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I molluschi

By 23 Febbraio 2023No Comments

“Stasera sei invitata per cena da me. Ti piacciono le ostriche?”.

Lui quella volta non me l’ha nemmeno vagamente chiesto, per il fatto che m’ha in effetti irriverentemente ordinato imponendomi di cenare in sua compagnia. Praticamente un invito per finire nel suo letto dopo cena e poi si sa dell’effetto eccitante che le ostriche producono, però probabilmente è soltanto un luogo comune, un sorpassato pettegolezzo. Comunque sia io subisco poco gli effetti del cibo e delle bevande, dato che non sono certo una persona che si lascia portare a letto solamente perché ha succhiato la polpa bianca di un’ostrica. La faccenda che m’ha stupito di più è stata per il fatto che non m’ha praticamente mai rivolto la parola in questi due anni, dal momento che abbiamo fatto parte della stessa commissione soltanto un paio di volte, pure lì in quel caso i nostri rapporti erano tutt’altro che amichevoli, confidenziali e informali. Una volta avevamo anche litigato pesantemente per l’assegnazione d’un punto a uno studente fuori corso, perché cedette quasi subito senza nemmeno lasciarmi il tempo di scoprire qualcosa in più di lui e del suo carattere. In facoltà tutti sappiamo poco o niente, per il semplice fatto che è uno scapolo di quarantatré anni e null’altro.

Tutti però notiamo il suo inattaccabile e indiscutibile fascino, soprattutto noi donne, arrischierei formulare che possiede un carisma altero e dignitoso, eppure ribelle e ostinato che ti conquista a prima vista, con quella sua pelle bianca quasi trasparente e quei suoi occhi verdi che t’esaminano scavandoti dentro. Dopo viene fuori il suo aspetto burbero e intransigente che agli occhi di tutti lo rende antipatico, insopportabile e odioso, però non a me, tutt’altro, perché è proprio questa sua freddezza e quest’insensibilità che emergendo m’affascina intrigandomi, sebbene io non mi sia mai data da fare, perché lui si rendesse conto del mio interesse poiché adesso è giunto l’invito. Alcune colleghe m’avevano detto che erano state a cena da lui qualche volta, avendomi svelato persino che sapeva essere un bravissimo cuoco, io non credetti minimamente a queste dicerie, indubbiamente lo dicevano per acquistare punti agli occhi degli altri colleghi e per destare invidia e rivalità alle altre donne, adesso malgrado ciò mi ritrovo a balbettare al telefono:

“Le ostriche? Sì, certo, abbastanza, ma la cena è per stasera?”.

“Sì, proprio stasera, alle nove”. La sua voce è amichevole e cordiale come non l’ho mai sentita prima d’ora, perché pare quasi che stia sorridendo, segue sennonché un incagliante silenzio e poi irrompe:

“Scusa, forse avevi già qualche impegno”. Sorrido anch’io affermando:

“No, nessun impegno, alle nove sarò da te. Devo portare qualcosa, ti serve niente?” – chiedo io con la stessa cordialità, lui rimugina per qualche istante poi replica:

“So che sei un’esperta di vini, potresti portarne qualcuno se ti va”.

“Va bene, vedo che cos’ho in cantina, a dopo” – rispondo.

Lui blocca la comunicazione senza nemmeno salutarmi, io mi chiedo nel contempo se sto compiendo una fesseria nel cedere all’approccio d’un uomo così lunatico, mutevole e scostante. Subito dopo penso che è la prima se non forse l’ultima occasione per scoprirlo realmente, la curiosità in ogni caso m’attanaglia divorandomi, fuori fa freddo, il vento siberiano porta con se alcuni fiocchi di neve, ma sono così sottili tenuto conto che non appena s’appoggiano per terra si sciolgono all’improvviso. Io per l’occasione indosso una gonna nera sopra il ginocchio, morbida e setosa che accompagna le mie forme, un maglione dalla trama sottile accollato e aderente con un filo di piccolissime perle, lascio i capelli sciolti perché stasera hanno una lucentezza particolare, direi quasi perfetta. Nel momento in cui sto per spegnere la luce m’accorgo che la calza è un po’ smagliata, corro in camera, scalzo gli stivali neri con il tacco a spillo e infilo un altro paio di calze autoreggenti nere in seta. Il gatto si gratta contro il mio polpaccio, mentre infilo nuovamente il piede nello stivale e gli dico:

“Cucciolo, hai fame?”.

Lui miagola lascivamente e lo accarezzo rivolgendo uno sguardo verso la cucina, noto che la sua ciotola è vuota, così sbuffando mi dirigo verso la credenza e prendo la scatola dei croccantini, sennonché appena m’abbasso avverto la mia fica che sfrega contro la stoffa della gonna e proprio in quel momento mi rendo conto di non aver indossato l’intimo, completamente tolto dalla mente. Mi tocco il petto e sento di non avere nemmeno il reggiseno, resto un attimo sbigottita, travaso i croccantini al micio e penso stasera mia cara puoi farne anche a meno. Da quanto tempo non faccio l’amore? Forse da troppo tempo ed è indiscutibilmente arrivato il momento di lasciarmi andare, sì, certo, arriverò da lui senza biancheria intima, in tal modo mi sentirò più erotica e languida, perché non m’importa se non finiremo a letto, l’importante è aver goduto dell’attesa. Stretta nella mia morbida pelliccia riesco a fermare un tassì, vedo scorrere sotto i miei occhi la città illuminata immobilizzata peraltro dal freddo. Arrivo sotto casa sua, giacché non l’ho mai vista prima d’ora, in realtà è un bel palazzo antico dalle mura scrostate con lo stile barocco. Io so che Marcello ha nobili origini, perché nel periodo in cui assunsi la cattedra di letteratura russa all’università, notai che fra i nomi dei docenti ce n’era uno con il doppio cognome, il suo per l’appunto. Adesso il mio dito sta pigiando sul suo campanello, mi tremano le gambe e non soltanto per il freddo. Sento il vento entrare da sotto la gonna, sfiorare come una lama sottile la mia fica nuda, mentre i miei capezzoli sono solleticati dal freddo:

“Chi è?” – la sua voce arriva sicura dal citofono.

“Sono io, Chiara” – rispondo quasi urlando.

L’ascensore sembra una gabbia dorata, io più che un passerotto sembro un corvo. All’improvviso mi guardo e mi faccio schifo, sono tentata d’andarmene via, però arrivo a destinazione, la porta è socchiusa, la scosto ancora un po’ e arriva lui raggiante che m’accoglie:

“Ho fatto veramente bene a invitarti, sei splendida” – dice. Un colpo basso evidentemente, io di sicuro sto quasi arrossendo, però forse lui non lo nota, in quanto le mie guance sono ancora rosse per il freddo:

“Dai, vieni, accomodati” – m’invita con una mano scacciando rapidamente quell’imbarazzo che ha fatto nascere.

La sua voce stasera è più intrigante, forse perché ha assunto un tono sconosciuto fra l’espressione divertita e quella ironica. In mano io reggo una bottiglia d’un Merlot di Sicilia d’ottima annata, perché l’ho conservato per le occasioni speciali, lui m’invita di collocarlo sul ripiano della cucina. Mi guardo intorno, è davvero un arredamento di gusto com’era facile immaginare. Pochi mobili popolano le camere ampie, un pianoforte a coda occupa il centro del salone, accanto c’è un piccolissimo tavolo rotondo con due sedie. Penso che non deve amare molto la compagnia, infatti non ci sono altri tavoli fuorché questo:

“Hai già cucinato?” – gli chiedo. Lui mi guarda serio e m’annuncia:

“Sì, non mi piace far aspettare le mia ospite. Puoi già sederti”.

Che tipo strampalato però penso io, un attimo prima è cordiale e divertito, subito dopo diventa quasi maleducato e a tratti scontroso, sennonché mi siedo ed esclamo:

“Peccato, sarebbe stato interessante guardarti mentre cucinavi”.

Lui occupato ad aprire il vino si volta lentamente e mi guarda. In quella circostanza lo osservo anch’io socchiudendo lentamente le ciglia cercando di rimediare:

“Dicevo poc’anzi nel senso che vorrei rubarti qualche ricetta” – ripeto io imbarazzata.

Neanche questa volta mi risponde, poggia il vino sul tavolo, si siede e m’osserva con lo stesso sorriso trionfante di prima sollevando il coperchio d’un vassoio. All’interno ci sono una ventina d’ostriche, in seguito ne solleva un altro e anche in questo una ventina d’ostriche gratinate, mentre in un contenitore in terra cotta compare una zuppa d’ostriche già sgusciate:

“Prego, serviti, inizia pure da dove vuoi” – m’invita scrutandomi con gli occhi.

“Vediamo, sembrano tutti molto buoni”.

Io osservo i vassoi e prendo un’ostrica che profuma ancora di mare, la poggio sul piatto e con lo sguardo cerco le posate ma non le trovo:

“Non ci sono, perché devi mangiare senza posate” – sostiene lui senza guardarmi.

“Che significa?” – chiedo io piuttosto stupita.

“Significa che voglio guardarti mentre con le labbra succhi la polpa” – risponde, nel momento in cui alza lo sguardo distaccato verso di me.

Io non dico niente, porto l’ostrica alle labbra e comincio a succhiare, lui non mi guarda, in quell’istante comincio a odiarlo:

“Fuori fa freddo?” – mi chiede all’improvviso.

“Oddio, sì, da morire” – rispondo lestamente io.

“Allora perché non hai le mutandine là di sotto?”. Una doccia fredda.

“Io, non lo so” – ribatto, eppure non riesco a proseguire.

“Dev’essere terribile tutto quel vento che entra da sotto la gonna” – prosegue lui con aria di sufficienza incalzando la dose.

“Se non farai attenzione là sotto potrebbero formarsi delle stalattiti fra i peli” – mentre continua a non guardarmi.

Questa volta il radicale imbarazzo e il lampante rossore mi stanno inghiottendo, giacché mi sono anche innervosita e sono piena d’ira:

“Marcello, ascoltami, sei impertinente e presuntuoso. Credi che bisogna avere una bella faccia per poter dire quello che vuoi. Ritieni che un piatto d’ostriche possa trascinarmi nel tuo letto”.

Io sto mantenendo la calma con la voce, ma le parole sono forse troppo dure.

“Non voglio portarti a letto Chiara. Sarai tu a condurmi nel letto” – sottolinea penetrandomi nell’anima, visto che mi lascio andare in un riso incontrollato e visibilmente isterico:

“Già, come no”.

In conclusione piomba il silenzio, io continuo a schiacciare la polpa del mollusco con la lingua contro il palato, mastico e ingoio lentamente, però comincio a sentirmi un’assassina, in quanto la mia gonna è bagnata. Lui mastica con la stessa lentezza osservandomi in silenzio, a volte scuote la testa e sorride, in quella contingenza lo odio profondamente, però al tempo stesso lo adoro per come gusta il cibo. Intanto che mi versa il vino con il suo sguardo ironico non riesco più a reprimere un gesto pensato da tempo: allungo il piede e con il tacco premo al centro del suo corpo fra le sue cosce. I suoi occhi sembrano un attimo perdersi, perché avverto che il suo corpo ha un sussulto, il mio volto adesso ha un ghigno:

“Che cosa vorresti fare?” – dice umiliandomi mentre guarda altrove, dato che adesso la calma m’ha abbandonato:

“Si può sapere che cosa vuoi da me? M’inviti per cenare con te, eppure non te ne frega niente della mia compagnia. Sei così sicuro che io voglia portarti a letto? Questo è troppo, per chi m’hai preso?”.

Lui è ancora più calmo di prima:

“Fin da quando t’ho sentito al telefono ho percepito nella tua voce la voglia di scopare. Eri sicura che l’avremmo fatto stanotte” – sorseggiando frattanto il vino. Io deglutisco perché adesso ho una profonda avversione per il modo in cui m’ha capito smascherandomi:

“Non è forse così?” – chiedo piano con lo sguardo basso.

Là di fuori il vento ha cessato di soffiare, nessun rumore a parte i nostri respiri, il mio è decisamente affannato, nervoso e scattante, il suo viceversa è calmo e implacabile, giacché forse e pe questo motivo che fa nascere in me l’agitazione, l’ansia e la rabbia insieme. La sua voce adesso è bassa e soave:

“Siediti sul tavolo Chiara”.

Io eseguo non esigendo altro, con le natiche cerco di trovare un punto non occupato dai vassoi e dalle stoviglie, le mani sono poggiate sul legno, il mio petto ansima, perché inizio a sentire caldo:

“Hai ragione” – dice alzandosi e avvicinando il suo viso al mio.

“E’ davvero un peccato, che tu non m’abbia visto preparare la cena”.

Il suo sguardo è altero, sprezzante, quasi pericoloso, io scuoto la testa, dal momento che me la sento pesante, gli occhi sono lucidi e la mia vista è già annebbiata, lui infila molto lentamente una mano sotto la gonna, accarezza l’interno delle cosce, io ho un fremito, dalle mie labbra scappa un sospiro e le mie palpebre si chiudono:

“Vuoi proprio sapere come ho preparato le ostriche?” – mi chiede accarezzandomi con il polpastrello, io non rispondo in quanto sono totalmente persa:

“Eh?” – chiede più forte, premendo il dito ancora di più sulla mia fica.

“Ti prego” – riesco a sussurrare soltanto.

Lui sgombera il tavolo, rimango solamente io inerme, mi solleva la gonna e comincia a proclamare:

“Quando si vede una bella ostrica ti chiedi sempre se dentro ci sia una perla, dopo vorresti aprirla per scoprirne il tesoro, però nello stesso tempo vuoi che tale tesoro rimanga nascosto. Poi la curiosità vince e con una lama ben affilata la squarti a metà, così” – accarezzandomi le cosce.

Lui preme i palmi delle mani contro il mio inguine e apre la mia fica con un gesto risoluto, io avverto le labbra gonfie, il mio corpo è abbandonato e piegato:

“Dopo quando l’apri scopri se c’è o meno la perla. Se c’è, schiudi le labbra e l’afferri con i denti” – giacché fa lo stesso con me acciuffando il mio clitoride, mentre io con un filo di voce riesco unicamente a chiedergli:

“E se non c’è?”. Lui si stacca dalla mia fica e ripete con il respiro affannato:

“Se non c’è, puoi fare solamente una cosa: divorare l’ostrica e sentirla scendere fino nelle tue viscere”.

Le sue dita mi penetrano, io perdo il conto, perché mi penetra leccandomi con la sua lingua lasciva e dannatamente lenta, mentre io voglio essere sbattuta, perché non riesco più a comandare il mio corpo, i miei gemiti e le mie grida di piacere s’innalzano all’inverosimile:

“Scopami, dai, ti prego” – ribadisco io stringendo forte gli occhi.

Io lo sento sorridere, subito dopo il tintinnio della sua cintura mi fa capire che sta estraendo il suo cazzo, io non apro gli occhi anche se vorrei vederlo in viso. Lo detesto e lo adoro troppo per sostenere il suo sguardo, con una violenta steccata e con un sospiro virile mi penetra ripetendomi:

“Sei tu che mi stai chiedendo di scoparti, ricordalo bene”.

Io afferro la sua schiena e l’attiro verso di me: lo voglio completamente dentro dato che mi risucchia, mi lacera e mi sconvolge. La mia schiena è adesso completamente poggiata sul tavolo riversa, la sua forma è un arco sopra il mio corpo, il suo respiro è a pochi centimetri dalla mia bocca, i suoi occhi mi stanno fulminando, io sto per prendere fuoco. Non immaginavo che avesse quest’irruenza, i suoi colpi sono secchi e decisi come farebbe un amatore consumato, chissà se anche con le altre colleghe è riuscito a far l’amore sopra un tavolo, giacché tra gemiti e sussulti io glielo chiedo, lui mi penetra a fondo rivelandomi di no. Il mio corpo è trascinato da un vortice infinito, torturato e vessato da un piacevole orgasmo che sembra non finire mai. Io impreco, inveisco e urlo, però non so che cosa dico, sento il suo sperma risalire lungo l’asta per poi sgorgare sopra la mia fica inclemente e inesorabile, sborrandomi addosso tutto quel denso e lattiginoso nettare.

In conclusione rimaniamo molto tempo così il suo corpo sopra il mio, il suo respiro caldo contro il mio collo sudato, mentre mi bacia su d’una guancia annunciandomi:

“Dormi qua stanotte, perché fuori fa molto freddo”.

Io acconsento sorridendo, lo accarezzo sopra una guancia, perché francamente m’aspettavo la sua proposta.

“Credi che la tua cantina possa essere trasferita qui?”.

Ci risiamo, come per l’invito a cena, anche questa volta non m’ha chiesto di sposarlo. Lo ha dapprima deciso e alla fine lo ha risolutamente disposto.

{Idraulico anno 1999}

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