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Racconti Erotici Etero

EINTRITT VERBOTEN

By 19 Marzo 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Era l’unico treno in funzione, con orari quasi sicuri di partenza ma non altrettanto di arrivo. Partiva la sera e doveva arrivare l’indomani mattino, non troppo tardi, ma questo dipendeva dal traffico ferroviario, dalle priorità.
Convoglio riservato ai militari, con qualche rara eccezione per i civili. Rigide norme di ammissione, controlli severissimi, attenta sorveglianza. Un solo sportello aperto, in ogni vagone, divieto di andare da un vagone all’altro.
Lo chiamavano ambiziosamente ‘Medloc’, ma della eleganza dei vagoni del treno cui si riferiva il nome c’era solo una parvenza.
Era un periodo di condizioni atmosferiche proibitive. Sospensioni dei voli, logicamente solo militari, su vecchi aerei asmatici. Unico mezzo per raggiungere la destinazione, il ‘Medloc’. Partenza ore 22.00, quasi puntuali.
Carrozza 2, scompartimento 4. Questo sull’autorizzazione a viaggiare. E poco prima della partenza mi presentai al controllo, a cura della MP (Military Police), che esaminò attentamente permesso, documenti, ed ispezionò il bagaglio.
Scompartimento 4. Porta chiusa, la aprii. C’era già un passeggero, anzi una passeggera, una donna, di età che non riuscii subito a definire, con un abito grigio chiaro, di lana, abbottonato sul davanti. Salutai, fece un cenno con la testa e un lieve sorriso.
Misi il bagaglio sulla reticella, sedetti di fronte a lei.
Una vecchia carrozza di prima classe, con sedili di velluto rosso. Sei posti, nello scompartimento. Eravamo solo noi.
Dovevamo fare insieme un viaggio che non sapevamo quanto sarebbe durato. Era opportuno, e soprattutto educato, che mi presentassi. Mi alzai, dissi nome e cognome, e che ero, come si vedeva, un ufficiale italiano, in servizio presso il British Headquarters.
La donna mi tese la mano.
Era Hilde Cuddly, moglie del colonnello Paul Cuddly, forse lo conoscevo ‘disse- perché anche lui era allo stesso comando.
Lo conoscevo, infatti. Persona un po’ burbera, ma simpatica, e ricordavo che mi aveva parlato di sua moglie, e di certe seccature che avevano avuto, all’inizio della guerra, perché Hilde era di origine austriaca, ma ora era, of course, cittadina dell’Impero.
Hilde aveva parlato in un buon italiano, mi complimentai con lei e le dissi che, sì, conoscevo il colonnello Cuddly. Ma lei come mai parlava così bene l’italiano?
‘Perché sono interprete e traduttrice presso la National Gallery, a Londra. Parlo la mia lingua madre, tedesco, l’inglese, ovviamente, e l’italiano.’
Aggiunse che avrebbe dovuto raggiungere la destinazione con un trasporto della RAF, ma che il volo era stato interrotto a Roma, causa maltempo, e che le avevano assicurato un buon posto, sul ‘Medloc’, dove avrebbe potuto anche riposare un po’
Il convoglio si mosse, lentamente, con lunghi fischi della locomotiva ‘linee elettriche interrotte- che sembrava lamentarsi, chiedere aiuto.
Mi chiese se fosse vero che si potesse giungere a destinazione anche con notevole ritardo.
‘Purtroppo si, madam, capita spesso.’
Indicò la reticella sul suo capo, e disse che le avevano fornito una K- ration, una supplementare, delle bottiglie d’acqua, sapone, ‘paper towels’ per asciugarsi, ma non dentifricio, lei aveva lo spazzolino ‘sempre of course- , si sarebbe arrangiata.
‘E’ potabile l’acqua della toilette?’
‘No, madam, per i denti deve adoperare quella delle bottiglie. Per il dentifricio non si preoccupi, ne ho io: strawberry-flavoured toothpaste.’
‘Delizioso, proprio il sapore che preferisco, fragola.’
Aveva un libro, con copertina anonima. Si scusò e si mise a leggerlo.
E’ vero che ne avevo di tempo per guardarla, ma cominciai ad osservarla, con molta attenzione.
Età, intorno ai quaranta.
Gambe snelle e ben tornite, da quello che si poteva vedere’ Forse conscia della mia ricognizione, si alzò per prendere la sua borsetta sulla reticella, e mi volse la schiena. Ben fatta, per la verità, con un fondo tondo, ben modellato, fianchi piacevoli e, voltandosi, ancor più piacevole disegno del seno, su un ventre piatto. Volto leggermente ovale, con lunghi capelli biondi, ben curati, occhi azzurri, carnagione rosea, labbra appena carnose. Un bel viso, simpatico e fresco. Tornò a sedere.
Il treno seguitava molto lentamente.
Chiuse il libro. Mi guardò.
‘Va piano, molto piano. Lei fa spesso questo viaggio?’
‘Credo che i binari siano in manutenzione. Poi, speriamo, aumenterà velocità. Io devo, ogni tanto, venire al mio Comando, ma quando posso uso l’aereo.’
‘Lei vive a Roma?’
Sorrisi.
‘Vivevo, ora sono più di quattro anni che gironzolo, sempre in servizio, on duty.’
‘Lei &egrave molto giovane. Vive coi genitori?’
Non so perché ma mi venne di mentire, di non dirle che ero sposato e già avevo un figlio.
‘Beh, molto giovane no. Ho ventiquattro anni. Si, vivo coi genitori.’
‘E’ un regular officer, come si dice’ di carriera?’
‘Noi diciamo in SPE, servizio permanente effettivo. No, sono di complemento, a reserve officer.’
‘Cosa farà quando tornerà alla vita civile?’
‘Spero l’economista.’
‘Buona fortuna.’
Nella valigia avevo due bottiglie di vino, che intendevo portare a un amico. Mi venne l’idea di offrirgliene. Di solito gli stranieri amano il vino italiano.
‘Se lei mangia qualcosa delle K-ration, io ho dell’ottimo vino italiano, mi piacerebbe offrirgliene.’
‘Io vado matta per il vino italiano, da buona austriaca. Bianco o rosso?’
‘Frascati bianco.’
‘Delicious! Predo le razioni.’
‘Se vuole posso offrirle pane e prosciutto e un po’ di torta fatta in casa, home-maide kake.’
‘Really? Veramente?’
Mi alzai, presi la valigetta che conteneva cibo e vino, ed anche un bicchiere di vetro. Alzai il piccolo tavolino sotto il finestrino, vi posi sopra due tovaglioli di carta e il cibo che avevo detto, oltre vino e bicchiere.
Mostrò di gustare tutto, ma soprattutto il ‘frascati’ e non si fece pregare per farsi riempire il bicchiere. Insomma, la bottiglia fu presto vuota.
Anche la torta riscosse il suo plauso.
Era un po’ allegra, quasi euforica (io avevo solo assaggiato il vino) e dopo aver ripetuto il suo gradimento per il cibo italiano, disse che avrebbe voluto distendersi un po’, tentare di riposare, ma prima doveva andare’ e mi sorrise. Le chiesi se volesse che l’accompagnassi. L’avrei attesa sulla piattaforma del vagone.
‘Grazie, molto gentile da parte sua, un vero cavaliere.’
Quando tornammo, mi rivolse uno smagliante sorriso, ma gli occhi erano alquanto appannati. Tolse le scarpe, si sdraiò sul divano, volgendomi la schiena’ Beh’ in effetti fu il tondeggiare delle sue natiche che mi colpì. L’orlo del vestito s’era un po’ sollevato, oltre i polpacci e le gambe, si intravedeva il biancore delle cosce. Niente male, anche se per me non era proprio ‘giovanissima’. Però’ la reazione di’ qualcosa in me’ mi fece comprendere che i venti anni che ci separavano non rappresentavano un ostacolo per ‘lui’. Forse era anche il dondolio del treno, quella luce non troppo forte (aveva chiesto se, per favore, si poteva lasciare accesa solo la lampadina azzurra), essere solo in due, di notte, in uno scompartimento’ Insomma, sarebbe stata una vera ‘piacevolezza’ di viaggio se’ La differenza di età era sparita. Eravamo ‘un uomo e una donna’. In gergo soldatesco britannico, a jack and a socket, uno spinotto e una presa, l’uno era fatto per l’altra.
Ipocrita anche con me stesso, seduto sul bordo del mio sedile, allungai la mano verso lei che, dal respiro profondo e cadenzato, sembrava proprio tra le braccia di Morfeo e allungai una mano per’ tirare giù un po’ il vestito. Per farlo, cominciai col sollevarlo. Sì, erano proprio belle cosce e, spiucchiando meglio, finivano in un emisfero rosa pallido. Le sue mutandine. Ma non di quelle aderentissime, come dire, a culotte, sebbene molto sgambate, dove poteva bene entrarci una mano. E la tentazione era tanta. Cominciai con l’abbassare il vestito e per stenderlo meglio passai la mano sui glutei, a palmo aperto, una carezza. Solo che il palmo ebbe una contrazione e il tutto si trasformò in un accertamento di consistenza. Sì, una bella palpata. Lieve movimento della bella addormentata.
Tornai a sedermi meglio, ma gli occhi, il pensiero e ‘lui’, erano sempre lì, su quelle belle cosce, quella mutandine larga’
Il rumore ritmico del treno e il dondolio erano propizi all’assopimento. Ma non per me.
Dovevo ‘sistemare’ meglio il vestito di Hilde.
Tornai a sedere sull’orlo del divanetto, la mano si posò lievemente su quel biancore attraente, e premurosamente si interessò se quei glutei, così malamente contenuti dalle mutandine svasate, fossero caldi o meno. Fu facilissimo introdurla dove voleva, ed era deliziosamente liscia, vellutata, quella pelle tiepida che si lasciava carezzare mentre lei seguitava a dormire. Chi era sveglio ero io, e soprattutto ‘lui’!
Hilde si mosse appena, o meglio mosse le gambe, come a indicare all’esploratore cauto e indeciso ‘il’ percorso. Una gamba distesa e l’altra piegata. La mano non doveva che superare il monte ed avviarsi alla valle. Valle morbida, poi la piccola collina di Venere, e quindi la cespugliosità serica che l’impreziosiva e scendeva giù, sempre più giù.
Hilde non aprì gli occhi, ma il suo respiro profondo si interruppe per un attimo; si mosse, quasi di scatto, e si mise supina, come poté sull’angusto spazio del sedile. Una gamba, la destra, le’ cadde fuori del divanetto. E lei voleva assolutamente mostrare che seguitava a dormire. La fronte, però, era leggermente corrugata, e l’espressione del volto non era proprio di una dormiente. Per me, poteva pure seguitare così.
La posizione delle gambe era tale che la mano, ora, poteva chiaramente sentire il turgore delle grandi labbra. Per la verità quelle mutandine erano di ostacolo. Le cose erano due: sfilarle o strapparle. Optai per la prima soluzione, pur comprendendo che, in un certo modo, serviva la sua collaborazione, e’. se voleva poteva seguitare a’ dormire’
Intanto, se invece di stare in quella scomoda posizione si fosse seduta, col bacino sulla sponda e le gambe non proprio serrate’ Doveva avere certamente il dono di leggere il pensiero, Hilde, perché, sempre senza aprire gli occhi, assunse proprio la posizione da me pensata.
Le mani, ormai, ‘lavoravano’ sotto il vestito e senza troppe precauzioni. Le mutandine erano abbottonate in vita, due bottoncini, e fu facile farli sgusciare dalle asole. Ora bisognava tirarle giù. Le afferrai dalla svasatura, sulle cosce, e Hilde, sempre ‘leggendo’ e ‘cooperando’, da ‘addormentata’, logicamente, alzò le natiche e rese facile il compito. Mutandine sul sedile, a fianco a lei. Vestito alzato, belle cosce divaricate, il sesso, avvolto in una nube dorava che pensai di scostare delicatamente, era lì, incantevole. La mia eccitazione era tale che temevo di giungere a una troppo rapida conclusione, e soprattutto temevo che ciò avvenisse nei pantaloni.
Che fare? Snudare il brando ed affondarlo in quella meravigliosa guaina?
Pensai che fosse meglio iniziare con un antipasto.
Mi inginocchiai, gliela baciai, dolcemente, teneramente. La lambii con la lingua, la introdussi lentamente tra le grandi labbra che dischiudevo piano, incontrai il clitoride che mi salutò entusiasta. Lei, sempre con occhi chiusi, mano sul divanetto. La lingua percorse l’orifizio vaginale, girò intorno. Era umido, salaticcio, vibrante. Cominciai un delicato lavoro di perlustrazione: dentro, fuori, intorno, poi ancora dentro, ora toccava al clitoride, quindi ancora dentro e fuori. Lingua a spatola, lingua saettiforme’ Hilde doveva essere ben sveglia, perché il suo grembo sussultava, la sua vagina si contraeva, sembrava voler mungere la mia infaticabile lingua, le sue cosce erano irrefrenabili. Ora un lungo gemito usciva dalle sue labbra, parole roche, rotte da sospiri’ ‘ach’. wunderbar ‘ gut’ ia’ so’ ich komme’. komme” e mentre le sue dita tra i miei capelli stringevano la mia testa al suo sesso, sentii lo stillare del suo godimento. Era squassata, sconvolta, da un orgasmo che non avevo mai visto’
Quello, sicuramente, era il momento giusto.
Mi alzai, sbottonai i pantaloni, liberai dal troppo lungo imprigionamento il mio sesso che era al limite dalla sua resistenza, la presi per le gambe e le sollevai il bacino, ‘lui’ era vicino a ‘lei’. Mi liberai di una mano, per indirizzare il glande nel luogo giusto’.
Ebbe uno scossone, si dibatté’
‘Nein’. Nein’ bitte’ Nein’ Verboten’ Verboten”
No, per favore, no, &egrave proibito, vietato’
Ma quel dimenarsi aveva prodotto lo strusciarsi di ‘lei’ a ‘lui’, la mia debole resistenza cedette, e sul suo pube, dappertutto, fu il dilagare del troppo a lungo arginato prodotto delle mie seminali.
Strinse le gambe, Hilde, lo serrò tra esse.
Dai suoi occhioni, ora aperti, sgorgavano grosse lacrime.
Mi guardò, con una tenerezza per me sconosciuta.
‘Danke, danke, wunderbare Liebe.’
Grazie amore meraviglioso.
Si strinse a me, e mi baciò furiosamente.
Con ‘lui’ immediatamente ringalluzzito cercai di porlo nella positura adatta per una entrata trionfale.
‘I’m sorry, mein Liebe , nein’ proibito!’
Sì, era veramente poliglotta: mi spiace, amore, no, proibito!
Ma tra le sue cosce umide e appiccicose, col suo grembo in tumulto, ‘lui’ le provò che non era ce n’era ancora.
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