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Racconti Erotici Etero

Flamoor

By 15 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Flamoor Manor Place, il Castello dei Flamoor, era lontano dalle brughiera da cui prendeva il nome.
Era arroccato su un’altura, da dove si dominavano tutto intorno, a perdita d’occhio, le terre dei Flamoor.
Flamoor, la brughiera delle fiamme, (flame-moor), perché a volte, si diceva, nelle notti più calde dell’estate, dove nelle altre stagioni era erba ed acquitrino si innalzavano lunghe fiamme, che duravano solo un istante, ma che, a detta di tutti, erano le anime dei trapassati che tornavano a visitare la loro terra.
Flamoor Manor Place, era comunemente chiamato Flamanor, od anche The Place.
Ci viveva Henry Flamoor, fiero di essere il dodicesimo Earl, conte, della Flamoorian Dynasty.
Sul portale del castello, al di là del fossato e del ponte levatoio, campeggiava lo stemma, il crest, lo scudo gentilizio, sormontato dall’Earl’s coronet, la corona comitale, nel quale spiccava la fiamma.
La fiamma, the flame, era presente dappertutto: sulle armature, sugli scudi, sulle spade, sulle lance, sugli stiletti, sui piatti della mensa, sulle stoffe, sui giustacuori’
Tutto intorno al maniero, era un pullulare di cani, di botoli ringhiosi e selvaggi, che non lasciavano avvicinare nessuno.
Chiunque, era costretto a fermarsi prima del ponte.
Henry Flamoor era continuamente in lotta con qualcuno dei suoi vicini, sempre a ragione dei confini che la brughiera rendeva difficilmente delimitabili, date le numerose sabbie mobili che ingurgitavano tutto: uomini e cose.
Incredibile, ma agguati, lotte, ferimenti, uccisioni, sembravano poca cosa per qualche metro in più o in meno di terra non generosa.
La vita a Flamanor era monotona e ripetitiva.
Continui allenamenti per l’uso delle armi. Tiro con l’arco, centrare un bersaglio mobile con la lancia, interminabili incontri di spada.
Henry aveva sposato la più giovane delle figlie di Sir Archibald Plomer.
Un matrimonio combinato, proprio per reciproca garanzia di confine.
Daisy era giovanissima, conosceva solo di vista il corpulento Henry, e ne aveva sentito parlare come di uomo rozzo, privo di tatto, amante del mangiare e delle donne facili, o di quelle che, comunque, incontrava sulla sua strada e usava quasi sempre per non più di una volta.
In genere, per tutto ringraziamento, lasciava qualche moneta.
Ma non sempre.
Daisy avrebbe scelto più volentieri il convento, ma la volontà del padre era indiscutibile.
Dopo una cerimonia più profana che sacra, le trombe annunciarono il ricevimento, a base di grosse portate di carne, di altri cibi, e di solenni bevute.
La sposina, uno scricciolo di fronte alla mole dello sposo, non toccò quasi nulla, e doveva cercare di non sobbalzare quando il sempre più allegro Henry le allentava sonore pacche sul piccolo culetto ancora avvolto nell’abito virgineo.
Battute grasse e volgari, risate e sghignazzi.
Ad un certo momento, Henry prese per mano la ragazza e la trascinò, quasi di peso, nel loro appartamento.
Tra un rutto e un altro, si allontanò per andare a spandere acqua, ma si sentì anche si sgravava del troppo gas accumulatosi nella pancia.
L’ancella aiutò Daisy a spogliarsi, indossare la camicia nuziale, e mettersi a letto.
Salutò con un inchino e uscì.
Henry apparve subito dopo, corpulento, panciuto, e con la mano si carezzava il sesso.
Si avvicinò al letto, seguitò a menarsi il fallo, che raggiunse un’apprezzabile erezione. Scostò la coperta, perse per i piedi Daisy e la trascinò sulla sponda del talamo, le sollevò la camicia, le divaricò le gambe e, di colpo, la penetrò, senza tanti complimenti, incurante delle lacrime che uscivano dagli occhi della fanciulla e del suo mordersi le labbra fino a farle sanguinare, come andava accadendo nella sua vagina.
Pochi colpi, violenti, e poi riversò in lei il suo seme.
Si staccò.
Si gettò sul letto.
Si mise a ronfare.
^^^
La corte della giovane contessa di Flamoor, si riduceva ad una old companion, una specie di vecchia dama di compagnia e alcune ancelle che la accudivano.
Tutte rigidamente sorvegliate da Euny, un brutto e perfido omuncolo, manikin, chiamato Euny, come a dire eunuchetto, da quando era tornato dalla battaglia evirato dai nemici che lo avevano catturato.
Per fortuna di Daisy, le visite notturne del marito erano rare. Lui preferiva le grasse femmine che faceva venire dalle osterie.
Gran parte del giorno, Daisy la trascorreva a guardare gli armigeri duellare, o l’arrivo dei rifornimenti, od altro. Sempre dalla veranda del suo appartamento, e sempre con la sua companion e sotto l’occhio vigile e strabico di Euny.
Malgrado rimanesse molto internamente al balcone, perché questo era l’ordine di Henry, si era sparsa la voce che la castellana guardava i giovani cavalieri mentre si misuravano, in attesa degli scontri coi nemici di sempre.
Richard di Moss, era da qualche tempo al servizio del signore di Flamoor, per imparare l’uso delle armi, e per cementare l’amicizia tra le due famiglie.
Sapeva che Daisy, da lui vista alle nozze e poi qualche volta, al braccio di Henry, stava a guardarli.
Cercava di torneare al meglio, di mostrarsi gagliardo e prode.
Era un bel giovane, scuro di capelli e aitante d’aspetto.
Ed era un brillante e coraggioso spadaccino.
Prima di cominciare un incontro, faceva cadere a terra il suo fazzoletto ricamato, e poi lo raccoglieva, alzando in alto la mano, sventolandolo, come per un segreto saluto.
Evidentemente la cosa non dispiaceva alla donna. Era, in fondo, la dedica del duello, sia pure amichevole, alla bella e triste castellana.
Quella mattina che soffiava un po’ di vento, Daisy, distrattamente e incautamente, poggiò il suo piccolo fazzoletto candido, con la cifra ricamata, ‘D’, sul parapetto, troppo in fuori, perché il vento lo ghermì e lo portò giù, proprio ai piedi di Richard che lo raccolse, lo baciò, lo conservò nel giustacuore. Nel jerkin.
La cosa, comunque, non era sfuggita a Euny.
Quel piccolo quadrato di leggera stoffa bianca, divenne oggetto importante per la liturgia quotidiana che precedeva i duelli.
Richard lo prendeva, lo portava alle labbra, lo riponeva sul petto e, alla fine, lo sventolava in alto.
Daisy seguiva sempre più interessata e trepidante gli assalti del giovane e non riusciva a trattenere un gesto di soddisfazione ad ogni sua stoccata, o di rammarico quando veniva toccato.
Un lieve cenno della testa, impercettibile, ma che non sfuggiva a Richard e Euny, ricambiava il gesto del fazzolettino sventolato.
Daisy lo sognava la notte.
Si domandava come sarebbe stato con lui, con Richard.
Il pensiero di Henry la nauseava, la faceva rabbrividire.
E venne il Gran Torneo al quale furono invitati numerosi cavalieri anche del vicinato.
Richard chiese al Signore, a Henry, il permesso di dedicare il suo intervento alla Contessa Daisy.
Henry si accigliò, ma consentì.
Chiamò da parte Euny e gli raccomandò di sorvegliare particolarmente Richard, perché quel giovane sbarbatello non gli piaceva.
Il Carosello fu lottato ma leale.
Rimase l’ultima coppia in lizza: Richard di Moss, detto Dusky, e Charlie the Bald.
Forse i più bei campioni di tutto il regno.
Lo scontro fu asperrimo, senza esclusione di colpi, di finte.
I cavalieri partirono da lontano, lancia in resta, al galoppo.
L’arma di Richard centrò lo scudo dell’avversario.
L’urto fu violentissimo.
Charlie non riuscì a restare in sella, rovinò sul terreno, e non era ancora riuscito a rialzarsi che la spada di Richard gli fu alla gola.
L’urlo della folla salutò il vincitore: Richard Dusky.
Henry fece un cenno di assenso col capo.
Richard si avvicinò allo sconfitto, ancora a terra, gli tese la mano, lo aiutò ad alzarsi, lo salutò cavallerescamente. Poi andò dinanzi alla tribuna, tolse l’elmo, si inginocchiò tendendo la spada verso Daisy.
La donna accennò un applauso.
Euny, seminascosto dagli armigeri che circondavano il palco, guardava in silenzio.
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Daisy, ormai, viveva il suo sogno.
Rimaneva a lungo, con gli occhi aperti, incantata, a pensare al bel Richard.
La notte seguitava a sognarlo, sempre più confidenzialmente, intimamente.
Ne immaginava le carezze, le labbra, l’abbraccio.
Il suo giovane grembo, che conosceva solo torture, palpitava abbandonandosi a sensazioni nuove, sconosciute, alle quali cercava di sfuggire.
Inutilmente.
Richard era riuscito a incontrare un’ancella della signora del castello.
Le aveva dato una margherita.
‘Pregate Lady Daisy di toccarla con la sua mano.’
Il mattino successivo, Daisy si affacciò cautamente dal verone, portò il fiore alle labbra, lo lasciò cadere distrattamente.
Richard, furtivo, lo raccolse.
Euny aveva visto tutto.
Si dice, ed &egrave vero, che la passione acceca.
I gesti dei due innamorati divenivano sempre meno cauti e discreti.
L’ancella era, ormai, la messaggera di teneri messaggi, di piccole attenzioni.
La necessaria prudenza stava cedendo all’impazienza.

Henry sarebbe andato in visita presso il sovrano, con un drappello di fidi, la sua assenza, certo, non poteva essere inferiore a una settimana.
Prima di partire impartì ordini severissimi, e si appartò per qualche minuto con Euny.
I due giovani giudicarono che ‘o allora o mai’.
Il maggiore ostacolo era Euny.
Richard aveva un suo piano.
Sapeva che l’omuncolo, quando il padrone era assente, si sdraiava fuori della porta dell’appartamento di Daisy. E lì, su una pelle distesa sul pavimento, dormiva qualche ora.
Aiutato da un suo fido, l’avrebbe assalito all’improvviso, imbavagliato, legato, messo in un sacco, portato nel vano adiacente, quello destinato al riposo del guardiano quando Sir Henry era in casa.
L’azione improvvisa e la meschinità fisica di Euny avrebbero resa la cosa silenziosa e priva di pericoli.
E così fu.
Euny non si rese nemmeno conto di cosa stesse accadendo.
Si trovò imbavagliato, legato, insaccato, e immobilizzato su un giaciglio che gli parve riconoscere per il suo.
Richard, intanto, aveva raggiunto Daisy che, pallida e tremante, lo attendeva nella sua camera.
La strinse in un tenero abbraccio, a lungo sognato ad occhi aperto, poi le sfiorò le labbra, senti dischiudersi timorosamente quelle della donna, e divenne un bacio lungo appassionato.
Non riuscivano a parlare.
Erano emozionantissimi, ansiosi e titubanti.
Le mani si cercarono, esplorarono, ognuno scoprì i tesori dell’altro.
Daisy aveva fantasticato sullo ‘scettro dell’amore’. The sceptre, stick of delight.
Richard aveva vagheggiato, in lunghe notti insonni, lo scrigno prezioso di Daisy.
E quel talamo, testimone di volgari violenze, accolse gli amanti che conobbero la delizia di mantenere, a lungo, quel fremente scettro nel palpitante scrigno che lo accolse voluttuosamente, e ne custodì, come inestimabili diamanti, le gocce di rugiada che le regalò.
Era l’alba quando Richard dopo un ultimo bacio e ancora un amplesso travolgente, lasciò la bella Daisy, incantata, discinta, disfatta, deliziosamente appagata e piena di lui.
Prima di fuggire, rapidamente e silenziosamente, Richard andò a tagliare il sacco e i legami di Euny, e in un baleno fu nel suo alloggio,
Solo il suo fido sapeva dell’accaduto.
Solo l’ancella conosceva la notte di Daisy.
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Il Conte tornò al suo castello.
Più borioso e tronfio che mai, per le parole che gli aveva rivolto il sovrano.
Squillarono le trombe, gli armigeri lo accolsero festosi.
I cavalieri lo salutarono devotamente.
Lui guardò appena Daisy che gli si era fatto incontro, e andò nella sala d’armi.
Parlottò a lungo con Euny.
Non sapeva chi fosse stato a legarlo in quel modo, ma lo sospettava, anzi ne era pienamente convinto: Richard.
L’ancella giurò a costo della tortura e della stessa vita, che nessuno aveva violato l’appartamento della signora.
Henry, comunque, si ripropose di non aver più rapporti con quella insignificante e insipida ragazza, e di restituirla al padre, con la scusa che era sterile.
Intanto, chiamò Richard, lo complimentò per il suo coraggio, e lo incaricò di recare un messaggio al sovrano.
Era un compito segreto e delicato.
Doveva partire solo, e senza dire ad alcuno dove andava e perché.
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All’alba di tre giorni dopo, andava avvicinandosi al ponte levatoio, a passo lento e stanco, un cavallo sul quale s’intravedeva la sagoma d’un uomo, di traverso, sulla sella, con braccia e gambe penzoloni e ballonzolanti ad ogni passo della bestia.
Il cavallo avanzò sul tavolato del ponte.
La guardia cercò di guardare, gli sembrò di riconoscere sia l’animale che l’uomo.
Aprì la porta.
Fu un accorrere di gente.
Quando il cavallo si fermò, due guardie si avvicinarono al carico, lo tolsero dalla sella, lo distesero al suolo, alzarono la celata.
Apparve il volto esangue di Richard.
Dal collo gli usciva uno stiletto, con manico avvolto in un bianco fazzoletto, intriso di sangue, in un angolo del quale era ricamata una ‘D’.
Sull’impugnatura spiccava la Fiamma di Flamoor.
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Il mese seguente, la sterile Daisy tornò a casa del padre.
Incinta.
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