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Racconti Erotici Etero

Di una notte di tempesta

By 8 Marzo 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

La pioggia batteva violentissima ai vetri della mia finestra: dormire sembrava impossibile, molto più che anche un vento forte e freddo sferzava la mia città. Sembrava davvero una di quelle notti in cui i lupi mannari escono a cercare le loro prede. Io mi sentivo felice e serena di essere a casa, nel mio letto, coccolata dal calore del piumone e senza il bisogno di mettere il naso fuori casa. Era un sabato sera, ancora presto per andare a dormire; effettivamente mi resi conto che non avevo cenato. Avevo trascorso la mia giornata a poltrire dentro al letto e ora, che più o meno erano le nove, mi si era formata una voragine nello stomaco.
Di mettermi in cucina a spadellare proprio non avevo voglia, così decisi di chiamare le consegne a domicilio e farmi portare del cibo giapponese. Cibo giapponese a letto: che delizia! Già mi gustavo quei sapori nella bocca, quella consistenza, del tutto ignara di ciò che di lì a poco mi sarebbe successo.

Attesi che il garzone del ristorante venisse a consegnarmi la cena e la mia meraviglia fu doppia quando al citofono sentii una voce assolutamente occidentale chiedermi a che piano. Quando aprii la porta, mi trovai di fronte un ragazzo poco più che trent’enne, con gli occhi azzurri come il mare. Era completamente zuppo, ma aveva un sorriso da far risvegliare i morti. Quando lo vidi, rimasi un pò interdetta. Lui entrò in casa, giusto per appoggiare la borsa del cibo e darmi la mia cena. Pagai e, mentre stava per andarsene, dalla mia bocca uscirono queste parole: “mi dispiace averti fatto uscire con questo tempaccio. Scusa”. Non sapevo nemmeno io per quale ragione gli stavo dicendo queste cose, perch&egrave in effetti lui stava solo e soltanto facendo il suo lavoro.
– “In effetti non &egrave il tempo migliore per fare le consegne, ma ci sono anche i lati positivi”. Io non capivo che cosa intendesse dire con quella affermazione, ma mi resi conto che mi stava fissando. Proseguì “non vorrei approfittarmi della sua gentilezza, ma non &egrave che potrei un momento utilizzare il bagno?”.
Quella richiesta mi colse alla sprovvista, ma gli feci strada in fondo al corridoio. Appena chiuse la porta, mi fiondai davanti allo specchio per vedere in che condizioni fosse la mia faccia e, per essere stata tutto il giorno dentro al letto, avevo creduto peggio. Mi sistemai i capelli, mi diedi un paio di buffetti sulle guance e quello fu il meglio che riuscii a organizzare nel tempo che il mio garzone rimase in bagno. Quando venne fuori, mi sembrò ancora più bello ed io mi resi conto di essere eccitata.
Si. Eccitata.
Un perfetto sconosciuto era entrato in casa mia a consegnarmi la cena e la sua sola presenza mi aveva fatta eccitare.
Il garzone mi salutò, chiuse la porta di casa e se ne andò.
I minuti passavano e la mia eccitazione non accennava a diminuire. Sentivo un calore immenso invadere le mie cosce, un languore inspiegabile nella mia pancia e anche la fame sembrava di colpo essere passata… Era di altro genere l’appetito che mi era venuto!!! Lasciai così che una mano scivolasse fra le mie cosce per alleviare un pò quel senso di desiderio che non mi dava tregua. Infilai due dita nella mia fighetta grondante e iniziai a massaggiare le labbra e il clitoride. Non volevo indulgere nella masturbazione: volevo godere e lo volevo subito. Non mi interessava portare il mio desiderio all’eccesso, non mi interessava spingermi oltre il limite. Volevo godere, come fossi un animale.
Allargai le gambe sul letto in maniera oscena e presi a toccarmi quasi con violenza. Le mie dita entravano e uscivano da me simulando la penetrazione di un uomo: sentivo gli umori grondare come caldo miele dalle mie labbra; ansimavo, gemevo, senza paura che i vicini sentissero.
Se avessero sentito il mio godimento, sarebbe stato anche meglio, per me. Volevo essere quasi scoperta, volevo che sentissero quanto la mia eccitazione mi stava sconvolgendo. Con una mano allargai per bene le labbra, mentre con l’altra strinsi e pizzicai il clitoride quasi a farmi male. Poi presi, con movimenti rotatori e ben precisi, a solleticare la parte più interna di me, fino a che un orgasmo potente e desiderato non mi scosse da capo a piedi.
Urlai, gemetti e mi lasciai invadere da quella scossa elettrica così forte che, per qualche minuto, mi lasciò senza fiato. Dentro di me pensavo che ora sarei stata pronta a cenare, che mi sarebbe tornata la fame e che i miei istinti sessuali fossero stati saziati dalle mie mani.
Ebbene, mi sbagliavo.
Quell’orgasmo procurato non era stato che un antipasto: ora la voragine era aperta, ora il desiderio sembrava insaziabile, ora la mia mente non faceva che pensare, continuativamente, a quel garzone dagli occhi color del mare, e fu così che mi venne un’idea. Folle, assurda, impensabile. Ma il solo pensiero che lo fosse, mi fece bagnare di nuovo.
Presi il cellulare e chiamai il ristorante dove avevo ordinato la cena, dicendo che il garzone che era venuto aveva dimenticato il portafogli a casa mia.
Avevo scelto la prima scusa che mi era venuta in mente, sperando che lui intuisse i miei desideri. In effetti, non avevo la certezza che sarebbe stato lui a tornare ma… Avevo troppa voglia di essere scopata da quegli occhi.

Così attesi. Attesi e i minuti mi sembravano ore. Alla fine il citofono suonò e a me parve di avere il cuore nella gola. Mi preparai meticolosamente, così come mi ero ripromessa e aprii. La voce era la sua, ero certa che non sarebbe rimasto deluso nell’essere stato costretto a tornare indietro, sotto alla pioggia.
Aprii la porta ma la lasciai accostata: volevo che fosse lui ad aprirla e a scoprire che cosa c’era al di là di essa. E quando la spalancò vidi i suoi occhi sgranati addosso al mio corpo, completamente nudo e pronto, che lo aspettava. Non disse una parola. Si tolse la giacca che lasciò cadere a terra e mi si buttò addosso, con una violenza e un desiderio che avevo soltanto sognato da parte sua. Sentivo le sue mani sui miei seni, stringerli, avvolgerli, tirarli e torcerli come se non avesse desiderato altro da quando aveva messo piede in casa mia. Prese tra le dita i miei capezzoli e mi strappò un urlo di dolore, tanto violentemente li stava torcendo. La sua bocca mi leccava il collo, il mento, ma sapevo che voleva arrivare sul mio petto, e così fu. Bastarono pochi minuti perch&egrave le sue labbra, la sua bocca, i suoi denti, presero a succhiare avidamente i miei capezzoli: sentivo il calore della sua saliva scivolare sul mio petto; avvertivo la sua lingua avida e impertinente segnare il confine delle areole per poi tornare a solleticare la punta dei capezzoli.
Io ero un lago, un lago vero. Desideravo quell’uomo con tutta me stessa e il fatto che mi stesse prendendo così, senza troppi preliminari, senza troppe parole, realizzava una delle mie fantasie più nascoste. Avvicinai le mie labbra al suo orecchio sinistro.
Tutto d’un fiato, senza rendermi conto che ero proprio io a pronunciare queste parole, gli dissi: “scopami. Prendimi come non hai mai fatto. Voglio sentirti dentro di me. Tutto dentro di me”.
Quelle parole inattese da parte sua ma di sicuro impatto, gli diedero nuova carica. Sentivo le sue mani frugare il mio corpo, fino a quando non si inginocchiò davanti a me. Mi fece allargare le cosce e con le sue mani allargò per bene le mie labbra, per prendere possesso del mio fiore rosso e grondante di umori. La sua lingua ci sapeva fare e io mi sentivo in estasi.
L’idea che un perfetto estraneo mi stesse scopando mi mandava fuori di testa. Stavo donando il mio corpo, il mio piacere, i miei umori, a qualcuno che non avrei mai più rivisto. A qualcuno che mi stava scopando con la bocca, e che poi lo avrebbe fatto anche con altro.
Lo desideravo, lo volevo, e non mi interessava assolutamente niente di cosa avrebbe pensato.
La sua lingua si insonuava dentro di me con sapienza e precisione, raggiungendo punti che mai nessuno aveva raggiunto.
Con la punta solleticava il clitoride e quando si accorgeva che iniziavo a tremare scossa dal piacere lo lasciava stare per dedicarsi alle labbra, agli inguini. Le sue dita facevano il resto, provocandomi forti scosse.
Presi il suo viso fra le mani, spingendolo ad alzarsi. Per un istante lo guardai e, con fare imperioso, gli ordinai di togliersi i pantaloni. Non di spogliarsi: non volevo il suo petto, non volevo le sue spalle. Volevo il suo cazzo che sapevo essere già in erezione.
Quando si abbassò i pantaloni, vidi una verga svettante e rigida davanti a me. Lo feci sedere sulla poltroncina del mio ingresso, con le gambe un pò larghe e mi accomodai sulle sue cosce, lasciandomi scivolare su quella verga turgida e lucida.
Sentirmi penetrare fu una sensazione incredibile e anche lui gradì, a giudicare dai mugolii di piacere che uscirono dalla sua bocca.
Presi a muovermi sopra di lui: volevo essere io a condurre il gioco, senza troppi complimenti. Volevo essere io a decidere i tempi dell’orgasmo, i tempi del piacere. Volevo essere io a decidere quando e se lui sarebbe venuto.
Quello che interessava a me era godere. E così presi a muovermi, a affondare il mio bacino nel suo, per provocargli delle fitte di godimento del tutto inaspettate.
“Continua così… continua”, mi diceva.
– “Non hai capito che voglio scoparti? Non hai capito che voglio godere come una cagna?”. Più io gli dicevo così, più lui si eccitava e più affondava il suo membro dentro di me. Era una sensazione meravigliosa spingere così tanto, condurre il gioco.
Il mio desiderio era alle stelle e gli dissi: “adesso io verrò mentre tu sei dentro di me. Non azzardarti a venire o la pagherai cara. Al tuo orgasmo penserò io”. Lui non disse nulla, ma io iniziai a muovermi come fossi presa da un demonio e gridai, a causa di una scossa di piacere così violenta che mi colse del tutto impreparata. Urlai, gemetti e mi lasciai andare ad un orgasmo incredibilmente lungo.
Il mio garzone fu di parola e non venne, ma mi resi conto che non avrebbe resistito a lungo. Era stato bravo e volli premiarlo: così, dopo essermi goduta il mio orgasmo fino in fondo, scivolai fuori da lui e lo accolsi nella mia bocca.
Fu il suo momento di estasi, ed ecco che mi inondò la bocca del suo sperma. Caldo, acido. Mi inondò la bocca, le labbra e scese copioso anche sul petto.
Ansimava, tanto aveva goduto.

Ci ritrovammo sfiniti dal piacere, grondanti dei nostri reciproci umori, finalmente appagati.

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