiaccio da mettere nell’old fashioned. Mi chinai a prendere del frigo la bottiglia di vodka e il campari, tenendo le gambe ben tese per lasciare intravedere le mie forme sotto la maglia lunga.
Quando mi rialzai per raggiungere anche il vermouth rosso Michele si voltò verso di lui e, facendogli l’occhiolino cominciò ad alzare lentamente i lembi del top. Fece scorrere la fascia elastica sul tessuto liscio dei leggings, mettendo poco a poco in mostra le rotondità delle mie natiche. In un anno di lavoro insieme non si era mai permesso un contatto così ravvicinato. Mi sembrò quasi di sentire la scia bollente dello sguardo del buttafuori scendere lungo la mia schiena e soffermarsi imbambolato sulle mie curve fasciate, neanche fossi completamente nuda.
“Accidenti amico, in un culo così ci farei ben più di un giro” lo sentii esclamare con la voce carica di eccitazione. Lo guardai da sopra la spalla lanciandogli un sorriso provocante e sporgendo verso di lui le anche, per lasciargli avere una visuale migliore mentre mescolavo gli ingredienti.
“Ecco qui, scusa l’attesa” dissi dopo un paio di minuti. Mi appoggiai con noncuranza al piano di lavoro dietro di me, cercando di dissimulare le mie voglie meglio che potevo. Avevo i capezzoli turgidi che continuavano a sfregare quasi dolorosamente contro il tessuto del reggiseno.
“Ne &egrave valsa la pena, vero amico?” si intromise Michele, guardandomi dritta negli occhi e infilando una mano nella tasca del grembiule. Seguii il movimento della mano con un misto di ansia e curiosità, notando la sua palese erezione nonostante gli strati di tessuto. L’intensità della vibrazione sembrò finalmente scemare, dandomi un attimo di respiro, ma non feci in tempo a gustarmi quel momento di calma che venni sommersa dal piacere causato dalle pulsazioni che avevano lasciato il posto alla classica vibrazione. Ansimai, coprendomi appena in tempo la bocca con la mano, troppo al limite per evitare l’orgasmo, ma abbastanza in me da riuscire ad evitare che le gambe mi cedessero, facendomi scivolare a terra. Cercai di simulare uno sbadiglio, ma avevo le guance arrossate e gli occhi lucidi, tra le gambe avevo un lago palpitante che chiedeva di essere soddisfatto. Chiunque si sarebbe accorto che non ero la solita Katia.
Lanciai al mio collega uno sguardo divertito, mentre un sorriso languido si apriva sul mio volto. Quindi era lui che si stava dilettando a farmi impazzire, era dovuta a questo la sua eccitazione e il suo comportamento. Ero talmente concentrata su di lui che quasi non mi accorsi del sorrisetto del buttafuori, di come finì di scolarsi il drink per poi alzarsi e raggiungere il capo che stava cominciando a fare uscire gli ultimi avventori dopo aver spento la musica e sancito la chiusura del locale. Gran parte del personale cominciò a dirigersi verso gli spogliatoi, chiacchierando sottovoce. Dopo tutta la serata in mezzo al frastuono quel silenzio sembrava una manna dal cielo.
Michele si mise a trafficare con i bicchieri sul bancone, quasi cercando di perdere tempo.
“Come hai fatto ad aprire il mio armadietto?” gli chiesi. Ero sicura di averlo chiuso dopo la pausa.
Lui mi rivolse un ghigno, tirando fuori le mie chiavi dalla tasca posteriore dei jeans e agitandole davanti al mio viso. Ero incredula.
“Le ho prese dalla tua valigetta mentre il mio amico ti teneva impegnata. Volevo farti uno scherzo, ma quando ho visto questo gingillo nella tua borsa mi &egrave sembrato un peccato non approfittarne…” mi rispose, avvicinandosi. Allungò una mano tra le mie gambe, sfregando le dita sul vibratore che copriva il mio clitoride. “Non pensavo ti piacessero questo genere di passatempi”.
La sala principale si era svuotata, i fari erano stati spenti lasciando accese solo le luci più soffuse della gradinata della pista e della zona bar, che tingevano il locale di un tenue azzurro. Guardandomi in giro non vidi nessun altro e mi sembrò il momento giusto per concludere la serata in bellezza.
“Non mi dispiacciono’ Ma ci sono altre cose che preferisco di gran lunga” lo stuzzicai, accosciandomi davanti a lui e aprendogli i jeans lentamente, un bottone alla volta. Il pene già completamente eretto faceva capolino dai boxer, in attesa, così gli abbassai i pantaloni lo stretto necessario per liberarlo. La cappella era quasi del tutto scoperta, la pelle era bollente e liscia. Presi la punta tra le labbra, stringendole per far scendere la pelle insieme al mio movimento mentre introducevo in bocca poco a poco tutto il suo membro. Lo sentii gemere mentre mi appoggiava una mano sulla testa, accarezzandomi i capelli. Cominciai a muovermi ritmicamente, bagnandolo con la mia saliva quasi su tutta la lunghezza, giocando con la lingua, succhiando delicatamente. La sua pelle aveva un odore piacevole che non riuscivo a definire, con un retrogusto dolce senza essere invadente.
“Michele vi manca molto? Io vorrei andare” la voce di Gianluca ci raggiunse dall’altra parte della sala, facendo irrigidire il mio collega. Spostò il peso in avanti, immobilizzandomi con la schiena contro i frigoriferi sotto il bancone. Il suo pene scivolò nella mia bocca con facilità entrandomi in gola con un suono umido. Lo sentii tremare di piacere mentre la saliva cominciava a riempirmi la bocca, colandomi tra le labbra e scivolandogli sui testicoli.
“Non preoccuparti, ci penso io a chiudere stasera” rispose con la voce incredibilmente ferma. Deglutii a fatica facendogli sfuggire un lamento e si tirò indietro di qualche centimetro, riuscendo finalmente a farmi respirare.
“Dov’&egrave Katia? Mi sembrava strana stasera”.
Ricominciai a muovermi lentamente, prendendo il membro in bocca fino alla base e ritirandomi nel poco spazio che mi aveva lasciato.
“Credo fosse un po’ stanca, &egrave andata in bagno a sciacquarsi il viso. Non preoccuparti, mi occupo io di lei”. Anche senza vederlo sapevo che quell’affermazione lo aveva fatto sorridere. Probabilmente avrei sorriso anche io se non avessi avuto la bocca così piena.
Sentii i passi di Gianluca allontanarsi e Michele cominciò a muovere le anche, aumentando il ritmo. Ritirava il pene fino a lasciarmi in bocca solo la punta, poi lo inseriva completamente con un’insolita delicatezza. Alzai lo sguardo verso di lui, trovandolo che mi guardava, il viso arrossato contorto in una smorfia di piacere. Sentivo i miei umori umidi colare tra le gambe, le mutandine ormai fradice, la voglia fisica di essere impalata che quasi mi impediva di pensare ad altro.
All’improvviso arretrò, il pene pulsante collegato ancora alla mia bocca da una scia di saliva densa. Mi alzò quasi di peso e mi infilò la lingua in bocca, tenendomi ferma la testa con una mano mentre con l’altra scendeva lungo la schiena nuda, fino al morbido spazio tra le natiche.
Ricambiai inarcando la schiena e spingendo il bacino in fuori, contro la sua mano, alla ricerca di qualcosa che placasse le voglie che si stavano scatenando nel mio basso ventre. Il suo membra caldo mi premeva contro la pancia, sporcando di saliva il tessuto sottile della maglietta attraverso il quale sentivo il suo calore.
Feci scivolare a terra i suoi jeans ed i boxer senza smettere di giocare con la sua lingua, mentre lui mi toglieva il reggiseno, lanciandolo senza molta attenzione sul bancone. I capezzoli duri svettarono liberi, ben visibili sotto il top e sensibilissimi al suo tocco. Scese a morderne uno attraverso il tessuto mentre cominciava a sfilarmi i leggings, un centimetro alla volta, facendomi impazzire nell’attesa. Ormai smaniavo dalla voglia di essere presa, avevo il respiro rotto dall’eccitazione e il vibratore non bastava più a soddisfarmi. Lo pregai con un gemito di prendermi.
“Andiamo, non essere impaziente'” mi disse ridendo, facendo scivolare le sue mani lungo la pelle morbida delle gambe per togliermi la costrizione dei pantaloni in finta pelle. Li lanciò lontano, senza nemmeno guardare dove fossero caduti e tornò a concentrarsi sui miei capezzoli, ignorando i miei mugolii delusi. Ogni suo movimento faceva nascere scariche di desiderio nel mio corpo che non facevano che aggravare il mio bisogno. Sentivo un vuoto immenso tra le gambe. Le sue mani tornarono ad afferrarmi le natiche, aprendole, ed il rumore umido dei miei umori lo fece trasalire. Vidi crescere la cupidigia nei suoi occhi e, finalmente, lasciò perdere la delicatezza. Mi strappò di dosso le mutandine, sollevandomi di peso contro il suo corpo asciutto. Con le gambe mi aggrappai alla sua vita, lasciando che posizionasse il pene lungo la fessura umida delle mie labbra.
Mi penetrò con un unico colpo, scivolando lungo il vibratore bagnato, allargando le pareti cedevoli della mia vagina e facendomi urlare di piacere. L’orgasmo esplose come una bomba, facendomi rovesciare la testa all’indietro e contrarre tutti i muscoli. Lo sentii lottare contro il piacere causato dai miei spasmi e dalla vibrazione continua del toy, per non inondarmi subito di sperma. Ogni cellula del mio corpo tremava e mi aggrappai a lui per non rischiare di scivolare, ma volevo di più.
Quando ricominciò a muoversi dentro di me cercai di seguirne il ritmo e assecondarne i movimenti, preoccupandomi di far uscire completamene il suo pene prima di riaccoglierlo ad ogni spinta. Mi appoggiò contro il bancone, facendomi sedere per entrare più in profondità, prendendo le gambe dietro le ginocchia per divaricarle di più. Il suo ritmo martellante mi riempiva la testa, impedendomi di pensare a qualunque altra cosa non fossero le sue profonde spinte. Appoggiata ai gomiti osservavo quasi incantata il suo membro entrare e uscire dalle mie labbra gonfie, sempre più bagnato dai miei umori.
“Apri la bocca” mi ordinò piegandosi su di me. Obbedii, accettando la saliva che stava facendo gocciolare dalla sua lingua alla mia. Gliela presi in bocca cominciando a succhiargliela come se fosse un pene e con un grugnito lo sentii riversare sperma bollente dentro di me, riempiendomi.
Fece qualche passo indietro, osservandomi. Avevo i capelli sfatti, le labbra rosse, le guance bollenti. Il top cadeva di lato mettendo in mostra un seno sodo, con il capezzolo rosato duro ed eretto. Sentivo i nostri fluidi mischiati colarmi dalle labbra ancora aperte, sporcando lo sportello in acciaio di un frigorifero. Allungai una mano per togliere il vibratore, ma lui mi bloccò con un sorriso malizioso.
“Eh no, Kat. Non ho ancora finito con te”
Raccolse i jeans, ripescando il telecomando da una delle tasche, prima di farmi girare e piegare a novanta sul bancone. La mia pelle nuda poggiava direttamente sulla fredda superficie di metallo e i seni erano schiacciati dal peso della mano sinistra di Michele che spingeva tra le mie scapole, tenendomi bloccata in quella posizione. Cercai di voltarmi per capire cosa volesse farmi, ma mi costrinse a tenere il viso puntato in avanti, immobilizzandomi anche la testa con una mano sul collo, alla base della nuca.
Lo sentii infilare il pollice nella mia vagina bollente, allargando le grandi labbra insieme alla natica destra, poi accese il vibratore. Tenne il dito immerso nella mia carne, giocando con il toy, muovendolo, spingendolo e tirandolo per vedere quali fossero le mie reazioni, poi mi penetrò di nuovo con un sonoro affondo. Il suo pene schiacciava il giochino in silicone contro la mia parete, premendolo contro il mio punto G. I miei umori mischiati al suo sperma rendevano agevoli i suoi movimenti, sentivo le pareti della mia vagina stringersi appena il suo membro si ritirava, cedendo poi ad ogni sua penetrazione. In quella posizione riuscivo ad avvertirlo contro tutte le mie pareti, andare a fondo fino a raggiungere con la cappella l’entrata del mio utero.
Ansimavo pesantemente ad ogni sua spinta, estasiata da quella sensazione di pienezza e dai gemiti quasi animaleschi che provenivano dalla sua gola: sembrava che la vibrazione contro i suoi testicoli fosse piacevole anche per lui.
Con il pollice bagnato cominciò ad accarezzare l’apertura del mio ano. Disegnava cerchi concentrici sullo sfintere che mi facevano andare in estasi, prima delicatamente, poi con sempre maggior convinzione. Quasi senza accorgermene i muscoli si rilassarono e sentì il dito entrare a poco a poco mentre continuava i suoi movimenti lenti, alternando quelli circolari a una leggera penetrazione. Stavo impazzendo.
“Senti come sei rilassata qui'” gemette, aprendo di più il buco. Quasi speravo che usasse anche l’altra mano per aprirmi di più, volevo che continuasse a giocare con il mio sedere fino a farmi venire.
Mi afferrò i capelli, tirandomi leggermente su la testa e solo allora mi sembrò di notare qualcosa sotto l’arco della porta che conduceva al retro. Il corridoio era buio ed i miei occhi si rifiutavano di mettere a fuoco, ma tra le ombre mi sembrò di distinguere la camicia chiara di Lawrence.
Mi chiesi se fosse li per controllare semplicemente il locale o per vedere che fine avevamo fatto. Però stava guardando noi. Guardava me, mentre venivo sbattuta sul banco di lavoro, mentre gemevo perché mi piaceva essere scopata con forza, mentre avevo un vibratore ancora infilato tra le gambe e un dito che mi esplorava il culo.
La mia mente cominciò a svuotarsi, i pensieri vennero cancellati. Non esisteva altro se non il piacere che mi bruciava il corpo.
I miei seni ondeggiavano ad ogni spinta di Michele, volgari e morbidi, sfuggendo alla protezione della maglietta e facendomi quasi male. Li strinsi tra le braccia per mostrarne la consistenza al nostro osservatore curioso e aprii la bocca, tirando fuori la lingua, in un invito eloquente.
Cominciai a muovere il bacino per accogliere quel pene grosso e duro ancora più profondamente nel mio corpo. Il calore montava nel mio ventre ad ogni movimento, il piacere di espandeva ad ogni cellula in onde continue che sembravano travolgermi. Non riuscivo più a pensare. Inclinai le anche, portando le natiche verso l’alto. La sua punta scivolò nella stretta bocca del mio utero, violandolo e facendomi urlare di piacere in un nuovo orgasmo, intenso e animalesco.
Crollai esausta sul bancone mentre Michele mi riempiva nuovamente di sperma bollente, continuando a muoversi per non interromperne il flusso. Sembrava quasi che il mio ventre si stesse dilatando per accogliere tutti i suoi liquidi e ad ogni getto il mio corpo tremava di piacere incontrollato.
Mi alzai lentamente una volta che si fu ritirato, sentendo il calore scivolare tra le cosce e ci guardammo per alcuni istanti. Non ero ancora tornata padrona della mia mente e del mio corpo, ma mi avvicinai al suo viso per baciarlo di nuovo.
Guardai l’orologio. L’impresa di pulizie non sarebbe arrivata prima di qualche ora. Spostai le labbra lentamente verso il suo orecchio, facendo aderire i miei seni al suo corpo e scendere la mano verso il suo membro umido.
“Vediamo quante altre volte riesci a farmi godere prima di finire la stamina” gli sussurrai lasciva, chinandomi. Il suo sorriso fu l’unica risposta di cui ebbi bisogno.

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