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Racconti Erotici Etero

Enrica

By 27 Giugno 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Non era una mattina come le altre. Quel giorno Enrica doveva recarsi nella villa dove era stata assunta come segretaria.
La giovane donna abitava in un piccolo ma grazioso bilocale, situato nel centro della città natia, che il padre le aveva donato due anni prima in occasione della laurea.
Enrica, svegliata dai rumori primaverili della città, scese dal letto, infilò un paio di ciabattine comode e si recò verso il bagno in fondo al corridoio.
Ancora assonnata e solamente coperta da un paio di comode culotte, preparò il caffè ed accese il vecchio stereo nero. “I’ll get you anything my friend, if it makes you feel all right, cause I don’t care too much for money…” così cantavano i Beatles mentre Enrica mangiucchiava senza troppo entusiasmo una brioche confezionata.
Finita la colazione la ragazza ritornò in camera e spalancò le finestre lasciando che la luce del mattino lambisse il corpo fragile e giovane, come un’amante premuroso.
Iniziò quindi la lunga procedura di preparazione alla sua prima giornata lavorativa; dall’armadio scelse una camicetta bianca, una gonna beige che le arrivava al ginocchio, delle calze autoreggenti color carne con un solo fiocchetto trasgressivo e delle ballerine di un rosa smunto. Dopo la scelta dei capi d’abbigliamento, una crema dal profumo africano le nutrì la pelle, grazie ad un massaggio deciso che le mani di Enrica effettuarono in tutti gli angoli del corpo, portando con sé un’ombra di eccitazione.
In seguito, canticchiando la canzone proveniente dalla cucina, si vestì e mascherò il viso infantile con un poco di fard, mascara e rossetto rosso.
Per finire scelse una borsetta a tracolla di pelle, unico ricordo di mamma, che riempì di oggetti personali.
Prima di uscire sorseggiò il caffè e con un gran respiro varcò la soglia di casa, con l’ottimismo passeggero di giovane ventenne.
Uscita dal palazzo seicentesco in cui alloggiava, automaticamente i suoi passi la portarono alla fermata dell’autobus, dove passò 15 minuti fantasticando sul futuro, prima di arrivare in fronte ad una moderna villa.
Dopo aver schiacciato timorosamente il pulsante a fianco del cancello, Enrica si presentò al citofono e venne accolta all’interno della dimora.
Una sorta di maggiordomo tuttofare la fece accomodare; era un uomo che non arrivava alla quarantina, di colore, alto e con occhi scuri che sembravano contenere ancora l’immagine della savana. Con un’impeccabile accento italiano le disse di attendere, che in breve sarebbe arrivata la signora per le ‘spiegazioni da primo giorno di lavoro’.
La mente di Enrica era un turbine folle, i suoi occhi saettavano lungo tutte le pareti e i mobili dell’atrio, in cerca di un indizio, qualcosa che le permettesse di predire il futuro le sarebbe toccato.
Passati meno di cinque minuti fece la sua entrata una donna superba e dalle bellezza sfuggevole ma intrigante, la proprietaria della villa pareva una matrona romana agghindata dai suoi bracciali d’ambra e dalla veste color crema che le fasciava il corpo.
“Tanto piacere, io sono la signora Bianca, benvenuta tra noi” disse la signora con un tono sbarazzino, mostrando un sorriso semplice ma sincero.
Passato circa un quarto d’ora la padrona di casa aveva scortato Enrica per l’intera villa, mostrandole stanze che mischiavano con gusto l’antiquariato e le ultime novità tecnologiche.
La giovane era rimasta affascinata da tutto ciò che aveva intravisto, perché troppe novità le si presentavano davanti e gli occhi erano saturi di novità.
Durante il resto della giornata Enrica aiutò la signora Bianca, che come scoprì solo in seguito possedeva diversi studi di avvocati e necessitava una segretaria fidata.
“Buona serata Enrica, ti aspetto domattina alle 8.30” disse la signora, cordiale come sempre, sulla porta della villa. “Buona serata a lei, a domani” rispose la ragazza che sorrideva pensando incantata al nuovo lavoro. Non era troppo stancante, aveva trovato un ottimo datore, la casa era ben organizzata e tutti sembravano avere un posto ben definito all’interno.
Arrivata alla fermata dell’autobus, che era situata esattamente di fronte al cancello della villa, il cuore le balzò in petto. Saltata. La corsa era saltata. La lucidità di Enrica per un attimo venne meno, poi iniziò a riflettere. Tornare a casa a piedi era fuori discussione, essendo la villa situata sul monte che ombreggiava la città. Di hotel non ce n’erano in quella zona e comunque non aveva avuto la premura di portar con sé i soldi necessari.
Si sedette così sul ciglio della strada, aspettando che le saettasse in mente una delle idee che solitamente la toglievano d’impiccio.
Passata una decina di minuti scorse il cancello aprirsi ed uscirne il maggiordomo, che accompagnava l’alano della signora nella sua passeggiata serale. L’uomo la scorse e in poco la riconobbe, con un sorriso si diresse verso di lei. “Ancora qui signorina?” disse premuroso. “Come può ben notare…” ribatté Enrica, che non voleva dar troppa confidenza. “Ah signorina, non ci son più i fidanzati di una volta..” esclamo sempre sorridendo. “Oh, credo che lei mi abbia frainteso. Non sto aspettando il mio ragazzo, il problema è l’autobus, è saltata la corsa per un motivo a me oscuro..” rispose Enrica arrossendo, si chiese se per caso avesse parlato troppo, in fondo non conosceva per niente quell’uomo. “Ma signorina Enrica! Perché non l’ha detto subito? La signora Bianca sarà lieta di ospitarla per una notte nella sua villa” esclamò, il sorriso che si stagliava nell’aria che con velocità sempre maggiore diventava fredda e buia. “Oh, non posso assolutamente abusare dell’ospitalità del mio datore di lavoro..” affermò con fare deciso Enrica.
Mezz’ora dopo Enrica si trovava nel bagno rosa, affiancato alla stanza degli ospiti. Indossava una sottoveste bianca, piuttosto trasparente che aveva trovato all’interno dell’armadio. La ragazza, dopo essersi preparata per la notte, si sdraiò sul morbido letto e, provata dalla numerose emozioni della giornata, in poco tempo cadde tra le braccia di Morfeo.
Un scricchiolio del letto, due respiri falsamente celati, un fruscio del tessuto. Erano i soli rumori che invadevano la stanza provvisoria di Enrica.
Il vigoroso maggiordomo tutt’un tratto scoprì il corpo della ragazza e le divaricò le gambe con forza. Enrica non sapeva che pensare, era completamente paralizzata, i suoi occhi sgranati fissavano l’uomo, la boccuccia semiaperta sembrava trattenere un urlo, il capelli disordinati sul cuscino. Nel suo cervello una moltitudine di pensieri cozzava tra loro, Enrica tentava di capire che le stava succedendo, dando una spiegazione razionale, quando sentì come una vampata di fuoco tra le gambe. L’uomo le aveva strappato le mutandine e senza preavviso stava succhiando con forza il clitoride della giovane.
A questo punto la mente di Enrica cessò di funzionare, ella cercava infatti solo soddisfazione per le sue voglie da troppo tempo dimenticate e poco considerate.
Divaricò ancor più le gambe, mettendo in mostra il suo fiore, sentiva il respiro caldo e le leccate dell’uomo africano.
Improvvisamente l’uomo cessò di compiacere la dolce fighetta e si svestì completamente in pochi istanti, il suo membro nel pieno del vigore si mostrò alla luce lunare. Enrica trattenne a stento un gemito e spingendo con decisione l’uomo, lo fece sdraiare sul letto. In quella posizione iniziò a baciare ogni centimetro di quella pelle dall’aroma lontano, partì dal collo, scese lungo in muscoli del petto, si soffermò a giocherellare con il capezzolo sinistro, arrivò infine al pube completamente depilato.
Prese così a succhiare le palle dell’uomo, sentiva nella sua bocca la carne e ciò le aumentava ancor più la libidine. Poi, con una mano alla base dell’asta, avvicinò la bocca alla cappella che svettava verso il soffitto. Il suo respiro caldo stuzzicava dolcemente l’uomo, che con un colpo di reni fece entrare gran parte del suo pene tra le labbra di Enrica. La ragazzi iniziò così un pompino dolce e passionale, alternando profonde leccate a bacetti timorosi da pudica verginella.
Passarono così intesi minuti prima che l’uomo, raccogliendo il poco autocontrollo rimasto, staccasse con fermezza la testa di Enrica, egli infatti non aveva ancora intenzione di spargere il suo seme. Enrica era completamente agli ordini dello sconosciuto, lo fissava con sguardo d’idolatria e attendeva fremente ogni sua mossa.
L’africano percepì subito la sua posizione di comando e in un attimo prese in mano la situazione. Afferrò per i fianchi la ragazza e la fece posizionare a gattoni sul letto, con i glutei sodi all’aria.
Affondò un dito negli umori della fighetta e lo porto alla rosellina anale. Lì iniziò a massaggiare con calma, facendo rilassare corpo e mente di Enrica, poi lentamente fece scivolare il medio nel buchetto e si godette la sensazione che procurava il muscolo a contatto del suo dito.
La luna splendeva nel cielo, torbida e oscurata da nuvole passeggere quando entrambe le mani afferrarono i glutei di Enrica, dilatando ancor più l’ano. L’uomo cominciò a strusciare la cappella contro il buchetto, l’asta era sempre più dura e la giovane gemeva senza ormai nessun ritegno, nella stanza l’eccitazione di entrambi era palpabile.
La cappella sparì all’interno del giovane culetto, poi metà asta e con un’ultima spinta tutto il pene venne accolto nella cavità anale. Rimasero fermi a gustarsi il momento, ma solo per pochi istanti. Enrica mugolava come una gatta e scodinzolava come una cagnetta, cercando di accantonare il dolore e massaggiando involontariamente il membro d’ebano. Poi arrivò il piacere. L’uomo cominciò a stantuffare violentemente la ragazza, la quale si godeva ogni singola spinta del pene e percepiva le palle sbatterle contro la fighetta inondata di liquidi. La ragazza voleva sentirsi completamente riempita, così afferrò due dita dell’africano e le posizionò all’entrata del suo fiore bagnato, l’uomo intese le sue intenzioni e prese a stuzzicare il clitoride e a penetrarla davanti.
Passarono una decina di minuti, durante i quali si intervallavano spinte molto veloce ad altre profonde e complete. Poi l’orgasmo. Enrica e l’uomo vennero insieme, i corpi tesi un uno spasmo apparentemente lacerante, i cuori affannati, le gocce di sudore incastonate sulla schiena, gli occhi talmente pieni di passione da apparire opachi, un rantolo incastrato in gola.

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