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Racconti Erotici Etero

Ero solo un caporale

By 23 Settembre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Maledizione, bastava mi fossi laureato tre mesi dopo e avrei evitato di fare il servizio militare obbligatorio. Questo pensavo al momento in cui venni chiamato e arruolato nel reggimento essendo cessata la causa di rinvio e ancora non abolita totalmente la leva. Maledissi la mia sfortuna e mi rassegnai a perdere quasi un anno di vita al ‘servizio della Patria’. Sì, servizio per modo di dire. Dopo l’addestramento di base riuscii a diventare autista e avevo poco o nulla da fare. Qualche trasporto con i camion di militari e materiale, qualche viaggio come chauffeur degli ufficiali, qualche commissione per il maresciallo. Tutto il resto noia. Per di più la caserma non era in una città ma vicina a alcuni paesi. La libera uscita la passavamo lì, io e i miei commilitoni, cercando di agganciare qualche ragazza locale, cosa difficile per: 1) controllo dei genitori; 2) scarsità di presenza femminile; 3) scarsa avvenenza della maggior parte delle ragazze giovani. L’alternativa erano alcuni bar e un paio di locali o la palestra. Due palle così!
Il servizio militare femminile volontario stava decollando ma noi non avevamo la fortuna di ospitarlo.
A ogni modo, il tempo passava e sognavamo il congedo e il ritorno alla vita civile, civile in tutti i sensi.
Il mio maledire la sfortuna durò fino ai famosi 100 giorni all’alba o giù di lì. Promosso caporal maggiore ero diventato l’autista principale dell’auto di servizio, una vecchia Fiat e con questa svolgevo diverse commissioni riuscendo così a far passare la giornata. Una mattina venni chiamato dal Colonnello XXXXXXX, il comandante da poco arrivato, che mi disse di accompagnare la moglie dal parrucchiere e poi portarla indietro. Gli ufficiali superiori vivevano in alcuni alloggi all’interno del comprensorio della caserma e così vedevamo mogli e figli transitare per i cancelli, ma anche lì c’era poco da guardare, mogli attempate e figlie universitarie che si facevano vedere ogni sei mesi. Al mattino mi presentai davanti al suo alloggio attendendo col motore acceso che la ‘signora’ uscisse di casa. Mi aspettavo una donna avanti con gli anni, che mi avrebbe dato ordini peggio di un sergente istruttore credendomi il suo schiavetto personale (ce n’erano alcune che lo facevano) e invece rimasi a bocca aperta vedendo uscire una donna sui 30 anni in gonna e camicetta, scarpe non troppo alte, borsetta Gucci e solo un filo di perle come accessorio a fare pendant con gli orecchini. Bionda, seno importante ma non eccessivo, occhi azzurri poco truccati. Veramente una bella donna. Mi affrettai a aprirle la portiera per farla salire e ebbi modo di vederle il lato B, che premeva sulla stoffa sottile e attillata della gonna prospettando delizie i fortunati.
Salii alla guida e le chiesi indicazioni sulla destinazione. Il viaggio verso il paese, di circa 20 minuti, lo passò digitando sms. Arrivati dalla parrucchiera mi chiese di aspettarla fuori e così feci per l’ora e mezza che le furono necessarie. Uscì fuori con una messa in piega che la valorizzava al massimo e spontaneamente le feci un complimento in tal senso. Mi ringraziò con un sorriso e salì in auto. Nel viaggio di ritorno scambiammo poche parole: volle sapere come mi chiamavo (Mario), di dove ero, quanto mi mancava al congedo eccetera eccetera. Aveva una voce bassa, molto sexy, e un fare da inquisitore. Prima che arrivassimo alla caserma sapeva tutto o quasi di me, avevo ritenuto più facile dirle la verità che inventare inutili storie.
Il pomeriggio successivo mi chiamò ancora il Colonnello ordinandomi di accompagnarla a fare la spesa in un negozio del paese. Cosa che feci volentieri per la voglia di rivederla. Nel viaggio continuò l’inquisizione, su ciò che mi piaceva, sui miei progetti futuri eccetera. Mi disse il suo nome, Monica, e la sua vera età, 42 (ne dimostrava molti di meno). L’accompagnai dentro il negozio portandole il carrello e tornammo in caserma.
Per farla breve, diventai quasi il suo autista personale accompagnandola ogni volta che mi chiamava, ora direttamente come ordinatomi dal Comandante, per questa o quella commissione. I miei commilitoni iniziarono a fare battute, anche pesanti, sulla mia esclusività, sulla sua bellezza, sul mio prossimo ritrovarmi al carcere militare se il marito ci avesse sorpresi. Non c’era nulla di vero, lo sapevo io, lo sapevano gli altri a cui non raccontavo certo la crescente confidenza che stavo prendendo con lei, ma era veramente un ‘ambiente da caserma’.
Dopo circa un mese dalla prima volta l’accompagnai più lontano, nella città più vicina. Il viaggio avrebbe richiesto un paio d’ore e partimmo presto per andare in una certa boutique ove doveva acquistare degli abiti per l’estate. Guidando parve aprirsi con me raccontandomi delle future vacanze che l’attendevano nel paese natale del marito, cosa che lei odiava poiché, non potendo avere figli, i suoceri la trattavano non esattamente con i guanti bianchi dando a lei ogni colpa. Fu un monologo in cui appresi la sua tristezza per non poter avere figli, per aver dovuto abbandonare l’ultima città dov’era di stanza il Colonnello, e quindi le poche amiche che aveva, per seguire la carriera del marito, la noia delle giornate passate da sola o con le altri mogli di ufficiali, con l’unico diversivo delle uscite con me alla guida. Per ultimo arrivò il disappunto per essere trascurata anche sessualmente dal marito che, 15 anni più anziano, pareva gradire più la compagnia degli altri ufficiali che la sua. Posava spesso la mano sul mio braccio mentre parlava, un tocco leggero che sembrava foriero di maggiore intimità. Io cercavo di restare impassibile, mai e poi mai avrei voluto mettermi nei guai col Comandante a poche settimane dalla libertà, però il mio sguardo cadeva spesso sulle sue cosce, ben visibili sotto la stoffa attillata della gonna, sul suo seno che intravvedevo dall’apertura della camicetta. Avevo una mezza erezione quando arrivammo alla boutique, parcheggiai e su suo invito la seguii all’interno. La titolare stessa venne a servirla mostrandole diversi capi che andò in camerino a provare. Uscì con una camicetta bianca annodata sotto il seno e una gonna leggera, ampia, che alzandosi quando si girava davanti allo specchio metteva bene in mostra due cosce tornite, sode, eccitanti. Mi chiese un parere ma lo poteva leggere chiaramente sul mio viso. Le feci i più alti complimenti e lei, con rammarico, mi disse che purtroppo non poteva prenderli, i suoceri e la gente del paese dove sarebbero andati avrebbero avuto parecchio da ridire. Tornò dentro e riuscì con una gonna più sobria, sopra il ginocchio, uno spacco laterale appena accennato che però, fasciandola completamente, la rendeva ancora più desiderabile. Mi rendevo conto che stava giocando con me, forse solo per farsi ammirare, per farsi desiderare senza nulla concedere. La certezza la ebbi quando mi disse qualcosa da dentro il camerino e, da un piccolo spazio lasciato dalla tenda non totalmente chiusa, ebbi modo di guardarla in intimo. Mi volgeva le spalle. Rimasi attonito, lo slip brasiliano mostrava due glutei perfetti, alti, sodi, senza un’imperfezione. Li fissai restando senza parole e mi scossi solo quando girandosi chiuse la tenda. Mi sorrideva facendolo. Ora ero certo, mi stava provocando e il mio corpo reagiva in un’erezione evidente sotto i pantaloni della divisa. Cercai di accomodarla meglio sentendomi a disagio e mi allontanai verso la vetrina per recuperare un contegno.
Monica uscì dal camerino, prese i capi scelti e andò alla cassa. La raggiunsi per portarle le borse e la scortai alla vettura poco distante. Guidai concentrato per uscire dalla città che non conoscevo bene e imboccammo la statale verso nord.
Nel viaggio tornò a farmi domande, ma questa volta più ‘intime’: se avessi la ragazza, se avessi conosciuto qualcuna in paese eccetera. Avuta risposta negativa passò al compatirmi per la forzata astinenza, chiedendomi come potevo sopportarla eccetera. La sua mano continuava a toccarmi il braccio e, in una occasione, la pose sopra la mia sul cambio. Non ce la facevo più, stava veramente giocando con me come il gatto col topo, e sorrideva facendolo, immaginando cosa mi passasse per la mente. Solo la paura delle conseguenze mi impediva di accostare l’auto e abbracciarla. Riflettevo su questo, rispondendole a monosillabi o frasi brevi, cercando di sviare i discorsi. Eravamo fermi a un passaggio a livello, nessuna altra auto intorno, quando mi pose una domanda più che intima e più che diretta, stringendomi il bicipite:
– Scusa Mario ma”. per caso sei omosessuale? –
Mi girai verso di lei, le afferrai il braccio e la tirai verso di me. Emise un gridolino di sorpresa che soffocai subito appoggiando le mie labbra sulle sue, forzandole con la mia lingua. Oppose una breve resistenza prima di arrendersi e aprire le labbra consegnandomi la sua lingua per un bacio che durò qualche secondo.
Il passaggio a livello si stava aprendo, mi staccai e rimisi le mani sul volante, ingranai la marcia e le risposi:
– No, e tra poco te lo dimostrerò –
Non mi importava più niente delle conseguenze, sapevo solo che la volevo, la volevo subito. Guidai ancora fino a trovare una strada sterrata che imboccai salendo verso una collinetta sopra la statale, poco dopo vidi sulla sinistra uno spiazzo tra gli alberi, accostai e spensi il motore girandomi verso di lei.
Mi guardava con un sorriso a metà tra l’ironico e l’attesa. Mi tolsi la cintura e mi accostai a lei aprendo anche la sua, l’abbracciai ancora e ancora la baciai subito corrisposto. Le mie mani vagavano sul suo corpo, sul suo seno che sentivo sodo sotto la camicetta, sulle sue cosce appena coperte dalla gonna attillata. La baciavo con voracità e l’accarezzavo, la mia lingua esplorava frenetica il suo cavo orale intrecciandosi con la sua altrettanto frenetica. Le presi una mano e la portai sulla mia patta, iniziò subito a carezzarmi, gemendo nel sentirmi duro sotto la stoffa, già pronto per lei. Ci baciammo ancora per alcuni minuti, la mia mano intanto era andata sotto la gonna, con difficoltà, e sentivo la sua pelle calda fremere sotto le mie carezze.
Volevo andare oltre. Mi staccai un attimo da lei e tirai indietro totalmente il sedile. Comprese al volo e si tolse le scarpe per scavalcarmi con una gamba e sedermisi sopra, tirando su la gonna e arrotolandola sui fianchi. Di fretta mi slacciai i pantaloni e lo tirai fuori. Ora solo il tessuto delle mutandine separava i nostri sessi, e fu un attimo scostarle e entrare in lei. Era caldissima, già umida, sentivo le pareti della sua vagina stringermi l’asta come un guanto mentre la penetravo con decisione, sino in fondo. Dalla bocca le uscì un sospiro di soddisfazione, tirò indietro la testa chiudendo gli occhi e agitando le anche. Mi impadronii dei suoi seni, aprendo la camicetta, tirandoli fuori e correndo con la lingua sui capezzoli, a leccarli, succhiarli, mordicchiarli. La sentii scuotersi sopra di me e abbandonarsi. Mi stupii capendo che aveva raggiunto l’orgasmo, così, dopo pochi istanti che la penetravo. Si riprese subito, guardandomi dritto negli occhi e sorridendo ancora:
– Non hai idea di come mi sia mancato questo –
Riprese a muovere le anche, cavalcandomi aggrappata alle mie spalle, muovendosi velocemente, sgroppando come una cavallina ubriaca, e toccò a me arrendermi. La lunga astinenza non mi permise di resistere ancora e sentii il consueto calore che mi partiva dai lombi e mi arrivava lì, proprio lì dove ero sprofondato in lei, e godetti con la bocca sulla sua spalla, sentendo il sapore della sua pelle, e lei godette ancora, subito, insieme a me, gridando con la testa al soffitto dell’auto.
Ci rilassammo per alcuni minuti, entrambi ansanti, riprendendo fiato. Il tutto era durato forse 5 minuti, in cui lei era venuta due volte e io una. Ci baciammo ancora, questa volta con dolcezza, passato il primo impulso era il momento di fare le cose in modo migliore. La feci staccare da me e tornare sul suo sedile, lo fece a malincuore, glielo leggevo in viso, ma non avevo ancora finito, volevo solo cambiare. Uscii dall’auto e andai al suo sportello, aprendolo e prendendole una mano per farla uscire, ancora con la gonna arrotolata sulla vita, le mutandine scostate. La feci sedere sul cofano, volevo sentirla per bene, &egrave una mia passione quella del sesso orale, adoro baciare le micine delle mie partner, non puoi dire di conoscere una donna fino a quando non hai sentito il suo odore più intimo. Chino su di lei mi misi all’opera, scostando ancora le mutandine. Era un lago, insieme ai suoi umori vedevo uscire anche i miei ma non m’importava. La leccai e baciai per diverso tempo, trovando un clitoride di dimensioni mai viste prima, quasi un cazzetto che mordicchiai e succhiai fino a farla godere ancora e bagnarmi la faccia dei suoi succhi. Il fare questo mi aveva eccitato ancora, ero di nuovo duro, pronto a ricominciare. Mi accostai e lei, distesa sul cofano, abbandonata senza forze dopo il terzo orgasmo, si limitò a guardarmi, gemendo quando lo sentì all’ingresso della vagina, mugolando quando lo sentì entrare, aprirle le carni e scomparire fino in fondo nel suo ventre accogliente. La scopai per diverso tempo, dopo il primo orgasmo potevo resistere parecchio, e ancora lei venne, quasi urlando. Non avevo mai conosciuto una donna così, capace di avere quattro orgasmi in così poco tempo. Continuai a scoparla, le mani sui suoi seni accarezzandoli a piene mani, usandoli come perno per spingermi in lei più a fondo che potevo, e venne ancora il mio momento, in cui una mano mi strinse le reni e mi ficcai in lei fino in fondo depositandole il mio seme direttamente nell’utero con schizzi che sentivo violenti. Monica venne ancora, mentre scemava il mio orgasmo si contorse ancora muovendo le anche con vigore e gemendo forte.
Riprendemmo ancora fiato e poi ci ricomponemmo. Il tutto era durato forse mezz’ora.
Riprendemmo la strada e alla mia domanda lei rispose che sì, era effettivamente una donna molto calda, le bastava poco per eccitarsi e godere e era capace di avere più orgasmi di seguito, se capitava col tipo giusto. Quest’ultima frase la disse allungando la mano verso la mia patta, dandomi una stretta all’uccello a sottolineare le sue parole.
– Capisci quanto ho sofferto negli ultimi tempi? Capisci come sono stata male senza? –
La capivo, la capivo bene.
Rientrammo in caserma come se nulla fosse successo e quello fu l’inizio di una storia che durò sino al mio congedo. Recitando ognuno la sua parte di finto distacco, ora ogni uscita per commissioni era un’occasione, un rubare una mezz’ora o poco più per stare insieme. Una notte riuscii anche a andare da lei quando il marito era stato chiamato al Quartier Generale, e fu una notte meravigliosa in cui godemmo l’uno dell’altra sino all’alba.
Arrivò il giorno del mio congedo e la gioia di tornare alla vita vera fu smorzata dal dover lasciare la caserma e lei.
Un mese dopo, quasi a fine estate, ricevetti una breve telefonata da lei. M’informava che suo marito, i suoceri, il loro paese intero, erano in festa poiché lei era incinta. Ora la trattavano come una regina sollevandola da ogni sforzo, ogni incombenza. Il marito stesso era più premuroso, meno distante da lei.
Non mi disse se il bambino era mio, probabile lo fosse e volesse farmelo sapere. Non l’ho sentita mai più.

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