Skip to main content
Racconti Erotici Etero

gabriella

By 20 Giugno 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Pomeriggio freddino di fine inverno. In auto ritorno a casa. Accendo la radio, controllo l’ora. Mi siedo in auto e parto. Colonna di auto al semaforo, davanti, dietro e di lato.
Provenire dalle mie spalle sento una frenata secca e un botto di vetri in frantumi. Sono testimone di un incidente; che faccio ? scendo , non scendo, me ne frego’. Ma no’ dai’ho visto tutto.
Scendo e fa decisamente freddo. Le due auto si erano toccate quel tanto da rompere i rispettivi fari e i radiatori. Come al solito non c’e’ chi rispetta la precedenza e subito nascono le discussioni. Un ragazzo sui ventanni (aveva lui la ragione) era in piedi vicino al finestrino dell’auto tamponatrice. Discussione un tantino vivace condita dai vari ‘rincoglionita.. ma non mi hai visto?’ ‘..Ehi cretinetti, non sono mica tua madre, bada a come parli”. Coglione!’ e via discorrendo.
Mi avvicino e tento di calmare gli animi. Allontano il ragazzo dicendogli che avevo visto tutto e che aveva ragione.
Non lo avessi mai fatto!! La donna, ovvero lei che aveva creato tutto sto casino, ancora seduta nella sua utilitaria mi stava mandando garbatamente a fare in culo’.
Sopprassedetti. Invitai la donna a scendere e a compilare il Cid, tanto non c’era altro da fare. Cominciava pure a piovigginare. La donna si decise a scendere, non prima di aver fatto trenta telefonate e cercato un ombrello. Io cominciavo a bagnarmi.
Potevo vedere la donna attraverso il finestrino aperto. Trentanni, non di piu’, forse trentacinque va’., capelli rossi tirati su e tenuti legati alla rinfusa da un fermacapelli, truccata il giusto che facesse risaltare il rossetto rosso fuoco, quasi in tinta coi capelli. Occhi verdi appena truccati, lineamenti del viso affusolati , quasi a darle qualche anno in più e serietà in volto. Pareva indossare un giubbotto di jeans con pellicciotto. Una bella fica, dallo sguardo deciso e consumato. Lo feci presente anche al ragazzetto, cosi’ magari univa l’utile al dilettevole ma, non mi diede ascolto, quindi o era culattone o troppo incazzato per l’auto scassata.
Cosi’ avevo modo di gustarmela da solo’..quando scendeva; non mi sbagliavo.
Aprì la portiera della sua auto e mise fuori una gamba. Tacco moderatamente alto, scarpe nere. Indugiava un attimo prima di uscire così ebbi modo di notare che indossava una gonna stretta, che però guidando gli era salita sulle gambe quel tanto per far trasparire il bordo di pizzo delle autoreggenti.
Scesa dalla vettura si accorse del mio sguardo libidinoso e sorrise , aggiustandosi la gonna.
Fine del sogno.
Si avicino’ e compilammo il Cid non prima di aver chiarito la situazione e la dinamica dei fatti. Non ci presentammo, tanto c’erano gia’ i documenti che parlavano per noi. Si chiamava Gabriella.
Nell’aria al posto dello smog si era formata una nuvola di profumo di donna da far svenire. Pure il ragazzetto culattone lo avvertiva.
Era simpatica, faceva la segretaria in Comune. Grande fascino, niente fede al dito e abbronzatura da lampada. Scopabile.
Mentre parlava, io mi immaginavo a come si faceva la lampada, se integrale o facciale. Nel mio pensiero optai per quella integrale e già me la immaginavo nuda stesa sul lettino. Provavo invidia per la conchiglia posata sul monte di venere che sicuramente, certamente, inopinatamente copriva una fica nera ben pettinata, ordinata, pelosa in modo meticoloso.
‘Scusi’.senta’.’ era Lei che mi chiamava. ‘ Dove devo firmare?’ Mi svegliai di soprassalto e, tornato al mondo attuale, vedevo questo viso sensuale che mi sorrideva.
Finito di compilare il cid, arrivato il carroattrezzi, lasciai questa splendida donna in compagnia di quel frocioculattone del ragazzo tamponato, quasi a fargli un regalo in compensazione del danno subito; se poi e’ sveglio ne ricaverà qualche cosa altrimenti’.. è proprio un culattone, eh.
Salutai e salii sulla mia auto.
La pioggia che aveva bagnato la mia giacca faceva appannare i vetri della macchina.
Ad un tratto sentii battermi al vetro. Era lei cazzo, ‘ presto tira giù il finestrino’ecco’..
‘Sì mi dica?’
‘Va be diamoci del tu. Senti io avrei bisogno di un passaggio, quel ragazzo non mi sembra molto’. vai verso Via Nazionale?’
Io non ci dovevo andare, avrei allungato la strada di venti minuti. ‘Sì, certo come no, devo andare proprio lì’. Era una bugia ma deta a fin di bene: il mio. Lei mi piaceva.
Durante il tragitto scoprii che si chiamava Gabriella, trentadue anni, segretaria, nubile, viveva con i genitori e il fratello, niente ragazzi all’orizzonte; era libera come un libellula (volevo dire lucciola, ma Gabriella, nonostante quello che racconterò non e’ una”zoccola!) ma soprattutto aveva due gambe affusolate, polpacci longilinei e muscolosi il tanto da dare armonia alle gambe che definirei perfette, da baciare, che al solo pensiero mi si indurisce ancora.
Tra uno sguardo alla strada e uno alle cosce, arrivammo a casa sua. Prima che lei scendesse, gli lasciai il mio numero, chissà’..
Beh quel chissà non tardo’ ad arrivare. La sera stessa ero in casa con rigoroso pigiama e pantofole, squillo’ il telefono. Era lei. Mi chiedeva se accettavo di vederla a pranzo domani. Accettai.
A mezzogiorno ero sotto il comune. Giornata primaverile; potevo vedere il cielo terso e le prime donne con le minigonne in giro. Quant’e’ bella la primavera, ma mai quanto a cio’ che mi stava per accadere.
Entrai nell’androne del Comune di lato alle scale. Lei stava scendendo dalle scale, ne riconoscevo il tacchettio delle scarpe. Dalla calata dei gradini potevo scorgere proprio quelle scarpe nere di ieri. Man mano che scendeva apprezzavo la camminata sicura, le gambe affusolate, una gonna blu facente parte di un taieur abbinato a una camicetta bianca con collo largo e leggermente aperta al secondo bottone. I capelli raccolti dietro al nuca.
Appena mi vide, sorrise e mi venne incontro prendendomi sotto braccio. Mi portò fuori dall’atrio del Comune. Ero un po’ imbarazzato da questo gesto. Generlamente io sono il cacciatore e non la preda.
‘Se ti porto a pranzo gratis con delle mie colleghe, reggeresti il gioco che sei il mio ragazzo?’
Stavo per dire ‘Minchia, certamente’ invece rimasi a bocca aperta come un coglione. Le sue colleghe stavano arrivando e ‘. non sapendo cosa fare, cosi’ d’istinto, la baciai leggermente sul collo giusto per sfiorare la sua pelle con le mia labbra e le dissi, in modo che ci sentissero :’Ciao amore, andiamo?’.
Lei non si irrigidì affatto e , anzi, molto disinvoltamente, mi stringeva ancora di piu’ al braccio. La cosa mi rinfrancava, ma soprattutto mi inturgidiva il cazzo. Ah, quante fantasie avevo in testa.
Al ristorante ci sedemmo vicini, ovviamente. A parte qualche momento di imbarazzo, procedevamo ‘a braccio’, nel senso che non essendo scritto il nostro copione, dovevamo sfoderare tutta la nostra abilità di attori per convincere le amiche che eravamo fidanzati.
Lei, nonostante il giorno prima mi era sembrata una ragazza non facile da conquistare, in quei momenti era molto socievole e ben predisposta verso ‘il prossimo.
Sotto la tovaglia infatti, ebbi modo di appoggiare la mia gamba alla sua. Io avevo i pantaloni pesanti ma sentivo, a ogni mia leggera pressione, il tocco dei collant. Lei, forse per prendersi gioco di me, volendo mettermi alla prova credo per imbarazzarmi, con la scusa di aggiustarsi il tovagliolo sulle gambe, strofino il dorso della sua mano sulla mia gamba, facendo passare la mano dal ginocchio fino a quasi all’anca. Un tuffo nella cappella mi inturgidiva l’uccello. Ingurgitai la saliva, e feci un piccolo sospiro. Lei mi guardava divertita, abbozzando un sorrisetto malizioso mordendosi poi, il labbro inferiore con i denti.
Non vedevo l’ora di uscire da quella situazione e con una scusa mi recai in bagno.
E’ bene precisare che il ristorante aveva una specie di antibagno con un ripostiglio più la porta per i bagni veri e propri. Era un ristorante di lusso e lo si notava anche dal gabinetto.
Faccio per uscire dal bagno quando nell’antibagno incontro Gabriella. Sorride. Mi mette le mani sul petto e mi spinge verso il ripostiglio. Guardandomi negli occhi, si morde le labbra e sfiora il suo naso contro il mio. Io le chiedo di calmarsi, la chiamo per nome, le dico se è proprio e’ infoiata a sino a quel punto possiamo andare nel motel accanto e chiedere una camera.No risponde ma lei infila una gamba tra le mie. Sento il collant premere sui miei pantaloni, cercandone il cavallo e un appoggio stabile. Nello specchio di fronte posso gustarmi la scena come se fosse un film porno. Potevo apprezzare il culo di Gabriella, su cui il mio sguardo non si era soffermato prima. E’ bello sodo solo a guardarlo.
In un momento di stasi, non arrivando nessuno, per fortuna, Gabriella aprì con facilita’ la porta del ripostiglio. Sembra quasi che sia un gesto per lei familiare. Mi spinge dentro.
Non c’e’ luce ma veniamo illuminati dalla luce che passa da sotto la porta.
Sento lo scatto della serratura come se venisse chiusa.
Era Lei che la chiudeva. La sua mano era sempre sul mio petto. Gliela presi e la porta dietro di me, come a stringermi. Lei mi sussurro’ all’orecchio che era un mese che non faceva l’amore. Io rimasi basito di tutto quel travolgere di avvenimenti.
Lei, sapientemente, se ne accorse; puntava i suoi seni sul mio petto. Ansimava leggermente mentre inarcava la schiena come a spingere i suoi capezzoli dentro di me. Li sentivo turgidi , quasi a bucare la mia camicia e la sua di seta. Era lei a condurre il gioco. La sua mano destra si divincolava dalla mia presa e la poggiava sulla patta dei miei pantaloni. Io avevo trovato appoggio a uno scaffale. Non vedevo bene ma sentivo la sua mano accarezzarmi l’uccello con sapiente maestria. Puntava le unghie sull’asta fino a raggiungere la cappella, stringendomela. La minchia si induriva. Le mie mani, libere sino quel momento, prendevano a cingerle le cosce appena sotto la gonna. Si alzavano accarezzando il collant sino a scorgere il pizzo delle autoreggenti. Si’ erano autoreggenti, perche’ non sentivo al tatto il laccio degli eventuali reggicalze. Facevo salire e scendere le mani sulle cosce tese e dure dal fatto che calzava scarpe con il tacco. Con il mio movimento, avevo inavvertitamente arrotolato il pizzo delle autoreggenti. La gonna gliela avevo alzata e sicuramente era stropicciata.
‘Aspetta’ perche’ dopo devo tornare in ufficio’.’. Si scosto’ da me e si slaccio’ la gonna, facendola cadere ai suoi piedi. La sposto’ con un piede. Le chiesi di non togliersi le scarpe. Morivo dalla voglia di prenderla da dietro. La presi ai fianchi, la girai. L’appoggiai contro un altro scaffale e lei capì che la volevo da dietro. Mi sbottonai solo la cerniera dei pantaloni. Tirai fuori l’uccello che era oramai scappellato dall’erezione. Appoggiai la minchia nell’interno delle cosce, tra il culo e meta’ gamba. Gli piaceva che glielo strusciavo. La cappella diventò secca e pensai che forse gli avrei fatto male ficcandoglielo dentro, oppure non vedendo nulla, non avrei centrato subito l’ambito buco con irrimediabile figura misera. In questa occasioni bisogna dimostrare di essere mandinghi e non farsi fregare dalle circostanze.
Io sono un puttaniere, ma lei era una maestra del sesso. Rivedevo in quell’atteggiamento sicuro di scopatrice esperta, lo sguardo deciso del giorno prima. Cio’ di ingrossava la cappella. Misi una mano tra le sue gambe. Passavo il dito medio sulle sue mutandine di raso, erano umide. Riuscivo a sentire il grilletto. Il sospiro di entrambi aumentava. Lei dimenava il culo dove oramai avevo appoggiato al minchia. Avevo il bisogno di spostarle le mutande. Con gesto deciso della mano gliele afferrai da davanti e spinsi verso il basso. Forse, nella presa, le tirai anche un po’ i peli della fica. Ora era lei che aveva un sussulto nel respiro. Tuffai la mano tra i peli della fica che ovviamente, e non poteva essere diversamente, anche al tatto sembravano pettinati ed ordinati. Sentivo la pelle all’interno delle cosce, liscia come seta. La mano scivolava sui suoi umori che mi bagnavano le dita. Con le stesse dita, presi la cappella secca e la bagnai. Tenendo l’asta nel palmo della mano, appoggiai la cappella nella fica, riuscendo a distinguere il contatto con le grandi labbra e i peli ispidi. Non dovetti fare neanche tanta fatica per metterglielo dentro. Sembrava che lo avevamo gia’ fatto mille volte. Il suo culo era all’altezza giusta. Non dovevo neanche mettermi sulle punte dei piedi come a volte accade scopando all’impiedi.
Una gran donna. Scopandomela da dietro, le baciavo il collo sentendo il fragore del suo profumo. Piu’ la sbattevo e piu’ mi sentivo di farmi una scopata con una signora, di quelle che a quarantanni hanno voglia di cazzo del marito ma poi si buttano leccare avidamente l’uccello dell’amico del figlio ventenne.
La sentivo esperta. Ad ogni spinta faceva un leggero sospiro che solo la prima vocale dell’alfabeto sa ben descrivere. Con la mano mi spingeva la gamba come a farsi spingere l’uccello fino in fondo. Sembrava non avere mai un fondo. Dimenava indietro il culo ogni volta che affondavo i colpi con la minchia. Ad un tratto, si chino’ di piu’ in avanti per poter toccarmi i coglioni da sotto le sue gambe. Ci era riuscita e me li stava tintillando. Poi me li prese delicatamente nel pugno e mi chiese di venire. Io ero praticamente fermo ed era lei che andava avanti e indietro con il culo tenendomi i coglioni in mano. La avvertivo che stavo per venire e lei mi incito’ sotto voce a farlo.
Le venni dentro. Generalmente, se prima non c’e’ un accordo con la lei di turno, non lo faccio mai e gli vengo sul culo, ma in quel momento nulla e nessuno avrebbero potuto evitare una eiaculazione nella fregna.
Poi, come due corpi che sembravano un tutt’uno, ci fermammo ansimanti, con il fiatone, all’impiedi. Io sempre con l’uccello dentro tra le sue cosce, lei appoggiata allo scaffale.
‘.. il seguito al prossimo capitolo.

Leave a Reply