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I racconti del lume

By 28 Luglio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Io e Marta iniziammo a litigare uscendo dall’aula, alla fine della lezione, e continuammo a farlo attraversando i cortili della facoltà. Quando arrivammo alla fermata del tram non ci rivolgevamo più la parola.
Marta era la mia fidanzata.

Mi piaceva, riferendomi a lei, utilizzare proprio quel termine desueto per sottolineare l’importanza del nostro legame. Stavamo assieme dal secondo anno delle superiori ed essendo entrambi ad un passo dalla laurea cominciavamo già a parlare di matrimonio.

Era, ed è tuttora, una bella ragazza mora; una “gran bella topa”, come ammise di aver pensato Pietro quando, prima di diventare mio amico, ci provò con lei.

Il nostro litigio era nato da una sciocchezza: mi rimproverava di fare il cretino con la “contessa”, una bionda appariscente che si dava arie da donna di gran classe. In realtà era proprio quest’ultima a farmi il filo. Io mi limitavo solo ad essere. gentile.

Avevo cercato inutilmente di spiegarle il mio punto di vista; poi il battibecco era degenerato. Arrabbiati, mentre aspettavamo il tram della linea tre sulla pensilina, ci ignoravamo.

Ripensandoci, i veri responsabili del nostro nervosismo erano stati il caldo e l’afa di quella giornata già decisamente estiva. Ogni tanto la guardavo di sfuggita per vedere se accennasse a voler far pace.

Era proprio bella.

Indossava quel vestito di cotone leggero da zingarella che mi piaceva tanto: stretto in vita, morbido sotto e lungo fino alle caviglie. Aveva come unico difetto quello di nasconderle le belle gambe, però le metteva in risalto il seno.

Finalmente il tram arrivò.

Salimmo dalla parte posteriore e poiché come al solito non c’era posto a sedere, ci mettemmo proprio in fondo, contro il finestrino, in modo da osservare la città scorrere dietro di noi.

Alla fermata successiva una marea spaventosa di gente era in attesa proprio del nostro tram. Questo si riempì in un attimo tanto che non tutti riuscirono a salire. Qualcuno lottava per non rimanere nella zona di chiusura delle porte e spingeva contro l’ormai compatta muraglia umana.

Ci ritrovammo stretti nel nostro angolo contro il finestrino.
Sentivamo la folla premere dietro di noi.

C’era in particolare un signore molto distinto, sulla cinquantina, che si era messo proprio alle spalle di Marta, alla mia destra. Le stava letteralmente appiccicato. La cosa mi diede fastidio ma pensai che non era certo il caso di fare scenate di gelosia dato che il tram si era trasformato in una scatoletta di latta e noi in tante sardine.

Lo giustificai pensando che la sua posizione fosse forzata. Ero convinto però che, volendo, avrebbe potuto stare almeno un po’ più staccato. Se non fossimo stati arrabbiati avrei certamente detto a Marta di cambiare
posto con me.

Non lo feci.

Decisi comunque di controllare quell’uomo. Indossavo i miei inseparabili Ray-Ban neri e lo scrutavo con la coda dell’occhio mentre, tenendo la testa dritta, fingevo di guardare fuori. Era un bell’uomo, non tanto alto ma elegante. Negli occhi scuri aveva però qualcosa di malvagio. Ebbi la netta sensazione che le stesse premendo con i genitali contro i glutei.

Effettivamente doveva essere successo proprio qualcosa del genere perché lei, chiaramente infastidita, si girò e lo guardò con disappunto. Per un attimo incrociò il suo sguardo: era profondo, magnetico, misterioso.

Marta ebbe una reazione molto strana: Arrossì violentemente e si voltò di scatto per tornare a guardare fuori dal finestrino.

Lui non si era minimamente scomposto.

Quell’uomo cominciava ad innervosirmi. Pensai ad un pretesto per attaccare lite. Teso, continuavo a tenerlo d’occhio, come un gatto che cura il topo certo che, prima o poi, azzardi ad uscire dalla tana.

Non dovetti aspettare molto.

L’uomo infilò la mano sinistra in tasca. Aveva eseguito il movimento con disinvoltura, fingendo di cercare qualcosa; ma io ero certo di sapere quale fosse il suo vero fine.

I miei sospetti si rivelarono subito fondati: vidi la tasca gonfiarsi sotto la pressione delle sue dita che, tese, andarono a sfiorare i glutei di Marta.

Il primo istinto fu quello di partire con un destro ma qualcosa mi bloccò.

“Calma!” Mi dissi. “Prima devo essere assolutamente certo”.

In effetti non potevo rischiare di prendere a cazzotti un uomo che magari stava solo cercando il suo fazzoletto.

Non stava cercando il fazzoletto!

Vidi le sue dita – o meglio, la sua tasca – compiere un movimento rotatorio sulla parte più sporgente del morbido gluteo di Marta. Era un massaggio metodico e delicato.

Fino ad allora mi ero preoccupato solo di controllare l’uomo ma non avevo ancora visto la reazione della mia fidanzata. Senza voltarmi direttamente verso di lei, cercai di scorgere il suo viso. Non volevo infatti che capisse che mi ero accorto di quanto stava accadendo. Non so perché. Forse non volevo metterla in imbarazzo: magari lui si sarebbe allontanato di li a poco ed avremmo evitato una penosa scenata.

Marta era visibilmente imbarazzata. Le sue gote erano infiammate. La vidi chiaramente deglutire in preda all’agitazione senza accennare però a nessuna reazione. Pensai, giustificandola, che forse aveva fatto il mio medesimo ragionamento: forse pensava che l’uomo si sarebbe fermato da solo e subito, senza che fosse necessario gridare al maniaco.

Ma lo sconosciuto continuava a massaggiarla con sempre maggiore decisione ed il fatto che lei non reagisse era per lui sicuramente motivo di incoraggiamento.

Ero confuso ed indeciso sul da farsi. Attesi troppo.

Vidi l’uomo togliere la mano dalla tasca. In un primo momento pensai con sollievo che forse, soddisfatto, avesse deciso di fermarsi. Rimasi perciò di sasso quando lo vidi, con movimento rapido, nascondere la mano tra lui e Marta, tenendo il palmo rivolto verso il sedere di lei.

Non potevo vederlo chiaramente, ma intuivo che aveva cominciato a palparla con decisione.

Era troppo!

Al colmo dell’agitazione stavo per esplodere quando, ancora una volta, mi
fermai: “Troppo comodo!” Pensai. “Io adesso prendo a sberle questo schifoso e lei se la cava così?! Magari facendo finta di non essersi accorta di nulla?! Eh no! Deve essere LEI a reagire! Deve essere LEI a dimostrarmi di non essere una zoccola!”.

Per alcuni secondi (che mi parvero eterni) attesi che si voltasse e prendesse a sberle il molestatore. Pensai vigliaccamente che, a quel punto, avrei potuto recitare io la parte dell’ignaro, fingendomi giustamente indignato e traducendo l’enorme tensione accumulata in una sacrosanta ira punitiva.

Ma lei non reagì.

Era incredibile! Con la coda dell’occhio saltavo continuamente e nervosamente dal suo viso all’osceno movimento che avveniva dietro di lei, sperando che da un momento all’altro accadesse qualcosa che interrompesse quell’insopportabile situazione.

Lei aveva un’espressione strana: fissava un punto nel vuoto oltre il finestrino come incantata. Il suo viso tradiva comunque una forte tensione.

Per un istante ebbi la fastidiosa sensazione che stesse provando piacere.

Con orrore pensai che forse si stava eccitando. Cercai disperatamente di convincermi che il suo era solo un modo per vendicarsi del litigio di prima. Forse mi voleva far capire che, qualora avessi fatto ancora lo stupido con un’altra, per lei sarebbe stato estremamente facile trovare qualcuno con cui farmela pagare. Ora me ne stava dando semplicemente ampia dimostrazione!

Ma il ragionamento non reggeva: lei non sapeva di essere osservata!

Il pensiero mi rimbalzò improvvisamente nella testa e mi ferì per la sua crudeltà: “Lei. Lei pensa che io non mi sia ancora accorto di nulla!”.

Fui richiamato alla realtà da un movimento improvviso dell’uomo. Si era leggermente staccato da Marta ed ora potevo chiaramente vedere la sua mano che si apriva e si chiudeva in un modo strano.

Non la stava più palpando! Ogni volta che si chiudeva quella mano guadagnava qualche centimetro di stoffa. Le stava sollevando piano il vestito!

Fu a quel punto che mi accadde quella cosa stranissima. Non credo che proverò mai più niente di simile: alla vista del vestito di Marta che saliva e delle sue belle gambe che cominciavano ad offrirsi allo sguardo di quello sconosciuto, mi eccitai in maniera folle.

Non era un’eccitazione normale: aveva in se qualcosa di insano, malvagio, terribilmente sporco eppure devastante per intensità emotiva.

Sentii la salivazione aumentare. Le mie gambe cominciarono a tremare al punto che dovetti stringere la presa sul passamano per non sbilanciarmi. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella mano avida e dal suo lento e metodico lavorare. Dovetti fare uno sforzo per ricordarmi di tenere la testa dritta mentre continuavo a guardare di lato, sempre per far credere di non essermi ancora accorto di nulla.

Ormai avevo abbandonato ogni proposito di intervenire. Ero morbosamente curioso di vedere lo sviluppo della situazione.

La sola idea che di li a poco quell’uomo avrebbe toccato, con le sua luride dita, l’intimità più sacra della mia fidanzata mi pervadeva di una libidine folle.

Volevo che lo facesse! Che la toccasse!

Sperai addirittura che Marta non decidesse di ribellarsi proprio in quel momento.

Non lo fece.

La mano raggiunse l’orlo e rapida sparì sotto il vestito. Questo ricadde tutto intorno al braccio ricoprendo nuovamente le gambe.

Il tram si era fermato ad un semaforo; nonostante il ritmico e caratteristico rumore del motore elettrico al minimo dei giri ed il vociare della gente, mi sembrava di essere immerso in un silenzio angosciante.

Il tram ripartì.

Ora non potevo vedere cosa stesse facendo quella mano la sotto, ma lo immaginavo facilmente. Sicuramente si era già fatta largo tra i glutei. Aveva raggiunto le mutandine ed ora, da sopra di esse, doveva aver iniziato a massaggiare la vulva o forse l’ano. Probabilmente entrambi.

Successivamente pensai che lo sconosciuto avrebbe potuto osare di più ed infilare le dita sotto l’elastico, in modo da raggiungere la vagina ed entrare un poco in lei. Però, perché la cosa fosse possibile, Marta avrebbe dovuto tenere le gambe divaricate; ma ricordavo perfettamente di aver notato che i suoi piedi erano uniti.

Fui preso da uno strano presentimento. Abbassai rapidamente lo sguardo giusto in tempo per vedere i piedi di Marta che lentamente si distanziavano tra loro.

Non volevo crederci: stava allargando le gambe!

La vidi anche inchinarsi leggermente in avanti e contemporaneamente protendere un po’ il bacino verso lo sconosciuto per offrirsi più facilmente.

L’eccitazione in me, per quanto fosse ormai insopportabile, crebbe ancora di più. La volli constatare. Infilai la mano sinistra nell’ampia tasca dei miei comodi pantaloni di cotone e tastai il pene: raramente l’avevo sentito così duro.

Era incredibile: la mia Marta si stava concedendo ad uno sconosciuto, su un tram, in mia presenza!

Ma la cosa più assurda era che io trovavo tutto ciò eccitantissimo.

Stavo vivendo un incubo terribile eppure non volevo assolutamente svegliarmi.

Senza rendermene conto avevo iniziato a masturbarmi.

Fui colpito dalla vista delle mani di Marta: erano livide per la tensione e lo sforzo con le quali erano serrate alla barra di sostegno. L’uomo stava ignobilmente frugando dentro di lei con le dita. Lo potevo capire guardandola di sbieco: era arrossita fino alla radice dei capelli e deglutiva frequentemente e rumorosamente.

Il suo viso si era trasfigurato in una maschera di tensione e vergogna, ma anche di piacere.

Sudava.

Notando questo particolare sorrisi amaramente. Infatti ero solito prenderla in giro, dicendole che era fatta di plastica, proprio perché normalmente non sudava mai, neanche d’estate.

Per tutto il tempo, mentre svolgeva diligentemente il suo “lavoretto”, l’uomo non aveva mai tradito la minima emozione ed era rimasto sempre e perfettamente imperturbabile.

Mentre riflettevo su questo raggelante particolare, incrocia senza volerlo i suoi occhi. Per un attimo cercai di sostenere quello sguardo duro ed ipnotico, poi, imbarazzato, cedetti e tornai a guardare in avanti.

Mi arrabbiai con me stesso.

Adesso lui sapeva che io sapevo! Peggio! Voltandomi ed evitando di reagire gli avevo in pratica accordato il mio assenso a quanto stava facendo.

L’uomo doveva aver pensato esattamente la stessa cosa. Lo vidi infilare anche la mano destra sotto il vestito di Marta.

“Non ha proprio limiti!” pensai con rabbia, ed immaginai che avesse fatto ricorso all’altra mano per penetrarla contemporaneamente in ogni suo orifizio.

Invece vidi l’uomo armeggiare diversamente ed in maniera strana. Inizialmente non capii. Poi intravidi le sue mani, attraverso il rigonfiamento del vestito, che scendevano lungo le gambe di Marta e compresi.

Le stava abbassando le mutande.

Pensai con eccitante ribrezzo che volesse agire in maniera sfacciatamente più comoda.

Ma le sue mani non si erano ancora fermate: scesero esageratamente, calando le mutandine di Marta fin quasi alle ginocchia. Poi improvvisamente lo sconosciuto tolse le mani da sotto il vestito.

Non capivo.

Pensai che si fosse stancato o che, più semplicemente, fosse sopraggiunta la sua fermata. Non aveva molta importanza: il gioco era finalmente terminato.

Stavo già tirando un sospiro di sollievo quando fui raggelato da un dubbio atroce. Andai rapidamente con lo sguardo a cercare le sue mani. Le trovai là dove avevo immaginato, intente ad abbassare la cerniera dei pantaloni.

Di colpo cominciò a girarmi la testa ed a farmi male lo stomaco. “No! quello no!” pensai disperatamente.

Guardai terrorizzato ed implorante l’uomo. Ancora una volta non ressi il suo sguardo freddo e prepotente. Ancora una volta tornai a guardare dritto davanti a me.

Lo sentii sollevare il vestito di Marta velocemente, con entrambe le mani, senza più preoccuparsi di non farsi notare.

Disperato abbassai lo sguardo. Feci appena in tempo ad intravedere il grosso pene scuro prima che sparisse sotto il vestito assieme alle sue mani.

Ero paralizzato dal terrore e dall’eccitazione. Cercai rabbiosamente di trovare l’orgoglio per reagire e le forze per oppormi. Fu inutile.

Io volevo che lo facesse!

Allora guardai Marta. Sperai che trovasse lei quella forza per ribellarsi che non ero riuscito a trovare io. Ma anche lei rimaneva immobile, come ipnotizzata. Aveva gli occhi spalancati in una espressione spaventata di angosciosa attesa. Vidi il suo viso contrarsi in una smorfia di dolore nel momento in cui lui la penetrò.

Cercò inutilmente di trattenere un flebile lamento.

Ero sconvolto.

Mi stavo per sentire male ma l’unica cosa che feci fu aumentare la velocità del movimento della mia mano nella tasca.

L’uomo la stava montando lentamente, con colpi brevi ma potenti. Doveva essere entrato completamente in lei, limitando al minimo l’escursione del pene affinché le sue spinte non fossero troppo visibili.

Il viso di Marta si era finalmente rilassato in un’espressione di godimento.

Aveva socchiuso gli occhi e dalla bocca leggermente aperta faceva quasi capolino la lingua.

Ormai mi stavo masturbando selvaggiamente, assolutamente incurante di essere notato. Pensai con vergogna che la gente intorno a noi si fosse ormai accorta dell’indecente spettacolo che stavamo offrendo; forse non il signore dietro di me, perché lo ricordavo volgermi le spalle, ma quasi certamente il gruppo di ragazzi extracomunitari dietro lo sconosciuto.

Sghignazzavano tutti in maniera strana.

Ormai la cosa non aveva più molta importanza.

Marta stava per cedere e gettare la maschera. Si era inchinata ancora di più in avanti ed ormai aveva appoggiato la fronte al finestrino.

Iniziò a gemere.

Era un lamento strano che non avevo mai sentito da lei prima di allora: lungo, monotono, ininterrotto, all’inizio quasi impercettibile poi sempre più forte.

Ormai non aveva più alcun senso fingere.

Marta girò il capo verso di me. I nostri sguardi si incontrarono.

Non dimenticherò mai la sua espressione di supplica.

Mi supplicava di perdonarla per quanto stava accadendo, per non essere stata capace di opporsi ed essere arrivata fino a quel punto, per il tradimento che stava compiendo. Ma contemporaneamente mi supplicava di darle in qualche modo la mia approvazione per vivere appieno quella situazione irreale ed eccitante. Mi supplicava di concederle di godere senza più freni ed inibizioni, senza vergogna, senza limiti. Mi supplicava ed aspettava con gli occhi una mia risposta mentre continuava a sobbalzare sotto le spinte dell’uomo.

Notò il furioso movimento della mia mano nella tasca dei pantaloni. Non potevo darle risposta migliore!

Nei suoi occhi apparve un’espressione di gratitudine. Il suo respiro divenne affannoso, i suoi gemiti imbarazzanti.

Anche l’uomo perse il controllo. La schiaccio brutalmente contro il finestrino aumentando la frequenza e la potenza delle sue spinte.

Ora la montava con più foga.

Marta dovette staccare le mani dalla barra ed appoggiarle aperte contro il finestrino per contrastare la spinta dell’uomo ed evitare di schiacciarsi il seno.

Continuava a guardarmi. Il suo viso era intrappolato tra il finestrino e la testa dello sconosciuto.

Questi portò la bocca vicino al suo orecchio e lo leccò con voluttuosità, poi le mormorò qualcosa, sogghignando crudelmente.

Allora lei cominciò a gemere più forte ed al ritmo dei colpi che riceveva.

Stava per venire.

Conoscevo molto bene quell’espressione quasi di sofferenza che assumeva prima di raggiungere l’orgasmo.

E venne infatti; ed io con lei.

Sentii improvvisamente il mio sperma caldo scorrere sulla pelle imbrattando indecentemente la mia biancheria.

Marta ebbe un orgasmo ben più lungo del mio: gemeva senza più ritegno; i suoi lineamenti erano deformati da una smorfia di insopportabile e doloroso piacere che la rendeva quasi brutta.

L’uomo sembrava aver aspettato volutamente di sentirla godere. Le diede ancora alcuni colpi violenti, poi si bloccò, schiacciandola con ancor più forza contro il finestrino e rimanendo silenziosamente paralizzato dietro di lei.

Stava venendo.

Nella mia mente potevo vedere il suo pene eiaculare in lei. Rimase così, immobile per alcuni secondi, quindi ebbe un ultimo spasmo e spinse ancora convulsamente un paio di volte, quasi ad assicurarsi di depositare il suo seme il più profondamente possibile dentro di lei.

Poi tutto finì.

L’uomo uscì frettolosamente. Il vestito ricadde. Per un attimo rividi il grosso pene violaceo: era ancora eretto e reso lucido dal suo sperma e dagli umori della mia Marta.

Si ricompose goffamente, respirando con affanno. Non sembrava più la stessa persona. La sua espressione superba era scomparsa assieme ad ogni aria di mistero. Neppure gli occhi erano più gli stessi.

Mi guardò con preoccupazione, quasi spaventato. Approfittando della fermata del tram, si fece largo spingendo tra la folla e raggiunse rapido l’uscita.

Un attimo dopo era sparito.

Io e Marta rimanemmo immobili ed ammutoliti: non riuscivamo più a guardarci. Penosamente raggiungemmo le nostre case senza dirci una sola parola.

Impiegai due settimane per trovare il coraggio di chiamarla. Spesi molto più tempo per convincerla che la colpa di quanto accaduto era stata per la maggior parte mia, perché avevo visto tutto fin dall’inizio ma non avevo fatto nulla per impedirlo, stregato, come lei, da quell’uomo malefico.

I test per l’HIV che Marta fece in seguito risultarono fortunatamente negativi.

Ancora adesso mi arrabbio con me stesso per non aver pensato in quel frangente al rischio di un’infezione. Quel pensiero sarebbe stato la molla, inutilmente cercata, per scattare, reagire ed impedire che tutto ciò accadesse; per svegliarmi dall’incubo.

Ma si sa: le persone come Marta e me, che hanno una vita sessuale tranquilla, fedele e – diciamolo pure – un po’ monotona, sono le ultime a pensare a “quella” eventualità e sono quindi le più impreparate.

Marta ed io ci siamo sposati due anni fa. Non abbiamo mai più parlato dell’accaduto. Però ancora adesso, quando facendo l’amore con lei mi capita di essere un po’ svogliato o annoiato, mi basta pensare allo sconosciuto per eccitarmi come un animale.

Sono sicuro che anche lei faccia la stessa cosa.

Marta una sera mi disse molto seriamente che, ad eccezione di quella volta, non mi ha mai tradito e mai mi tradirà.

Io le credo.. Avevo accompagnato mia nonna all’ospedale, per una visita specialistica.
Mia nonna era entrata nello studio del dottore mentre io mi ero accomodato su una delle sedie di plastica della piccola sala d’aspetto, in quel momento deserta. Ne avrei avuto per una buona mezzora e mi ero quindi previdentemente munito di giornale.
Avevo da poco iniziato la lettura quando irruppe nella sala una bella ragazza in camice bianco, forse un’infermiera o una giovane dottoressa, visibilmente agitata. Teneva fra le mani un barattolino di plastica trasparente dal tappo rosso ed un tovagliolino di carta. Dopo essersi guardata intorno, forse alla ricerca di nessuno in particolare, puntò titubante nella mia direzione.

“Mi scusi” esordì imbarazzata “potrei chiederle una…. cortesia?”

“Mi dica” Le risposi sorridendo.

“Oddio! Non so da dove iniziare. Ho combinato un guaio: per una sbadataggine ho danneggiato il campione di liquido seminale sul quale dovevo eseguire uno spermiogramma di prova. Vede, sto facendo tirocinio ed il primario ha già un giudizio negativo su di me: se scoprisse anche questa….
Se lei fosse così gentile da donarmi un campione di sperma le sarei molto grata. Naturalmente ha la mia parola che mi sbarazzerò del liquido seminale, subito dopo la prova, e che il materiale genetico non sarà assolutamen….”

“Scusi” la interruppi confuso “ma io cosa dovrei fare esattamente?”

“Be, dovrebbe depositare il suo sperma in questo barattolino…. in modo naturale, intendo” disse sorridendo ed indicando la porta della toilette alla mia destra.

“Questa poi!” Dissi imbarazzato a mia volta.

“La prego” miagolò spalancando gli occhioni verdi e facendo immediatamente breccia nel mio cuore ed altrove.

Senza risponderle, presi titubante dalle sue mani il barattolo e mi avviai incerto verso il bagno.

“Tenga anche la carta” disse rincorrendomi ” ….per coprire il barattolo, dopo.”

Prima di chiudere la porta mi venne la tentazione di chiederle di darmi una mano; ma la ragazza, forse prevedendo la mia proposta, si era tenuta pudicamente e prudentemente a distanza.

“Grazie mille. Non sa da che pasticcio mi toglie.” disse mentre mi chiudevo dentro.

Il bagno ero semplice ma pulito ed aveva un forte odore di disinfettante.
Appoggiai il barattolo aperto sul bordo del lavandino e portai la mano alla cerniera dei pantaloni. In quel momento mi resi conto dell’assurdità della situazione e di quanto fossi nervoso.

Il mio pene era piccolo e flaccido come raramente l’avevo visto. Provai ad accarezzarlo ed a manipolarlo senza ottenere la minima reazione. Allora pensai alla ragazza che stava oltre la porta. Immaginai che fosse la sua mano ad afferrarlo e ad accarezzarlo dolcemente. A questo pensiero il pene divenne un po’ barzotto; allora insistetti. Cercai di ricordarmi altri particolari di lei: il bel seno, la curva dei fianchi, ben disegnata.
Purtroppo non ero riuscito a vederle il culo, ma avrei scommesso che fosse anche quello notevole. Lo immaginai. Poi immaginai lei impegnata con me in varie acrobazie erotiche e presi a masturbarmi con foga. Purtroppo, nonostante l’impegno, dopo svariati minuti ero ancora lungi dal venire.

“Come va?” Sentii domandare attraverso la porta. “Mi spiace farle premura ma non ho molto tempo”

“Ehm, ho qualche difficoltà a trovare l’ispirazione” risposi imbarazzatissimo.

“La prego. Faccia in fretta” mi supplicò.

Improvvisamente, innervosito, decisi di osare. In fin dei conti ero io a fare un favore a lei. Se proprio voleva il suo campione di sperma doveva guadagnarselo.

Riposi velocemente l’arnese nelle mutande ed aprii la porta.
Il sorriso della ragazza mutò subito in una smorfia di delusione e preoccupazione quando vide che non avevo in mano il barattolo.

“Senta” Le dissi senza darle il tempo di parlare “con tutta la buona volontà, io ci ho provato, ma LUI oggi non vuole collaborare. Forse se lei provasse a convincerlo….” conclusi sorridendo.

Di fronte al suo palese imbarazzo ed alla sua indecisione, presi l’iniziativa e, afferratola per un braccio, la trascinai dentro la toilette prima che avesse il tempo di reagire; poi richiusi la porta.

“Va bene” mi disse nervosissima “Ma facciamo in fretta”.

Senza farmelo dire due volte, mi riabbassai nuovamente la cerniera. Il cazzo nel frattempo si era quasi del tutto ammosciato, ma il solo trovarmi esposto di fronte all’impaccio di lei bastò per ottenere una rapida e potente erezione.

“Forse c’è qualche speranza” dissi orgoglioso del risultato.

Vincendo le ultime remore, la ragazza afferrò con una mano il mio pene ed iniziò un delicatissimo andirivieni, quasi avesse per le mani una preziosa provetta di vetro che non volesse rompere.
Il contatto con la sue dita fu celestiale e non seppi trattenere un profondo sospiro di piacere e soddisfazione. Le afferrai la mano e la serrai fortemente attorno alla mia asta; quindi le imposi un ritmo più forzato:

“Se no finiamo domani!” Dissi sorridendo, per giustificarmi.

A questo punto avrei anche potuto venire in fretta. Però ero deciso a gustarmi al meglio la situazione.

Finsi di perdere il controllo e le appoggiai una mano sul seno.

“Si, così! Forse ci siamo!” dissi in fretta per giustificare il mio gesto, ma cominciando contemporaneamente a palparla attraverso il camice con decisione.

La ragazza, visibilmente contrariata, fece una smorfia di disapprovazione, ma allettata dalla prospettiva di ottenere il tanto desiderato sperma, mi lasciò fare.

Ne approfittai per impastarle il seno con entrambe le mani.

Inequivocabilmente si stava eccitando anche lei. Allora, fattomi più audace, le infilai una mano nella scollatura del camice e della sottostante camicetta. Per non rischiare di vedersi rompere l’ultimo bottone, la ragazza lasciò momentaneamente la presa del mio uccello e si sbottonò un poco per facilitarmi l’operazione. Era arrossita violentemente. Raggiunsi in fretta una coppa del reggiseno, mi ci infilai con le dita e presi a giocare con un capezzolo. Poi fu la volta dell’altro. Poi presi l’intera mammella nella mano. La ragazza si lasciò scappare un mugolio di piacere. Allora cercai subito le sue labbra.

Mi cedette immediatamente. Irruppi nella sua bocca con la lingua per aggrovigliarla alla sua.
Lei mi gettò il braccio libero al collo, continuando a baciarmi con passione.

Mi staccai per un attimo e la osservai esultante.

“Ma che bel pomeriggio!” dissi euforico “Chi l’avrebbe mai immaginato!”

“Ehm, se però adesso volessi venire” replicò lei, che nel frattempo non aveva mai interrotto il suo piacevole massaggio.

Mi venne una nuova, malsana idea. Mi feci improvvisamente serio: le posi una mano sulla nuca e spinsi delicatamente la sua testa verso il basso, invitandola a piegarsi, in modo inequivocabile.
La ragazza, perplessa, alzò gli occhi verso di me, cercando inutilmente le parole che non riusciva a trovare per opporsi. Infine, rassegnata, si inginocchio e appoggiò delicatamente le labbra sul mio glande. Gemetti di piacere. Tenevo ancora la mia mano appoggiata sulla sua nuca e ne approfittai subito per spingerla, deciso, verso di me. Contemporaneamente spinsi anche col bacino: mezza asta le entrò in bocca.
Lei non era certo alle prime armi perché serrò immediatamente le labbra ad anello su di me ed iniziò un andirivieni con la testa, succhiando forte.

Capii subito che non sarei riuscito a resistere a lungo. Al momento avrei voluto – e forse potuto – ottenere anche di più, ma la ragazza si era certamente meritata il suo campione di sperma e negarglielo ancora sarebbe stata una cattiveria troppo grossa. Per un attimo però ebbi la visione di lei piegata sul lavandino: fui quasi tentato di realizzare quanto immaginato. Il pensiero comunque bastò – unito all’ottimo lavoro che lei stava eseguendo – per farmi raggiungere improvvisamente l’orgasmo: “VENGO” – esclamai ricordandomi improvvisamente della finalità di quel rapporto.

La ragazza si staccò subito da me, cercò ed afferrò velocemente il barattolo che per fortuna era scoperto, sul bordo del lavandino, e lo posizionò rapida attorno al mio glande giusto in tempo per ricevere, tipo guantone da baseball, il primo, potente schizzo di sperma, cui fece seguito solo un secondo, molto meno violento. Il resto del seme sgorgò invece placido ed io rimasi un po’ deluso di non essere riuscito a versarne almeno un poco fuori dal barattolo.
Quando ebbi finito di eiaculare, guardai altrettanto deluso il liquido nel barattolino: non sapevo se fosse poco o tanto, se avevo fatto bella figura oppure no. Inoltre, il liquido seminale, che ora colava disgustoso dalle pareti che aveva lordato, non era certo bello a vedersi: un po’ trasparente e un po’ bianco sporco, quasi giallastro.

Il mio imbarazzo però passò subito quando vidi il volto raggiante di lei.
Dopo aver raccolto anche l’ultima goccia, tappò rapidamente il barattolo e l’avvolse nel fazzoletto di carta.

“Ottimo!” Esclamò soddisfatta “Non so come ringraziarti”.

“Credo che tu l’abbia già fatto!” Le risposi scontato ma sincero.

La ragazza non aspettò neppure che mi fossi ricomposto ed aprì veloce la porta. Poi si fermò sulla soglia e mi guardò riconoscente.

“Se ti servissero altri campioni….” dissi io per rompere l’imbarazzo.

“Io mi chiamo Sara…. lavorerò qui ancora per un mese..” Disse sorridendomi prima di richiudere la porta.

“Sara….” ripetei a bassa voce per fissarlo nella mia memoria.

“Io Luca! Luca….” replicai inutilmente a porta già chiusa. Aldo arrivò alla stazione con largo anticipo. Il suo treno era già pronto sul binario e si stava arroventando per bene sotto il sole di quel caldo pomeriggio di Giugno. In giro non c’era nessuno, a parte qualche ferroviere in piena fase digestiva che lottava per non addormentarsi.

Decise di salire.

Si pentì subito di averlo fatto perché fu assalito dal caldo soffocante e dall’odore di chiuso. L’aria era irrespirabile ma c’era un piacevole silenzio irreale. Percorse alcuni corridoi deserti prima di trovare una carrozza ed uno scompartimento di suo gradimento (secondo criteri probabilmente sconosciuti anche a lui stesso). Vi entro. Abbassò in fretta il finestrino; entrarono aria e rumore e lui respirò profondamente.

Si trovava su un vecchio vagone, di quelli con gli scompartimenti a sei posti ed i sedili in finta pelle marrone. Ovviamente niente aria condizionata.

Aldo si guardò intorno, poi butto il giornale sul sedile rivolto nel senso di marcia vicino al finestrino. Sceglieva sempre lo stesso. Eseguì con calma i riti abituali: appese la giacca al gancio, ripose la ventiquattrore sul portabagagli, recuperò il giornale e si sedette. Dopo aver estratto il tavolino pieghevole, su cui non ripose assolutamente nulla, inforcò gli occhiali ed iniziò la lettura.

“Che palle!” esclamò poco dopo. E pensare che doveva ancora partire! Si lasciò andare sullo schienale.

Sentì dei passi e delle voci lungo il corridoio: il treno cominciava a popolarsi.

Alcuni uomini passando guardarono curiosi dentro lo scompartimento, ma per fortuna non si fermarono. Finalmente il treno, con uno scossone, si mise in marcia.

Il dondolio ed il caldo fecero subito il loro effetto soporifero. Aldo chiuse gli occhi contento di intraprendere una delle sue attività da viaggio preferite: costruire con l’immaginazione avventure erotiche. Si addormentò però subito e profondamente, tanto che non fu risvegliato neppure dallo stridere dei freni quando il treno si fermò alla stazione successiva.

Fu invece svegliato dallo spalancarsi della porta e da una voce di donna che chiedeva se c’erano posti liberi. La domanda era ovviamente retorica ma lui cercò di rispondere con il massimo della gentilezza mentre, ricomponendosi, tentava di apparire sveglio. Riuscì solo a biascicare un impastato “Prego!”.

“Mi scusi, l’ho svegliata vero?” chiese la donna sorridendo.

“Si figuri!” rispose Aldo esibendo un sorriso a sessantaquattro denti.

Nel frattempo, recuperate alla meglio le capacità visive, iniziò l’analisi della donna, quella che in gergo lui chiamava “radiografia” o “stampata”. Sulla quarantina, mora, ben tenuta. Il viso, seppur finemente truccato, rivelava tutti i suoi anni e, anche se non si poteva definire bello, aveva qualcosa di interessante. Il corpo al contrario poteva competere tranquillamente con quello di donne più giovani; almeno così si intuiva, immaginandolo sotto il castigato tailleur in fresco lana. La gonna purtroppo non era corta ma sulla porzione di gambe che lasciava intravedere non c’era proprio niente da ridire. Il seno era abbondante ed Aldo rimpianse che la camicetta color salmone fosse allacciata fin quasi all’ultimo bottone.
Il giudizio finale fu più che positivo ed Aldo immaginò i possibili e piacevoli sviluppi della situazione.

I suoi sogni si sgretolarono all’istante quando, dietro la donna, entrarono nello scompartimento quelli che probabilmente dovevano essere i figli: un ragazzino ed una ragazzina. Il primo si catapultò con foga sul sedile di fronte a lui, urlando al mondo intero il suo diritto di stare vicino al finestrino. Fu ripreso, ma senza troppa convinzione, dalla madre che occupò il posto di fianco, al centro. La ragazzina si sedette di fronte alla madre e quindi alla sinistra di Aldo.
Fu la donna a rompere il ghiaccio per prima, ponendo le solite domande di rito. Aldo non poté fare a meno di pensare che fosse solo la presenza dei figli a darle tanta sicurezza, così da permetterle di parlare ad uno sconosciuto senza correre il rischio di essere mal giudicata. Si chiese se sarebbe stata altrettanto loquace se fossero stati soli. Rimpianse di non poterlo mai sapere.
Rispose con gentilezza e ricambiò le domande, ma dopo un po’ la conversazione divenne per lui insopportabile: non che la donna fosse spiacevole; semplicemente si era reso conto che, per i suoi fini, quella conversazione era sterile, completamente priva di malizia e di quegli eccitanti messaggi nascosti dietro gesti e parole.
Pensò che avrebbe desiderato trovarsi di nuovo solo per tornare a dormire e fantasticare.
Inevitabilmente il dialogo cominciò a perdere ritmo. Probabilmente la donna se ne accorse perché spostò abilmente il discorso su questioni di attualità. L’interesse di Aldo si riaccese un poco.

Ad un certo punto la ragazzina si intromise nella conversazione. Lo fece con educazione ed in modo appropriato. Aldo rimase stupito dalla sua proprietà di linguaggio e dall’acume delle sue osservazioni. In quel momento infatti la discussione era da poco scivolata in politica. Aldo e la donna si erano scoperti di idee opposte e, se pure si sforzassero di mantenere toni cordiali, era percepibile un certo nervosismo crescente. La ragazzina era intervenuta per controbattere un’affermazione della madre e questo l’aveva resa subito simpatica ad Aldo. La conversazione si ravvivò. Aldo e la ragazzina si trovarono in breve alleati e tra i due nacque subito la complicità. Di lì a poco, la donna, sconfitta sul piano della dialettica (specialmente dalla figlia) uscì progressivamente di scena.
Aldo si ritrovò a discutere solo con la ragazzina.
La donna non ne sembrò affatto risentita poiché aprì la rivista femminile che teneva sulle gambe e si diede alla lettura visibilmente sollevata.
Aldo poté così voltarsi alla sua sinistra e parlare direttamente con la nuova interlocutrice senza mancare di rispetto alla precedente.

Per la prima volta la guardò negli occhi. Fu uno shock. Era bellissima.
Come aveva potuto non essersi ancora accorto di lei? Aveva stupendi e grandi occhi nocciola. I capelli biondi, lisci e sottili ma non tanto lunghi, erano raccolti in una coda di cavallo striminzita e un po’ ridicola che le dava però un’aria simpatica e sbarazzina. I lineamenti erano perfetti, fin troppo delicati. Comunicavano un’idea di fragilità, accentuata ancora di più dalla carnagione chiarissima.
Sorvolò velocemente con lo sguardo sul bel nasino all’insù (che pure avrebbe meritato di essere guardato per un buon dieci minuti) e si soffermò estasiato sulla bocca: perfetta! Le labbra, leggermente carnose ma assolutamente non volgari, erano di un rosso vivo e naturale. Inutile dire che desiderò baciarla, tanto che invidiò sinceramente il suo ragazzo (perché sicuramente doveva averne uno!) che poteva farlo.

Aldo si accorse di essersi distratto per troppo tempo e, pur non avendo mai smesso di ascoltare quanto lei dicesse, capì di aver perso il filo del discorso. Se ne accorse anche la ragazzina ma non ne sembrò affatto offesa; semplicemente ripeté con gentilezza l’ultimo concetto mentre Aldo annuiva serio e convinto. Ad Aldo parve di scorgere un sorriso nei suoi occhi.
Lei aveva parlato a lungo. Aldo, che adesso non voleva assolutamente che la conversazione morisse, cercò nuovi elementi per ravvivarla.
La concentrazione però era ormai andata a farsi benedire. Non riusciva più a guardarla come la guardava prima, o meglio, come non la guardava prima, quando mirava (idiota!) alla madre.
Parlando continuava a gettarle rapide occhiate esplorative.

Non aveva però ancora guardato nel dettaglio il resto del corpo e decise di farlo. Si sentiva un porco ed aveva quasi vergogna di se, ma l’impulso era irresistibile. Cominciò quindi a tenere lo sguardo fisso, basso ed assorto, fingendo di concentrarsi su quello che lei diceva.
Per prima cosa cercò con gli occhi il seno: fu una delusione perché era ancora un po’ acerbo. I capezzoli però premevano con forza contro la maglietta bianca aderente (e firmata) ed erano quindi ben visibili. Non portava reggiseno. Doveva essere nel pieno dello sviluppo ed Aldo scommise con se stesso che, in meno di un anno, avrebbe sfoggiato un seno superbo.
Scese ancora. Lo spettacolo che vide lo fece diventare improvvisamente serio dal turbamento.
La ragazzina portava una gonna blu di cotone leggero che era pericolosamente sollevata poiché lei, tutt’altro che composta, teneva una gamba piegata sul sedile, con il piede infilato sotto l’altra allungata: una posa che un’adulta non si sarebbe mai sognata di assumere.
Aveva due gambe stupende, già da donna ma delicate. Bianchissime. Aldo ne studiò ogni particolare: femori lunghi, ginocchia piccole ed un po’ a punta, caviglie sottili. Gambe magre ma non secche, anzi, morbide e ben tornite. Desiderò poterle accarezzarle.
Immaginò di afferrarle la caviglia e di risalire piano, accarezzando il polpaccio; quindi di oltrepassare in fretta il ginocchio e, dopo aver indugiato un poco all’interno della coscia vellutata…

Tornò alla realtà di colpo perché lei si ricompose improvvisamente, unendo le gambe e rimettendo a posto la gonna. Lo fece con grazia, continuando a parlare con naturalezza per non creare imbarazzo e facendo sembrare il tutto un normale cambio di posizione.
Ma Aldo capì di essere stato sorpreso. Chissà poi da quanto tempo!
Si maledisse.
Si chiese perché fosse stato così stupido, perché avesse applicato il suo solito, becero modo di fare anche con una ragazzina così giovane, che poteva non capire e imbarazzarsi.
Si sentiva un verme e non osava tornare a fissarla negli occhi. Però doveva farlo se non voleva rendere manifesta la propria colpa.
Così, raccolto il massimo della disinvoltura che riuscì a trovare, cercò di guardarla come se nulla fosse successo.
Fu sorpreso e sollevato nel vederla sorridente. La ragazzina non sembrava per nulla offesa o spaventata da quegli sguardi da adulto. Ne pareva anzi lusingata.
Sentendosi più leggero Aldo ricominciò a parlare senza più riuscire a togliersi un sorriso idiota dalla bocca. Non aveva più molta importanza quello che diceva. Aveva l’impressione che adesso fosse lei a non ascoltare. Gli parve anche di scorgere un lampo di malizia nei suoi occhi.
Improvvisamente, e solo come un’adolescente sa fare, la ragazzina cambiò discorso e cominciò a rivolgergli domande personali. Erano un po’ le stesse rivolte poco prima dalla madre, ma lui rispose con molto più entusiasmo ed abbondanza di particolari.
Le rivelò il suo nome, le parlò del suo lavoro e della sua vita. Dovette confessare la sua età e si sentì un po’ stupido quando, barando, si tolse un paio di anni: che importanza potevano avere infatti due anni in meno quando la differenza tra loro era probabilmente di quindici o venti!
Peggio però fu quando, ad una precisa domanda di lei, ammise di essere fidanzato. La ragazzina non ne sembrò sorpresa o dispiaciuta. Aldo si sentì ridicolo per averlo sperato.
Ricambiò con sincera curiosità le domande sulla sua vita.
Seppe così che si chiamava Anna.
Le chiese anche quanti anni avesse sperando che il numero fosse il più alto possibile.
“Quattordici” rispose Anna.
Lo aveva immaginato, ma sentirglielo dire fu come ricevere un secchio di acqua gelida.
“…appena compiuti” aggiunse, ed arrivò il secondo secchio.
“Cavolo, una bimba!” Penso Aldo con delusione mentre, pur continuando a mostrare i denti, sentiva il proprio sorriso spegnersi.

Cercò di dimenticare quelle ultime parole. Parlare con lei era bello e non voleva che l’incantesimo creatosi fosse rotto da un così banale dettaglio anagrafico.
“Non c’è niente di male nel fare due chiacchiere! Anche se è molto giovane” Pensò.
Sapeva di fingere con se stesso ma si sentiva stranamente felice.
Continuarono così a parlare per molto tempo. Aldo dava il meglio di se risultando spiritoso e brillante. Lei esplodeva spesso in risate gaie, ma non sguaiate. Era stupenda. Aldo la guardava sempre più ammirato, pensando con gelosia all’esercito di ragazzini che probabilmente condividevano il suo giudizio e che potevano correrle dietro. Rimpianse di non poter essere uno di loro. Rimpianse soprattutto di non avere più quindici o sedici anni: le avrebbe fatto una corte spietata e sicuramente l’avrebbe conquistata.

Nel frattempo il fratellino aveva terminato di leggere i suoi fumetti e si stava visibilmente annoiando.
Così, pur non avendo il minimo interesse per quanto sua sorella e quel signore stessero dicendo, cercò di inserirsi a forza nella conversazione. Capì subito di non essere gradito.
Decise allora di divertirsi ribattendo sistematicamente su ogni cosa dicesse la sorella, prendendola in giro e scimmiottandola. Cercava di stuzzicarla con il chiaro intento di farla arrabbiare.
Aldo gli lanciò un paio di occhiate feroci e non fece nulla per dissimulare la sua antipatia.
Doveva essere di qualche anno più giovane della sorella; sicuramente più immaturo.
Per un po’ Anna cercò di zittirlo con malcelata insofferenza, continuando però a mantenere la calma. Poi cadde nella trappola e fu trascinata in una lite infantile, senza risparmio di insulti e minacce da parte di entrambi.

Aldo fu sorpreso dal cambiamento. Evidentemente Anna riusciva ad adattarsi perfettamente al suo interlocutore ed era passata, nel giro di pochi secondi, da donna a bambina.
Aldo si sentì a disagio e provò verso il fratellino un impulso omicida. E non tanto perché aveva interrotto una conversazione che poteva ancora essere ripresa, quanto perché, senza saperlo, aveva tolto ad Anna quella maschera che rendeva possibile la sua recita da adulta, mostrandola per quella che semplicemente era: una ragazzina di quattordici anni.
Il loro dialogare non sarebbe stato più lo stesso.
Probabilmente Anna se ne rese conto perché, palesemente mortificata, si alzo senza dire una parola, aprì la porta ed uscì nel corridoio.

La delusione di Aldo fu mitigata solo dalla spettacolo della vista di lei da dietro.
“Che bel culo!” urlò col pensiero mentre la seguiva con lo sguardo: i suoi fianchi erano contenuti ma i glutei, pieni, alti e sporgenti, gonfiavano la gonnellina alla perfezione suggerendo bene la loro forma.
Aldo strinse i denti inspirando a fondo e senti una fitta di desiderio. La voleva. Scaccio il pensiero che ritornò subito: cavolo se la voleva!
Poi, ancora una volta, si vergognò di se e si sentì improvvisamente triste. Avrebbe desiderato continuare a parlare ancora con lei; solo parlare, per poterla guardare ancora negli occhi.
Passarono dieci minuti. Anna non accennava a rientrare. Mostrava la schiena guardando sconsolata il paesaggio dal finestrino del corridoio.
Aldo si sentiva nervoso ed impaziente.
Avrebbe voluto uscire anche lui e pensò ad una scusa per farlo. Scartò l’idea: avrebbe reso troppo palese il suo interesse. Sentì crescere ancor di più in lui nervosismo e irritazione.

A peggiorare le cose ci pensò anche la madre, riprendendo la conversazione iniziale come se non fosse mai stata interrotta.
“Stronza! Non potevi intervenire prima, per zittire il moccioso, invece di rompermi le palle adesso?” pensò con rabbia.
Contemporaneamente però si sforzò di mostrare un minimo di cordialità ed un abbozzo di sorriso.
Passarono alcuni minuti, noiosi ed eterni. Aldo rispondeva ormai alla donna con monosillabi mentre lanciava rapide occhiate al corridoio.

Ad un certo punto vide con terrore che un ragazzo si era fermato al fianco di Anna ed ora le stava domandando qualcosa.
“E adesso? Che cosa vuole questo stronzetto?!” pensò Aldo.
Sperò che Anna lo liquidasse rapidamente. Lei invece rispose sorridendo ed il ragazzo riprese a parlare gesticolando. Anna sorrise nuovamente. Il ragazzo, incoraggiato, sembrava lanciatissimo ed Aldo sentì chiari in lui i segni della gelosia. Pensò che i due dovessero già conoscersi.
Aldo seguiva l’evolversi della situazione cercando contemporaneamente di far credere alla donna di essere sempre interessato a quanto dicesse. Il risultato era penoso. Annuiva nervosamente mentre i suoi occhi saltavano con rapidità dalla madre alla figlia.

Improvvisamente vide i due ragazzi stringersi la mano: si stavano presentando.
“Troietta! Ti fai abbordare dal primo che passa!” Pensò roso dalla gelosia.
Ormai insofferente, non cercava neanche più di nascondere il suo disinteresse per la donna; la odiava perché avrebbe voluto che richiamasse la figlia o almeno che si mostrasse un minimo preoccupata.
Anna nel frattempo stava ridendo. Aldo notò subito la differenza con le gaie ma graziose risate che aveva rivolto a lui poco prima. Adesso appariva sguaiata e nervosa. Sembrava quasi voler forzatamente comunicare a tutti che si stava divertendo. Ad Aldo parve che lei, di tanto in tanto, lo guardasse con la coda dell’occhio, come per essere certa di essere osservata.
Ne dedusse che forse stava cercando di farlo ingelosire e si sentì immediatamente meglio.

La sua delusione quindi fu ancora più grande quando vide Anna allontanarsi seguendo il ragazzo.
Il suo cuore andò in tumulto, i suoi pensieri cominciarono ad accavallarsi confusamente:
“Bastardo! Cosa vuol fare?! La vuole portare nel suo scompartimento per sbaciucchiarla? magari chiudendo pure le tendine? Il porco! Forse la sta portando direttamente al cesso! Sicuro! se la vuole chiavare! e senza neanche perdere tanto tempo! Chiamalo scemo! E quella stronza di sua madre che fa?! Niente!”
Come se lo avesse sentito, la madre, guardando verso il corridoio, esclamò con aria sconsolata:
“Mia figlia è veramente incredibile! Riuscirebbe a fare amicizia con chiunque!”.
Riaprì quindi la rivista e riprese a leggere.
Aldo non capì se fosse più arrabbiato per la tranquillità dell’affermazione o per l’allusione a lui in essa contenuta. Avrebbe voluto ribattere qualcosa del tipo:
“Ma come, si fida a lasciare andare via sua figlia così, con un estraneo?”
Ma le parole non gli uscirono dalla bocca.

Tornò a guardare sconsolato fuori dal finestrino, come all’inizio del viaggio; e come all’inizio si lasciò andare ad immaginare un avventura erotica. Ma questa volta era molto più eccitato ed allo stesso tempo turbato, perché la trama ed i personaggi erano ben definiti: cercò di immaginare cosa stesse facendo Anna, chiusa dentro la toilette con quel ragazzo.

Lei sorrideva nervosamente mentre lui le si avvinghiava addosso. Aveva gettato la maschera del ragazzo simpatico, carino e brillante ed ora appariva per quello che realmente era: arrapato. Avevano cominciato a baciarsi. Lui aveva risposto al tenero bacio a labbra socchiuse di lei cercando subito con insistenza la sua lingua ed ora le stava frugando avidamente in bocca.
Frattanto le sue mani avevano cominciato ad esplorare il suo corpo e, dopo essersi soffermate un po’ sui seni, avevano cominciato la discesa lungo la schiena. Adesso avevano raggiunto i glutei e dopo avervi indugiato un attimo, accarezzandoli con finta dolcezza, solo per pregustarli, si erano chiuse su di essi come tenaglie, iniziando a palparli senza ritegno.
Anna adesso mormorava qualcosa, come per comunicargli di essere un po’ più gentile se non proprio romantico. Per tutta risposta le sue mani scesero ancora lungo le cosce, raggiunsero l’orlo della gonna e si infilarono rapidamente sotto. Risalirono, apprezzando immediatamente la morbidezza ed il contatto fresco della pelle nuda, quindi si posizionarono subito sul suo sesso: una dietro, tra i glutei, l’altra davanti sul clitoride. Iniziò un massaggio metodico. Lei adesso aveva smesso di baciarlo e, un po’ in preda alla vergogna, un po’ al piacere, aveva appoggiato la fronte sulla sua spalla.
Il ragazzo, sentendosi incoraggiato da quell’atto di sottomissione, si liberò dell’ultimo ostacolo che lo separava dalla vagina abbassandole velocemente le mutandine fino a metà femore.
L’eccitazione fu grande quando le mani ripresero posizione sul sesso nudo, caldo ed inviolato.
C’era in tutto ciò qualcosa di sacrilego. Il ragazzo esitò per un attimo, poi riprese il lavoro interrotto.
Anna adesso si lasciava andare a lievi mugolii di piacere. Lui rimase stupito per come producesse i suoi umori tanto velocemente ed abbondantemente. Era letteralmente inzuppata e non avrebbe potuto comunicargli meglio la propria disponibilità ed eccitazione.
Decise che non avrebbe aspettato oltre, saltando ogni altro stupido preliminare.
Liberò il pene, ormai perfettamente eretto e cercò goffamente di sollevarle una gamba afferrandola da dietro il ginocchio. Resosi conto che l’operazione sarebbe stata in quel modo difficoltosa, oltre che scomoda, cercò di sollevare Anna per farla sedere sul piccolo lavandino. In tal modo avrebbe avuto le mani libere.
La afferrò quindi per i fianchi con l’intento di spingerla verso l’alto. Ovviamente si aspettava che lei capisse e collaborasse dandosi la spinta necessaria. Ma Anna, inebetita, spaventata e con lo sguardo fisso sul grosso pene eretto, era rimasta immobile.
Il ragazzo rimase impacciato anche lui per un attimo, poi, spazientito, optò per un altra soluzione.
La afferrò per le spalle e la girò. Premendole con forza sulla schiena e facendola chinare in avanti fino quasi a farle toccare lo specchio con il viso.
Anna confusa e stupita cercò di reagire rialzandosi. Non voleva… non voleva in quel modo. Voltò il viso e lo guardò con aria smarrita e supplichevole. Per contro lui le afferrò rudemente entrambi i polsi e le allargò le braccia in modo da farle mancare l’appoggio ed ottenere che si chinasse ulteriormente. Anna, ormai rassegnata, stava adesso completamente piegata sul lavandino con la fronte appoggiata allo specchio.
Il ragazzo, esultante, poteva adesso agire comodamente.
Per prima cosa le alzò la gonna ripiegandola esageratamente indietro fin quasi sulle spalle. Le mutandine erano già abbassate da prima e quindi il culo, stupendo, gli apparve all’improvviso in tutta la sua provocante bellezza.
Seguì estasiato la forma delle natiche bianche e morbide fino a dove si allargavano mostrando la vulva. Vi allungò subito due dita e la massaggiò ancora un poco constatandone con piacere l’ottima lubrificazione.
Senza distogliervi lo sguardo, armeggiò per calarsi ulteriormente mutande e pantaloni. Voleva sentirsi perfettamente comodo. Il suo pene duro come ferro oscillava per l’eccitazione.
Le afferrò i glutei a piene mani e li divaricò tenendo i pollici verso l’interno. Con la punta di questi cercò le grandi labbra e le schiuse. Apparve il rosso vivo della vagina ed il piccolo orifizio inviolato. Senza l’ausilio delle mani vi appoggio la punta del grosso pene: il glande, gonfio e violaceo, appariva sproporzionato rispetto al piccolo buco che doveva penetrare. Il ragazzo cominciò a dubitare seriamente di potervi entrare. Era però impaziente di scoprirlo.
Inspirò profondamente e cominciò a spingere, spingere, spingere…

Aldo fu interrotto nel suo fantasticare dalla voce della donna che annunciava la stazione successiva e dal contemporaneo rallentare del treno. Imprecò a denti stretti e cercò di riafferrare le immagini che scomparivano. Ma ormai la concentrazione era persa. Inoltre si accorse con imbarazzo di avere il pene in erezione. Non osò guardare se il rigonfiamento dei pantaloni fosse molto visibile ma si affretto ad appoggiarvi sopra il giornale.
Il treno intanto era entrato lentamente in stazione e si era fermato.
La voce gracchiante dell’altoparlante annunciò il nome della località.

Poco dopo la porta dello scompartimento si apri ed entrarono due signori sulla settantina che si sedettero nei posti liberi adiacenti al corridoio. Dopo di loro fece capolino un’anziana signora. Timidamente chiese se il posto di Anna fosse libero. La madre ebbe un attimo di esitazione:
“Sarebbe occupato da mia figlia… ma si sieda pure, tanto quella chissà quando torna!”
L’anziana signora ringraziò e, con movimenti lenti, tipici della sua età, si sedette sorridendo.
Una delusione pesantissima cadde su Aldo. Era veramente finita. Anche se Anna fosse tornata, non si sarebbe più seduta vicino a lui. Aldo pensò che, a quel punto, tanto valeva uscire nel corridoio. Si sentiva però apatico, vuoto ed incapace di reagire. Rimase al suo posto.
Il treno riparti.
Proprio in quel momento la porta si aprì nuovamente ed entrò Anna.
Eccitata ed entusiasta iniziò a raccontare, rivolta verso la madre, del ragazzo che aveva conosciuto, del fatto che fosse della sua stessa città e che fosse – pensa la combinazione! – nientemeno che compagno di classe di sua cugina Sara:
“Fa’ la seconda Liceo! e mi ha fatto conoscere alcuni suoi compagni! Simpaticissimi!” continuò Anna.
Per un brevissimo istante, accortasi che il suo posto era adesso occupato, sembrò rabbuiarsi,
ma subito riprese a parlare con allegria:
“Se l’anno prossimo mi iscrivo anch’io al Liceo li ritroverò tutti! Avevano una chitarra e c’era uno, Mario, che suonava da Dio! Non ci avete sentiti cantare da qui?”
“Per fortuna no, cara!” Rispose sarcastica la madre.
“Purtroppo sono scesi proprio adesso! Andavano con la scuola a vedere un museo” Concluse Anna con una smorfia di tristezza.
Per la seconda volta in quel giorno, Aldo si penti dei propri pensieri e di quello che aveva immaginato.

Terminato il suo racconto Anna era rimasta in piedi, impacciata, nel mezzo dello scompartimento.
L’anziana signora si scusò con lei per averle rubato il posto ed accennò a rialzarsi.
Come prevedibile Anna la bloccò e con cortesia la pregò di rimanere seduta perché – e qui fu pronta nel trovare la soluzione conciliante – lei si sarebbe seduta vicino a suo fratello per… giocare a scacchi.
Fortunatamente il fratello questa volta evitò di romperle le uova nel paniere: approvò con entusiasmo, si affrettò ad aprire la scacchiera portatile sul tavolino e fece un po’ di posto alla sorella sul sedile.

I due disposero i pezzi e tirarono a sorte per la scelta del colore. L’armonia però fu di breve durata. Anna infatti avrebbe giocato senza problemi anche con la scacchiera di traverso, ma questo era assolutamente inaccettabile per il fratello che voleva, al proprio turno, avere la visione di gioco dal proprio lato. Il risultato fu che la scacchiera veniva continuamente ruotata ad ogni mossa. Inevitabilmente, al primo forte scossone, alcuni pezzi si spostarono e caddero. Nacque poi una discussione su quale fosse la disposizione corretta. Litigarono.
Aldo intervenne per dare il suo parere e i due si accordarono accettando il suo giudizio di arbitro imparziale.
La partita riprese. Anna era in netto svantaggio ed Aldo non seppe resistere alla tentazione di aiutarla suggerendole una mossa. Anna ringraziò con un sorriso e mosse secondo il consiglio. Il fratello ovviamente non gradì l’interferenza e poiché la cosa si ripeté anche alla mossa successiva, sbottò in una vivace protesta. Anna gli rispose scocciata:
“Che male c’è se mi aiuta! Vuoi vincere sempre tu? Facciamo così: io ed Aldo giochiamo assieme”. Poi, rivolgendosi ad Aldo aggiunse:
“Posso venire dalla tua parte?”
Aldo rimase impietrito dalla domanda e fu quindi preceduto nella risposta dalla madre di Anna che si affrettò a dire:
“Anna! Lascialo in pace! Non puoi scocciare sempre tutti quanti!”
“Nessun disturbo!” ribatté velocemente Aldo, che subito si pentì della fretta con la quale le parole gli erano sfuggite di bocca.
Anna si alzò e girando attorno al tavolino gli si avvicinò:
“Posso sedermi sulle tue ginocchia?”
“Certo!” riuscì a rispondere nascondendo alla meglio l’improvvisa agitazione.
Aldo poggio il giornale di lato, unì le ginocchia e si raddrizzò sul sedile mentre Anna si sedette a cavalcioni volgendogli la schiena.
“Adesso vinciamo!” disse allegramente girandosi verso Aldo e facendogli l’occhiolino. Lui annuì imbarazzato.
Il contatto delle cosce di Anna sulle sue gambe era bellissimo.
“E’ così… leggera!” pensò estasiato.

Cominciarono una nuova partita. Per vedere bene la scacchiera Aldo dovette sporgere leggermente la testa sopra le spalle di Anna. Nel fare questo pose involontariamente le mani sui suoi fianchi. Era stato un gesto naturale, ma l’improvvisa e piacevole sensazione di cingere il suo corpo lo sorprese cosi violentemente che non poté evitare di arrossire per l’imbarazzo. Evitò però di togliere le mani.
La partita ebbe inizio e nonostante la concentrazione di Aldo fosse minima i due alleati ebbero ben presto ragione dell’avversario.
Anna, esaltata per quella che era la sua prima vittoria, si volto raggiante ed abbraccio Aldo, sempre più rosso, imbarazzato e felice.
Nella partita successiva Aldo si concentro veramente, deciso a fare colpo su di lei con la sua bravura. Il povero ragazzino subì una sconfitta cosi rapida ed umiliante che stizzito sbottò:
“Non vale! E’ troppo forte! Con lui non gioco più”.
Aldo allora lo tranquillizzo dicendo che adesso avrebbe lasciato giocare Anna da sola e si appoggiò allo schienale soddisfatto. Lei si scusò per l’antipatia del fratello e riprese a giocare.

Lui la guardava adesso da dietro. Aveva staccato con rammarico le mani dai suoi fianchi per appoggiarle sui braccioli ed ora le osservava la nuca ed i bei capelli biondi.
I due fratelli giocavamo silenziosi. Il caldo era aumentato e lo scompartimento sembrava risentirne perché era piombato in una strana tranquillità. I due Signori avevano smesso di parlare e si erano assopiti. Anche la madre si era addormentata: aveva la bocca leggermente aperta e ne si poteva distinguere il respiro lento e pesante.
Ad un certo punto Anna – probabilmente in una fase critica della partita – si chino per studiare meglio la scacchiera; appoggio i gomiti sul tavolino e si prese la testa tra le mani. Nel fare questo arretro un poco sulle gambe di Aldo.
Questi si riprese immediatamente dal torpore che stava prendendo anche lui. Il sedere di Anna era infatti venuto a trovarsi ora pericolosamente troppo vicino.
Aldo deglutì.
Anna arretro ancora.
Aldo poteva sentire adesso la leggera pressione dei glutei sui genitali.
Pensò sorpreso:
“Possibile che non si sia accorta che questa posizione sia decisamente sconveniente? E’ troppo ingenua oppure troppo maliziosa?”
Scartò l’ultima ipotesi. Guardò velocemente le altre persone dello scompartimento per vedere se qualcuno avesse colto il suo imbarazzo. Tutti erano assopiti e regnava il silenzio. Si tranquillizzò un poco. In fin dei conti la situazione era delicatamente eccitante e si poteva gustare in tutta tranquillità.

Non riuscì a terminare il pensiero che sentì il pene gonfiarsi. Con terrore cercò di bloccare sul nascere quell’esaltazione non richiesta. Non ci fu niente da fare. Il pene, in un moto di indipendenza, stava rispondendo a quello che era uno stimolo del tutto naturale, dando sfogo ai suoi pensieri più nascosti e repressi. Si indurì ancora di più. In un estremo tentativo di autocontrollo Aldo cercò di pensare ad altro. Visualizzò nella sua mente alcune immagini brutte e deprimenti: pensò alla suocera, al capoufficio, a tutto quello insomma che, normalmente, gli avrebbe smorzato la più vigorosa delle erezioni. Non ottenne alcun risultato. Allora sperò che biancheria e vestiti potessero imbrigliare tanta esuberanza. Ma il pene ebbe prepotentemente ragione anche di loro ed Aldo lo sentì sbucare vittorioso ed esultante da sotto l’elastico delle mutande. Era perfettamente eretto ed aderente all’addome.

Aldo sperò che Anna non si accorgesse dell’improvviso rigonfiamento o che perlomeno non lo associasse, nella sua ingenuità, a quello che realmente era: una sana e potente erezione.
Lei non si era mossa e continuava a giocare. Forse veramente non si era accorta di nulla.
Il cuore di Aldo stava da poco cominciando a rallentare le sue pulsazioni quando un nuovo elemento di eccitazione si aggiunse improvviso: il treno aveva attraversato sferragliando una tratta piena di scambi; ondeggiamenti e sobbalzi si erano susseguiti numerosi. Nonostante l’imbarazzo Aldo non aveva potuto fare a meno di apprezzare il piacere derivante dall’inevitabile sfregamento. La tratta fu superata ed i sobbalzi cessarono, ma Aldo notò che anche le piccole oscillazioni, quelle che il treno aveva normalmente, contribuivano a dargli piacere e ad aumentare la sua eccitazione.
Cominciò allora ad assecondare i sobbalzi accentuandoli con rapidi colpi di bacino.
I suoi movimenti si mimetizzavano abbastanza bene con quelli del treno; almeno, di questo si era convinto. Ogni tanto, quando si accorgeva di eccedere, si fermava per un po’. Ma subito doveva riprendere.
Per un attimo pensò con terrore che, di questo passo, avrebbe potuto anche raggiungere l’orgasmo: era un pensiero eccitante ma allo stesso tempo anche molto imbarazzante, soprattutto pensando alle conseguenze.
Il gioco continuò.
Aldo stava perdendo il controllo di se. I movimenti del suo bacino stavano diventando troppo accentuati e difficili da imputare alla sola oscillazione del treno; inoltre aveva sempre maggior desiderio di ritmo e non poteva più aspettare i sobbalzi adattandosi alla loro casualità. Così ogni tanto si muoveva anche quando il vagone era perfettamente stabile, simulando lui uno scossone.

Quando però, in preda ad un impulso irrefrenabile, diede tre colpetti in sequenza un po’ troppo sospetti, capì di aver esagerato e si convinse ad interrompere subito il pericoloso gioco.
“Ma che cavolo sto facendo? Mi sono bevuto il cervello?!” Pensò cercando di ritrovare lucidità.
Sentiva il pene duro come il marmo. Avrebbe voluto porre fine a quella tortura, andando magari alla toilette per masturbarsi selvaggiamente al solo pensiero di lei ed acquietarsi. Ma era incapace di muoversi.
Deglutì e sperò che l’eccitazione passasse da sola.

Improvvisamente Anna si mosse. Arretrò e sollevò leggermente il bacino, quindi ritornò nella posizione iniziale. Aldo non capì se il movimento era stato reale o se si era trattato di un sobbalzo del treno.
Di nuovo Anna arretrò sollevando leggermente il bacino e ritornò, ancora, nella posizione iniziale. Questa volta Aldo non ebbe dubbi sul fatto che il movimento fosse proprio di Anna e pensò che probabilmente doveva trattarsi di un cambio di posizione.
Anna ripeté ancora una volta l’identico movimento. Aldo non capiva. Pensò che probabilmente, continuando a rimanere nella stessa posizione, lei avesse le gambe intorpidite e che ora cercasse inutilmente sollievo muovendosi. Ancora una volta Anna arretrò e sollevo il bacino, premendo questa volta con più forza sui suoi genitali, quindi ritornò nella posizione iniziale. Il ritmo dei suoi movimenti aveva la precisione di un orologio svizzero ed il suo gesto era inequivocabile: si stava sfregando contro di lui.
Aldo non voleva credere all’evidenza. Anna aveva ripreso il gioco da lui interrotto, ma questa volta senza veli e finzioni. Stava ricercando il piacere assieme a lui. Ancora una volta cercava la sua complicità. Aldo capì che lui doveva piacerle e che la sua attrazione era ricambiata.
I suoi sentimenti furono un turbinare di stupore, esaltazione e felicità.
Interruppe bruscamente i suoi pensieri e si affrettò a muoversi assieme a lei per paura che, se non incoraggiata, potesse fermarsi. Ancora un po’ timoroso, iniziò a muoversi in sincronia; poi, trovandolo più piacevole, si alternò nello spingere.
Sentiva tremare ogni muscolo del suo corpo. Era eccitato come un adolescente alla prima esperienza. La bocca gli si riempiva in continuazione di saliva e doveva deglutire frequentemente e rumorosamente.

Anna nel frattempo era arretrata del tutto ed i suoi glutei premevano con forza sul pene avvolgendolo.
Aldo si accorse che i loro movimenti stavano diventando visibili. Si fermò e, ponendole una mano sul fianco, cercò di comunicarle di fare altrettanto. Anna capì immediatamente. Riprese a muoversi in maniera lenta, dolce ed impercettibile.
I due strani amanti furono interrotti nel loro petting dalla voce del fratello:
“Scacco matto! Hai perso ancora!”
“Dammi la rivincita” si affrettò a chiedere Anna anche se a tutto pensava in quel momento tranne che a giocare.
“No, basta! Mi sono stufato! Già normalmente giochi male, ma oggi, chissà perché, fai più schifo del solito! Non c’è neanche gusto a batterti!” rispose tronfio il fratello; quindi si buttò indietro sul sedile e riafferrò uno dei suoi fumetti.
Anna allora gli chiese di passare un fumetto anche a lei. Il fratello gliene lanciò uno a caso, sgarbatamente. Lei lo aprì con ordine sul tavolino e, dopo aver appoggiato il mento su una mano, cominciò la lettura. Cominciò anche a muoversi di nuovo su Aldo con metodo e precisione incredibili per una ragazzina alla prima esperienza: si muoveva dall’alto in basso molto lentamnete, premendo forte il sedere verso il pene, avvolgendolo bene.
Improvvisamente, preceduto da un fastidioso fischio e dallo sbattere violento del finestrino, lo scompartimento cadde nell’oscurità: il treno era entrato in una galleria. Doveva essere probabilmente la prima di una lunga serie perché adesso si dovevano attraversare gli Appennini.
Il rumore si era fatto più cupo ed assordante ma nello scompartimento regnava il silenzio.
Aldo si sentì ancora più eccitato dal buio, ma anche intimorito. Anna invece non perse tempo e ne approfittò per strusciarsi con maggior vigore. Ora cavalcava velocemente dall’alto verso il basso colpendo il pene in erezione con i glutei.
Aldo le sollevò un poco la parte posteriore della gonnellina, che era di intralcio, in modo che i glutei si appoggiassero direttamente su di lui.

Ancora però non era soddisfatto. Voleva osare di più. Voleva liberare il pene, troppo imbrigliato da pantaloni e biancheria. Il solo pensiero di appoggiare il pene nudo a lei lo fece tremare e sudare per l’eccitazione. Il contatto diretto con la sua pelle sarebbe stato meraviglioso, ma non poteva osare tanto: presto la galleria sarebbe finita e la situazione sarebbe stata decisamente imbarazzante. Inoltre sarebbe stato difficile a quel punto evitare un orgasmo.
Forse avrebbe dovuto evitare l’ultimo pensiero. La bestia che era in lui si eccitò incredibilmente all’idea e subito gli ordinò di eseguire quanto immaginato.
Aldo obbedì spaventato e tremante.
Goffamente infilò la mano tra lui ed Anna e cercò la cerniera. Lei non capì immediatamente le sue intenzioni e sentendo quella mano armeggiare un po’ troppo audacemente sotto di se, si ritirò in avanti spaventata. Lui ne approfittò per abbassare la cerniera ma dovette faticare non poco per liberare il pene tanto questo era duro; poi la afferrò per i fianchi e gentilmente accennò a tirarla a se per invitarla a riprendere la posizione precedente. Ma Anna, che doveva aver capito quanto Aldo aveva fatto e spaventata per l’evolversi della situazione, sembrava non volersi più muovere.
Aldo non voleva perdere tempo: la galleria stava per finire e non poteva farsi sorprendere dagli altri passeggeri con il pene fuori dai pantaloni. Trascino Anna a se con forza. Per fortuna lei si arrese e si sollevò leggermente per facilitargli l’operazione. Aldo ne approfittò velocemente per sollevare ed allargare ad arte la gonna.
Il contatto tra il suo pene bollente e quelle cosce stranamente fredde fu di una piacevolezza mai provata. Aldo credette di venire all’istante.
Ricominciò a muoversi contro di lei.
Anna però non collaborava più come prima e si muoveva appena. Evidentemente era intimorita dalla variante del gioco. Forse analizzava curiosa la nuova sensazione.
Aldo pensò che probabilmente questo doveva essere per lei il primo contatto con un pene, anzi, quasi certamente la prima esperienza sessuale in assoluto. Si vergogno di se per quanto stava facendo. Pensò di non avere il diritto di approfittare così di una ragazzina ingenua e curiosa. Quelle erano esperienze che lei avrebbe dovuto provare – magari fra qualche anno – con un ragazzo della sua età, in modo tenero e romantico, e non su un treno, clandestinamente, con un uomo che per giunta avrebbe potuto essere suo padre.

Nonostante questi nobili pensieri continuo a strusciarsi su di lei.
La bestia gli ordinò di ottenere ancora più piacere.
Aldo afferrò Anna per i fianchi e la sollevò leggermente avvicinandola ancora di più a se. poi infilò le mani sotto la gonna, le afferrò entrambi i glutei e li divaricò in modo che il pene fosse perfettamente a contatto con la vulva per buona parte della sua lunghezza. Ricominciò a spingere contro di lei. Il contatto quasi diretto con il suo sesso era sconvolgente. Aldo sentì che le mutandine si stavano inumidendo rapidamente. Sentiva l’orgasmo vicino. Per quanto il pensiero fosse terrorizzante per le sue conseguenze, desiderava violentemente poterla imbrattare di sperma.

Improvvisamente il rumore del treno si fece meno cupo e lo scompartimento fu inondato dalla luce.
Il ritorno improvviso alla realtà terrorizzò Aldo. Abbassò rapidamente lo sguardo e, con sollievo, vide che il teatro del loro gioco proibito era ben celato dalla gonna. Questo lo tranquillizzò solo un poco perché la situazione rimaneva comunque critica: si trovava in uno scompartimento pieno di persone, con il pene eretto, nudo e nascosto solo dalla gonna di una ragazzina.
Con timore scrutò gli altri passeggeri per vedere se qualcuno sospettasse qualcosa. Tutti dormivano; lo scompartimento era caldo e silenzioso. Anche la signora anziana, che aveva preso il posto di Anna vicino a lui, dormiva profondamente e, fortunatamente, contro il poggiatesta più lontano, a sinistra.
Aldo respirò a fondo sollevato: poteva agire con un più tranquillità.
Anna pareva stranamente tranquilla. Teneva la testa appoggiata al palmo della mano, leggermente di lato e sembrava assorta nella lettura del suo fumetto. Aldo pensò sorridendo che era proprio una puttanella deliziosa. Ne studiò con attenzione ed estasiato il bel profilo. Un attimo prima aveva maledetto il ritorno improvviso della luce, ma ora trovava assai più eccitante poter guardare quel bel visino sapendo che, nascosti dalla gonna, i loro sessi erano a contatto.
Sentì il pene contrarsi più volte quasi a protestare per l’atto interrotto. Nessuno dei due però adesso osava muoversi alla luce del sole.

Aldo continuava a guardarla. Avrebbe desiderato poterle accarezzare dolcemente: i capelli, le braccia, le gambe. Avrebbe desiderato stringerla a se ed abbracciarla teneramente; avrebbe desiderato baciarla. Quest’ultimo pensiero lo sorprese e lo eccitò più dell’idea stessa di fare l’amore con lei.
Si, avrebbe voluto baciarla.
Immaginò allora di doversi incontrare segretamente con lei di notte, aspettandola in macchina in un luogo e ad un’ora stabilita. Immaginò di vederla arrivare trafelata mentre si voltava per vedere se qualcuno la seguiva: lei saliva in macchina ansante e subito si abbracciavano e si baciavano con trasporto. Lasciò libera la sua fantasia. Ora erano nella stanza di un albergo. Lui la spogliava lentamente e con gentilezza; poi cominciava a baciarla. Dappertutto.
“Se veramente potessimo essere là, su quel letto, soli! Liberi di fare ciò che vogliamo!” pensò con rammarico,
“Allora si che ti amerei come meriti. Allora si che ti insegnerei ogni cosa…”

Lo scompartimento ripiombò nel buio più completo. Era iniziata un’altra galleria.
Ad Aldo dispiacque che il suo sogno fosse stato così bruscamente interrotto. Soprattutto gli dispiacque di non poter più vedere il volto di Anna. Pensò che avrebbe potuto godere anche solo guardandola, mentre rimaneva così intimamente a contatto con lei.
Ma Anna, ricominciando a muoversi su di lui, gli ricordò immediatamente come il buio potesse essere ben più piacevole.
Ricominciò timidamente, quindi il suo movimento riprese forza.
Erano nuovamente in sincronia; i loro sessi si strusciavano con ritmo e decisione.
Anna aveva le mutandine inzuppate dai propri umori. Ad Aldo improvvisamente venne in mente di abbassargliele.
Questa volta, senza neanche aspettare l’ordine della bestia, infilò rapido le mani sotto la gonna, cercò e trovò l’elastico delle mutandine, vi infilò la punta delle dita e lo tirò verso il basso.
Quando arrivò alla curva dei glutei si fermò. Anna doveva collaborare alzandosi leggermente per permettergli di passare oltre, ma non accennava a farlo.
Aldo pensò con stizza che quello non era proprio il momento di fare i capricci, tantopiù che sapeva benissimo quanto anche lei fosse eccitata. Stava per agire di forza quando si ricordò che era solo una ragazzina e che quella doveva essere la prima volta che qualcuno le abbassava le mutande.
Allora, istintivamente, si protese verso di lei con la bocca e le baciò teneramente la nuca. Il profumo e la morbidezza dei suoi capelli lo mandarono in estasi. La baciò nuovamente.
Quei baci sortirono l’effetto di una parola magica: Anna si sollevo leggermente e lui ne approfitto rapido per portare a termine l’operazione.
Quando Anna si appoggiò nuovamente su di lui, Aldo dovette soffocare a stento un grugnito di piacere.

Il contatto era mille volte più piacevole di prima perché, per quanto le mutande costituissero una barriera alquanto sottile, lo sfregamento contro di esse era comunque fastidioso. Aldo se ne rese conto solo allora. Inoltre, psicologicamente, il fatto di non avere più nulla che li separasse era eroticamente devastante. Ora poteva apprezzare il contatto diretto tra il suo pene duro e bollente e la vulva umida e morbida di lei.
Anna stava timidamente riprendendo a muoversi su di lui, dimostrando di apprezzare l’ennesima variante del gioco: le sue natiche, completamente bagnate dai suoi umori, scivolavano alla perfezione sul pene di Aldo e ora poteva strusciarsi con il suo sesso su tutta l’asta.
Improvvisamente la luce inondò nuovamente lo scompartimento.
Aldo imprecò oscenamente a denti stretti e sperò che arrivasse subito una nuova galleria. Quel contatto era sconvolgente e lui non poteva aspettare un solo attimo di più; voleva muoversi contro di lei, voleva godere, voleva… voleva schizzare! Sicuro voleva eiaculare come un maiale, sporcandola, imbrattandola di sperma: sulla vagina, sui glutei, sulle cosce, sulla gonna. Certo sarebbe stato difficile da spiegare, dopo. Sicuramente ne sarebbe seguito uno scandalo. Forse la madre lo avrebbe denunciato e fatto arrestare. Nulla di tutto ciò gli importava. Voleva solo venire e se non fosse sopraggiunta una galleria di lì a pochi secondi avrebbe proseguito nel suo intento anche alla luce del sole.

Uno dei due anziani signori seduti sul lato corridoio sbadigliò stiracchiandosi, lo guardò e gli sorrise.
Aldo si sentì sbiancare dalla paura ma fu pronto nel ricambiare il sorriso. L’anziano signore cambiò posizione e richiuse gli occhi. Non aveva notato nulla di strano.
Passata la paura, Aldo rise intimamente per l’assurdità di quella situazione e provò un piacere perverso all’idea che tutte quelle persone fossero spettatori ignari del suo gioco erotico.
Soprattutto si eccitò all’idea che proprio la madre di Anna fosse così vicino a loro.
Non seppe fare a meno di pensare con libidine e cattiveria:
“Dormi, dormi pure! Con la tua boccaccia aperta… intanto io mi diverto con tua figlia!”.

La galleria arrivò puntuale ed Aldo trionfante ricominciò con metodo a strusciarsi contro di lei.
Con le mani le aveva afferrato i fianchi ed attraverso essi le dettava ritmi e movimenti.
Anna collaborava alla perfezione. Avevano trovato il movimento giusto per darsi reciprocamente il massimo del piacere in quello strano frangente.
Anna si sollevava e, con l’imbocco della vagina, andava a cercare il glande, vi indugiava per un attimo, poi scivolava verso il basso percorrendo tutto il pene fino ad arrivare a schiacciare i testicoli; quindi risaliva per ricominciare il giro. Ormai era completamente bagnata ed i suoi umori avevano eliminato ogni attrito. I piccoli rumori caratteristici di quello sfregamento erano appena udibili ma ad Aldo sembravano enormemente amplificati dal buio. Ormai però nulla aveva più importanza; voleva solo godere.

Gli passò per la testa una strana idea. Si affrettò a scacciarla ma ormai era troppo tardi perché anche la bestia l’aveva sentita. Infatti, subito ed imperiosamente gli urlò:
“Scopala!”
Aldo lotto con se stesso per scacciare quel pensiero pazzesco. Non poteva fare una cosa simile; osare tanto con una ragazzina in uno scompartimento affollato, alla presenza della madre! Doveva già essere abbastanza soddisfatto per quanto aveva ottenuto. Inoltre anche tecnicamente non sarebbe stato certo facile: Anna era sicuramente vergine e la deflorazione, già di per se complicata, avrebbe sicuramente comportato da parte sua inevitabili gemiti di dolore.
Ma tutte queste granitiche obiezioni si scioglievano come neve al sole ogni volta che Anna premeva sul suo glande.
Consapevole di barare con se stesso, Aldo si convinse che avrebbe potuto spingere un pochino dentro di lei, solo appena appena, per gustare l’idea, senza – ovviamente – penetrarla completamente. Per una frazione di secondo, facendo appello a tutta la lucidità che gli rimaneva ed alla sua coscienza, cercò di opporsi alla bestia; poi si arrese miseramente ed accettò il compromesso.

Infilò allora la mano sotto la gonna (l’operazione era resa adesso più facile dal fatto che Anna si sollevava molto di più di quanto non facesse in precedenza), afferrò il pene alla base e lo inclinò un po’ in avanti per cercare l’imbocco di lei.
Anna, che stava continuando imperterrita nel suo ritmico movimento, accellerandolo ormai priva di controllo, non si accorse subito della variante. Per due volte quindi il pene si impuntò pericolosamente all’imbocco della vagina, ma in entrambi i casi scivolò via. Anna allora, volendo evitare ulteriori pericolosi tentativi di penetrazione e non potendo più percorrere quel pene per tutta la sua lunghezza, cambiò movimento. Rimanendo leggermente sollevata si strusciava ora solo contro il glande, percorrendolo con la vulva dal clitoride fino all’ano e viceversa. Questo per lei era ancora più piacevole.
Aldo però non poteva più trattenersi dallo spingere. Stava impazzendo. Sudato ed ansante pensò:
“Troietta! Non puoi torturarmi così! Adesso ti entro dentro! Ti sfondo! Si! Al prossimo giro ti sfondo! Non ce la faccio più, te lo voglio infilare dentro fino alle palle! Al prossimo giro… Al prossimo giro te lo infilo fino alle palle! Ecco… ancora un giro e te lo infilo… Adesso! Ora! Adess…”
Un violentissimo schizzo bollente arrivò come una liberazione, poi un altro, un altro e un altro ancora. Aldo, paralizzato dall’orgasmo, teneva la bocca completamente spalancata. Sentiva un urlo di piacere rimbombare nella sua testa e non capiva se fosse reale.
Il pene continuò incredibilmente a eiaculare ancora per qualche istante; sembrava avesse finito quando Aldo sentì partire ancora un ultimo abbondante schizzo di sperma, poi la frequenza e la forza delle contrazioni diminuirono e l’orgasmo scemò.
Anna continuava ad agitarsi. Aldo stava per fermarla, spossato, quando si rese conto che anche lei stava raggiungendo l’orgasmo. Lasciò andare il pene e la ragazzina vi si abbatte tenendo la schiena in posizione orizzontale rispetto al tavolo. Ora sfregava la vagina premendola sul pene per tutta la lughezza. La sentì venire quasi subito e soffocare a fatica un gemito di piacere mentre si accasciava sul tavolino in preda a violenti scossoni.

Aldo si lasciò andare anche lui sul sedile. Era esausto. Avrebbe voluto addormentarsi e non svegliarsi più. Mai più….

Poi improvvisamente fu preso dal panico.
La libidine che l’aveva reso cieco e gli aveva fornito la necessaria follia per osare, se ne era andata assieme all’orgasmo lasciandolo solo ed impaurito. Si sentiva come il “palo” di una banda sacrificato dai complici fuggiti dopo la rapina e catturato dalla polizia. Si chiese se era stato veramente lui a fare tutto ciò. Voleva gridare la sua innocenza.
Pensò che entro qualche secondo la lunga galleria sarebbe finita e che tutti avrebbero capito cos’era successo.
Vedeva nel buio lo sperma gocciolare da sotto la gonnellina imbrattando dappertutto.
Improvvisamente ne sentì pungente anche l’odore. Ebbe l’impulso di scappare ma il terrore lo paralizzò. Il cuore gli batteva all’impazzata.

Fortunatamente per lui Anna mantenne una calma glaciale: si alzò di scatto e tirò su velocemente le mutandine. Aldo la sentì allontanarsi e chiedere educatamente permesso mentre raggiungeva l’uscita dello scompartimento per andare alla toilette.
Impacciato e tremante Aldo ripose il pene nella patta dei pantaloni e richiuse velocemente la cerniera. Tastò a casaccio gambe e ventre per sentire se ci fossero tracce di sperma. Imprecò quando sentì dell’umido poco distante dalla cerniera. Aveva riacquistato però un minimo di lucidità e si ricordò del giornale che aveva appoggiato sul sedile alla sua destra. Lo aprì un poco e lo dispose sulle gambe proprio nel momento in cui la galleria finiva.
Aldo trattenne il fiato per alcuni secondi senza osare guardarsi attorno.
Poi lentamente si girò verso gli altri passeggeri:
“Stanno ancora tutti dormendo!” pensò incredulo.
“Non si sono accorti di nulla! Ho avuto l’orgasmo più strano e sconvolgente della mia vita, qui, in mezzo a loro e questi non si sono accorti di nulla!”.
Aldo non osava credere che tutto fosse filato così liscio. Si aspettava che da un momento all’altro qualcuno esclamasse un “si vergogni!” o un “depravato!”. Ma nello scompartimento regnava il silenzio.
A poco a poco Aldo si rilassò.
Ebbe però un sussulto quando la madre di Anna si svegliò di soprassalto e guardandolo con aria interrogativa gli chiese :
“Mia figlia?”
Aldo dovette schiarirsi la voce con un colpo di tosse prima di parlare; poi rispose cercando di apparire il più naturale possibile:
“Non so! Credo sia andata alla toilette”
Era stata una recitazione pessima ed Aldo era certo che i segni della sua colpa e del suo turbamento fossero percepibili nello sguardo e nella voce. Ma la madre di Anna non sospettò assolutamente di nulla perché, borbottando qualcosa di incomprensibile, richiuse gli occhi.
Aldo sospirò di sollievo. Era fatta.
Adesso sarebbe stato buono e fermo fino all’arrivo ed ovviamente avrebbe abbandonato per ultimo lo scompartimento.

Il treno attraversò ancora diverse gallerie, alcune delle quali molto lunghe; ad Aldo che oramai non erano più di alcuna utilità, parvero eterne.
Era esausto e desiderava solo addormentarsi. Voleva aspettare però il ritorno di Anna per assicurarsi che tutto fosse andato bene. Probabilmente lei stava faticando non poco per ripulirsi. Pensò con terrore che forse non riusciva ad eliminare le tracce di sperma. Forse aveva dovuto bagnare la gonna ed ora aspettava semplicemente che questa asciugasse. Aldo si rese conto con rimorso che per lei doveva essere stato il primo contatto con il seme maschile. Si sentiva imbarazzato. In preda ai sensi di colpa si assopì.

Quando riaprì gli occhi il treno aveva ormai superato la zona delle gallerie e stava per arrivare a destinazione. Aldo guardò verso il corridoio e vide Anna. Era rimasta fuori e guardava il paesaggio dal finestrino volgendo la schiena; esattamente come aveva fatto la prima volta, dopo aver litigato col fratello.
Aldo pensò che probabilmente non osava rientrare. Voleva però che si girasse e lo guardasse per rassicurarlo. Desiderava che gli sorridesse. Voleva provare ancora quel meraviglioso rapporto di complicità che c’era stato tra loro. Ma Anna continuava a non voltarsi.
Frattanto, all’esterno, le case cominciavano ad infittirsi. Stavano entrando in città. Il viaggio era al termine. Lento e sferragliando rumorosamente sugli scambi il treno entrò in stazione annunciandosi con un fastidioso ed acutissimo fischio.
Anna non si era ancora voltata ed Aldo cominciava a sentirsi disperato.
Tutti si alzarono e si prepararono per scendere.
Anche Aldo stava per farlo, così da poterla raggiungere nel corridoio, ma il ricordo della patacca sui pantaloni lo blocco all’istante.
Ad uno a uno i passeggeri uscirono salutando. Aldo balbettò loro qualcosa in risposta cercando di non perdere Anna con lo sguardo.
L’ultima ad uscire fu la madre che si fermò accanto alla figlia e le disse:
“Amore?! Ti sei incantata? Ho dovuto raccogliere io le tue cose! Dai, saluta Aldo e andiamo”.
Anna lasciò sfilare la madre, poi si girò appena verso Aldo e pronunciò un impercettibile ciao: aveva gli occhi rossi e gonfi dal pianto. Aldo si sentì morire. Un attimo dopo lei era sparita.
Aldo Cercò disperatamente di alzarsi. Voleva inseguirla, afferrarla, stringerla e baciarla. Voleva parlarle, spiegarle che l’amore non era quella cosa stupida che avevano fatto, che era tutt’altra cosa. Glielo avrebbe dimostrato perché infatti lui… l’amava! Certo! l’amava! E l’avrebbe aspettata! Doveva dirglielo! Doveva dirle assolutamente che avrebbe aspettato che compisse diciotto anni, anzi neanche: sedici! Poi non ci sarebbero stati più ostacoli tra loro! Sicuro! Solo pochi anni e poi sarebbero stati felici!
“Anna! Aspetta…”
Fu tutto quello che riuscì a dire con un filo di voce, paralizzato sul sedile, con il giornale ben aperto sulle gambe e la sua patacca nascosta.

Dieci minuti dopo un ferroviere, passando rapidamente attraverso i corridoi del treno, vide un uomo ancora seduto in uno scompartimento. Aveva la bocca aperta e lo sguardo stranamente vuoto.
“Signore? Deve scendere! Questo treno va in deposito! …Signore?! Si sente bene?”. “Ti dico che è vero! Devi credermi! Un cazzo di dimensioni notevoli!”

Claudia parlava all’amica con evidente concitazione.

“Maria l’ha visto! Proprio in quel teatro. Era nei bagni delle signore, ultima toilette a destra. E’ comparso all’improvviso da un buco nella parete. Poverina! E’ scappata terrorizzata senza neanche pulirsi. Però deve essersi fermata un attimo a guardarlo perché me l’ha descritto bene e nei particolari: un gran bell’esemplare in erezione!”

Le due amiche scoppiarono a ridere.

“Ma non sarà la solita leggenda metropolitana?” Chiese Sara scettica “Forse Maria era sbronza o si sarà fatta suggestionare dalle dicerie che circolano su quel teatro. Chissà cosa avrà visto in realtà!”

“Chi?! Maria?! Quella santa non beve e non racconterebbe una bugia neppure sotto tortura! No! E’ vero ti dico. Del resto è già la terza volta che sento questa storia. Pensano che si tratti di uno dei custodi. Deve aver trovato il modo di spiare le donne che entrano in quella toilette e, se sono di suo gradimento, fa la sua comparsa attraverso un buco ricavato in un pannello di metallo. Dietro deve esserci un ripostiglio o una sorta di camera segreta, ma l’entrata non si trova; perlomeno non dai corridoi aperti al pubblico.”

“Ma nessuna ha sporto denuncia?”

“Tu andresti alla polizia per lamentarti di aver visto un cazzone alla toilette? E poi, mica ha violentato nessuna!”

“Ma tu ci sei stata?” Chiese Sara.

“Chi io?! Scherzi? Non farei l’abbonamento alla stagione di lirica neppure per tutti i cazzi del mondo!”

Le due amiche risero nuovamente.

“Tu piuttosto” continuò Claudia “Sei ancora sicura di volerci andare stasera? Non preferiresti uscire con noi? Ci facciamo una pizza e andiamo al cinema…”

“Ti ringrazio. Ma sai che adoro la lirica e sono anni che non assito più ad uno spettacolo. Non ne vedo l’ora! Però puoi stare tranquilla: se mi dovesse scappare la pipì la terrò o comunque eviterò l’ultima toilette a destra.”

Claudia e Sara si salutarono sorridendo.

Capelli raccolti in uno chignon, abito lungo nero aderente con scollatura e spacco provocanti, collana ed orecchini di perle: Sara non riusciva a immaginarsi più elegante di così. Sorrideva felice ed eccitata salendo i gradini del teatro a braccetto di suo marito.

Gianni non amava la lirica e lei aveva quindi molto apprezzato il fatto che avesse deciso di accompagnarla per l’intera stagione.
Sara divorò con gli occhi e le orecchie tutto il primo atto, mentre il marito ne accolse la fine con evidente sollievo, lieto di poter finalmente scendere al bar.
Vi si recarono subito, con tutta la folla. Presero entrambi qualcosa da bere ed incontrarono una coppia di amici con cui si misero a conversare.

Il bar del teatro era uno dei ritrovi dell’alta società cittadina, una vera e propria passerella. Sarà era orgogliosa di sentire su di se gli sguardi carichi di desiderio della maggior parte degli uomini.

Una ventina di minuti dopo, l’improvviso sciamare della gente annunciò l’inizio del secondo atto. I due mariti, scherzando, si fecero coraggio a vicenda.

Stavano per risalire le scale quando Sarà sentì impellente il bisogno di andare in bagno. Un brivido strano la percorse. Le tornò in mente quanto le aveva raccontato l’amica e pensò quindi di trattenere lo stimolo.

“Ma che sciocca sono! Non mi farò mica influenzare da una diceria! D’altronde se mi scappa…” pensò subito dopo.

Ebbe l’impulso di chiedere al marito di accompagnarla, ma poiché questi stava conversando amabilmente con l’amico, decise di non disturbarlo:
“Io devo andare alla toilette: ti raggiungo di sopra.” Si limitò a dire; poi s’incammino lungo il corridoio seguendo l’indicazione verde tra le luci soffuse.

Giunse di fronte alla porta con il disegno stilizzato della gonnellina proprio mentre una signora ne usciva frettolosamente. Ne venne urtata.

“Oh! Mi scusi! Perdoni la mia fretta, ma sta per iniziare il secondo atto…” Si giustificò questa.

“Si figuri…” Ebbe appena il tempo di risponderle prima che si allontanasse, poi spinse sulla maniglia ed entrò timorosa ed inquieta.

Nel bagno non c’era più nessuno. Nel silenzio si sentiva solo il ronzio dei motorini elettrici delle ventole. Sara rimase subito colpita dallo sfarzo dell’arredamento al limite del ketch: marmi, specchi, lampade dorate, luci giallognole.

Si diresse velocemente verso la porta della toilette più a sinistra.

La pulizia dei sanitari la rassicurò: “Ma di cosa ho paura? Che stupida che sono! Non crederò mica a tutte quelle balle?” pensò stizzita.

Ribellandosi al suo stesso nervosismo, uscì dalla toilette in cui era entrata.

Per un attimo rimase sorpresa ed affascinata vedendo la sua immagine riflessa nel grande specchio sopra i lavandini: “Certo che sono ancora una gran bella figa!” Disse compiacendosi.

Sorridendo maliziosamente a se stessa si voltò e si diresse verso il fondo del bagno.

Una curiosità morbosa ed irresistibile si era ormai impossessata di lei oltre ad una strana eccitazione. Pose la mano sulla maniglia dell’ultima porta a destra e l’aprì di scatto.

La delusione le piombò addosso pesante: non solo non c’era nessun cazzo, ma non c’erano neppure buchi nel muro.

Sarà sorrise sarcastica: “Come volevasi dimostrare: tutte sciocchezze!” pensò.

Quindi, richiamata improvvisamente dallo stimolo fisiologico, chiuse la porta col gancio e si sollevò con cura il vestito. Calatasi anche le mutandine, si sedette sulla tazza e si godette la lunga e piacevole pisciata.

Lo scroscio argentino del suo getto si stava appena affievolendo quando la sua attenzione fu richiamata da un particolare nella parete: al centro di un pannello di metallo c’era un cerchio. Non era proprio un buco perché era tappato con lo stesso materiale di cui era costituito il pannello, tanto da risultare quasi invisibile, ma il cerchio indubbiamente c’era.

Sara fu presa da uno strano presentimento e sentì nuovamente un brivido percorrerle la schiena. Le parve anche di sentire un rumore provenire dall’altro lato di quella strana parete.

Senza distogliere lo sguardo da lì, staccò un pezzo di carta igienica dal rotolo e si pulì frettolosamente. Si voltò solo un attimo per cercare il pulsante dello sciacquone che premette in fretta, così da potersene finalmente andare.

Quando si voltò rimase paralizzata dal terrore: il tappo non c’era più. Al suo posto c’era solo un grosso foro nero.

Dopo qualche secondo vide comparire qualcosa. Sarà capì subito di cosa si trattava: lentamente, simile ad un cobra che esce dalla tana, un grosso pene eretto entrò attraverso il buco.

Sarà lanciò un acuto gridolino di terrore. Per lo spavento si ritrovò pericolosamente in piedi ed in bilico sopra la tazza del water; se avesse visto un grosso ratto si sarebbe spaventata di meno!

Rimase così per diversi secondi, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel membro.

Era veramente di dimensioni notevoli: lungo, largo e duro, nerboruto e venato da grossi vasi blu, con una cappella molto pronunciata, gonfia e violacea.

Era proprio lui: il cazzo che l’amica le aveva descritto.

Ripreso il controllo di se, Sara scese con circospezione dalla tazza e, appoggiandosi di spalle alla parete opposta rispetto a quella da dove era sbucato il pene, scivolò verso la porta senza perderlo di vista, come per paura che questo potesse in qualche modo morderla o farle del male.

Si mise ad armeggiare nervosamente con il gancetto; nel frattempo trovò il coraggio per rompere quell’angosciante silenzio e, sforzandosi di mantenere un tono calmo, così da apparire sicura di se

Si rivolse allo sconosciuto: “Ora io esco da qui e vado a chiamare una guardia. Poi torno e le faccio passare la voglia di fare questo tipo di scherzi!”
Sara si accorse di aver pronunciato quelle parole con voce tremante.

Tuttavia si aspettava che l’uomo, impaurito dalle minacce, si dileguasse; invece il suo cazzo era rimasto lì, immobile ed impertinente, nel silenzio più totale.

“Mi ha sentita?! Ora chiamo i Carabinieri e poi vedremo se avrà ancora voglia di fare lo spiritoso!” Esclamò più alterata.

Nel frattempo era finalmente riuscita ad aprire la porta.

“Le conviene filarsela!” Disse ormai più sicura.

Il cazzo però continuava a svettare imperturbabile. Sarà ebbe un moto di stizza. Ora poteva andarsene, ma non riusciva ad accettare l’idea di fuggire sconfitta, come una ragazzina scandalizzata e spaventata.

Immaginava il ghigno di quell’uomo oltre il pannello e perse le staffe: “HAI SENTITO LURIDO MAIALE QUELLO CHE TI HO DETTO?! ORA CHIAMO LA POLIZIA E POI VEDIAMO!” Urlò inferocita.

Il cazzo non fece una piega. Sarà, inviperita, non seppe trattenersi da tirargli una sberla. Ebbe all’ultimo istante un ripensamento ma non riuscì a fermare completamente la mano. Il risultato fu un buffetto ridicolo che non smosse il pene di un millimetrò.

Le sembrò di vedere quel cazzo ridere.

Adirata anche con se stessa, partì con un altro paio di sberle. Questa volta furono potenti ed efficaci: il pene oscillò vistosamente.

Sara si rese conto con ribrezzo di averlo toccato. Certo! Era stato per impartirgli una lezione! Però lo aveva toccato e non aveva potuto fare a meno, tra se, di apprezzarne consistenza e durezza. Il paragone con il marito attraversò la sua mente rapido ed inevitabile. Non aveva mai avuto di che lamentarsi riguardo all’arte amatoria di Gianni e, anche a livello di dimensioni, aveva sempre ritenuto che fosse ben dotato. Ma quell’affare era
decisamente un’altra cosa!

Ripresasi immediatamente dalle sue imbarazzanti riflessioni, Sarà si ritrovò ancora più sconvolta ed arrabbiata. L’uomo continuava a rimanere silenzioso ed impassibile.

Lei perse completamente le staffe: “BRUTTO PORCO SCHIFOSO! TE LO STACCO QUEST’AFFARE! GIURO CHE TE LO STACCO! COSI’ NON LO POTRAI PIU’ INFILARE DA NESSUNA PARTE!”

Afferrò il cazzo con entrambe le mani e cominciò a tirarlo in tutte le direzioni con violenza: su, giù, a destra e a sinistra; infine verso di se.

Sicuramente, questa volta, doveva avergli fatto male. Sarà si fermò ansimante e soddisfatta. Poi sentì il calore e si rese conto di avere ancora entrambe le mani serrate con forza alla base del pene. Era bollente e, dopo il trattamento ricevuto, risultava ancora più duro e arrossato.

Sarà stacco rapidamente le mani dal membro e le portò alle guance imbarazzatissima.

Improvvisamente sentì uno strano odore: un odore di maschio sconosciuto e dolciastro; un misto di sudore, ammoniaca, pesce… deodorante, forse. Sara cominciò ad annusare e realizzò con ribrezzo che l’odore proveniva proprio dalle sue mani.
Allora si sedette sconvolta sulla tazza del water e rimase ad osservare il cazzo: era ancora lì, a mezzo metro da lei, immobile ed imperturbabile.

Consapevole del fatto che l’uomo non poteva vederla, Sara si chinò in avanti, avvicinandosi silenziosamente con il viso al pene, così da poterlo annusare: era attirata ed incuriosita da quell’odore particolare e voleva percepirlo meglio. Giunta a pochi centimetri di distanza, prese ad osservalo in ogni dettaglio, annusandolo come una cagna. L’odore era forte e penetrante ma non era spiacevole.

Una gocciolina di liquido seminale aveva fatto capolino dallo sbocco dell’uretra e Sara, che si era avvicinata troppo, la raccolse
involontariamente con la punta del naso. Si raddrizzò di scatto e ci passò sopra la mano con ribrezzo.
Così facendo però strusciò la gocciolina sul labbro superiore. Automaticamente la lingua corse rapida a sentirne il sapore.

Resasi immediatamente conto di quello che aveva fatto, Sara sputò per terra nauseata, quindi tornò ansimante a fissare quel cazzo che stava riuscendo perfettamente a farla sentire ridicola.

Fu allora che senti la sensazione di bagnato in mezzo alle gambe.

Incredula, si tastò con una mano. Trovò le mutandine umide dei propri umori. Senza rendersene conto, si era eccitata all’inverosimile. Il suo respiro divenne affannoso, i suoi pensieri confusi.

C’era ancora quel silenzio angosciante, disturbato solo dal suono lontano di un’orchestra, e quella strana pace… e quel pene maestoso, lì, tutto per lei.

Pace e silenzio… ed improvvisamente la voglia.

Sara, letteralmente ipnotizzata dal cazzo, non riuscì più a pensare. Allungò timidamente una mano e, con la punta delle dita lo raggiunse. Mentre il cuore le batteva all’impazzata, lo percorse con delicatezza dall’inizio fino al glande, apprezzandone ogni irregolarità.

Poi, inspirando profondamente e chiudendo gli occhi, serrò la mano appena sotto la cappella e cercò di tirare ancor più verso la base quella pelle già tesa.

Sara provò ad immaginare l’espressione tronfia e soddisfatta che lo sconosciuto doveva aver assunto in quel momento oltre la parete: lui aveva vinto!

Ma la sensazione di umiliante sconfitta che lei provava non faceva altro che aumentare la sua eccitazione. Si sentiva molto sporca e molto puttana; e tutto ciò la stava facendo impazzire.

Prese a muovere la sua mano su e giù lungo l’asta.

“Ma cosa sto facendo?” si chiese con un ultimo sprazzo di lucidità.

“Certo che sono proprio una gran troia!” Si disse senza riuscire a trattenere un sorriso.

Sara pensò che le sarebbe piaciuto vedere quel cazzo sborrare. Aumentò il ritmo. Con l’altra mano si abbassò in qualche modo le mutandine, raggiunse velocemente il clitoride e con la punta delle dita cominciò a premerlo verso il basso.

Era bellissimo.

Un’altra strana idea le passò per la testa. Sarà provò a scacciarla, inutilmente; quindi si alzò dal water e si inginocchiò davanti al cazzo, eccitata e tramante.

Senza smettere di muovere la mano su di esso, provò ad avvicinarsi lentamente con la bocca. Vincendo le ultime paure l’aprì, tenendosi tuttavia ancora leggermente distante, quindi sporse la lingua più che poté. Lo toccò appena con la punta.

Il glande si era nuovamente inumidito di una goccia di liquido seminale. Sara, questa volta, ne assaporò lentamente il gusto un po’ salato. Quella cappella enorme era lì ad un centimetro da lei; l’odore era forte… Sara chiuse gli occhi ed appoggio le labbra sul glande.

Lo succhiò appena, dandogli una specie di piccolo bacio, quindi lo colpì con la punta della lingua.
Era in attesa, curiosa, di qualche reazione da parte dell’uomo: di nuovo alternò un bacio ad un colpo di lingua.
All’improvviso sentì distintamente, seppure ovattati dal pannello, un grugnito di piacere ed un lungo sospiro. Sara, esaltata da quel primo segnale di cedimento, spalancò la bocca per accogliervi tutto il glande. Si sentiva piena già solo di quello, tuttavia cominciò a muoversi avanti e indietro anche sull’asta.

Si rese conto di volerlo sentire fino in gola.

Eccitatissima, immaginò la sua bocca inondata da un fiume di sperma caldo e prese a muoversi con maggior vigore. Teneva le labbra a cerchio, percorrendo con ritmo sostenuto il pene, dalla cima fino a poco più della metà, punto in cui sentiva la cappella premerle sulla gola provocandole stimoli di rigurgito. Era tuttavia distante dall’inglobarlo completamente.

La parte iniziale dell’asta che non riusciva a raggiungere con le labbra era comunque sempre serrata dalla sua mano in movimento. Con l’altra mano era tornata a masturbarsi.

Era fradicia all’inverosimile. Sara pensò che non si sentiva così eccitata da molto tempo: “Bagnata come sono, in questo momento potrei infilarmi dentro qualsiasi co…”

Non terminò neanche il pensiero. Dentro di lei, un’irrazionale voglia animalesca e la sua ragione presero a fare a pugni.

Sara si rialzò di colpo accaldata, tremante, stordita. Con la testa che le girava, si sollevò frettolosamente il vestito e lo arrotolò in vita, facendo tuttavia attenzione a non rovinarlo; nel frattempo, muovendo un po’ le gambe ed aiutandosi con un piede, fece cadere a terra le mutandine.

“Solo un po’ lì, lo voglio sentire solo un po’ lì” pensò per mettere a
tacere la sua coscienza. Quindi, appoggiandosi con le spalle al muro, si mise a cavalcioni del cazzo e lo strinse con le cosce. Questo era così lungo che sbucava dalle gambe con tutta la cappella. Sara, sorridendo, immaginò di essere un uomo: serrò il glande con la mano e finse di masturbarsi.

Non poté fare a meno di pensare quanto strane e piacevoli fossero la complicità e l’intimità createsi tra lei e quello sconosciuto; anzi, tra lei e quel cazzo!

Nuovamente al culmine dell’eccitazione, Sara prese a strusciarsi su di esso tenendo le gambe leggermente chiuse. Il membro divaricava le sue grandi labbra e strusciava contro il clitoride; gli umori della vagina lo facevano scorrere a meraviglia.

Sara, per apprezzare meglio la sensazione, si chinò in avanti appoggiandosi con le braccia alla parete opposta.

“Ecco, voglio venire così! Mi basta solo così!” Si disse mentendo.

Successivamente, allontanandosi un po’ dalla parete, cercò in tutti i modi di sentire il glande premerle sull’imbocco. Vi indugiò più volte, spingendo dolcemente quando lo sentiva puntare.
Improvvisamente la cappella trovò bene l’ingresso della vagina e vi entrò per un piccolissimo tratto.

Sarà si bloccò all’istante: se in quel momento avesse spinto di più, il cazzo l’avrebbe penetrata sul serio.

Rimase titubante per qualche secondo; poi, vincendo le ultime remore, chiuse gli occhi e spinse col peso del suo corpo.

Aveva immaginato che il pene le sarebbe scivolato dentro con facilità, ma le dimensioni erano tali che questo faticava ad entrare, pur essendo lei ottimamente lubrificata.

Spazientita, Sara si aiutò con le mani, divaricandosi più che poté e spingendo con tutta la sua forza.

All’improvviso il pene sprofondò in lei. Sara si sentì letteralmente
spaccare in due.

Sentendolo dentro di se, le pareva ancora più grosso; le sembrava di sentirlo arrivare quasi allo stomaco.

Rimase per un po’ così, immobile, a godersi quella sensazione; poi si rimise diritta, tornando ad aderire con la schiena alla parete. Strinse le gambe il più possibile. La sensazione di riempimento che provava era bellissima. Rimanendo ferma, riportò una mano al clitoride e riprese a masturbarsi.

Di nuovo, immagino quel pene esplodere di piacere dentro di lei e rigurgitare fiotti di sperma caldo fino a riempirla. Allora, insoddisfatta del solo movimento della sua mano, si chinò ancora in avanti per potersi muovere su di esso.

Cominciò molto lentamente per poi aumentare progressivamente l’escursione man mano che lo sentiva scorrere con più facilità. In breve prese a farlo alla perfezione: alternando i movimenti, si portava in avanti fin quasi a sentirlo scivolare fuori per poi spingere con le braccia fino ad impalarsi completamente.

“COSI’ BASTARDO! SCOPAMI COSI’!” urlò senza rendersi conto che stava facendo tutto da sola.

L’orgasmo era vicino, ma Sara non voleva che quel gioco finisse troppo in fretta. Ormai ci stava prendendo gusto.

La situazione era sconvolgente: scopare con uno sconosciuto in quel modo assurdo! Mai avrebbe immaginato di poter cadere tanto in basso; ed era proprio quel pensiero la causa della sensazione di ebbrezza che provava. Ma, al pari di una droga, ora ne voleva di più.

Voleva provare tutto ciò in maniera ancora più forte e più violenta, voleva sentirsi ancora più sporca, più troia.

Ansimante, si sfilò dal pene rialzandosi di scatto e si voltò a guardarlo: reso lucido dai propri umori, le pareva, se possibile, ancora più gigantesco.

“No! Non posso farlo! Non entrerà mai!” pensò spaventata ma ormai decisa a sodomizzarsi.
Infatti, sebbene avesse già praticato quel tipo di rapporto con suo marito, si rendeva perfettamente conto che, date le dimensioni in questione, la cosa presentava notevoli difficoltà.
Tutto questo comunque sortì solo l’effetto di eccitarla ancora di più.
Portò più volte la mano alla vagina e poi all’ano per inumidire la parte. Vi aggiunse anche molta saliva, quindi provò ad infilarvi un dito.

Vi riuscì con facilità.

Provò allora con due. Infine, impaziente, decise che avrebbe verificato direttamente con il pene se quanto si era proposta era possibile.

Afferrò i glutei con entrambe le mani e li divaricò; quindi cercò il glande con l’ano. Quando le sembrò di essere in posizione, provò a spingere. Le pareva che il cazzo premesse uniformemente su tutta la zona e non solo sullo sfintere. Effettivamente era così.

Provò allora ad aiutarsi con una mano. Si bagnò nuovamente con molta saliva. Sentiva che il pene stava forzando nel punto giusto, ma si rese anche conto che sarebbe stato necessario spingere con molta più forza ed inevitabilmente con dolore.

Lo fece.

Per fortuna il pene non aveva perso nulla della sua consistenza iniziale. Esultante, Sara sentì il glande entrare leggermente in lei. In realtà la sensazione era molto fastidiosa, quasi al limite del dolore, ma Sara era ormai decisa ad andare fino in fondo.

Cercando di non vanificare il risultato fin lì ottenuto, raccolse lentamente con le dita un altro po’ di saliva e bagnò da sopra l’ultima parte del glande e la corona, che erano in procinto di entrare. Con ottimismo, inumidì anche buona parte dell’asta.

Spinse con forza.

Questa volta la cappella entrò completamente. Sara sentì il male e si immobilizzò. Era più che sufficiente. Sentire la parte finale del retto così dilatata era una sensazione fastidiosissima e rischiava di far scemare la sua eccitazione.

Sara si chinò molto lentamente in avanti e si appoggiò con un braccio teso alla parete di fronte. Con l’altra mano tornò a masturbarsi.

Fu stupita di scoprirsi ancora più eccitata. Clitoride e piccole labbra erano turgidissimi. In breve Sara si riportò vicina all’orgasmo.

Provò a muoversi lentamente sul pene, facendo attenzione a non riacutizzare la sensazione di fastidio a cui si era ormai abituata.
Guadagnò addirittura qualche centimetro.

Si sentiva letteralmente sventrare e la cosa le piaceva alla follia.

Sara sentì l’orgasmo arrivare. Questa volta non si oppose. Si appoggiò con entrambe le braccia alla parete opposta ed in preda a scossoni violenti si spinse all’indietro impalandosi ancora di più.

“Vieni! Ti prego! Vieni!” implorò gemendo, nell’apice del godimento.

Ma l’uomo non venne. Scemato l’orgasmo, Sara provò a sfilarsi il pene lentamente e con delicatezza. Il fastidio, non più coperto dal piacere, era adesso molto forte.

Dopo esservi finalmente riuscita, si voltò verso il cazzo per osservarlo: si sentiva appagata fisicamente ma non psicologicamente.

Allora si inginocchiò di nuovo ed afferratolo con entrambe le mani prese a massaggiarlo freneticamente con ritmo e forza

“VIENI BASTARDO! VIENI!” – Urlò allo sconosciuto dura ed incattivita.

Appagato, quasi si rendesse conto che la donna non poteva concedersi a lui più di quanto avesse già fatto, il cazzo l’accontentò.

Due lunghi fiotti caldi colpirono Sara con violenza sul viso e sul vestito. Poi lo sperma continuò a colare, più lentamente ma sempre abbondante, lungo l’asta e, ricoprendole, sulle mani che ancora si muovevano spasmodiche per cercare di strizzare quel cazzo il più possibile.

Appena finì di eiaculare, l’uomo ritrasse il pene senza neanche aspettare che questo cominciasse a perdere volume. Sara lo sentì scivolare via dalle dita ancora serrate. Poi, come intontita, rimase immobile ad osservare il foro che veniva richiuso.

Sentì ancora qualche rumore. Infine fu silenzio.

Sara rimase per un po’ a fissare le sue mani lorde di sperma colante. L’odore era pungente. Ripresasi un poco e cercando di non pensare a quello che era successo, strappò dei pezzi di carta igienica per cercare di pulirsi in fretta le mani, il viso e soprattutto il vestito.

Per farlo meglio doveva però uscire ed usare il lavandino. Allora si ricompose: recuperò le mutandine, le infilò e si riassettò il vestito.

Mise mano al gancetto della porta ma qui si bloccò.

Improvvisamente non ebbe più il coraggio di uscire.

Rimase per molto tempo a pensare a delle scuse.

Pensò che avrebbe facilmente fatto credere al marito di essersi sentita male. Più difficile sarebbe stato evitare il giorno dopo lo sguardo indagatore dell’amica. Impossibile invece convincere se stessa che ad uscire da quella toilette fosse ancora la stessa persona.

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