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Racconti Erotici Etero

CRONACA DI UNA SCOPATA PAGATA

By 3 Marzo 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Solo dopo aver raggiunto la soglia della depressione da astinenza mi sono deciso a farlo.
Il suo numero me l’ha passato un mio amico a cui l’aveva dato un conoscente che era stato con lei qualche volta.
L’ho chiamata. Aveva un accento vagamente spagnoleggiante, forse sudamericano. Mi ha detto qual era l’indirizzo. Ma questo io già lo sapevo, era nella lista dei numeri di telefono che avevo ricevuto. Pensavo che mi avrebbe fissato un orario preciso, piuttosto. Invece ha detto solo che mi aspettava, di andare presto.
Ho fatto la doccia e mi sono sbarbato. Chissà se questo &egrave previsto dall’etichetta che si segue in questi casi e chissà quali altre regole uno deve effettivamente osservare. Mah, mi sono detto, mi muoverò in punta di piedi, come per qualsiasi “prima volta”. Me lo farà capire lei, cosa posso o non posso fare.
Poi mi sono recato nelle vicinanze della strada, ho individuato da lontano il numero civico.
Sentivo scariche di adrenalina irrorarmi la testa e il torace. Come solo un vero disperato può pensare di fare, in bilico sulla soglia del proseguo o non proseguo, sono entrato in un bar ed ho bevuto un caff&egrave, come se l’agitazione non fosse già abbastanza.
Vaffanculo, mi sono detto, vaffanculo brutta testa di cazzo, crepa. E che crepino tutti, che tutto finisca. In libertà. Vaffanculo.
Sono uscito dal bar e, ad ampie falcate, mi sono avvicinato al civico. La brutta nera strada di periferia era un fiume di sole nel primo pomeriggio di febbraio. Non c’era tanto movimento, dopo pranzo.
La porta era piccina, di ferro e vetro, sul marciapiede della strada. Ho visto il cognome ed ho suonato.
Con tono mellifluo dopo avere registrato il mio nome ha detto “Ah sì, ciao, senti ho ancora un cliente, puoi ripassare tra dieci minuti, eh ?!”
Eh.
“D’accordo, tra dieci minuti”
“Sì, a dopo tesoro”
Ho fatto un paio di giri dell’isolato.
L’adrenalina stava pompando ancora e avevo il sapore del caff&egrave amaro nel palato.
Quando mi sono ripresentato, stavolta mi ha aperto “E’ la porta a sinistra in fondo al corridoio”
Sono entrato in un corridoio buio e umido, come avevo visto solo una volta nell’ingresso della casa di una mia zia vecchia. In fondo a sinistra trovo un’altra porta a vetri, questa di legno. Mentre mi avvicino esce un uomo, veloce. Abbassiamo entrambi la testa, ci si ignora. Percepisco lo stesso in qualche modo che &egrave un uomo anziano, forse un vecchio. Si allontana. Dalla soglia della porta a vetri, vedo un piccolo ingresso con una seconda porta sulla quale si affaccia una donna.
E’ una bella mora che a prima vista giudico sui trentacinque anni, ma potrebbe averne anche trenta, non tanto alta, attorno al metro e sessanta, la pelle olivastra, color cappuccino per meglio dire, i capelli neri lisci mossi lunghi.
Dice “Vieni, vieni qua, dai”, dice “Fatti vedere”, dice “Ti piaccio ?”, dice, anzi cinguetta “Senti, sei un bel ragazzo. Ti faccio godere….Godiamo insieme, eh ? Prendo centomila, eh ?”.
Farfuglio qualche parola, ma soprattutto sorrido, come un bambino beccato dalla madre con la bocca sporca di marmellata. Passo. Chiudiamo la porta insieme. Siamo dentro. La prima stanza &egrave già la camera. Il letto &egrave appena stato rifatto.
La guardo meglio, ora. Ha solo una vestina a fiori, tutta aperta sul davanti. Ha un reggiseno bianco liso, con dei fiorellini rossi cuciti sopra in rilievo, che non copre interamente le areole scure, anzi lascia scoperta la parte superiore quasi fino ai capezzoli. Ha una mutandina rosa, che, già prima di vederle il culo, si intuisce essere un tanga. Giarrettiere bianche in vita, ma non ha le calze.
Mi dice “Bel ragazzo, davvero”, mi dice “Spogliati amore”.
“Grazie”. Mi spoglio.
Dice “Ora andiamo in bagno che ti lavo il cazzo, eh ?”
Mi accompagna al bagno davanti a un lavandino, si toglie la vestina.
Le tocco subito il culo. E questo comincia a farmi entrare nella situazione. Sorride. “Aspetta ancora un po’, dai, amore”. Il culo &egrave tosto, tonico. Il filino rosa del tanga le sta un po’ largo sopra il solco. Sei come una bambola di cappuccino e raso rosa, penso. Le tocco una tetta, famelico come un bambino, mentre lei, standomi di lato, mi scappella con delicatezza l’uccello, lo bagna, lo insapona, lo sciacqua. L’uccello mi si sta allungando ma non &egrave ancora ben duro, non sono ancora pienamente a mio agio.
Ora si &egrave messa di fronte a me per facilitarmi la tastata di tette. “Toglimi il reggiseno….”, dice. Glielo sfilo da sopra la testa, lei allunga le braccia e le vedo la pelle più chiara delle ascelle depilate ed il mio uccello punta questa donna e adesso la tromberei proprio, adesso che le vedo le due tette cappuccino, una bella quarta misura, con le venuzze violacee sotto pelle che arrivano alle areole scure, ai capezzoli quasi neri, che attacco a ciucciare uno dopo l’altro. Da sotto in su intravedo un mezzo sorriso di compiacimento, ma subito mi ferma e mi dice “Oh, amore, ora dai sì scopami, dai, vai sul letto, dai, ora godiamo, sì” e mi sposta verso il letto e questo essere guidato mi piace meno, ma mi stendo, con l’uccello che vibra, grosso e duro.
Lei in piedi si sfila le mutandine, si sgancia il reggicalze che fa cadere a terra un po’ teatralmente e vedo il pelo nero santo e immortale e lei &egrave già sul letto con me, sopra di me e vorrei stringerla a me, farla mia, ma la sento aderire addosso al mio corpo solo appena appena e dopo un attimo si solleva ed apre un profilattico e, cosa che non avevo mai provato prima, me lo infila sull’uccello con la bocca.
Sento la sua bocca calda avvolgermi l’uccello. E me lo succhia. E me lo succhia.
Aaah, bene.
Che faccio, penso, vengo così ?
Ma, la frenetica, come avendo percepito i miei pensieri, si stacca, si volta e si sdraia.
“Ora scopami amore, che sennò vieni subito”, finge di essere preoccupata.
Le monto sopra e intravedo il profilattico giallastro sul mio uccello dalla punta rossa. La guardo, le accarezzo le cosce. Non sono tanto calde. Scendo per darle un bacino vicino alla fica nera e cappuccino e rosata sulle labbra, molto spiacente di dover evitare di leccargliela come invece piace fare a me. Lei ferma il respiro per un attimo, sorpresa, si limita a ripetere “Scopami amore”.
Allora rialzo la testa, avvicino l’uccello alla fica, lei lo afferra con entrambe le mani e lo accompagna dentro di sé. Non &egrave umida, purtroppo, ma, cristo, &egrave una bella passera. Lei stessa assesta due o tre colpi di reni per farlo entrare meglio nella sua fessura asciutta, poi sono io che comincio a pompare.
Lei intanto, padroneggiando la situazione, mi afferra il culo e mi tira vicino a sé. Ha una bocca bella carnosa, gli occhi sono due spilli neri, la bocca sembra un’altra fica e lei straparla “Aaah, siiii amore mio, aaah scopa scopa scopami ah, ma come, ma come mi scopi, ah sì lo sento, ah ma dai così dai che fai godere anche me ah ah così bello così ah ah vieni vieni”.
E la pompo e la pompo e la pompo forsennatamente e mi sento un cazzo sempre più grosso e pulsante, però quanto parla questa, ed io non le posso dare niente, tipo baciarla o dirle ‘sei la mia puttana’ per scherzo, perché lo &egrave davvero una puttana e anche quello che prendo da lei non &egrave conquistato, ma lo pagherò col denaro, lo stesso denaro con cui ci pago la benzina o il giornale o il cappuccino la mattina.
Già, questa bella pelle di cappuccino. Ancora bella nonostante l’abuso che ne fa ogni giorno. E lo fa per campare, o almeno per campare come vuole campare lei. Ma cazzo, qui sto pensando troppo. Prendiamo quello che si può prendere. Allora finalmente provo a impormi e ci riesco, forse più per suo annoiamento che per altro, ma tiro fuori il cazzo, la giro di schiena, le afferro la pancia, la sollevo e la metto a pecora.
Contemplo il culo tonico e il buchino scuro in mezzo, sopra al pelo nero della fica, alle labbra della fica, ma non so se posso farle anche il culo o no. Glielo punto alla fica e ce lo infilo. La fotto a pecora afferrandomi alle chiappe, strizzandole, impastandole, ma la sento davvero asciutta e inerte e mentalmente mi sto già un po’ ammosciando. Dico “Senti, posso anche mettertelo nel culo ?”.
E qui capisco il valore aggiunto di certi sfizi perché lei dice “Certo, toglimelo dalla fica e aspetta un momento”.
Lo sfilo e lei si allunga elastica sul letto fino al comodino, dove con due dita prende da un barattolo aperto un po’ di unguento che prima mi spalma con cura sull’uccello infiammato, ahim&egrave ancora coperto di gomma, e poi, dopo essersi voltata di schiena per farmi guardare mentre lo fa, si infila nel buco del culo, da dietro, con gesto lento. Quindi si piega a pecorina, comincia a ondeggiare col culo e, voltando appena la testa, dice “Ora puoi incularmi”. Mi metto in posizione ben eretta, in ginocchio, ed appoggio il glande a quel buchetto bruno da cui si affaccia un po’ di unto bianco. Grazie all’unguento, pigiando entro senza troppa difficoltà, anche se di culo &egrave piuttosto stretta. Quando affondo, le mie palle sbattono sulla sua fica ed abbrancandola arrivo a sfiorarle le tette penzolanti con le mani.
Ora non ho pensieri e sento salire dentro di me il parossismo di dominarla, di fotterla nel culo, di possederla, con un uccello che mi sembra abbia raggiunto le dimensioni di un palo congestionato, di un mattarello. Do una decina di colpi così, ben meditati, affondando l’asta in tutta la sua lunghezza e per tutta la lunghezza delle sue viscere e lei ora non parla più, ma solo la sento fare, tra il rassegnato e il languido, “Mm, Mm, Mm, Mm…”. Le ultime cose che vedo sono la sua colonna vertebrale sotto la pelle della schiena e i suoi capelli neri di bella maiala che sussultano sopra e oooh (sborroooo), oooooh (sborroooooo), ooooooh, sborro tutto quello che ho nelle palle, col cazzo ben ficcato dentro al culo di Helenia.

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