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High Utility

Episodio 29

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Il silenzio che imperava nella biblioteca di Caregan, in cui ogni suono era attenuato come durante una nevicata, in cui solo il fruscio dei fogli di carta, i passi e, di tanto in tanto, come per ricordare che non si era diventati sordi, lo stridio di una sedia sul pavimento di orribili piastrelle rosse a insozzare il bianco sonoro, aveva sempre affascinato Flavia. Adorava andare in discoteca, la musica a tutto volume, le grida eccitate delle persone mentre il vagoncino delle montagne russe, raggiunta la cima, precipitava verso la paura più primitiva, ma, tra le mura che ospitavano la conoscenza, la ragazza si sentiva ugualmente a proprio agio. In effetti, spesso, vi si recava per studiare e fare i compiti mentre Sam era intenta a trasmettere e lei aveva bisogno di tranquillità.
Quel giorno, però, nonostante il portatile acceso e il libro di italiano aperto accanto davanti a lei, un paio delle sue penne preferite in posizione e il cellulare spento in un angolo, sembrava che un pensiero avesse preso la magia di quel luogo, l’avesse chiusa in una cassa e l’avesse nascosta da qualche parte lontano da lei. Flavia tornò a guardare lo schermo del computer, che aveva studiato fino ad un momento prima, ma non era certa di ricordare cosa avesse letto. No, davvero: quel pomeriggio non riusciva proprio a concentrarsi sullo studio, non era in grado nemmeno di riuscire a restare concentrata per la durata di un’intera frase della novella di Pirandello che aveva davanti a sé; scriverne un riassunto sarebbe stato impossibile…
La ragazza scosse la testa, delusa e preda di una insoddisfazione che non riusciva a togliersi di dosso in nessun modo e che, inutile negarlo, sotto sotto la preoccupava. Non ne aveva parlato con nessuno, ma con chi avrebbe potuto? Luca? Alessio? No, erano maschi, non si poteva discutere di cose da donne con loro, sembrava si offendessero se una femmina aveva dei problemi, come se credessero che fossero loro la causa o si sentissero degli incapaci perché non riuscivano a risolverlo, o, peggio ancora, la minimizzavano… come se una ragazza non potesse avere dei veri problemi.
Chi le restava? Giada? Nemmeno per sogno, con quella figa di legno non aveva nulla a che spartire, non avrebbe parlato con lei nemmeno del tempo, e poi, dopo lo scherzo mentre scendevano dalla montagna, tre giorni prima, facendola imbarazzare, quella stronza troppo gnocca non la guardava più nemmeno in faccia.
“Che se ne vada a fare in culo…”, sussurrò Flavia, mentre chiudeva la novella e spegneva il computer.
Osservando lo schermo diventare nero, la ragazza provò a capire quale fosse la causa della malinconia che stava vivendo. Non che fosse mai stata davvero soddisfatta della sua vita, doveva ammetterlo: un senso di delusione aveva sempre covato dentro di lei, l’impressione che non vivesse davvero a fondo, che qualcosa le mancasse. Nulla di materiale, in realtà: grazie al lavoro particolare di sua madre, nonostante suo padre avesse perso la vita anni prima mentre svolgeva il suo lavoro di vigile del fuoco, potevano considerarsi benestanti, e spesso avrebbero potuto togliersi ben più di uno sfizio ma, già qualche anno fa, Flavia aveva compreso che non era l’ultimo cellulare costoso o abiti con marchi grandi quanto tutto il vestito a renderla soddisfatta. Il sesso, l’orgasmo, la sensazione primitiva e animale di essere posseduta, poteva distoglierla per un momento dal suo stato sempre insoddisfatto, e per quello, quando le si era presentata la possibilità, aveva accettato, quasi senza pensarci, di entrare nel gruppo delle orge che si svolgevano nel vecchio capannone, anche se provava un senso di vuoto e disgusto quando smetteva di essere scopata in mezzo ai calcinacci da quattro ragazzi. Luca non aveva lo stesso… beh, un conto era essere la fidanzata di un ottimo amante, ma doveva riconoscere che essere la troia di quattro tipi che la sbattevano a turno era ben altra cosa; non che ce l’avesse con Luca, si metteva d’impegno ed era comunque l’unico che si preoccupasse che lei avesse degli orgasmi.
Il problema era fuori dal letto, comprese. La sua vita era vuota, era quella di una studentessa che, a parte il sesso, per il resto, una volta finite le lezioni, faceva un po’ di sport, studiava, ma poi? Niente. Nulla che valesse la pena raccontare. E raccontare a chi, tra l’altro, visto che non aveva amici, escludendo il suo ragazzo e l’amico del suo ragazzo? Nessuno la voleva conoscere, tutti la trattavano al pari di un’appestata a causa della sua vita sessuale smodata…
“Come dire che quelle stronze non desiderino segretamente anche loro di essere sbattute da tre o quattro dei ragazzi di cui sono innamorate contemporaneamente, o quei segaioli non sognino di mettermi a novanta e fottermi fino allo sfinimento, ma non vogliono ammetterlo con nessuno…”, pensò, soffiando con il naso.
Tutto questo, comunque, era quanto aveva compreso, o per lo meno sospettato, fino a pochi giorni prima. Certo, chiedeva spesso a Sam se potessero andare la domenica in qualche parco giochi dove, sotto lo sguardo inorridito e spaventato della madre, faceva la coda per salire sulle montagne russe, o qualcuna di quelle giostre o attrazioni che una persona normale non avrebbe nemmeno fatto finta di considerare, quelle in cui la gente scendeva senza voce e le gambe che tremavano perché cercava emozioni forti. Il problema, in realtà, era che lei non si era resa conto di quanto le volesse, le bramasse, le agognasse fino a domenica scorsa, quando il suo cuore si era aperto al pari della vela del parapendio che Alessio aveva usato per lanciarsi dalla Malga Ermete nel cielo sopra Caregan. Innegabilmente, quello era stato lo spettacolo più bello a cui Flavia avesse mai assistito: lo schiocco della tela che si stirava al massimo della sua estensione, le grida di eccitazione del ragazzo quando la corrente ascensionale l’aveva catturato e portato in alto tra le nuvole, quel senso di terrore che aveva provato quando era arrivato in fondo alla radura e il terreno era terminato sotto i piedi di Alessio… La ragazza aveva provato qualcosa di simile quando Luca le infilava dentro due dita e si dava da fare, accompagnandola ad un orgasmo esplosivo, ma un orgasmo durava una manciata di secondi, un giro sulla giostra o le montagne russe un paio di minuti, ma volare, sospesa nell’aria, il vento che le frustava gli abiti come se cercasse di farla cadere, il mondo sotto di lei, a migliaia di metri di morte da lei, il dubbio che qualcosa potesse andare storto, che l’attrezzatura non fosse in perfetto stato… Flavia si trovò a mordersi il labbro inferiore e stringere le gambe, assaporando quel moto di eccitazione che le si era accesa nel basso ventre.
Si sbrigò a mettere tutto nello zaino, accarezzando per un istante l’idea di chiudersi nel bagno della biblioteca e accarezzarsi fino a far sbocciare quella sensazione e dischiuderla in un orgasmo, ma preferì non farlo: era lì che andava quando non era alle orge, e riteneva sbagliato mischiare il sesso con quel luogo.

Camminando lungo le vie centrali di Caregan, lo zaino pesante su una spalla, vizio che voleva togliersi ma che la ragazza non ci era mai riuscita, Flavia provava un senso di colpa per il fatto che, nonostante l’impegno di Luca per renderla felice, lei non lo era. Sì, ammise con sé stessa: non era davvero felice.
Povero Luca, a letto ce la metteva tutta, ed era fantastico (come poteva non esserlo, dopo che era stato istruito da Sam?), e anche fuori aveva sempre un pensiero per lei… ma era troppo tranquillo quando indossava i vestiti. Adorava come la sottometteva mentre facevano sesso, come si preoccupasse prima di farla godere, di soddisfare ogni suo bisogno, e poi possedesse il suo corpo con forza e rudezza, scopandola proprio come amava lei, ma quando erano fuori sembrava tramutarsi nella calma fatta ragazzo, con la sua fotografia che sembrava richiedesse ore per preparare uno scatto, la sua passione per quel dannato lago con le onde monotone che si infrangevano su una sponda piatta, priva di imperfezioni e scogli, nemmeno fosse una piscina di dimensioni ciclopiche, e altre attività che l’avrebbero fatta impazzire tanto era tranquille.
Decise di fermarsi al bar vicino alla biblioteca, diventato meta dove godersi una bibita come premio quando terminava la sessione di studi. Il campanello sopra la porta suonò annunciando il suo ingresso: all’interno i soliti quattro o cinque irriducibili che, a differenza sua, la verità la cercavano nella feccia sul fondo del bicchiere di rosso invece che in un libro, o, alla presenza delle quattro famiglie reali, tumulavano il loro pomeriggio sotto assi, carichi e fiori; la barista, una donna di una certa età che sembrava fosse stata messa lì controvoglia, la fissò prima di riconoscerla e concederle un sorriso che ben pochi, lì dentro, avevano avuto il piacere di ricevere. Flavia rispose a sua volta con un altro, poi si diresse verso il frigorifero, dove aveva già adocchiato cosa voleva bere: in un bar le bevande costano di più, ma solo lì trovava la sua preferita, tra l’altro anche ghiacciata. Aprì lo sportello, afferrò una Monster Rehab alla pesca, apprezzando il contatto con il metallo freddo della lattina e quando fece per estrarla, sentì una voce femminile alle sue spalle esclamare: – Ah, guarda chi c’è: la traditrice che pensa che avere un ragazzo sia meglio di averne quattro!
Flavia fu sorpresa quando riconobbe quella voce. Si girò e vide, un paio di tavolini più in là, con la lattina di una birra davanti a sé, quella che fino a pochi giorni prima, considerava la sua unica amica.
Nonostante avesse cercato di mettere un tono di astio nelle parole, Alena le sorrise, poi la sedia dall’altra parte del tavolino si mosse all’indietro, spinta dal piede della ragazza. Flavia non ebbe bisogno di un altro messaggio per andare da lei e sedersi.
– Quant’è piccolo il mondo, Flavia. Non mi aspettavo più di incontrarti di nuovo.
La rossa appoggiò l’energy drink sul tavolino. – Non mi sono mica trasferita in un altro Paese – spiegò con un’aria di innocenza.
– Già, ma non ti presenti più alle… – la rimproverò bonariamente l’altra, senza aggiungere la parola “orge”.
– Ehm… sì. Come vanno?
– Adesso a me e Natalia tocca sobbarcarci due maschi arrapati come dei mandrilli invece di uno e un terzo come quanto c’eri anche tu – spiegò. Flavia credette di riconoscere una punta di astio nella voce dell’amica.
– Credevo aveste scelto una nuova… ehm… – disse lei.
– Certo, potrei proporre una specie di “X factor” porno con una decina di ragazze che fanno… – Alena si fermò, pensando un attimo, poi aggiunse, massaggiandosi il lato destro del collo: – Mi sa che qui a Caregan hanno già fatto qualcosa, qualche anno fa, se ricordo bene.
L’attenzione di Flavia fu attratta dal movimento della mano, e solo in quel momento si rese conto che sul collo della ragazza erano presenti dei lividi. Alla rossa non un grande sforzo per comprendere che erano i segni che lasciava quello stronzo di Diego quando le possedeva con la sua tipica violenza. Il ricordo le provocò una smorfia che trattenne a stento.
– Però, certo, che se tornassi tu… – continuava, intanto, la bionda, ignara dei pensieri dell’altra.
– Sono fidanzata, adesso, Alena – rispose Flavia, ma scoprì lei stessa una punta di malinconia che contaminò le sue parole. – Non voglio tradire Luca con i quattro… sarebbe mancargli di rispetto – spiegò, cercando una scusa per tagliare sul nascere un discorso che l’avrebbe fatta soffrire più di quanto volesse ammettere.
Alena bevve un sorso di birra dalla lattina, la scosse per controllare se vi fosse rimasta qualche goccia, poi, delusa che fosse ormai vuota, l’appoggiò sulla tovaglia a quadretti bianchi e rossi. – E come va con questo… Luca? Sa… – la ragazza mosse la mano destra appena ma Flavia riconobbe il gesto come la parodia di una penetrazione, – …bene?
Per qualche motivo che lei stessa non capiva, la ragazza si sentì sotto accusa quando Alena le pose quella domanda. Un po’ come se l’amica stesse incolpando il suo fidanzato di averla portata via da loro, e lei avesse accettato più per fare una ripicca nei loro confronti, quasi che le avessero dato la felicità ma lei non avesse voluto ricambiare in nessun modo scappando quando sarebbe toccato a lei restituire il favore. – Sì, a letto è bravissimo – rispose, quasi piccata.
L’amica sembrò studiarla per qualche secondo, come se la discrepanza de tono di voce rispetto alle parole che aveva pronunciato fosse la chiave per accedere ai pensieri che Flavia celava nei recessi più profondi del suo cuore. – Ma fuori? – domandò infine.
Quelle due parole ebbero l’effetto di un incantesimo, di un comando come quelli che gli ipnotizzatori usavano sulle loro vittime. La maschera sul volto della rossa si incrinò, poi cadde a terra, mostrando tutta la delusione della ragazza: bastò questo per far comprendere tutto ad Alena.
– Capisco. È successo anche a me, e lui non era nulla di che a letto, in verità – confessò. – È per questo che ho deciso di accettare l’invito di Vittorio, mesi fa, e di diventare una delle loro troie. – Fissò Flavia con intensità, come se questo bastasse a farla tornare con loro al capannone.
La cosa non bastò di certo, ma fece vacillare molto la volontà della ragazza, che, per non mettersi a piangere, dovette afferrare il suo Monster, salutare Alena con una voce rotta, lasciare una moneta da due euro sul bancone senza attendere il resto e lo scontrino e uscire. Qui permise alle lacrime di sgorgare mentre correva a casa.

Continua…

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