Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Everywhere (dovunque)

By 15 Febbraio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Chi nutra delle riserve sul colore della pelle della gente; chi privilegi i preziosi aromi di sofisticati profumieri; chi prediliga il comfort di lussuosi ambienti, e fantasiose pseudo raffinatezze cerebrali; chi ami manipolare la natura; farà bene a saltare questo breve e povero scritto.
Non &egrave per lui!
Non &egrave che io disdegni la comodità, ma in certi ambienti non sempre mi sento a mio agio. L’opulenza di certe patine di orpello, il freddo anonimato di grandi alberghi di catene internazionali, che classificano ‘gran lusso’ le loro ‘cattedrali’ dell’accoglienza, tutte uguali e impersonali, non sempre mi attraggono. Anzi, mi respingono quando tutto ciò &egrave in evidente contrasto con la realtà in cui sono state imposti.
Affacciarsi al balcone dell’Old Cataract Hotel, ad Assuan, di fronte all’isola Elefantina, mentre alle spalle c’&egrave una camera in vecchio stile coloniale inglese, con mobili di quel tempo, &egrave cosa che mi affascina. Cosa che non mi accade se guardo in Nilo dalle finestre del’.. Meglio non dire l’albergo dal nome altisonante.
La prima volta che andai ad Algeri, chiesi di prenotarmi un Hotel centrale e caratteristico. Mi fu risposto che la prima sera, appena giunto, sarei stato ospitato al modestissimo ‘Ziri’, non lontano dall’aeroporto di Dar El Beida, il nome arabo di Algeri, che poi significa ‘La casa Bianca’. L’indomani, avrei trovato una comoda camera, al secondo piano, con balcone sulla piazza, all’Albert 1er, in Av. Pasteur. Sembra che fosse frequentato dagli ufficiali della Legione Straniera, quando godevano di qualche giorno di riposo, durante i quali svuotavano le seminali.
Algeria, Al Djaza’ir, le Isole. Paese immenso, e con moti razziali che serpeggiano endemicamente.
Il giovane receptionist fu estremamente cortese, disse che conosceva l’Italia, vi aveva anche fatto uno stage alberghiero, e volle assolutamente accompagnarmi nella mia camera. Evidentemente per informarmi che lui apparteneva agli Imazighen, agli uomini liberi, era un Berbero della Cabilia. Mi confermò la fierezza rifiutando gentilmente la mancia e tendendomi la mano, che gli strinsi calorosamente.
Più che altro erano visite di cortesia, le mie, che, però, avevano finalità commerciali: vendere prodotti e assistenza.
Percorso interessante, ma non certo privo di disagi.
Quella sera ne parlai con Hamazi, il simpatico berbero della Reception. Aveva accettato, dopo il servizio, di fare quattro chiacchiere, al bar.
Si era detto un po’ meravigliato dell’aver io scelto un Albergo ‘ancien régime’, ma nel contempo se ne compiaceva.
Gli dissi che avevo in programma di andare a In Amenas, nel sud est, quasi ai confini della Libia, dove erano pozzi di petrolio e anche una raffineria. Osservò, ridendo, che era un luogo abbastanza caldo. Mi chiese dove avrei alloggiato e quando seppe che sarei andato nella guest-house della Compagnia petrolifera, disse che almeno avrei trovato un po’ di refrigerio.
Ma lo interessò di più la successiva visita: In Salah. Non solo perché era ancora più caldo ma soprattutto perché con un’altra ora di aereo avrei potuto raggiungere Tamanrasset, la più meridionale delle città algerine, in pieno Sahara, ma pieno di attrattive, tra le quali, poco lontano, l’Eremitaggio di Padre Foucault.
‘Se lei non ha visitato Tam, Tamanrasset, non conosce l’Algeria.’
Mi consigliò, anzi, di andare direttamente a Tam, a duemila chilometri a sud, con meno di tre ore di volo, e poi, dopo aver fatto un po’ di turismo sahariano, avrei potuto prendere l’aereo per In Salah e, quindi, di li, dopo i giorni di lavoro, rientrare ad Algeri.
L’idea mi attraeva.
‘Lei, anche se ciò &egrave vietato dalla legge, potrà prendere direttamente una delle bellissime formazioni di sabbia, dette ‘rose del deserto’. Un ricordo indimenticabile.’
Ogni tentennamento fu vinto quando mi disse che sua sorella Awa, era l’addetta turistica del caratteristico Hotel Tahat, nella Rue Emir Abdelkader, di Tamanrasset. Tahat, il nome del monte poco distante.
Pregai lui di prenotare il volo e l’albergo.
Due giorni dopo ero a Tamanrasset. All’aeroporto era ad attendermi Awa. Non lo sapevo, ma Hamazi mi aveva descritto così bene che la giovane e splendida berbera mi venne incontro sorridendo. Dette al ragazzo che l’accompagnava la cedola per il bagaglio, ci avviammo all’auto. Una vecchia Peugeot ancora in ottimo stato. Ma senza aria condizionata. Era passato mezzogiorno. Il termometro indicava 40 gradi.
^^^
Non era la prima volta che mi trovavo in un deserto africano, ma mi sembrava cogliere qualcosa di nuovo, nell’aria, di sconosciuto. Forse erano i 1800 metri di altitudine, le montagne che mi circondavano, con i quasi tremila metri del Hoggar’ non so. Un odore strano che mi ricordava quello che avevo percepito tra i dei tuaregh, gli uomini blù. Anche essi gente del deserto. Mi voltai dalla parte di Awa che guidava attentamente, senza fretta.
Lei non apparteneva alle etnie sahariane, lei era della Cabilia, era Berbera, apparteneva agli Al Barbar, ai ‘liberi’, fieri, indomiti. Razza che, si diceva, aveva anche sangue asiatico. Si proclamano musulmani, ma non arabi, sono i discendenti di Massinissa, che sconfisse Cartagine, lo stesso nome di un recentissimo caduto in nome della resistenza agli Algerini, che in lingua Tamazigh suona Mohamad Guermah.
Era strano trovare gente berbera tra i monti del Hoggar?
No, li avevo trovato anche sull’Atlante del Marocco. E lì, una notte sotto la tenda, avevo ascoltato le parole del poeta Tuaregh Mussa Ag Amastane:
O uomo, cosa importa che tu abbia caldo o freddo?
&egrave la legge del deserto aver caldo di giorno e freddo di notte.
Ma non hai che da volgere la tua fronte al cielo per ricevere il sole e poi le stelle.
E sarai contento.
Eravamo giunti al ‘Tahat’.
Awa disse che mi avrebbe atteso nella Hall, dopo la doccia, per un tipico déjeuner locale. Mi assicurò che la camera era dotata di aria condizionata.
Non ci misi molto. Dopo mezz’ora ero con lei.
Sala da pranzo abbastanza accogliente, aria condizionata quasi funzionante.
Cibo caratteristico, una specie di bassa galletta, cotta nella sabbia, a base di mais, acqua e sale, condita con pezzettini di verdure e carne precedentemente preparate a parte.
Dopo il pasto non può mancare il t&egrave che costituisce un vero rito. Le foglioline di t&egrave, accompagnate da qualche foglia di menta, sono fatte bollire tre volte per ottenere t&egrave di concentrazione sempre minore; al termine di ogni bollitura si aggiunge lo zucchero che viene rimescolato travasando, con notevole perizia, il t&egrave da una teiera ad un’altra, per diverse volte e tenendo le due teiere notevolmente una più in basso dell’altra. Tutti e tre i diversi t&egrave vanno bevuti perché ognuno ha un suo significato: secondo la tradizione il primo &egrave duro come la morte, il secondo &egrave forte come la vita mentre il terzo &egrave dolce come l’amore.
Awa &egrave una conversatrice amabile.
Mi aveva salutato in francese, all’aeroporto.
A tavola si rivolse a me in un perfetto italiano.
‘Sa, ho studiato due anni in Italia, a Perugina, e poi ho frequentato un corso di un anno per il Turismo e Accoglienza.
Una sorpresa dopo l’altra.
Era una donna bellissima, tipica bellezza della sua gente. Indossava una ampia e lunga veste bianca, di cotone, stretta in vita da una catenella dorata. Qualcosa che ricordava lo sciamma e il caffettano. Da come si vedeva muovere ciò che la veste conteneva, si deduceva che doveva essere l’unica cosa che aveva addosso.
Abbastanza alta, snella, un volto incantevole. Mani curatissime, unghie appena rosate dall’henne, e un piccolissimo tatuaggio all’inizio del polso, come due minuscole ali di farfalla: sagoma nera con interno azzurro.
Le chiesi, scusandomi per l’indiscrezione, se fosse un simbolo.
‘Si, liberi di volare!’
Awa mi domandò se desiderassi riposare.
‘Grazie, ma preferirei fare quattro chiacchiere con lei, se &egrave disponibile.’
‘Sono a sua completa disposizione, Monsieur Marini, mi ritenga la sua interprete e la guida locale. Del resto &egrave la mia professione. Desidero subito chiarire, però, che vorrei che mi considerasse un’amica, perché non accetterò assolutamente alcun compenso”
‘Grazie, Awa, in quanto a quello che lei vuole definire onorario”
‘Non c’&egrave nessun ‘in quanto’, Monsieur Marini’ altrimenti lei mi costringe a privarmi del piacere di farle compagnia, di farle conoscere un po’ di questa terra.’
Pensai che non fosse il caso né il momento di insistere.
Awa era preziosa e che fosse così bella non guastava affatto.
‘OK, Awa, però’ ,c’&egrave sempre un però, tra amici ci si chiama per nome e ci si scambia il tu.’
‘D’accordo!’
Mi parlò di lei, della decisione di vivere a Tamanrasset. Era ‘single’, con qualche deludente esperienza alle spalle.
Con discrezione mi chiese della mia famiglia.
L’attività che svolgevo mi sconsigliava, almeno per il momento, di legarmi a un focolare di famiglia costituita. Del resto, dovevo ancora compiere i quaranta’
‘Ed io i trenta!’
Disse Awa.
La guardai, la ritenevo più giovane. Dimostrava meno di trent’anni.
Stavo bene con lei.
Mi parlò molto degli inutili e sanguinosi tentativi della gente della Cabila di avere una certa autonomia dal Governo algerino.
Nel tardo pomeriggio mi condusse a fare un giro conoscitivo della città, raccomandandomi di non fare acquisti. Se vorrò qualche ‘souvenir’, mi indicherà lei qualcosa di veramente originale e dove acquistarla.
Leggera cena.
Mi consiglia di andare a letto presto, e di essere pronto per le sei e trenta dell’indomani. Devo portare il necessario per pernottare fuori albergo. Ha già prenotato un fuori strada, e ci sarà anche un ragazzo di sua fiducia.
Mi accompagna fino alla mia camera’ spero’ mi illudo’ ma mi saluta con un rapito ‘bacetto’ sulla guancia.
‘A domani!’
^^^
Orario perfetto.
Alle sei sono a colazione. Awa &egrave pronta. Alla porta il fuoristrada, e Badì, il ragazzo.
Dopo pochi minuti partiamo, diretti ad Assekrem, sulle montagne dell’Hoggar.
La zona dell’Hoggar &egrave costituita prevalentemente da un altopiano roccioso a gradinate sul quale si innalzano dei pinnacoli isolati, resti di antiche attività vulcaniche; tra essi il più elevato &egrave il Tahat (2918 metri). Il Tassili n’Ajjer, &egrave formato da un vasto altopiano terrazzato posto ai margini del massiccio dell’Hoggar, con guglie e picchi di arenaria profondamente incisi dall’erosione. La zona del Tassili costituisce uno dei maggiori centri dell’arte rupestre sahariana. In particolare &egrave celebre per le numerose ed importanti pitture parietali esplorate e rilevate in maniera sistematica dalla metà degli anni ’50 in poi.
Sembra di attraversare un paesaggio lunare. Il sole scalda sempre più. La strada &egrave lunga. Dopo alcune ore, ed anche un tratto a piedi,
siamo all’Eremo Charles Foucauld, a 2780 metri, poco sopra al rifugio, che &egrave a 2600 metri.
Ad un certo momento ci siamo fermati per mangiare qualcosa di quello che Awa ha fatto preparare.
Sono quasi le diciannove quando scendiamo al rifugio, dove ceniamo a base di ‘sciorba’ (zuppa) e cuc cus.
Siamo gli unici turisti, diciamo così, del rifugio. Awa mi avverte che ci si deve arrangiare.
Abbiamo avuto una giornata abbastanza pesante, abbiamo sudato abbondantemente. Quando, prima di andare a dormire ci sediamo un po’, all’aperto, vicinissimi, tanto da toccarci col corpo, io sento un piacevole odore, come di erba selvatica, di selvaggina squisita.
Emana da Awa. Qualcosa di inebriante, di attraente, stuzzicante.
Il ‘suo’ profumo, qualcosa di mai sentito prima. E’ come un richiamo irresistibile.
‘Awa, emani una fragranza incantevole, eccitante, tentatrice. Un profumo che non conosco. E’ francese?’
Awa mi guardò divertita, sorridendo.
‘E’ berbero’ genuino’ non ho mai usato profumo. L’odore che avverti &egrave mio, lo’ produco io’ Naturalmente.
Mi affido alla natura: mai cosmetici per il corpo, salvo un lieve strato di rossetto sulle labbra, a volte. E solo henné per le unghie, come le nostre donne fanno da sempre. Nessuna depilazione. Lasciamo le cose dove la natura le ha messe. Se lo ha fatto c’&egrave una ragione. Del resto’ non sono villosa’ lo vedrai presto”
Sobbalzai, fissandola.
Sorrise.
Questa notte dividiamo lo stesso piccolo locale, lo stesso giaciglio. L’altra cameretta sarà per Badi e il custode del rifugio.
Già quell’odore mi aveva eccitato.
Ora ero proprio su di giri.
Mi prese per mano, entrammo nel rifugio, nella stanzetta, chiuse la porta, solo una fioca lampadina alimentata dall’ansimante gruppo elettrogeno.
Mi indicò il ‘giaciglio’.
Tolse la catenella dorata che stringeva il vestito, lo sfilò dalla testa, rimase completamente nuda.
Una venere bronzea, meravigliosa, affascinante. Con un corpo perfetto. Un seno sodo ed eretto, scuri capezzoli. Fianchi splendidi, ventre leggermente concavo, accogliente; grembo appena coperto da una non fitta peluria; gambe tornite alla perfezione.
Si sdraiò su quella specie di letto.
Ero rimasto immobile, interdetto.
Mi tese la mano.
Non ci misi molto a rimanere come lei.
Presi la sua mano.
Le fui accanto.
Mi carezzò dolcemente il volto.
Ci baciammo, voluttuosamente, a lungo.
Mi chinai a baciarle i capezzoli, a suggerli, avidamente.
Un profumo sconosciuto, un sapore particolare.
Mi attraeva e mi inebriava.
Mi sembrava di aspirare l’aria del deserto, effluvio di fiori spontanei, nati dal seme portato dal vento. Odori della natura, non frutto di manipolati incroci, di studiati innesti fantasiosi.
Sapore di acqua di fonte, così come sorge dalla polla, come viene da dentro.
Ebbrezza dei sensi, rapimento che ti trasporta lontano, ma ti narra la bellezza dell’esistere.
Un uomo, una donna. Così come la natura li ha voluti, li ha fatti, senza sofisticazioni, adulterazioni.
Profumo di noi; sapore di noi’
E’ così per ogni maschio e per ogni femmina.
Dovunque.
T’amerò dovunque, ti avrò dovunque. E’ sempre lo stesso meraviglioso incontro, dovunque.
Everywhere’ la bella e languida melodia di Colin.
La incantevole melodia che diffondeva il palpitante corpo di Awa.
Carezzò il mio fallo, impazientemente eretto.
Si pose carponi.
Le ero dietro, bramoso, dilatai delicatamente quelle irresistibili natiche, scorsi il roseo del suo sesso, le piccole labbra. Posi il glande impazzito nel tiepido umido dell’ingresso della vagina’ la penetrai’ lentamente, e il suo invitante movimento, voluttuoso, andava sempre più accelerando. Mugolava, sussultava, si spingeva verso me, mi mungeva inebriantemente. Percorrevamo la stessa strada, all’unisono. Fu scossa dall’irrefrenabile e sconvolgente fremito dell’orgasmo nello stesso momento che trasferivo in lei la calda testimonianza del mio inimmaginabile piacere.
Si stese, a pancia sotto, Giacqui su lei. In lei.
Indescrivibile incontro.
Meraviglioso.
Si assopì tra le mie braccia.
Uscii dal torpore del sonno sentendo la sua mano che frugava tra le mie gambe.
Volle cavalcarmi a suo modo, sfrenatamente. Il seno sobbalzante, i capelli sbattuti, i fianchi bramosi’ e godemmo ancora’. Ancora’
L’amore &egrave una cosa meravigliosa, dovunque.
Ma qui, in questo luogo, lontani da tutto e da tutti, nel deserto, un uomo e una donna, diversi per colore, razza, religione, usi e costumi, si congiungono. Unione che, oltre il delirio dei sensi, ebbrezza, voluttà, solennizza il più vecchio e naturale degli scopi per cui esistono maschi e femmine.
Non sono ancora le sei quando Badì bussa alla porta.
Dobbiamo tornare a Tamanrasset, si parte.
^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply