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Dominazione – Storia di Chiara – Parte Prima

By 9 Giugno 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Molti credono che spesso sia la necessità a spingere una ragazza alla sottomissione.
Una situazione economica o lavorativa sfavorevole la spingerebbe nelle mani ‘ o forse sarebbe meglio dire inginocchiata tra le gambe ‘ di un uomo che, secondo questo senso comune, il più delle volte disprezza o schifa.
Un falso mito interessante quanto affermato, che pare voler giustificare la sottomissione come un atto solo parzialmente volontario, trovare una scusante psicologica a chi sa concedere tutta sé stessa senza limite alcuno ‘ o forse sarebbe meglio dire superando costantemente i propri limiti.
Non ho mai avuto una slave che non avesse dei limiti. Un buon master non si trova davanti, come per magia, una ragazza disposta a tutto. La differenza sta proprio nel fatto che un buon master è colui che è capace di rendere quella ragazza disposta a qualsiasi sottomissione, a qualsiasi umiliazione. Disposta a superare i limiti che si era imposta lei o che più spesso le avevano imposto l’educazione che ha ricevuto o il contesto sociale in cui vive.
In fondo è una vena più o meno sottilmente masochista quella che spinge una ragazza a rendersi disponibile e aperta ‘ è il caso di dirlo ‘ a tutto e tutti per compiacere un altro uomo.
Le volte in cui mi è capitato, di norma è nato tutto da una battuta, a volte da una mail, spesso da uno sguardo. Certo, quando ti si presenta una ragazza non ti dice: ‘Voglio che tu sia il mio padrone, ti prego sottomettimi a te’; certo, semplificherebbe le cose, ma, in fondo, chi vuole che siano semplici?
Questo tortuoso e teorico preambolo è tutto per introdurre la mia conoscenza di Chiara, una graziosa moretta dai capelli lisci lunghi alle spalle, carnagione appena abbronzata e fisico magro ma senza esagerazioni. Una bella seconda soda quale solo quella di una ventiduenne può essere e un posteriore tondo e proporzionato, senza neppure un accenno di cellulite e che dimostri che l’anoressia non è certo sinonimo di bellezza. Solo apparentemente smaliziata, furono in primis i lampi di ingenuità nei suoi occhi a colpirmi e a interessarmi.
Si trattava di una di quelle conoscenze nate per caso da amicizie comuni, che il più delle volte finiscono in saluti di rito ogni volta che ci si incrocia.
Sarei esagerato a dire che dal primo sguardo sapevo che prima o poi l’avrei vista carponi dinnanzi a me, con lo stretto buchetto allargato dai colpi ritmati della mia verga. Però che l’idea mi attirasse l’avevo intuito già a prima vista, vedendo quei jeans che lo fasciavano così piacevolmente. E credo l’avesse intuito anche lei, visto che non sono solito fare nulla per nascondere queste mie intenzioni. Anzi, al momento dei saluti ho sfruttato l’occasione per sfiorare con la mano quei graziosi fianchi, saggiandone la sodezza, intuendone la freschezza.
A volte basta una piccola situazione come questa: cogliere uno sguardo o percepire un fremito può cambiare l’andamento delle cose, esattamente come è avvenuto allora. Ecco, lì capii che potevo azzardare di più, che evidentemente l’immagine di quel culo pronto ad essere sfondato non era solo una fantasia erotica ma una possibilità concreta.
Qualche sms e un paio di chiamate per tenere viva l’attenzione, un invito a cena con la scusa di conoscersi meglio, ovviamente accettato immediatamente.
Le classiche occasioni in cui, più che la cena, conta il dopocena. Non che la cena non abbia la sua valenza formale: è il mistero che lascio che la attira, che la spinge tra le mie braccia alla ricerca di un bacio o di una manifestazione d’affetto.
Che va dosata, come ogni cosa, per non scadere in eccessi che impedirebbero di manifestare l’altro aspetto, latente ma mai sopito.
Potrebbe anche essere bella come una dea ‘ ed in effetti mi rendo conto che è anche meglio di quanto mi fosse sembrato al precedente nostro incontro ‘ ma non proverei vero piacere neppure se la scopassi per ore, se intanto la dovessi sbaciucchiare e coccolare come forse vorrebbe.
Il vero piacere lo traggo sentendo il calore e vedendo il rossore delle sue natiche al succedersi dei colpi ben mirati della mia mano, non dalla mia virilità che scorre nel suo sesso bagnato. Non sono i suoi gemiti di piacere che me lo fanno ingrossare, ma le lacrime che le escono quando con due dita la colpisco con forza tra le cosce, entrando tra le labbra e sfregando rudemente la sua carne più viva.
No, non è stato l’iniziale tocco soffice della sua lingua, che con discreta esperienza e abilità ruotava sulla punta dell’asta che le infilavo sempre più in profondità, spingendo lentamente e inesorabilmente verso la gola. A darmi piacere è stata la sensazione che lei era disposta a farlo per compiacermi, ma che non apprezzava quando io lo estraevo dalla sua bocca quasi completamente per poi rientrarvi con forza, causando trattenuti conati e disfacendole il leggero trucco azzurro che valorizzava i suoi occhioni.
C’è una cosa che adoro, però, specialmente quando, come in questo caso, mi accorgo che la schiava non è abituata a ospitarmi interamente nella sua bocca. Certo, tecnicamente Chiara allora non era ancora una schiava, ma questo è un dettaglio che di lì a poco sarebbe scomparso e che anzi, in lei, era già scomparso da quando iniziai a scoparle la bocca tenendole la testa ben ferma con le mani e dando dei colpi di bacino fino a permettere alla mia asta di conficcarsi completamente a fondo. I suoi occhi da semichiusi si spalancarono completamente, resi ancora più sensuali dalle abbondanti lacrime che li facevano luccicare d’una bellezza rara mentre li rivolgeva imploranti ai miei.
Avrei voluto chiedermi se avesse mai ingoiato prima, avrei voluto scaricarle il mio seme direttamente in quella posizione, ma sarebbe stato prematuro.
Non bisogna avere fretta. Molto spesso è la fretta che spaventa. Una schiava va accompagnata per mano nel lento percorso della sua formazione, evitando accuratamente di correre troppo e al contempo senza mai fermarsi.
è per questo motivo che a Chiara quella sera non concessi neppure di finire il lavoro; mi limitai a farle toccare l’umidore tra le sue cosce e a mostrarmi le due dita impiastricciate dei suoi stessi umori, senza permetterle di darsi piacere come non lo aveva dato a me.
Fu in quel momento che capii che era completamente mia. Lo sguardo deluso ma pieno di obbedienza all’ordine appena ricevuto: ecco, se dovessi indicare l’istante in cui avvenne la trasformazione di questo particolare rapporto, probabilmente indicherei proprio quello.
Fu così che intrapresi il suo addestramento.
Completammo la sua formazione al sesso orale iniziandola ad assaporare l’abbondante sperma che le scaricavo in gola con una certa costanza. La prima volta che lo feci la ricorderò sempre distintamente: venni ovviamente senza preavvisarla, schizzando la densa crema bianca direttamente nella sua bocca, mentre la mia asta era piantata in fondo alle sue labbra, con le mie mani a tenerla ben ferma mentre tossiva e cercava inutilmente di sputare. Le sue lacrime non erano di dolore, ma di umiliazione. Mi aveva espressamente detto già altre volte quanto odiasse questa pratica, a cui soltanto una volta si era prestata con un suo ex particolarmente insistente a riguardo. Il fatto che io deliberatamente, con il sorriso stampato sul volto, deve averle generato un profondo sentimento di odio nei miei confronti. O forse di amore.
Sta di fatto che finalmente potei avviarla a concedermi la sua bocca in pubblico, primo importante passo in questo dono della sua volontà in omaggio della mia.

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