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Dolce vendetta

By 4 Dicembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

“Vieni qui.”-mi avvicinai a lui esitando, avevo paura.
Mi sedetti sul bordo del letto dandogli le spalle: non volevo guardarlo negli occhi, non volevo scorgere il suo irritante ghigno sul volto.
Il mio vestito bianco era letteralmente sudicio di acqua e sangue: ad una risposta formulata male, decise di punirmi prima frustandomi poi infilandomi in una vasca di acqua bollente. E sapete come se n’è uscito?- “Beh lo sei abbastanza anche tu, dunque dovresti sopportarlo benissimo!”-.
Quanto lo odio…
Le sue sottili dita mi sfiorarono la schiena. Rabbrividii al suo tocco. Non fece una piega, restò immobile sdraiato com’era fra le lenzuola rosse: si aveva dei gusti piuttosto bizzarri…e decisamente terribili! Continuò a giocare con le dita sul mio corpo..Era insopportabile tanta dolcezza, dopo aver subìto tutta la sua rabbia addosso. Avrei voluto girarmi e ficcargli un paletto dritto nel cuore, ma ero come paralizzata…ero totalmente in suo potere.  Poteva fare di me, esattamente, ciò che voleva…
Non mi mossi neppure di mezzo centimetro, il dolore che provavo era talmente forte che mi stordiva, mi distaccava dalla realtà, mi catapultava in un universo parallelo dove corpi senza anima e senza colori si contorcevano gli uni con gli altri in una danza macabra.
Mi afferravano, stringendomi a loro, facendomi ancor più male..e a sapere di non avere via di scampo, ti senti morire.
Strisciò verso di me, mi cinse la vita con un braccio, serrandolo in modo tale da non potermi liberare. Dolcemente mi baciò la schiena, partendo dal basso e poi sempre più su.
“Che altro c’è adesso?”-gli chiesi con un filo di voce. Non mi rispose. Continuò con la sua opera. Voleva farmi impazzire. Prese a leccarmi languidamente le ferite. Stavolta brividi violenti mi attraversarono, feci uno scatto, cercai di alzarmi di botto; gli bastò strattonarmi a sé per buttarmi definitivamente sul letto.
Lanciai un lieve, quasi insignificante, grido di sorpresa mista a fastidio. Mi piombò addosso con tutto il suo peso, cercò di baciarmi, ma lo respinsi.
Lottai per un po’, graffiandolo sul viso, sulle braccia. Ma ero troppo stanca, non riuscii ad andare avanti per molto, e ne fu molto felice, ovviamente.
“Smettila di fare così, non c’è motivo di agitarsi..”-“Lasciami!”-“Shh…fa silenzio bambina mia, non voglio farti niente, o forse, non vuoi che il tuo papà ti coccoli stanotte?”.
Mi bloccò le braccia afferrandomi saldamente i polsi: rimase a fissarmi per non so quanto tempo in quella posizione, e io nel mentre evitai il suo sguardo, muovendo la testa da un lato all’altro e facendo di nuovo forza.
“Lasciami andare! Ahia! Mi fai male!”
“Tesoro…se continui a lottare sai che le cose peggioreranno…dovresti arrenderti all’idea che non hai scelta.”
“Arrendermi?! Mai!”-questa volta glielo urlai in faccia, e per tutta risposta mi baciò a stampo.
Andai su tutte le furie, e non potendo fare alcun movimento brusco per colpirlo, gli sputai dritto in faccia.
Rise lievemente alla mia reazione, come quando un padre ride vedendo la sua bambina arrabbiarsi con lui.
“Io non riderei se fossi in te…”
“Cos’è? Una minaccia, schiava?”-stavolta, mi chiamò “schiava” con un tono quasi di disprezzo.
Mi limitai a fissarlo. Non volevo sprecare altre parole.
Sorrise. Mi accarezzò il volto, i capelli, poi scelse il mio punto debole per farmi cedere: il collo.
Lo morse più volte piano, azzeccando i punti dove vi erano situati i nervi, e di nuovo rimasi immobile fra le sue braccia. Chiusi gli occhi; provai un piacere intenso. Per un momento pensai che tutto ciò cominciava ad allettarmi parecchio, tanto che lo lasciai che infilasse la sua mano sotto il vestito e iniziasse ad esplorare il mio corpo già abbastanza provato. Parecchie volte sobbalzai, per via delle scottature, ma lui mi fermava, mi sussurrava di stare tranquilla, di concentrarmi sulle sensazioni che riusciva a provocare in me. Solo così avrei potuto ignorare il dolore.
“Ricorda…dolore…e piacere”-mi disse.
La sua voce contribuiva a persuadermi, era davvero un ottimo oratore.
Riaprii gli occhi; adesso ero nuda. Nuda, sanguinante e sua.
Mi toccava i seni, li stringeva, li assaggiava con violenza, giocava con i miei capezzoli, li leccava.
Quando fu stanco, passò una mano in mezzo alle mie cosce. Mi resi conto di ansimare. Dio.. come era stronzo. Sapeva, conosceva il modo in cui trattarmi, il modo in cui eccitarmi.
“Oh…non ti bagnare troppo, piccolina mia”- disse passandosi maliziosamente la lingua sulle labbra, immaginando di poterlo fare col mio sesso.
Lo presi per i capelli e avvicinai il suo orecchio alle mie labbra:”Vorresti giocare con me, padrone?”-gli chiesi sottovoce passandogli la punta della lingua sul lobo.
“Sì, schiava!”. Era eccitato dal mio modo di fare, e gli piacque ancor di più quando dopo avermi risposto, lasciò che gli saltassi addosso e che mi sedessi a cavallo su di lui.
Tanto per cominciare, lo cavalcai piano…non avevo intenzione di correre.
Posò le mani sui miei fianchi, che scesero poi inesorabilmente sul mio fondoschiena.
“Mmm…davvero niente male il tuo culetto..”- sentenziò.
I miei movimenti si fecero più incalzanti, e potei sentire il suo respiro farsi più affannoso. Mi diede una sculacciata decisa sulla natica, lo schiaffeggiai e iniziai a toccarlo un po’ più sotto della cinta. L’idea di essere sottomesso in fin dei conti non gli dispiaceva affatto, e io ero lì per accontentarlo.
Sbottonai la sua camicia coloratissima, gli abbassai i pantaloni.
Lo baciai sulla pancia, piano piano, con infinita dolcezza, gli morsi i capezzoli, scesi ancora di più fino a sfiorare con le labbra le sue mutande. Ovviamente si aspettava che io gliele sfilassi e che prendessi il suo sesso in bocca..ebbene non lo feci…
Gli chiesi di alzarsi e di seguirmi. Non lo bendai, risultava piuttosto inutile una volta che era il padrone del castello e conosceva come le sue tasche tutti i corridoi e tutte le stanze: avrebbe potuto dirne i nomi e le posizioni ad occhi chiusi. Lo tenni per mano per tutto il tragitto dalla sua camera fino alla stalla.
“Adesso, siediti là.”-gli dissi mentre legavo le sue mani dietro lo schienale della sedia di legno.”voglio giocare con te e col fuoco…dunque, fà molta attenzione a come ti muovi, perché potremmo rimetterci le penne tutti e due…Intesi?”
Non rispose, ma i suoi occhi brillavano di una luce strana: era curioso di ciò che stavo progettando per lui e a ciò si aggiungeva quel poco di timore nell’immaginare quale sofferenza avrei potuto arrecargli.
Presi molti aghi che conservai in una piccola scatola di cartone qualche giorno addietro; ad uno ad uno glieli ficcai nella pelle a partire dai piedi, posizionandoli orizzontalmente, continuando fin sul ginocchio. Urlò talmente forte da far fuggire via tutte le galline. Quando ebbi finito con tutte e due le gambe, accesi una candela e passai la fiammella sugli aghi, con movimenti lenti e continui, che andavano dall’alto verso il basso. Feci in modo che gli aghi restassero abbastanza caldi per un altro po’, il tempo di sentirlo gridare ancora una volta. Decisi di fermarmi con le torture e feci arrivare altre due schiave e ordinai loro di toccarlo e accarezzarlo languidamente, e dissi loro avrebbero dovuto giocare pesante anche col suo sesso, facendolo eccitare molto, ma senza soddisfarlo completamente.
L’indomani tornai da lui. Solo un panno copriva le sue parti intime. Decisi che era arrivato il momento di alleviare il bruciore delle sue gambe, così presi delle garze e dell’acqua e iniziai a tamponare le sue piaghe.
“Bambina..?”-“Shh..sta tranquillo papà, non è necessario che tu dica niente.”-“Perché mi fai questo..?Sai che ne pagherai le conseguenze..vero?”-“Ma..papà sei stato tu a dirmi chiaramente di voler giocare con me…ricordi?”- feci pressione col panno.
“Ah!!”-gridò piano, con voce stanca, quasi rassegnato. Non so perché, ma qualcosa mi diceva di non farmi influenzare da quel suo atteggiamento. Tutto mi rese ancora più crudele, avevo intenzione di sfruttare al massimo quei momenti per…fargliela pagare. Finii di medicarlo e mi sedetti sulle sue gambe e cominciai ad accarezzargli i lunghi capelli biondo cenere, lo riempii di bacetti sul viso, sulle guance e in fronte; lo sentii stringermi ancora più forte e stavolta lasciai che mi baciasse. Feci per alzarmi e mi trattenne:”Tra poco finirà tutto, papà…puoi farcela, sei così forte tu.”
Si accasciò sulla sedia buttando la testa indietro. Lo costrinsi ad alzarsi, spingendolo su una panchina e facendolo appoggiare ad un palo, intorno al quale vi era un cerchio di ferro e glielo strinsi attorno al collo: usai la garrota, volevo solo immobilizzarlo senza rompergli nulla, così mi limitai a girare la manovella solo una volta.
Distesi le sue gambe e legai le caviglie su un’altra sedia. Cosparsi la pianta dei piedi di sale, avvicinai una capretta che prese a leccarli con gusto: morì di solletico, fece degli scatti alternati a grida di fastidio, ma non potendo muoversi troppo dovette sopportare quel simpatico supplizio.
Presi delle tenaglie, le feci surriscaldare con un tizzone ardente (tutto ciò sempre nella stalla circondati da paglia) e quando vidi che erano già diventate di quel colore arancio per via del calore, le poggiai sui suoi capezzoli stringendo con tutta la mia forza. Inutile dire che gridò come un disperato; continuai così per qualche altro minuto.
Aiutata da altre due schiave, lo legai per le mani a due uncini d’acciaio attaccati al soffitto basso, e gli legai anche i polsi in modo tale da tenerlo più saldo e non squartargli completamente le meravigliose mani. Gli calai addosso un secchio di acqua gelida, dopo di che, quindici frustate dietro e quindici frustate davanti.
Appena conclusi, lo lasciai lì per un paio di ore. Ordinai nuovamente alle due schiavette di andarlo a prendere e salirlo nella mia stanza.
Lo distesero sul letto e io mi distesi con lui: con un panno gli asciugai il volto, gli diedi da bere dell’acqua, poi lo baciai sull’angolo destro della bocca.
“Perdonami papà.”-altro bacetto e completai col mio lavoro.

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