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Racconti Erotici Etero

Franca

By 19 Dicembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ stata una giornata intensissima, cominciata per entrambi alle cinque e mezza, quando a gennaio l’alba &egrave ancora un concetto acerbo. C’era da fare tappa la mercato all’ingrosso del pesce di un comune vicino. In campagna elettorale ogni momento &egrave fondamentale per farsi conoscere, far girare un nome, far memorizzare un viso. Quando alle cinque meno dieci, in piena notte, Franca esce dal cancello della sua villa per entrare nella mia macchina il suo respiro disegna una nuvola di condensa fosforescente, sotto i lampioni a neon della strada. Entra nell’abitacolo. Lo trova caldo, confortevole. Ho acceso i sedili riscaldabili, ho impostato il condizionatore su 19 gradi. ‘Che levataccia, caro’ non so come ringraziarti”. Rispondo educatamente accarezzandole la mano e guardandola con aria sveglia ‘ e già due caff&egrave in corpo ‘ ‘Tranquilla Franca, te l’ho detto che pur di vederti eletta faccio tutto!’. Lei sorride, scosta la mano per darmi una carezza: ‘Sei un ragazzo d’oro’ che fortunata che sono!’. Faccio partire il motore, gentilmente faccio manovra ed usciamo dal vialetto d’ingresso del residence. ‘Le bambine?’ alludendo alle due figlie, 11 e 5 anni. ‘Le tiene mia suocera, Luca torna tra due settimane” ed ha una nota di malinconia nella voce prima di proseguire ‘Almeno il rush finale della campagna elettorale dovrebbe esserci’ dovrebbe’ ma con le piattaforme lo sai come va, può sempre succedere che revochino le ferie e i permessi”. Malinconia, tristezza ed una vena di rassegnazione.

Luca, suo marito, cinquantun’anni, &egrave ingegnere capo responsabile di una piattaforma gas nel Mar Caspio. Mentre sua moglie, Franca, 46 anni, avvocatessa civilista, nella mia auto, si prepara ad una nuova intensa giornata di campagna elettorale. Io sono finito al suo fianco come al solito per volere e disponibilità del mio caro babbo, che non perde occasione per infilarmi qua e là negli ‘ambienti’ dove la nostra famiglia non può mancare. Ora al fianco di una cara amica oltre che di una eccellente professionista. ‘Hai idea di cosa può significare in termini di contatti, conoscenze ed altro essere il segretario particolare di un politico domani? Non ti sto dicendo di fare il portaborse, non ne abbiamo bisogno ed &egrave sempre bene aiutare qualcuno che può averne bisogno e che ha voglia di fare quel lavoro’ ma hai idea del prestigio di essere tu il suo segretario particolare? Di gestire tu il suo ufficio politico?’. Io una idea ce l’avevo’ e su questo in effetti mio padre non sbagliava. Ma quel che più mi animava in tutta questa storia, era il desiderio, balenatomi in mente appena Franca, a cena a casa dei miei, mi fece la proposta di lavorare per lei. ‘Vuoi tenermi tu la segreteria politica per questa campagna elettorale e se va bene in futuro? Io ho bisogno di una persona giovane, capace e di cui possa fidarmi’ tu nel Partito ci sei da quando sei ragazzino’ hai l’esperienza che a me manca e conosci la situazione, puoi consigliarmi bene, farmi vedere bene cosa c’&egrave dietro ogni cosa”.

Quel che più mi faceva gola, mentre dicevo sì, era la fantasia che mi si accendeva in mente ad ogni sua parola: farmela. Farmi una donna sposata. Farmi una donna matura. Farmi una storia con una datrice di lavoro, amica di famiglia, donna sposata e di sani principi. Fantasticavo mentre le dicevo sì. Fantasticavo pensando che sarebbero rimaste solo fantasie.
Tre incontri in mattinata, un convegno poco prima di pranzo ‘ giusto un salto per i saluti e un breve intervento ‘ aggiornamenti professionali nel suo studio dalle 14 alle 16:30, poi una inaugurazione, una mostra, un comizio volante in una fabbrica. Centosessanta chilometri. Otto caff&egrave. Tanta malinconia nella sua voce, nelle due telefonate con suo marito. Malinconia e un pizzico di stizza, anche. ‘Le bambine? Il suo lavoro? Ed io? Non m’ha chiesto niente di ‘sta giornata”. Sbuffa. Ripone il cellulare accennando un gestaccio indirizzato al suo Luca, lontano quasi quattromila chilometri. Sono le 21 quando finalmente rientriamo nel suo sudio. Franca &egrave sfatta. Franca &egrave ancora meno bella del solito. Già perché Franca bella non lo &egrave per nulla. Non &egrave nella maniera più assoluta il prototipo della donna in politica cui la TV e gli scandali ci hanno abituato. Chiariamoci non &egrave un cesso alla turca’ ma bella onestamente non lo &egrave. Alta, un po’ troppo per una donna considerato che siamo vicini al metro e ottanta senza tacchi. Non &egrave esile. Un po’ di pancetta le spunta quando mette i pantaloni. Ha un seno procace, certo, ma l’allattamento di due figlie, l’età ed una vita tutto sommato sedentaria cominciano a tirarlo giù. E se sbottona un po’ i primi bottoni della camicia, qualche ruga tra i due seni si vede. Nella mente mi dico che la chiamerei bella sederona se stessimo assieme, se ci fosse la giusta dose di complicità sessuale tra noi. Purtroppo non posso pemettermelo. Ha il fianco largo. Il culo da scrivania e da poltroncina del tribunale. In compenso ha, non so spuntate da dove, delle gambe bellissime. Slanciate, con un disegno fantastico di caviglia polpaccio, ginocchio e coscia. Le valorizza poco però, con degli stivali da cavallerizza che la fasciano fin poco sotto il ginocchio. Quando le chiedo perché non indossi scarpe diferse mi sorride e fa: ‘Senza tacchi le scarpe da donna sono orribili’ e se metto i tacchi sembro un’aliena”.

Sono le ventuno quando si butta sulla poltrona sfinita e risponde al cellulare. Chiamata dalla sede regionale del partito. Vogliono sapere com’&egrave andata. Lei parla un po’, stanchissima, poi mi passa il telefono per le consegne della giornata successiva. E quando mi giungono all’orecchio le prime parole, la mia faccia deve dirla tutta perché Franca mi fissa, capisce e scuote la testa sconsolata. Abbassa il viso. I lunghi capelli biondi ‘ che tinge con regolarità per coprire qualche radice imbiancata, nascondono i suoi lineamenti. Sbatte la mano sul bracciolo della poltrona. Ha capito tutto. Ha intuito che sarà una nuova levataccia. Sarà una nuova giornata campale. Saluto, metto giù. Mi accovaccio sui talloni di fronte a lei. Ho le sue ginocchia all’altezza degli occhi. Se scavallasse le gambe e dischiudesse le cosce vi racconterei del suo intimo. Non mi guarda, resta immobile. ‘Che ci tocca domani?’. Le rispondo. Levataccia alle 4:30. Dovremo essere ai cancelli di una fabbrica a 100 km da casa sua per le sei. ‘Io non ce la posso fare’ io non ce la faccio più”. Crolla un attimo. Le prendo la mano: ‘Dai che ce la fai’ come sempre!’. Alza lo sguardo. Mi fissa intensamente: ‘Chi me la da la forza non lo so nemmeno. Non vedo le bambine da due giorni. Mio marito non c’&egrave mai”. Assento con un viso comprensivo: ‘Lo so Franca ma sono altre 4 settimane, dai’ sei una donna forte’ non sarà sempre così’ questo &egrave il giro pesante poi vedrai che”. Scuote la testa. Volta la mano e me la stringe. ‘Non lo capisce nessuno che io non la reggo una vita così altre quattro settimane? Luca non lo vuole capire? Io da sola sto facendo qualcosa di grosso, troppo grosso”. Mi lascio stringere anche forte la mano mentre continua: ‘Io non la passo un’altra notte come ieri’ non ce la faccio a stare sola a casa’ mi sento di impazzire’ non so la Madonna da dove me la sta mandando tutta questa forza”. Una avvocatessa che tenta di entrare in politica dalla porta principale può essere religiosa? Sì. E di una religiosità sincera nei principi e molto contraddittoria in alcune applicazioni, avrei avuto modo di scoprire.

Cerco di buttarla sul ridere con una battuta. Serve a sdrammatizzare l’aria. Ed onestamente a regalarmi un piccolo piacere con la fantasia. ‘E allora vengo io da te stasera a dormire’ così domani subito facciamo’ e dormiamo pure qualche minuto di più eh?’ La guardo sorridendo. Lei non capisce che &egrave uno scherzo. Resta spiazzata. Ci pensa. Non valuta il mio sorriso come il gesto di chi vuol far intendere che si scherzava ma come un modo per rasserenarla e toglierle dobbi. ‘E che ti faccio dormire sul divano?’. Capisco che l’ha presa sul serio. Capisco che ci sta pensando. Capisco che si sta facendo mille domande ma ancora non s’&egrave data una risposta. E rincaro, sempre col sorriso sulle labbra: comoda exit strategy! ‘E che fosse la prima volta che dormo su un divano’ poi i tuoi sono comodi!’. Scuote un attimo la testa, quasi a passare a memoria altre informazioni o scacciare dalla testa alcuni pensieri’ ‘Ma smettila, sei senza cambio’ che ti do il pigiama di mio marito?!’ quasi sorridendo scontrosa, come a dire smettila di prendermi in giro. ‘Non c’&egrave bisogno Franca, io dormo solo con la magliettina e il boxer’ e chiudo la porta così non mi vedi”. Adesso sono serio, serio davvero. Eh siamo in ballo, proviamo a ballare. Lei vorrebbe, si vede’ l’idea di star sola un’altra notte evidentemente deve essere troppo pesante. E poi c’&egrave la fiducia. E poi ci deve essere il pensiero ‘Seh, con me ci deve provare? A trent’anni ci prova con questa vecchia bacucca”. O forse, ancor meglio, vista la sua incrollabile rocciosa fedeltà, non ci pensa nemmeno a qualche risvolto più ‘confidenziale’ della mia proposta. ‘Madonna santa e a casa che dici?’ ‘ ‘Che vuoi che si preoccupino se sto da te? Meglio, non mi metto sulla strada domani prima dell’alba, no?’. Si risveglia forse anche quell’istinto materno che comunque i suoi diciott’anni e più di differenza da me evidentemente le instillano. ‘E va bene’ facciamo così”. Sbrighiamo le ultime faccende. Il programma per la serata &egrave tornare da lei e cenare lì, prepareremo qualcosa. Non parliamo più di quel che ci attende. Non ce n’&egrave bisogno.

Risaliamo in macchina. Mi chiede di guidare. Evidentemente vuole scaricare la tensione. E poi vuole che le legga l’agenda del giorno dopo. Fittissima. Si preannuncia una giornata davvero campale. Forse più di quella appena trascorsa. La guardo. &egrave tesa. Contrita. Una pentola a pressione. ‘Quanto mi vorrei fare un bagno caldo’ non lo puoi nemmeno capire”. Lo dice con aria sommessa. Mi sembra sul punto di cedere, scoppiare a piangere. ‘E ora arriviamo a casa e te lo fai’ cucino io qualcosa”. Annuisce ma non credo stia davvero ascoltando.
Il cancello si apre. Parcheggiamo. Entriamo in casa. Le luci spente le ispirano una nuova malinconia: ‘Vedi che brutto tornare a casa e non trovare nessuno?’. Quando la porta blindata si richiude alle spalle e la sua valigia viene lasciata cadere per terra la vedo girarsi verso di me con la faccia sinceramente stravolta ‘Lo vedi che cosa terribile non avere nessuno che viene a salutarti quando rientri? E dopo tutta questa giornata?’.

Non so cosa mi prenda. Mi avvicino. Di sicuro quel che mi muove inizialmente &egrave il bisogno istintivo di rassicurare una donna che conosco e che mi vuol bene da tanto. Ma mentre faccio quei due passi che mi portano ad abbracciarla, a metterle le pani sulle spalle per scuoterla e stringerla assieme, sento qualcosa pulsare lì sotto. &egrave il mio uccello. Che di colpo si fa duro. Non so cosa succeda. La voglia di concretizzare quella fantasia comincia a prendere il sopravvento. ‘Ci sono io, Franca, sta calma’ lo vedi? Sto qua con te”. Le accarezzo il viso, sono attimi, secondi. ‘Non ci sta nessuno quando mi sento così sola” Un rimprovero al marito, chiaro, evidente. ‘Sto qua io, Franca, calmati”. Mi avvicino, siamo davvero quasi stretti’ ‘Io non ce la faccio più” ‘ ‘Non fare così” e le bacio la guancia. Inspira forte in quel momento’ ‘Non ce la faccio più”. Le bacio la bocca, in un attimo. L’ho presa di sorpresa. Con le labbra dischiuse. La lingua le vortica dentro. Lei non resiste sulle prime. Si lascia baciare. Partecipa per qualche secondo’ poi di botto mi allontana. Ha gli occhi spalancati. ‘Oh Madonna Santa che ho fatto’ o Madonna mia’ scusa”. La fisso. La scuoto. ‘Calma, Franca’ scusa, non lo so che &egrave successo’ calmati, scusami” La guardo intensamente. ‘Forse &egrave meglio che me ne vado” abbozzo provando ad allontanarmi. C’&egrave qualcosa che mi dice che devo farlo, che devo andare vi. Che &egrave tutto sbagliato. Che sarà un guaio. Che ne parlerà con i miei. Che ho combinato un casino.

Invece mi ferma. Mi tiene ora lei per le spalle. ‘Scusa, ho sbagliato io’ Madonna santa che &egrave successo’ scusami, scusa davvero’ e chissà che stai pensando’ io non lo so” le parole si susseguono in una sequela disordinata. ‘Franca, calmati’ aspetta’ lasciami le spalle, Franca’ così non capisco più nulla”. Non c’&egrave tecnica. &egrave vero. Sono confuso. Ho quasi paura. ‘No aspetta, non te ne andare’ sono sola qui’ non te ne andare’ Luca non ci sta’ sono sola non c’&egrave Luca”. E se me lo ripeti così che sei sola, che non c’&egrave Luca, che mi vuoi lì’ non so che succede. Il sangue mi monta al cervello. Sento sotto l’uccello duro come mai. La bacio, di nuovo. Appassionato. &egrave un bacio che voglio e voglio dare. Lei si stringe a me. Biascica un impastato ‘Madonna santa” mentre le lingue mulinano tra le nostre labbra. Sento le sue mani che mi stringono le braccia, acciuffano il soprabito. Fa qualche passio indietro, in balia dei baci che ci scambiamo. Si appoggia al muro, vuole forse lasciarsi andare’ o sentirsi protetta. O sentirsi in trappola. O tutto questo assieme. Io la baci, non mi stacco. Mulino come un pazzo. Non baciavo con questo ardore da quando la mia lei se n’era andata in America, lasciandomi dopo qualche mese per uno stronzo che nemmeno conosco. ‘Non ti fermare, non ti fermare’ – mentre le bacio il collo e lei ricomincia a ripetere – ‘ non c’&egrave Luca, non c’&egrave’ non ci stanno le bambine.’. Non lo dice a me’ lo ripete a se stessa per rassicurarsi. Scendo con le labbra. La giacca dei tailleur &egrave stropicciata, aperta. Le mani si fermano sul seno e sul sedere. La destra serra la chiappa da sopra la gonna, la sinistra il seno da sopra la camicetta. Sento la sua carne, morbida, parecchia. Sento l’uccello premerle contro il pube ora che non può muoversi. Sento il pube di lei strusciare sul mio bozzo che sta per esplodere.

&egrave tutto vero. Le mani cominciano ad agire da sole. Non le controllo. Non le controlla la mia parte razionale. Prendo i due lembi della camicia di lei tra le mani. Apro. Un colpo solo. La strappo mentre le bacio voglioso l’incavo tra i due bei seni. ‘O Gesù mio’ Oddio che mi fai”. Mentre si stringe alle maniche della mia giacca, ma non fa resistenza. L’ultimo bottone cede al secondo strappo. L’ho messa a nudo. I seni grandi stretti nel reggiseno bianco, l’incarnato lattiginoso che contrasta con le aureole scurissime. I capezzoli si intuiscono grandi, enormi direi. Libero le tette. Le vedo scendere premute dal reggiseno che ho tirato su di colpo. Ne afferro una con la sinistra. La ciuccio. Lei ansima. Invoca il divino ma gode, gode da matti. Si vede da come trema, si vede da come le freme il respiro. Con la destra le alzo la gonna, la tiro su’ si incastra arrotolata sui fianchi. Palpo a piena mano quel bel sedere caldo, grande. Sento i collant fasciarlo e scivolare sotto i miei palmi. Comicnio a scendere mettendomi in ginocchio. La tiro giù. Non voglio fermarmi. Non voglio fermarla. Non voglio che tutto questo si interrompa. Il sogno si fa realtà, ma adesso ha tinte così vere che non immaginavo. Sognavo un pompino di lei nel suo studio, nuda in autoreggenti e stivaletti, In ginocchio. Sognavo un deepthroat magistrale. Sognavo di fottermela in macchina, sul sedile anteriore, come una puttana qualsiasi raccattata in una piazzola. Sognavo di chiavarla a pecora in pausa pranzo nel cesso di un ristorante. Ora invece stavo per farla mia sul pavimento di casa sua, di fronte al suo viso incerto tra una crisi di pianto liberatorio ed una svolta isterica ‘ come isterica era la voglia che la faceva cedere in quel momento.

Alle conseguenze non pensavo. Mentre la sentivo scendere assieme a me e prepararsi a poggiare collant, mutande e sedere sul pavimento di parquet cercavo solo un modo per tirarlo fuori e sbatterglielo subito dentro. Lei seduta, spalle al muro, la testa che si dimenava strusciando contro il muro, la voce persa in un mare di ‘Sì, non te ne andare’ non c’&egrave nessuno resta con me’ qui con me, sì così” ed io carponi su di lei, con le sue gambe scoperte, la sua camicia strappata, le tette fuori in quel modo così eccitante e sguaiato’ le labbra avventate su una tetta, la sinistra e le mani che assieme scendevano, una a liberare l’erezione dal pantalone, l’altra a frugarle tra le cosce, ad indagare il suo centro intimo e profondo del piacere. Il mio uccello sbocciò fuori dal taglio dei boxer enorme. Io stesso non lo ricordavo così svettante ‘ sebbene, &egrave bene ricordarlo, non si &egrave in presenza di chissà quale sedicente superdotato ‘ ma ricorderò sempre le sue parole alla vista di quel gesto: ‘Ho paura, ho paura ma non andare via’ ho paura ma non ti fermare’ fallo’ fai tutto tu’ fai tutto quello che vuoi”. La guardai. Pensai che normalmente sarei rimasto troppo deluso da quel genere di donna. Fisicamente non mi piaceva. Non dico affatto, ma davvero non c’era nulla a parte le gambe che mi eccitasse in lei. Bianchiccia, sformata da una gravidanza in quei difetti che non tornano a posto se davvero non lo decidono loro’ eppure’ eppure era la cosa più eccitante che avessi mai vissuto, la donna che in quel momento più mi mandava il sangue di traverso. In silenzio portai le mani ai suoi collant. Li presi all’altezza delle sue mutande. Li deformai infilando le dita nel tessuto. Li sentii cedere. Non l’avevo mai fatto. Era terribilmente forte come sensazione. Il rumore delle calze che si strappavano. La sensazione del nylon che quasi tagliava le dita all’altezza della falange. Cedettero mentre lei prese a ripetere allarmata: ‘Uh Gesù mi viene da piangere ma non ti fermare’ non ti azzardare’. Fammi quello che vuoi’ pure se tremo’ mi fa morire di vergogna”. La tirai giù. Le scostai la mutanda d’un lato. Sentii il pelo folto, caldo, umido. Sentii che non si sgambava. Me l’aspettavo. Non mi dispiacque. Mi stravaccai su di lei.

Lo tenevo fermo in mano puntandolo al suo ingresso. Mi chiesi se si depilava almeno le gambe, se le avrei trovate lisce e curate. Mi dissi che in quel momento non m’interessava. Sentivo le sue labbra cedere mentre cominciavo a premere. Fui dentro presto. Sentivo di stare scomodo, con l’elastico delle sue mutandine che mi strusciava di lato sull’asta. Le sue labbra, le piccole, ancora non proprio dischiuse, facevano resistenza ai primi centimetri di penetrazione. Io ero asciutto. Non me l’ero menato nemmeno un po’. Fui infondo con un suo sussulto e un gridolino di dolore, sincero, puro. La voce impastata, acuta, lasciò andare un ‘Madonna che vergogna’ madonna che sto combinando”. Dentro era bollente e bagnata’ mi ritrassi un attimo. Lei mi fissò: ‘Ho paura Madonna mia ho paura’ guardandomi con occhi allarmati. Intrecciò le gambe dietro il mio sedere. No m’ero nemmeno tolto i pantaloni, non li avevo nemmeno abbassati. Stretto nella giacca che temevo si strappasse, nella camicia slim fit che mi fasciava insopportabilmente. Non volevo interrompere quel momento. Sentivo che non sarei durato, che non avrei trovato il coraggio di rientrare dopo essere uscito per svestirmi o mettermi un po’ più libero. ‘Ho paura’ stai con me, stai con me” mentre si avvinghiava al mio corpo. La baciai. Non trovai nulla di meglio per provare a rassicurarla. Sentivo che remava. Sentivo che aveva il cuore che andava all’impazzata. Assieme al mio. Mentre la baciavo presi a sbatterla. Lento e deciso, Con colpi cadenzati che la facevano scivolare in avanti sul parquet. Smisi di baciarla. Continuavo a fotterla. Lei si stringeva. Sentivo le unghie stringersi sulla stoffa della giacca. Sentivo i tacchi degli stivali premere sul sedere in modo insopportabile. E la pompavo. Bastarono pochi colpi perché tutto quell’umido e quel bagnato straripasse verso le labbra e rendesse tutto più piacevole. Più facile. Le scivolavo dentro. Aveva smesso di parlare. Sospirava, guaiva. D’un tratto, erano pochi minuti che pompavo e stavo continuando a chiavarla con lentezza ma ben a fondo, la sentii affondare i denti sulla mia spalla. La sentii stringere forte. Staccarsi da me. Digrignare i denti. Soffocare un ‘Sì’ imbestialito. Mentre continuavo a pomparla incurante degli scossoni del suo orgasmo. Una sequela di sì sì sì le si strozzò in gola mentre le sensazioni si facevano indistinte e il suo corpo ritornava a sciogliersi. Io ero quasi cotto. Sentivo di on farcela più. Accelerai. Diventai di colpo violento. Brutale. Misi la mano tra il muro e la sua testa a proteggerla dagli scossoni che le mie penetrazioni le imponevano. Mi sentì di sicuro vicino ad esplodere perché tra i sospiri e il respiro pesante dal piacere ebbe il tempo di dirmi: ‘Stai attento ti prego, stai attento”. Capii. Colpii infondo finch&egrave non mi sentii al limite. Solo allora mi sfilai strappandole l’ennesimo gridolino. Lo poggiai sulla sua pancia e diedi un colpo di reni per sfregare il frenulo sulla sua pelle. Eruttò. Eruttai il mio piacere fin sulla base del seno. Le inzaccherai la pancia. Lo lasciai colare nel suo ombelico, dopo averle macchiato con uno schizzo la camicetta. Lasciai che sgocciolasse sulla sua gonna e sui collant. La guardai oscena, il sedere sollevato sulle mie cosce, le gambe aperte, la camicetta strappata. Tutta sporca e con un viso che parlava di inquietudine ed estasi. Sembrava una donna stuprata a nasconderle il viso. A ben guardare sembrava una donna che aveva goduto fino in fondo. Dopo tanta solitudine. Forse tanto desiderio. Anche lei, dopo un momento giunto inaspettato, da chi meno poteva darlo a vedere. Mi presi l’uccello in mano dalla base della cappella. Non avevo ancora finito. La fissai e lo guardai come a chiederle se potevo finirmi lì su di lei. Mi sorrise. Chiuse gli occhi ed annuì. Pronta a sentir ancora quel liquido caldo che scendeva giù a sporcarla’ ma ancora troppo imbarazzata per guardarlo. Mi finii sulla sua gonna. Lo strusciai sul tessuto per pulirlo. Poggiai la mano in terra e scossi la testa. Era stato un orgasmo prorompente. Non so da quando non godevo così. Mi rialzai. Senza sistemarmi dissi solo: ‘Vado in bagno.’. Avviandomi di là la sentii strusciare sul pavimento. Mentre rientravo la guardai. S’era messa seduta. La testa appoggiata al muro. Rilassata. Sfinita. Chiusi quella scena fuori, rendendomi conto che di lì indietro non si tornava.
Rimasi chiuso in bagno per alcuni minuti. Lavandomi alla veloce, nel lavandino, convinto che lei sarebbe entrata per darsi una sistemata e soprattuto per pulirsi visto che mi ero completamente liberato su di lei, mi fece tenere la porta chiusa ma non a chiave. Ero certo che a momenti sarebbe entrata. La sentii rimettersi in piedi. Sentii il frusciare dei suoi vestiti. I tacchi sul parquet. Poi il cicalino digitale del suo cordless che si attivava e dopo poco la sua voce: “Sì, due margherite a domicilio per favore…”. All’ordinazione secca seguì il suo cognome da sposata ed il suo indirizzo. Ringraziò coldiarmente ed evidentemente mise giù. Era stanca, di sicuro la nuova piega che aveva preso la serata le aveva tolto ogni voglia di cucinare. La immaginavo divorata dal mio stesso imbarazzo che cercava un modo veloce e comodo per raggiungere la sua stanza e chiudere fuori tutto quel macello appena successo.

Invece sentii bussare educatamente alla porta e da dietro quella parete di legno che ci separava mi sentii dire: “Sta attento alla porta che tra poco arrivano le pizze, non avevo voglia di cucinare… vado su a sistemarmi e scendo…”. La sua voce era ordinaria, semplice. Dentro c’era tutta la dolcezza e la tranquillità cui ero abituato prima del crollo di quella sera, che aveva palesato davanti a me una donna distrutta, sola, debole e all’apparenza davvero indifesa. Mi sentii sollevato ma non riuscii n&egrave a sorridere n&egrave a sollevare gli occhi nello specchio e guardarmi. Ero leteralmente terrorizzato da quel che era successo solo poche decine di minuti prima. Quell’amplesso divorato sul pavimento, quella seduzione rapida e predatoria verso una donna che, prima di essere la mia temporanea datrice di lavoro era una cara amica di famiglia, sposata, mamma, donna in carriera. Mi dissi che il meglio sarebbe stato, per tutti, mangiare educatamente la pizza, ringraziare ed andare via, tornare a casa. E sperare, pregare ogni giorno ed ogni notte, che niente si sarebbe venuto a sapere. Riflettevo su quanto i “capricci” possano essere dannosi, costringere a gesti che razionalmente mai e poi mai si farebbero. Gesti di cui ci si pente l’attimo dopo che l’oggetto del capriccio lo si &egrave avuto tra le mani.

Uscii dal bagno ricomposto, la faccia scacquata, i vestiti di nuovo in ordine. Tolsi la giacca e la lasciai cadere sul divano nel grande living che si apriva oltre la porta d’ingresso. Nella casa, il silenzio, facilitava i miei pensieri nel prendere forma. Ed erano forme poco rassicuranti. Le forme dello scandalo. Sapevo che lei stava per scendere. Ed appena giù ero sicuro che avrebbe fatto un lungo discorso che ci assolveva – severamente – entrambi ma sanciva, nella migliore delle ipotesi, un “Mai Più!” senza appello. Invece sentii la sua voce giungere da quella che immaginavo fosse la sua camera da letto. Stava parlando a telefono, ancora una volta. Capii che stava parlando con mia madre o mio padre. Li stava rassicurando sul fatto che non c’erano problemi. Che potevo restare a dormire lì… anzi, che la cosa la faceva sicuramente stare più tranquilla. “E’ letteralmente sfinito poverino, ha guidato tutto il giorno… e nei prossimi giorni sarà sempre peggio… state tranquilli, casa &egrave grande, si sistema nella stanza degli ospiti… davvero, fate stare tranquilla anche me, che ti giuro sono davvero mortificata per quanto stress si sta prendendo per colpa mia…”. Sospirai. Era lei a rassicurare i miei. Era lei a togliermi d’impiccio. Ancora, e più importante ancora, era lei a desiderare che rimanessi lì, anche a dispetto di tutto quel che era successo tra noi nemmeno venti minuti prima. Non mi metteva alla porta, neppure nel modo più educato possibile. Voleva fossi lì, sotto il suo stesso tetto, unico uomo in quella casa, mentre il marito lontano forse già ronfava da un pezzo e la sua bambina si preparava ad andare a dormire in casa della nonna paterna. Sospirai, deciso comunque a finiral lì: le corde già tese, se tirate troppo, rischiano di spezzarsi mandando gambe all’aria e doloranti un po’ tutti.

La sentii scendere. Rumore ovattato di ciabatte. Fece il suo ingresso nella hall con una atroce vestaglia di pile felpato. Il color champagne non dava certo una nota chic a quello che vedevo. Una donna che si rivelava nella più casalinga delle tenute, coi piedi calzati in due ciabatte comode e dozzinali da casa e il corpo avvolto in una comoda, panneggiante e per nulla corta vestagliona. Mi chiesi se non sarebbe venuta a dormire con dei bigodini anche. Mi dissi che infondo era meglio: abbassava la libido, metteva al riparo da altre sciagure. Mi passò vicino, Si fermò accanto a me. La mano destra mi accarezzò la spalla mentre io finivo con lo sguardo imbarazzato inchiodato a terra: “Ho avvisato io i tuoi, adesso ci rilassiamo un po’… &egrave stata una giornata incredibile” sorridendomi. Trovai il coraggio di guardarla. Mi sorrideva. Credo di aver dato in quel momento l’impressione di voler parlare ma non trovare le parole perch&egrave fu lei a togliermi ancora una volta d’impiccio: “Tranquillo, non c’&egrave niente che non va… forse ne avevamo bisogno entrambi” mi si avvicinò, senza toccarmi e senza far nulla di particolarmente seduttivo, poi proseguì: “Non sono mica arrabbiata, non hai fatto nulla che io non volessi… davvero, alla fine non &egrave colpa di nessuno se ero così disperata”. Non trovai di meglio da fare che cercarle la mano, accarezzarla, quasi avessi bisogno di un nuovo contatto che sottolineasse quelle parole. Mi uscì un imbarazzatissimo: “Adesso va meglio?”. La sua risposta, con gli occhi sinceri e illuminati fu un semplice: “Non sai quanto!”.

Fu il campanello di casa a toglierci da una situazione che rischiava di ritornare imbarazzante. Mi resi conto che quella donna, che normalmente e fuori da quella situazione non avrebbe detto nulla di che alle mie voglie, ad ogni sguardo, ora, mi accendeva di passione. Mi ero ripetuto di dover andare via almeno venti, trenta volte al minuto… ed ora invece ero lì a chiedermi se, sposata e mamma com’era, ne avesse comunque ancora voglia. Aprii la porta. Pagai le pizze lasciando anche una manica forse troppo consistente, pur di non attendere il resto. Rientrai e chiusi la porta. Ad alta voce la informai:” Tiro il paletto…” mentre facevo scorrere le mandate nella porta blindata. Era il bisogno inconscio ed ancora una volta impossibile da soffocare da parte della mia razionalità, di chiudere tutto fuori ed essere di nuovo solo con lei. Sentii che mi rispondeva: “Bravo, chiudi bene eh… sopra e sotto…” alludendo alle due diverse chiusure. Terminata l’operazione la raggiunsi in cucina. Mi dava le spalle. Magnficato di fronte a le il suo sederone morbido, troppo generoso sui fianchi. La sua coda di cavallo tirata alta lasciava vedere il collo in tutto il suo incarnato candido. Sotto l’orlo della vestaglia, metà del suo polpaccio e le sue caviglie, bianche, all’apparenza lisce. Mi dissi che era troppo bianca pr i miei gusti. Mi ripetei che quel sedere era troppo generoso e sfatto per potermi piacere. Mi guardò girandosi: “Vieni, mettiamoci qui che c’ho una fame…”. Mi sedetti accanto a lei. Cenammo. Divorammo quelle due margherite. Mi guardava, mi parlava del programma di domani. Nulla di tutto quel che era stata l’ultima ora entrava minimamente nei nostri discorsi. Fu una cena frugale, velocissima. Mi sottrasse il cartone, ormai vuoto, ed assieme al suo lo sistemò sul marmo accanto ai fornelli. “Andiamo a dormire, và, che &egrave tardi, sono le quasi le dieci e mezzo e domani, alle cinque, ho già messo la sveglia…”. MI guardava, attendeva un mio cenno, un mio movimento. “Dove mi sistemo per la notte Franca?” chiesi con il massimo della tranquillità, dando ad intendere che già pensavo ad una sistemazione che non fosse con lei. “Come dove mi sistemo: dormi di su con me, no?”. Le sue erano parole di una semplicità incredibile. Era quello che voleva. Era convinta che quello e solo quello fosse il “giusto da farsi”. Rimasi bloccato: “Non so se…” – “Stai tranquillo, dormi con me… tranquillo, &egrave quello che voglio, davvero!”. Annuii poco convinto. M sorrise: “Non ci vuoi credere che sono molto più serena di quanto pensi eh? In quel letto fa freddo da sola, sono felice se c’&egrave qualcuno che lo riscalda con me…” e si incamminò verso le scale. Mi fermai qualche passo prima di inforcare la rampa: “Magari sistemati tranquilla prima, mi chiami quando hai fatto…”. Non riuscivo ad usare parole come spogliarsi, prepararsi per la notte, mettersi comoda… Lei mi guardò e un po’ arrossendo e abbassando lo sguardo disse semplicemente “grazie”.
Forse l’idea di spogliarsi davanti a me e mettere la camicia da notte la imbarazzava parecchio. Dal canto mio cercavo ogni modo per ritardare il momento in cui saremmo stati di nuovo vicini, troppo vicini, in un letto che non era il mio.

Quando mi disse di entrare la trovai in piedi, ancora una volta di spalle, che sistemava gli abiti per il giorno dopo. Un tailleur con una gonna grigio chiaro ed una camicetta bianca. Degli abiti usati quel giorno non c’era traccia. Ricordai in che condizioni le avevo lasciato la camicetta, quanto sporca era la gonna quando avevo finito. Mi chiesi dove avesse messo quella roba. Guardai in giro. L’occhio cadde semplicemente sui collant, srappati, lasciati cadere a terra accanto agli stivali. Mi sorprese a guardarli: “Non avevo voglia di scendere a buttarli… lo faccio domani.”. Non c’era rimprovero in quella voce, pareva invece tenerezza. Non era una camicia da notte quella con cui dormiva, piuttosto una sottoveste. Bretelline fini e leggerissime che reggevano seta bluette. Non c’erano trasparenze evidenti, in quella luce soffusa che l’abat-jour diffondeva. Ma mi accorsi immediatamente dalla posizione del gonfiore che non portava il reggiseno. “Vuoi un pigiama?” mi chiese come per prendersi cura di me. “Se non ti dispiace, no… non sopportogli elastici… tengo su solo i boxer e la maglietta va bene?” Mi sorrise: “In qualcosa siamo uguali, anch’io ho bisogno di star libera nel letto… vieni dai…” mentre si infilava dal lato destro lasciando a me l’altra parte. Dandole le spalle, ormai dal lato che mi aveva indicato, mi iniziai a spogliare, rapidamente, sistemando le cose piegate alla bell’e meglio su una poltroncina da quel lato. Sentii frusciare di lenzuola. Quando mi girai la trovai su un fianco che mi guardava. Non dissi una parola e mi misi a letto. Sistemandomi mi accorsi che sul mio comodino c’era un flacone di Olio Johnson. Mi chiesi se usava quello per frizionarsi la pelle e mantenerla così liscia come sembrava. Quando mi infilai a letto sentii il suo corpo caldo che si muoveva verso il mio: “Fatti tenere abbracciato… non sai da quanto mi addormento da sola…”. Le sorrisi. Di colpo tutto mi parve normale, normalissimo. Di colpo mi sentii io suo marito. Di colpo mi parve normale passarle il braccio sotto il collo e stringerla a me lasciandole posare la testa sul mio petto. Avevo il cuore che batteva forte. Me lo fece notare aggiungendo un “… sta succedendo anche a me…”. Le baciai la testa. Sentii i suoi capelli profumati. Non mi chiedevo cosa succedesse, lo lasciavo succedere. Così quando mi guardò e mi disse: “Fammi un regalo grandissimo, ancora uno… fammi un bel massaggio” non seppi dire di no. Capii semplicemente perch&egrave quel flacone di olio era lì in bella mostra sul mio comodino. Una richiesta velata. Mi bloccai un attimo, mentre le rispondevo sì. Mi bloccai d’un blocco che era tutto stretto dentro di me. Mi limitai solo ad un semplice: “Franca sei sicura? Sotto sei nuda…”. “Lo so – fece eco – ma dopo quel che &egrave successo, vuoi che sia un problema insormontabile? E poi, così in penombra mi vergogno meno…” e mi baciò la guancia. Non le risposi e mi girai a prendere l’olio. Le lenzuola frusciarono rapide.

Quando ritornai verso di lei era giù supina, con le coperte e le lenzuola buttate all’altezza delle caviglie e le gambe leggermente divaricate. Intuivo le sue natiche, gentili, morbide. Studiavo il solco tra di loro. “Schiena o gambe?” mi scoprii a chiederle. “Comincia da dove vuoi… ma tutto…”. Le tirai su l’orlo della sottoveste fino a portarglielo sulle spalle. Collaborò sollevandosi sul materasso. Messo a nudo nella penombra quel sederone era più invitante. Colpa forse della carnagione ora non piùcosì evidente, colpa della situazione. Lasciai cadere l’olio freddo sulla sua schiena regalandole qualche brivido. Poi mi misi a cavalcioni poco sotto il suo sedere, come se fosse la più normale delle pratiche, prendendo a frizionarle la schiena. Scendevo e salivo, spandevo e concentravo lungo la colonna vertebrale. Quando le accarezzavo ampiamente la superficie, potevo sentire i suoi seni grandi e morbidi schiacciato dal suo peso sul materassso che poco debordavano di lato. Quando scendevo e con un movimento circolare risalivo partendo da sotto la natica, ne saggiavo il percorso e la rotondità. Inutile dirlo, fui duro dopo pochissimo, aiutato anche dai sospiri di approvazione di lei. Provai a scendere per calmarmi ma il fatto che schiudesse le cosce divaricando le gambe ancora un po’ non aiutò di certo, anzi. Mentre ro intento a massaggiare dietro il ginocchio, facendo i conti con una prepotente erezone stuffacata dal suo pelo che si intravedeva sbocciare tra le gambe lì sotto, la sentii chiedere con malizia: “Un bacio, presto presto voglio un bacio.”. Incosciente di quel che sarebbe successo mi lanciai scivolando aiutato dall’olio sul suo corpo. La baciai. Sentii il glande pungerla proprio contro le labbra, lì sotto. “Forse dovresti metterti comodo anche tu per giocare così, no?” mi sorrise mentre mi rubava ancora un bacio. “Sei sicura Franca?” – “Te lo sto chiedendo… sì che lo sono…”.

Non mi mossi di dosso a lei. Semplicemente feci scendere la mano destra a liberarlo, lasciandolo premuto lì dov’era. “Che fai? Torna a massaggiarmi giù dai..” mi sorrise girando la testa come a dire che non avrei avuto più baci. “Franca, guarda che finisce male se continuiamo così…” come rapito da una forza tutta ragione e niente passione. “Lo vogliamo… c’&egrave tempo domani per pensarci, per pentirci…”. lasciò andare quasi distratta. Tornai giù a massaggiarla, scendendo sui polpacci, quando dopo poco fu richiesto un altro bacio. Ero durissimo. Me l’aspettavo. Non le feci ripetere quella richiesta due volte. Scivolai su di lei. Mi piantai contro di lei. Iniziai a stimolarla mentre le baciavo il collo e le frizionavo le braccia con le mani oleose. Fu lei a inarcarsi perch&egrave potessi scivolarle anche dentro. Era umida, eccitata da quel massaggio. Non fu difficile finire ad infilarmi di nuovo dentro di lei. In pochi istanti non la stavo più massaggiando. Avevo preso a farmi strada dentro di lei. “Così, bravo… tranquillo che sta la porta chiusa, bravo… scendi giù, scendi giù riscaldami…”. Mi spalmai su di lei, la sentii fremere…” Oh si bravo, così, che bello sentirti addosso, sentirti dentro…”. Io proseguivo nella penetrazione lento. Mi ficcavo dentro di lei scivolando, gustandomi quel momento. Sentirla sospirare e mugolare di piacere era bellissimo, ora che ero certo lo volesse, lo desiderasse anche lei. Prese a volgere il capo verso di me baciandomi e continuando ad incoraggiamri, a chiederne di più: “Vai, vai non aver paura, più forte, più a fondo… baciami, baciamo non fermarti…”. Continuavo a baciare, continuavo a pompare. Presto il ritmo aumentò considerevolmente. Lei si inarcò er averne quanto più poteva. Io le presi entrambi i polsi tenendoli stretti e li portai sopra la sua testa, pr tenerla ferma sotto di me: “Vai, vai, così sì, non smettere, non smettere che ci sono…”. Era facile godere se la mente viaggiava bene, mi dissi. Diedi ragione a quanti dicevano e sostenevano che la componente psicologica in un orgasmo la fa sempre per la maggiore: “Non fermarti, non smettere che sto venendo… no ti fermare nemmeno dopo… continua, così forte forte…”. E intanto le molle del materasso si lasciavano sentire per bene nella stanza. La testiera del letto sbatteva al muro con colpi ritmati, seguendo il tempo che io imponevo. “Sì, sì sì, ancora ancora…” mentre mi stringeva l’uccello in una morsa vigorosa e il suo corpo sballonzolava isterico sotto il mio cercando il modo di prolungare i contatti lì sotto, il piacere dovunque. Continuavo, non mi fermavo. Ubbidivo più ad una voglia mia che sua di coninuare e vedere cosa sarebbe successo. Accelerai. L’eiaculazione di solo un’ora prima di certo mi aiutava a reggere il ritmo forsennato che mi stavo imponendo. La sentii sollevare il bacino. “Non ti fermare, non ti fermare mettimi sotto il cuscino… dai, dai dai che ce la facciamo…”. Non capii. Ubbidii mentre ancora la pompavo. Ubbidii con enorme difficoltà. Le avevo lasciato le mani e lei si era agganciata con le unghie al materasso lì sopra. Lo stringeva forte. Si voltò verso di me mentre continuavo con difficoltà a penetrarla e cercavo di infilarle il mio cuscino sotto. Sentivo che cercava di premere, di andare in controtempo rispetto a me… cercava il mio membro e lo voleva infondo. “Baciami, vieni qui non smettere e baciami… non fermarti…” la voce rincorreva i sospiri con una foga inaspettata, che mai avevo visto in una donna. Eccitato all’inverosimile mi buttai letteralmente su di lei cercandole la bocca e serrando le mie labbra sulle sue. Cotninuavo a pompare mentre lei continuava a contrarsi in modo fortissimo. La sentii urlare nella mia bocca. Le liberai il fiato. Urlava di piacere, incitandomi a continuare. “Non smettere, ancora, ti prego ancora ancora…”. E mi misi quasi i ginocchia sollevandomi facendo forza sulle braccia, colpendola come volessi sfondarla sempre lì. Sentivo infondo qualcosa urtare sulla punta del glande e toglierle il fiato ad ogni colpo. “Tre, tre sì, tre.. non fermarti… tre…”. Abbassai lo sguardo. Non capivo. Le guardai i piedi – mi avevano detto che erano lo specchio dell’orgasmo non simulato – esi muovevano come pilotati da qualcosa di diversi, sconociuto alla sua volontà. Ormai la stavo fottendo. Erano passati quindici, venti minuti da quando avevo preso a pomparla… guardai dove stavo lavorando. Le vidi il culo. Sudato, morbiso, sporgente. Vidi le natiche dischiuse.

Il sangue mi finì tutto nel cervello. E nell’uccello. Non so cosa mi prese. Mi ero accorto che ogni tanto nella foga rischiava di uscire. Diedi un colpo meno accorto. Lo feci schizzare fuori, viscido, inzaccherato dei suoi umori che bagnavano anche un po’ il lenzuolo. Sentii forte l’odore di donna che avevo sentito prima lavandomi. Era generosa anche nel dimostralo il piacere. “Oddio… grazie grazie… dio che bello che &egrave stato… grazie… mamma com’&egrave stato…” mentre col pisello puntuto nella destra in pochi secondi fui tutto premuto sull’ano, sudaticcio magari, anscosto tra il solco delle sue natiche. “No, aspetta no… che fai… che fai no…” allarmata, menre forse già aveva capito cosa si stava preparando. Sentivo le sue parole ma non le ascoltavo: “Mi spacchi… no ti prego, no, aspetta…”. Non riuscii ad aspettare. Già la cappella si faceva strada dilatando la pelle dell’orifizio lì sotto. “Ti prego, aspetta, così no… non l’ho mai…”. Avrei roviato tutta quell’alchimia da orgasmo multipli che l’aveva portata a ringraziarmi in quel modo così insistito? Non lo so. Non m’interessava. Affondai con un colpo di reni solo. Sentii l’ano scivolare con difficoltà fin sotto la base della cappella. Mi sentii dentro. Mi dissi che nessuno poteva schidarmi di lì. Urlò. disperata. “No, dio mio no ti prego mi ammazzi…”. Mi ributtai su di lei. Infondo a lei. Urlava. Prese a dimenarsi. Con le mani le bloccai i polsi. “Buona… buona Franca, cazzo… calmati…”. Quel che disse non me lo sarei mai aspettato: “Sì, fa piano, fa piano ti prego mi spacchi…”. Urlò ancora. Urlò ogni volta che affondai. Mi cercava le labbra. Piagniucolava. Lacrime le scendevano sul viso. L’incarnato era rosso di fastidio, di sforzo. “Piano, piano ti prego, mi sento morire. Piano… baciami… baciami…”. Presi a baciarla. Presi a rassicurarla mentre le fottevo il culo. “Stringimi, baciami… ho paura… stringimi…”. Ero eccitatissimo. Fuori di me. Sentivo l’orgasmo premere sulle pareti dell’uccello. Sentivo il piacere correre lungo la schiena… “Buona… buona sto finendo…”. Erano botte lenti, cadenzate, ma vigorosissime. Mi ritrovai dopo l’ultimo bacio la bocca impastata della saliva denza e vischiosa di chi piange: “Sbrigati, finisci ti prego… non ce la faccio più… ti prego…”. Lo schizzo che per primo le invase l’intestino colse di sorpresa anche me. Lei lo accompagnò con un urlo liberatorio. Mi icitava urlando non solo di dolore adesso, ma anche di uno strano compiacimento. Mi stravaccai su di lei. Finii colpendo ancora qualche volta. Sempre più lentamente ma sempre più a fondo. Ogni mio colpo di reni aveva un suo “Sì…” come contraltare. Mi abbandonai a lei cercando le sue labbra in un bacio lungo e appassionatissimo. Mi staccai dalle sue labbra. Poggiai la fronte alla sua spalla. “Ti amo!”. Lo sentii distintamente. Lo disse tra i singhiozzi. Soffocando ancora un belato di sofferenza. Non so cosa mi prese. Affondai per l’ultima volta. Sentii un’ultima goccia venir fuori. Grugnii. Poi abbandonandomi sulla sua schiena, ancora dentro di lei, senza farci caso lasciai cadere un “Ti amo”, ben sapendo che non c’era nulla di vero, in nessuna di quelle lettere. Mi ero sfilato dal suo corpo da qulche secondo che lei, ancora scossa e tremante per l’esperienza fino ad allora mai provata si ricompose un attimo e dicendomi con un filo di voce ancora impastata dall’affanno: “Vado un attimo in bagno amore…”.In quel momento mi dissi che avrei voluto non lo avesse fatto, nemmeno pensato. Avrei tanto voluto che si fosse addormentata così, semplicemente tirando giù la camicia da notte, ancora con tutto il mio piacere a riempirle l’intestino. Non fu così… e non volli forzare la mano. Stava andando tutto così in fretta, così follemente e imprevedibilmente che non volli in alcun modo continuare ad alterare quella linea sottile tra piacere e colpa che di sicuro la stava scuotendo. Restai svegli ad aspettarla. Ci mise venti minuti buoni, sebbene il rumore dell’acqua raccontasse chiaramente di un lavarsi durato solo pochi minuti… e di sicuro di un rimanere a rifelletere, ad ascoltare la carne ed il cuore ben più lungo. Tornò a letto e con un sorriso si fece vicina a me: “Stiamo abbracciati e basta ora, però… va bene amore mio?”. Annuii e la tirai a me stringendola in un abbraccio che mi venne fuori tenero e spontaneo. Mi chiamava “Amore mio”… e questo rendeva tutto più semplice, sebbene lo sapessi meglio di qualsiasi altra cosa che quelle due parole avrebbero causato più di un pensiero il giorno dopo. Ci addormentammo così, con lei che mi teneva la testa sul petto ed io che la stringevo. Ripensai all’intensità con cui l’avevo sodomizzata… mi dissi che non era mai successo fossi così deciso con una donna. Mi dissi che di sicuro la componente altamente erotica e trasgressiva della vicenda mi aveva portato a mettere da parte la mia tenerezza.Giustificandomi mi dissi: “Se non foss stato così diretto, non avrebbe mai accettato…”. Ricordai il suo godere copioso, pochi minuti prima, mentre la penetravo da dietro, tenendole un cuscino sotto la pancia. Ricordai i suoi spasmi, tutti gli umori che aveva scaricato mentre la prendevo pur sentendola godere, pur sapendo che avrei magari potuto fermarmi per farle gustare a pieno quelle sensazioni. Mi dissi che, no, avevo fatto la cosa giusta. E mi meravigliai di quanto copiosa fosse stata la testimonianza del suo godere. Sapevo bene che era tutta fisiologia, che in quella enorme lubrificazione non c’era nulla che fosse merito mio… ma volli sentirmi un po’ maschio, ben sapendo di mentire, mentre mi addormentavo. Quando poche ore dopo la sveglia mi ridestò da un sonno profondissimo, c’era lei che mi baciava il viso teneramente. Mi disse che potevo rimanere ancora un po’ a letto. Mi portò il caff&egrave. Mi lasciò poltrire ancora un po’ mentre si vestiva. La guardai sistemarsi sapientemente. Trovai che fosse una donna non bella di sicuro ma con enorme sex appeal per i miei gusti di quel momento. Sperai che a quella notte ne sarebbero seguite altre… ma non prendemmo l’argomento finch&egrave non fummo pronti alla nuova giornata, in macchina, fuori da casa sua. “Amore… sarà difficile non chiamarti così da adesso… ma uno sforzo lo dobbiamo fare, no?” e mi guardò sorridendo mentre ingranavo la prima per uscire dal cancello della sua villetta. “Già, difficilissimo amore mio…” feci eco io continuando a calarmi nella parte dell’amante consapevole. “Sarà proprio complicato… anche perch&egrave, credimi, avrei di nuovo voglia di te se sapessi che abbiamo tempo…” – “Anch’io amore ma non ne abbiamo neanche un po’… anzi, siamo pure in ritardo… piuttosto…” e mi poggiò la mano sul ginocchio a lei più vicino mentre la macchina prendeva ad andare: “Piuttosto, non volermene ma per un paio di giorni &egrave bene che non ti fermi qui a dormire… anzi… &egrave bene che ci fermiamo un momento…”. Pensai che i sensi di colpa la stessero già assalendo. Non ebbi il tempo di rabbuiarmi però, perch&egrave continuò spiegandosi: “Voglio far venire la bambina un paio di giorni… non voglio resti troppo dalla nonna… mi manca… ed &egrave bene che quando lei c’&egrave… tu non ti fermi a dormire… lei non deve sapere… lei non &egrave che può capire…”. Annuii rassicurandola: “Franca amore ma certo! E poi, tranquilla, abbiamo quel convegno dove devi presenziare a fine settimana… staremo due giorni tranquilli e fuori provincia… in albergo…”. Lei sorrise, si distese un attimo e continuò: “Che bello… non ci sei rimasto male… avevo una paura…” poi mi accarezzò il viso e continuò: “Quella dell’albergo &egrave una cosa da organizzare bene… non &egrave che possiamo prendere una matrimoniale io e te…”. Beh, quello era sicuro e scontato: io e lei come marito e moglie, in una situazione comunque pubblica: era cosa da evitare di sicuro. “Tranquilla… magari tu prendi la matrimoniale, io la singola… e rendicotniamo solo la mia…”. Mi fissò un momento con uno sguardo sornione: “Certo che sei un demonio… le pensi proprio tutte…” per poi continuare: “Mi sembra un’ottima idea!”.
I due, tre giorni a seguire furono molto intensi… e molto poco sessuati. Con la bambina tra i piedi e le necessità di una clandestinità assoluta riuscivamo a malapena a baciarci… ma lo facevamo ogni volta che sapevamo di essere lontani da sguard indiscreti. La passione montava. Con tutti quegli impegni elettorali, il convegno arrivò però prestissimo in soccorso. Franca ci aveva pensato su e ritenne che la mia proposta fosse di sicuro la migliore. Non smise di raccomandarsi, però, che avremmo dovuto usare la massima discrezione… una discrezione assoluta, da servizio segreto… davvero a prova di CIA. La rassicurai. Il primo giorno i lavori finirono che erano più o meno le 18. Non avevamo pranzato che con un tramezzino al volo e le avevo promesso di portarla fuori quella sera… fino a quando alcunidirigenti di un paesino vicino alla sede del convegno non insistettero pesantemente per poterci avere loro ospiti. Si trattava di ascoltare un nutrito numero di elettori… cose che non si possono lasciar scappare molto facilmente. Dovemmo acconsentire. Quando fummo in camera, alle 18:30, io la lasciai sulla porta sussurrandole n “Dai a me la tua chiave… così posso muovermi meglio”. Lei mi sorrise: “Teini diavolaccio…” prima di scmparire dietro la porta. Attesi in camera qualche minuto, sistemai le mie cose, tirai fuori l’abito per la cena e fui subito, di nuovo, in corridoio verso la porta del mio piacere. Entrai in stanza e non la vidi… “Permesso, Franca?” sussurrai richiudendo la porta alle spalle. Mi rispose da dietro la porta semichiusa del bagno: “Sì, sono qui… – aggiungendo “Amore” mentre sentiva la serratura scattare. Comparve sull’uscio del gabinetto con indosso appena l’accappatoio ed in testa la cuffia. Coi capelli raccolti, i quella versione così casalinga, mi scoprii eccitatissimo. “Avevo voglia di darmi una sciacquata prima di stasera…” fece come a giustificarsi per l’outfit che, non poteva sapere, mi eccitava tremendamente. “Ottima idea” feci eco cominciando a spogliarmi. Mi guardò interrogativa e le risposi: “La facciamo insieme, no? Ti voglio lavare e coccolare come meriti…”. Avevo di sicuro l’espressione di chi non accetta dubbi o dinieghi. Mi fissò con aria imbarazzata e imapcciata mormorando un ok a mezza voce. Fui nudo quasi subito. Era rimasta a guardarmi mentre mi spogliavo. Io mi scoprii denudarmi con assoluta naturalezza, come fosse il gesto pià comune e routinario nel nostro rapporto. Il suo sguardo su di me mi eccitò da matti, tanto che il pisello cominciò a reagire in modo inequivocabile. “Mamma quanto sei bello amore mio…” mi disse fissandomi. Io la guardai sorridendo e minimizzando, non per falsa modestia ma per assoluta convinzione: “Ma smettila… co’ ‘sta panza…” perch&egrave sì, il fisico &egrave rimasto impostato dagli anni giovanili di pugilato, un must dalle nostre parti, ma l’inattività forzata dopo un inortunio che ha messo fine alla mia carriera, comunque non brillante, mi &egrave esplosa sulla pancia e un po’ dappertutto in uno strato di grasso non certo evidente, ma comunque a me odioso. “Smettila tu… sei così maschio amore mio…” e adesso la sua voce s’era fatta eccitata, mentre la fissavo. “Spogliati, dai…” le dissi quando fui anch’io sulla prta e potei pregustare già i vapori caldi che arrivavano dalla doccia. “Ma che veramente mi vuoi…”. Le diedi un bacio mentre mi guardava interrogativa e le sfilai l’accappatoio. Non lo ripeterò mai abbastanza, non ha un bel viso… forse &egrave anche un po’ troppo alta per i miei gusti, ma le sue forme piacenti hanno resistito bene ai 40 e passa anni… slanciata con delle gambe bellissime e con una pelle liscia e curata… aoreole del seno larghe, generose e chiare… ed un boschetto pudicamente curato per non essere volgare e nemmeno selvaggio. “Lascia fare a me, tranquilla…” e la portai sotto la doccia. Il calore dell’acqua ci scosse. Ci stringemmo in un abbraccio profondo. Stare stretto al suo pube, al suo seno, mi eccitò da morire e mentre le lingue mulinavano strette nelle bocche, sentii distintamente la mia erezione che prepotente si frapponeva tra le nostre pance. Mi guardò staccandosi da me e strusciando la pancia per sentirlo meglio. “Gesù… non te la prendere amore ma fai paura… sembri un animale…”. La guardai interrogativo e mi rispose: “No, non che mi fai paura… ma sembri fatto per possedere, così grande, grosso grosso… e poi… si fa subito enorme lì sotto… mi sembri una bestia…”. Mi staccai da lei, continuai a guardarla quasi offeso. Ebbi paura di essere stato troppo diretto, quel che non avrei mai voluto. Lei mi rassicurò: “Non te la prendere amore mio – riabbracciandomi – &egrave che mi fai venire le voglie… mi sembr tutto potente, inarrestabile… io non &egrave che poi c’ho tutto sto passato di sesso alle spalle…”. Capii cosa voleva dire, più che offeso mi sentii maschiamente inorgoglito. “Ti viene voglia di farti prendere eh? Come la volta scorsa… forte forte…” – “Sì, amore, sì… ma non proprio come la volta scorsa… dietro no, non così forte…”. La abbracciai, la rassicurai… e presi la bottiglia di bagno schiuma. Aprii il flacone e tenendola stretta lo versai tra i nostri corpi. Cominciai a strusciarmi a lei, a frizionarmi tenendo sempre l’asta in su, premuta tra le nostre pance. “Uh gesù e lo vedi come sei? Ci metti il sesso in tutto…”. La staccai da me, presi a frizionarla energicamente sulle zone erogene. Mi misi davanti a lei e mentre la tenevo premuta sotto, sopra la massaggiavo, rendendola vischiosa di bagno schiuma sopra la cintola… e di piacere poco più sotto. Fu in estasi dopo poco… “Chi l’aveva fatta mai una doccia così?” mi guardò ammettendo poi: “Se mi prendi adesso me ne vengo in due minuti, lo sai? – afferrandomi l’uccello proseguì – caccialo tutto dentro questo animale…”. L’acqua ci risciacquava mentre lei aveva cominciato una masturbazione scoordinata, inesperta. La spinsi al muro con la schiena, mettendomi contro di lei: “Stanotte te lo faccio sentire quante volte vuoi… mo non possiamo, dobbiamo fare presto amore mio” mettendole la mano sinsitra completamente sul pube e iniziando a massaggiarle con estrema lentezza ma enorme pressione il clitoride insaponato e scivoloso. “Uh madonna santa… così no… così no… che grido amore…”. Non fingeva: occhi spalancati, voce davvero alta, cuore che prese a battere forte. “Invece sì amore mio… così, adesso… te lo meriti… una bella goduta sotto l’acqua calda…” e le misi la mano sulla bocca per giocare a chiuderle la voce. Sgranò gli occhi sbalordita… mi fermai un attimo e le dissi: “Non mi dire che non ti piace… volevi la bestia amore mio… pure quella ti faceva gridare…”. Presi a masturbarla proprio come avevo iniziato, forte e lento, mentre la fissavo negli occhi e lei mi guardava, non più atterrita dalla novità, ma in assoluta estasi proprio per quel gioco cui la costringevo. La tenevo a distanza così, continuando a imporle piacere, sapendo che nulla la spaventava ma che di sicuro quella oscena novità doveva sorprenderla in tutto e per tutto. L’aveva mai voluto? L’avva mai sognato… io non lo spaevo ma continuavo ad essere deciso, l’animale che lei stessa aveva evocato con le sue parole poco prima. La sua mano cominciò a muoversi scoordinata, intensa, mai velocemente ma sempre con enorme durezza. Ero sicuro non la controllasse: non sapeva bene cosa stesse facendo, semplicemente mi sembrava sentisse che andava fatto così. Le sue urla soffocate mi eccitavano. Era grida di piacere che la mia mano teneva ovattate e lo scroscio della doccia copriva rendendo indistinte. “Godi amore mio, godi… senti la bestia come gode pure lei lì sotto… sentilo… pensa a stanotte… non sai quanto ti vuole la bestia…”. Quella parola, mi accorsi, eccitava più lei che me. Non riusciva a chiudere gli occhi, continuava a fissarmi. Non avevo mai sognato di prenderla così, n&egrave lei n&egrave chiunque altra. Non la stavo penetrando ma il senso puro di tutta la sua eccitazione valeva per me più di mille sensazioni di sfregamento… godevo semplicemente del piacere che le davo e dell’idea stessa di cosa la eccitasse. Intuii che il piacere in lei stesse crescendo da come la sua mano, con sempre minor coordinazione, prese a stantuffarmi nella masturbazione. Complice il bagno schiuma il prepuzio si tendeva in modo inverecondo… avevo la testa dell’uccello violacea per lo sfregamento e per il piacere fuori come non lo era stata mai. D’un tratto presi a sentire anche fastidio… lo tendeva in modo quasi insostenibile… fino a quando non aggiunse, inutilmente vista la mia dotazione assolutamente ordinaria, l’altra mano a coprire la prima. Le spalle tutte poggiate al muro, il sedere che scendeva seguendo i piedi che scivolavano lentamente in avanti, le ginocchia piegate un po’ a ricercare il contatto con il mio pollice, la sentii iniziare a muggire, letteralmente. Era invasa dal piacere che forse non riusciva completamente a raggiungere. Mi feci audace e senza smettere di titillarle in quel modo durissimo il clitoride, mi feci strada con medio ed anulare dentro di lei. Fu allora che la sentii scuotersi. “Così, amore? Così?” mentre aumentavo il ritmo della penetrazione e le sue mani cominciavano a farsi davvero insopportabili lì sotto… lei annuì cominciando a strillare dietro la mano che le tappava la bocca. Mollai la presa del pollice e presi a infilarle le tre dita, aggiungendo l’indice, in modo deciso, mai violento però. Era cotta, c’era quasi… staccò le mani dal mio pisello e poggiò le palme con un colpo solo contro il muro, poco prima che l’orgasmo le squassasse i nervi contorcendola mentre io mi facevo tutto su di lei mantenendola premuta al muro. Staccai la mano e le tappai la bocca con la mia. La sentii godere dentro di me con le corde vocali tese allo spasimo. Proseguii finch&egrave non la sentii abbassare il tono… continuai lentamente perch&egrave non si interrompesse subito la stimolazione… “Brava l’amore mio, brava… quanto ti amo quando ti vedo venire…”.Lasciai che si calmasse mentre l’acqua ancora calduccia, ci risciacquava. Mi guardò con occhi languidi… “Lo vedi che sei una bestia… non si può fare l’amore con te…” sorridendomi… “Non mi viene nemmeno di chiedertelo…” proseguì… “Tu sei una forza della natura… come si fa a chiederti di essere dolce, sei così bello così…”. La baciai intensamente sussurrandole… “Poi ti stupirò, invece…”. Mi guardò, mi baciò ancora poi disse semplicemente: “Goditi un po’ di acqua calda ancora… io devo fare in fretta senò non arriviamo in tempo…”. Ed uscì dalla doccia. Intuii che stesse calzando l’accpappatoio e la intravidi uscire dal bagno. Le sue parole mi avevano eccitato da morire… ero durissimo, insoddisfatto. Mi dissi che sarebbe stato triste masturbarmi lì sotto. Mi concentrai sul lavoro della sera. Mi concentrai su tutto quello che non fosse lei, sebbene l’odore sulle mani e nel vapore fosse il suo. Dopo qualche minuto diedi una decisa sterzata alla manopola della doccia spostandola sul freddo. Il ghiaccio dell’acqua che scendeva mi ritemprò. Uscii nella stanza calda col pisello che aveva trovato un po’ di requie. Durò poco…
Appena nella stanza da letto la vidi. Aveva indosso ancora l’accappatoio. Spalmava della crema, del latte da corpo, non so bene cosa fosse. Era seduta sul letto, con un piede poggiato s una poltroncina che aveva tirato a se. Quela visione mi eccitò. Era la prima volta che vedevo una donna prendersi cura del suo corpo. Quella posizione in cui era, nuda sotto un accappatoio che appena la copriva mi mandò in estasi. Fui di nuovo duro in men che non si dica. Mi guardò. Mi scoprì a fissarla. Poche parole, rendendosi conto che ero di nuovo eccitato: “Non ti basta mai eh?” – “Prima ho pensato solo a te… lo sai…” Mi fissò interrogativa: “Scusa e ora? Nella doccia? Non hai…” – “No… non si fanno queste cose lontano dai tuoi occhi… se sto così &egrave merito tuo… e te la devi godere…”. Continuò a fissarmi. Lasciai cadere quel che mi corpiva. Rimasì li di fronte a lei, esposto. La mano scese ad accarezzare il corpo… la mia mano. Non staccava lo sguardo da me, lasciò sfuggire alle labbra solo poche parole mentre cominciavo a masturbarmi lentamente, lì, solo per i suoi occhi: “Ti piaccio così tanto? Anche così?”. Annuii senza dir nulla. “E’ bellissimo… quel che fai &egrave bellissimo…” la guardai e le chiesi: “Ti piace guardarmi mentre lo faccio?” – “Da morire…” la voce era bassa, eccitata, mentre continuava a parlare: “Mi piace pensare di piacerti così tanto che… ti stai toccando guardandomi…”. I suoi occhi erano come ipnotizzati. Non crescevo in velocità ma in intensità, nella pressione delle dita. “Vuoi già fare l’amore?” mi chiese senza staccare gli occhi dal movimento della mia mano. “No… te l’ho detto… lo facciamo stasera… tu adesso fammi un bel regalo, che me ne sto venendo…”. Mi fissò interrogativa staccando gli occhi dal mio membro.Mi vide allungare la sinistra a prendere le sue mutandine che stavano piegate sul pordo del letto. “Che fai?”. Mi vide spiegarle e usarle per coprirmi la cappella… “Ma che fai? Amore… quelle le devo mettere…” la voce era bassissima ma aveva di nuovo smesso di guardarmi. “Sì… le metti così, con tutto il mio piacere sopra… e stanotte ti faccio vedere che facciamo l’amore e ti piace lo stesso, tanto tanto… vuoi…”. Non staccava gli occhi di lì, rispondendo solo: “Ti amo… ma sei un maiale davvero…”. Non disse di no, accordò il permesso con una voce eccitantissima. Mi bastarono poche scosse per venire, riversando tutto il piacere nella parte interna del suo slip. Continuai a muovere la mano conquistando ogni centimetro di godimento, mentre mi rendevo conto che qualche goccia scorreva sulle mie dita e cadeva a bagnare il pavimento. Rantolai finendomi con qualche colpo a fondo e strizzandolo in punta. Alzai lo sguardo sussurrando un “Ti amo…” al suo indirizzo. Era fissa con gli occhi su di me. Mi guardò intensamente negli occhi: “Non ti avevo mai guardato così bene mentre godevi… sei bellissimo… sei ancora più bello, quando godi…”. Le sorrisi, poggiai lo slip inzaccherato sul mobile dietro di me e le risposi appen: “Sei un amore, Franca…”. Mi piaceva pensare che quella notte, in quel letto, l’avrei avuta ancora… Rientrai in camera velocemente. Disfeci il letto come una furia. Contai fino a 180, per lasciar passare tre minuti. Sentivo una eccitazione feroce pulsarmi nelle tempie e pervadere il corpo. La cena era stata un tormento continuo. Seduti vicini, con il desiderio incredibile di poterla toccare, di ricercare un contatto, di baciarla. Perch&egrave? Non mi stancherò mai di ripeterlo: nel suo viso non c’era nulla che mi piacesse. Ordinario, se vogliamo per molto bruttino. Eppure, mi eccitava, come negarlo! Ero a 175 quando già la mano fece scattare la maniglia e fui fuori dalla porta. Richius con il massimo della calma e della discrezione possibile la porta dela mia camera e con passi felpati mi diressi verso la sua. Le avevo detto che avrei avuto bisogno di quindici, venti minuti… per poterla cogliere di sorpresa, magari affaccendata nel prepararsi per la notte. Non volevo lasciarle il tempo di preparare nulla, invece. Stupirla, farla mia, senza che potesse riflettere sul cosa fare, sul come farlo. Una sorpresa in piena regola. E ne avevo di sorprese in serbo per lei. Dal secondo all’amaro non avevo fatto altro che fantasticare sulla nottata che avremmo trascorso. Avevo passato i minuti a chiedermi se sarei riuscito a dimostrarle trasporto e dolcezza, quel mix che sapeva d’amore e che a parole era l’unica cosa che sembrava ricercare. Ci eravamo avuti completamente, fino ad allora, solo una notte, peraltro in preda all’eccitazione di quel momento, di quella eruzione di passione clandestina e inattesa. Come sarebbe stato riaversi sapendo che ci saremmo riavuti? Mi chiedevo se i suoi complessi religiosi le avrebbero preso la mano e stretto la passione per ingabbiarla. Mi chiedevo se avrei potuto possederla come mi aveva eccitato fare, ancora mezza vestita, lontano da un letto, magari contro il muro o sul pavimento. Me lo continuavo a chiedere mentre con la tessera nel lettore aprivo la sua di porta e me la richiudevo alle spalle senza fare un fiato. Era in bagno. Sentì distntamente che ero in camera tanto da farsi sull’uscio sorridendo: “Sei già qui amore?”- “Già, non riuscivo ad aspettare… ti voglio…” le dissi mentre la guardavo lì comparire incorniciata dalla luce del bagno, con indosso ancora le scarpe col tacco, le calze nere velate, la gonna gessata grigio chiaro e sopra soltanto il reggiseno di pizzo bianco ad incornicaire e tener su la sua bella quarta abbondante. “Che donna…” mi sorprese lei a considerare a mezza voce. Si guardò, sorrise ancora: “Così però mi fai morire d’imbarazzo… non mi sento tecnicamente una bomba sexy così preparata sai?”. Mi avvicinai: “E ti sbagli… sei incredibilmente sexy…” le dissi carezzandole il pancino morbido e contenuto e mettendole una mano direttamente sul sedere mentre con la bocca andavo a sfiorarle il collo. “Mi stavo struccando, però, amore…”. Presi a baciarla sussurrando, continuando a sussurrare: “Ti voglio… che donna che sei, ti voglio da morire…”. Per tutta risposta sentii la sua mano dietro la nuca che mi portava ad alzare le labbra per baciarle la bocca: “Madonna bella ma che mi fa tu a me? Eh? Chi se lo pensava che era così bello scopare?”. Mentre ci baciavamo sentii distintamente la sua mano impazzire cercando di aprirmi i pantaloni e impossessarsi del mio sesso ormai turgido e decisamente evidente: “Madonna che mi sono persa tutti questi anni… che mi sono persa…”. Le presi gentilmente ma con fermezza i capelli tra le mani, le staccai il viso dal mio, fissandola: “Hai visto che &egrave bello? Che non c’&egrave niente di male a farlo?”. Era riuscita a impugnarmi perfettamente quando mi rispose: “Non &egrave così, amore… se non fossi sposata no, non ci sarebbe niente di male… ma io sto tradendo la fiducia, l’amore di una persona… questo c’&egrave di male…”. La baciai intensamente, quelle parole mi avevano eccitato all’inverosimile. La sentii continuare mentre scendevo a baciarle il seno per quel che il reggipetto lasciava scoperto: “Però ti giuro, non riesco a farne a meno… adesso starei male senza di te… e non &egrave giusto farsi così male… per questo ti voglio… adesso…”. La spinsi al muro, di faccia al muro, con gentile fermezza. “No, amore ti prego dietro no… ti prego, veramente mi fa male…” – “Tranquilla… niente dietro… tranquilla amore mio…”. Le alzai la gonna incastrando l’orlo nella cintola, per scoprirla tutta lì dietro. Aveva ancora indosso le mutande che le avevo inzaccherato poche ore prima. “Le hai tenute amore mio? Brava… com’&egrave stato?” – “Bello amore, bello… ma tu sei un porco… me lo sentivo addosso quell’odore…”. Con un colpo solo le tirai giù collant e mutandine a scoprire quel sedere candido, color del latte. Era fresco, il classico sedere nudo che si può toccare a gennaio, mentre ci si spoglia. Tutto, tutto combaciava ad eccitarmi e tendermi il sesso come una corda di violino. “Uh gesù di nuovo?” mentre la mia mano si infilava tra le cosce a saggiare la sua vulva. La trovai in fiamme, umida e calda, caldissima. “Volevo solo vedere se eri pronta amore mio…”. Reclinò la testa cercandomi le labbra: “Pronta da scottare amore… mi sembra di farmela sotto… &egrave normale?” – “Certo, certo Franca… &egrave la voglia di fare l’amore…” le dissi per predisporla a dolcezza e passione che speravo di riuscire a darle di lì a poco. Puntai l’uccello tra le sue cosce e presi a penetrarla chiededole di tenere le gambe ben strette. “Ma che fai? Che &egrave questa novità?” – “Mi faccio una sega, tra le tue gambe… posso?”. Sbuffò divertita: “Lo vedi che sei un maiale?”. Si manteneva al muro, irrigidendo la posizione lì sotto per farmi godere di quella penetrazione mentre io le slacciavo il reggiseno: “Dura ancora molto questo supplizio amore?” – “Sì, e non&egrave un supplizio… &egrave giocare per godere ancora di più…”. Mentre con una mano le impastavo il seno, con l’altra le carezzavo il viso: “Ti sborrerei tra le gambe amore, adesso… e ne verrei così…”. Mi fissò, intensamente: “Dopo se vuoi te lo faccio fare, ma adesso facciamo l’amore, ti prego… veramente… non ce la faccio più…” mentre provava a spostarsi dalla posizione che le imponevo. La lasciai uscire, con delicatezza la condussi ad una poltroncina. La feci sedere. “Adesso mi spoglio… poi lo fai tu per me…” – “Amore ma non sono capace, mi vergogno…”. Le sorrisi: “Non ti ho chiesto di fare 9 settimane e mezzo… ma voglio guardarti mentre ti spogli… come tu vuoi guardare me, vero?”. Annuì guardandomi. Presi a spogliarmi, rapidamente, per scoprirle tutto sotto gli occhi e lasciarglielo pregustare. Mi fissava intensamente, la bocca semichiusa: “Madonna santa che sei… ma ti faccio davvero questo effetto?” – “Quale?” – “Sei sempre durissimo…”. La guardai dicendole un semplice: “Si, tutto merito tuo…”. Ero nudo. Mi sedetti sul bordo del letto e persi a masturbarmi lentissimamente. Le feci un cenno del capo: “Tocca a me adesso?” – “Sì amore… nuda…”. Si alzò in piedi e cominciò l’operazione. Mi osservava masturbarmi e spesso distoglieva lo sguardo. Mi sentiva sussurrare: “Ma guarda come sei bella… dio come ti spogli bene…”. Mi chiese incredubla: “Ti eccito davvero?” – “Da matti…” mi alzai, le andai incontro e presi dalla poltroncina dove le aveva lasciate le sue collant. Poi la presi per mano e la portai a letto standole dietro. La punta del mio uccello le sfiorava i glutei. La girai verso di me e le misi le calze, arrotoate come una benda, di fronte agli occhi: “Lasciati bendare… vedrai ti piacerà molto di più…”. Provò a protestare: “Ma io voglio vederti…” – “Fidati, così no ci saranno imbarazzi… fidati di me…”. Si lasciò bendare titubante, con il respiro che le cresceva in petto: “Gianni, ti prego non farmi de male…”. La baciai in bocca in modo dolce per rassicurarla: “Stai tranquilla, non potrei mai…”. Mi abbracciò, la sentii tremare: “Ho un po’ paura, credimi, &egrave tutto così strano per me…”. La sistemai comoda sul letto: “Fidati amore, fidati… stenditi qui…”. Ubbidì forse ormai disperando che quella situazione potesse cambiare. Fui su di lei in un attimo, i corpi caldi che cominciavano a intrecciarsi. Non entrai in lei, lasciavo la punta a stuzzicarle le piccole labbra che avevano cominciato a sporgere. “Sei divina Franca, sei divina… che amore che mi fai…”. Sospirava in un crescendo che sembrava fiatone. Non mi rispondeva, restava zitta, muta… a gustarsi i complimeti o struggersi di quella situazione in cui ancora non si sentiva serena. “Non c’&egrave nulla di male amore… &egrave giusto che vogliamo godere… ci completiamo perfettamente…”. Le scappò un “oddio…” mentre le mani cominciavano a correre sulla mia pelle, abbracciancomi e percorrendo la schiena o massaggiandomi la nuca. “Non c’&egrave niente di male, amore… tranquilla… non &egrave peccato… godere &egrave bello… vero?”. Sussurrò un si bollente come il suo fiato. Mentre le davo baci teneri sul viso e sul collo proseguii: “E tu cos’&egrave che vuoi?” – “Voglio godere amore… voglio fare l’amore…”. Sentire che si rilassava mi eccitò, mi tranquillizzò, spingendomi anche un po’ oltre: “E con chi lo vuoi fare l’amore?” – “Con te amore mio, con te, con te che sei il mio uomo, il mio uomo vero…”. La incoraggiai: “Sì amore mio, sei il mio amore, tu sei la mia donna… solo mia” -“Sì, si solo tua amore, solo tua… prendimi, prendimi ti prego…”. Entrai in lei senza timidezza e senza complimenti. Viscida e umida d’amore com’era non fu difficile sistemarmi tranquillo in quel fantastico antro di piacere che aveva lì sotto. “Oh dio che grosso, madonna che grosso che sei…” le sussurrai: “E ti piace grosso…”. Annuì: “Sì maiale che non sei altro, sì, porco, mi piace, mi piace da morire amore mio…”. Diedi un colpo deciso, fui dentro tutto, facendomi strada. Le strappai un urlo di sorpresa più che di dolore: “Madonna santa fai piano che mi fai gridare…”. Presi a penetrarla lentamente ma instamcabilmente, con vigore, affondando ogni colpo ben cadenzato fin nel profondo della sua grotticella bagnata. “Così amore, brava, prendimi tutto, fino in fondo…” ignorando la sua preoccupazione che qualcuno potesse sentirci. “Fai piano amore, ti prego… davvero mi fai gridare…”. Presi a baciarla mentre continuavo a penetrarla così a fondo. La sentivo muggire e sospirare a pieni polmoni nella mia bocca. Mi fermai fissandola: “Lo sai che ti amo Franca?” – “Ti amo Gianni, ti amo amore mio…” e mentre mi guardava le assestai un altro colpo, seguito da una raffica di colpetti. Avevo imposto alla nostra copula di colpo un cambio di ritmo forse non sostenibile. Non affondavo più ma entravo ed uscivo rapidamente. Sgranò gli occhi: “Oh sì gesù mio, sì che bello… così amore così… madonna che bello…”. La sentivo bagnarsi in modo molto più evidente. Il suono inequivocabile della penetrazione umida e veloce prese a rimpire la camera così come il nostro fiatone caldo. “Così amore? Così? Ti amo franca, goditelo, goditelo…”. Cominciava a dimenare la testa. Non la sentivo più urlare o predisposta al grido. Era una serie continua di fonemo strozzati mentre con la mano stringeva il lenzuolo del letto, rigirato poco sotto il cuscino: “Come fai? Come fai porco?” – “Cosa amore?” – “Ancora non l’hai fatta?”. Mi buttai su di lei affondandola completamente e strappandole un urlo che fece aftica a contenere: “Ce ne vuole amore, ce ne vuole ancora tanto…”. Mi prese la testa tra le mani, mi baciò e mi disse: “Non affondare però… che davvero non mi riesco a trattenere…”. Sapevo di cosa aveva bisogno per godere: di tenere il sedere su, di avere una penetrazione che da sopra le arrivasse fino in fondo. Presi il cuscino e lo portai sotto il suo sedere: “Alza il clo amore, forza…”. Con le mani mi bloccò premendo sul petto: “No amore, per favore, davvero… ci sbattono fuori e facciamo ‘na figur ‘e mmerd… davvero, lo so… ti ricordi a casa?”. Non ci pensai su due volte: “Fidati di me… apri la bocca…” mentre non visto acciuffavo i miei boxer dalla punta a piedi del letto, dove li avevo lasciati spogliandomi. “Che vuoi fare?” mi chiese preoccupata. Risposi solo: “Apri la bocca amore, fidati…”. Mentre schiudeva le labbra non le diedi il tempo di elaborare che già le stavo cacciando la stoffa in bocca. Con la destra le trattenni con forza le mani al petto perch&egrave non la togliesse e la tirai a me mettendo io i piedi giù dal letto, ben piantati in terra. Si dimenava leggermente, imapurita, credo. La resistenza non era invicnibile ma ci provava, muggendo contro i miei boxer. Quando fui ben saldo in terra mi stravaccai su di lei, provando ad alzarle il culo con la sinistra.Il colpo arrivò fino in fondo. Sentii la cappella che urtava contro qualcosa. Ben premuto in lei, lo scroto le aderiva al sedere. Era una sensazione incredibile di potere e di piacere. La vedevo lì, bendata e imbavagliata in quel modo che poteva anche apparire volgare ma che non era così volgare nella mia volontà. Mi ripetevo che era passione. La penetrai così ancora per un minuto buono, sentendola muggire e sentendo che ormai non opponeva più resistenza con le mani, anzi, con le gambe tentava di assecondare al meglio i miei movimenti tenendo le ginocchia alte il più possibile. “Ti amo, ti amo Franca, cuore mio… hai visto? Non ti sente nessuno, grida quanto vuoi…”. La stantuffavo con potenza, senza curarmi di altro che delle sue urla di piacere che le mutande in bocca rendevano indistinguibili. “Ti piace amore? Ti piace?”, la sentii per tutta risposta stringere i talloni al centro della mia schiena ed incitarmi a colpire più forte. Diventai subito una furia. Quel corpo allacciato, bollente e sudato mi eccitava. Il suo viso paonazzo, deformato dalla benda, spersonalizzato dal nylon delle calze e sravolto in quella smorfia di piacere mi eccitò incredibilmente mentre con le ultime botte la sentivo squassarsi urlando per l’orgasmo. Sapevo quanto era liquida nel godere, sapevo che la sua lubrificazione era enorme. Continuai a premere mentre la sentii iniziare a contorcersi ululando. Aveva il viso violaceo, le vene del collo sottile tutte fuori dal piacere. Mi premetti tutto su di lei sfilandole la benda con un colpo solo. I suoi occhi lucidissimi, erano spalancati. Mi guardò e di colpo lessi una luce di passione e di beatitudine. Continuai a pompare mentre sentivo distintamente qualcosa che mi bagnava e mi spruzzettava lì sotto. Non so quale alchimia profonda dei fluidi, quale bisogno di qualcosa di perverso mi prese, ma la fissai e mentre continuavo a penetrarla beandomi degli stravolgimenti che la goduta provocava al suo viso mi scoprii da incoraggarlia: “Sping, cacciala tutta fuori… bagnami di piacere amore… falla tutta”. Premetti ancora, per farle vincere col piacere ogni resistenza: “Fammela tutta cuore mio, fammela tutta…” e le issai dalle caviglie le gambe perch&egrave aderissero perfettamente al mio petto. Presi a baciarle la caviglia sinistra, leccarle il dorso del piede eccitato come mai, mentre la sentivo premere lì sotto, sentivo le strizzate che i muscoli lì sotto regalavano al mio uccello e la guardavo strabuzzare gli occhi mentre sperimentava quel nuovo piacere. Nessuno pensi stesse facendo pipì o come si dice in gergo squirtando. Semplicemente premeva fuori il suo piacere con quella pressione. Si beava ancora di più del mio cazzo ben piantato dentro… e nel frattempo regalava a me ed al lenzuolo lì sotto una discreta cascatella di piacere. Mi accorsi che la cosa la eccitava, così continuai a premere, sempre baciandole e leccandole il bordo del piede: “Ancora amore? Stai ancora in orgamso?”. La sua risposta fu un unico muggito mentre serrava gli occhi e annuiva. Ripresi a darci dentro, mentre lei rantolava e mi fissava incitandomi con i movimenti del suo capo. Ero diventato una furia… non riuscivo a godere, non so perch&egrave. Evidentemente la concentrazione nel piacere che le stavo dando era così forte che mi teneva lontano dal godere io, dal ricercare anche fisiologicamente la mia goduta. Si irrigidì ancora, questa volta tirandosi il più possibile verso di me e quando fu venuta ricadendo sul materasso mentre la testa si tendeva indietro in quello che mi sembrò davvero un ululato animalesco. Tornai a chiedere che mi riversasse il suo piacere addosso: “Dai amore… premi ancora, dai… dio che bella che bella che sei quando godi così, amore…”. Che furia, che furia che era. Considerai che davvero il reprimere porta ad eruttare, che le acque chete davvero rompono nel modo più fragoroso gli argini. La sua seconda spremuta fu molto più intensa della prima. Probabilmente aveva capito da dove esercitare pressione. Mi ritrovai le cosce bagnate, non più solo umidicce. Le pareti della sua vagina come un mantice si strinsero attorno al mio cazzo, mi massaggiarono roventi la cappella. Sentivo che stavo per venire. Le diedi ancora un paio di colpi, poi a voce alta le dissi: “Amore me ne vengo pure io…” uscendo ed eruttandole sulla pancia tutto il mio piacere. Schizzi copiosi, prima che con la mano finissi a spremermi il piacere addosso a lei, fissandola, dicendole che l’amavo. Sull’ultima goccia, mentre ancora lei sobbalzava, mi stravaccai accanto a lei sfilandole in un colpo i boxer dalla bocca e restando di fianco ad ammirarla. Mi guardò ancora rossissima in volto, col fiatone e la voce secca e roca: “Io ti amo, Gianni… mettitelo in testa… dio mi perdoni ma mi sono innamorata di te!”.

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