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Ieri mattina, a Milano

By 28 Agosto 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Questo racconto &egrave frutto di fantasia, i personaggi presentati non sono reali n&egrave vogliono ritrarre situazioni realmente bla bla bla bla bla, la conoscete la storiella, no? Beh, va scritto per forza, no?

L’altro ieri era un’assolata mattina di Agosto a Milano, di quelle calde ma non fastidiose. Passeggio per il centro senza un motivo preciso, divertendomi ad osservare un’umanità variopinta attendere il verde agli attraversamenti pedonali di Via Torino. Poi lei, un lampo bianco nella folla. La semplice magliettina bianca, shorts di jeans, capelli biondi leggermente mossi o stirati male, comunque sensuali. Mi sposto di un metro per poterla vedere meglio, evitando le turiste tedesche con i loro corpi strabordanti e le infradito argentate. Si, un culo decisamente bello. La seguo per un poco, non veramente intenzionato a parlarle o chissà cosa, semplicemente indirizzo nella sua direzione il mio vagare. Noto che ha delle belle gambe, abbastanza lunghe, e porta un paio di scarpe basse. In men che non si dica, mi accorgo che mi sta distanziando! Allungo il passo, ma il semaforo del pedonale &egrave rosso e i taxisti non mi risparmierebbero, temo. La vedo distanziarmi sotto gli alberi del viale che collega Cairoli a Cadorna. Mi arriva un messaggio sul cellulare, lo leggo e mi distraggo un istante. Il semaforo &egrave verde, ma di lei più nessuna traccia. Istintivamente continuo verso Cadorna, anche se col suo passo dovrei probabilmente farmi una corsetta per raggiungerla. E perch&egrave, poi? Faccio due passi oltre i motorini parcheggiati, ed eccola lì. E’ ferma a parlare con un tipo, abbastanza grosso, canottiera nera degli Spurs. Mi ricorda qualcosa…massì, stamattina. E’ uno di quei tizi che ti chiedono “cosa ne pensi dei ragazzi cresciuti in comunità?”, ti offre un braccialetto e ti scrocca 5′. Lo so perch&egrave l’ho incontrato tipo 2 ore fa…
Stessa scenetta anche con me, ma gli rispondo “Meglio di no…”. Arrogante, mi chiede “Perch&egrave scusa? Ti facciamo schifo?”. No, forse non arrogante, probabilmente piccato. Ha una cicatrice sull’occhio ed &egrave più grosso di me, quindi gli rispondo un pò più calmo di quanto avrei desiderato: “Senti, un paio di anni fa, due ragazze mi hanno fermato in questo stesso modo a Duomo. Tutta la manfrina, gli ho dato 10 euro per due di quei braccialetti arancio. Uno ce l’ho ancora nella scrivania, pensa. Erano davvero carine, ho cazzeggiato un pò e alla fine le ho portate fuori a bere un aperitivo. Abbiamo finito la serata in bellezza in tre, e mi hanno alleggerito il portafoglio di qualche centinaio di euro e fottuto l’iPod. Quindi scusa, ma no, non ho molta empatia nei vostri confronti!” Lui mi guarda strano, e mi fa: “Com’erano?”. Si sta prolungando tutto un pò troppo, quindi chiudo alla veloce: “Belle tette, fiche slabrate e mandavano giù…”. Ok, sono stato decisamente stronzo, e l’iPod era vecchiotto. Ma le tette erano davvero belle!
Nel frattempo mi sto avvicinando. Lei toglie le cuffie, ma si impaccia un attimo, le stanno cadendo gli occhiali da sole. Li recupera, ma una delle spalline della borsa le cade dalla spalla, lasciandola aperta. Mi avvicino ancora, vedo il portafoglio di marca spuntare dal tessuto della borsa. L’idea &egrave stupida, ma ormai non posso fermarmi. Faccio una veloce corsetta raggiungendoli, mentre lui le dice: “…senti, anche solo un euro, che ti costa?”. Mi avvento come un tuono, toccandole leggermente il braccio. “Ciao Giulia! Ti ricordi? Alex, ci siamo conosciuti all’Acqua Park, a Luglio? Che fai di bello in giro? Che ne dici, aperitivo?”. Così facendo, mi sono interposto tra i due, e guardandola le lancio un leggero occhiolino. Lei sembra spiazzata…-dai, stai al gioco- penso; ma reagisce al volo, o quasi. “Ah, si. Eh, si, facevo un giro”. Mi incammino, e dato che la distanza tra loro non lo permette, sbatto leggermente addosso al tipo. “Scusami..” gli faccio, per poi continuare a trascinare la sconosciuta, che sembra ormai aver capito e mi segue in modo abbastanza convincente. Quello che, n&egrave lei n&egrave lui hanno notato, &egrave che nel trambusto dell’incontro, ho agguantato il portafoglio di lei, che ora si trova nella mia tasca. Devo dire che non &egrave stato difficile, ma il cuore mi batte a mille. Fare due cose contemporaneamente non &egrave per nulla facile. Mentre ci allontaniamo, a bassa voce le dico “Scusami, ma il tizio ti aveva puntata, non volevo spaventarti…” e le lascio la spalla. Lei mi squadra, stranita, e finalmente riesco a vederla anch’io bene, e in viso. Un bel visetto, acqua e sapone, leggermente rovinato da un rossetto color melone, occhi marroni non male. La maglietta bianca nasconde una seconda poco riempita, lo si capisce dal modo in cui cade sul reggiseno. Finalmente riesce ad articolare una frase: “Cosa scusa? Puntata?”
“Si, nel senso che ha puntato il tuo portafogli. Te l’ha preso.”
“Cazzo” scatta lei, cominciando a cercare freneticamente nella borsa. “Porca troia, non potevi dirmelo?”
Con le mani le faccio cenno di tenere la voce bassa: “Tranquilla, non era il caso di fare casini con quel tipo” le dico, mentre estraggo dalla tasca il suo portafogli.
“Come cazzo…?”
“Quando gli sono andato a sbattere contro ho messo una mano nella sua tracolla e te l’ho ripreso”
“Che cazzo sei, un ladro anche tu?” la vedo spaventata
“No, tranquilla. Conosco il trucco, ma non crederesti mai al perch&egrave” ridacchio.
“Spara…”
“Beh, ho fatto l’attore di teatro, ed uno dei personaggi che ho dovuto interpretare era un ladro esperto, quindi abbiamo chiesto ad un ex borseggiatore di venire ad istruirci sulle tecniche. Di solito uso questo trucchetto alle feste, o alle cene di famiglia per farci una risata!”
“Beh, grazie, immagino…” dice lei, controllando il contenuto del portafogli.
“Allora, per quell’aperitivo?” la canzono
“Scusami, &egrave che devo prendere un treno…” la vedo guardare in direzione di Cadorna
“Capito…guarda, non dovrei farlo, ma…senti, pensa se avessi davvero perso il portafoglio. Altro che perdere il treno, avresti dovuto fare denuncia, rifare documenti…sai quanto tempo? Te ne ho risparmiato un bel pò, che ti costa?” ma vedo che lei &egrave già partita, con la testa. Ha preso le distanze, ora deve solo andarsene.
“Guarda, ti ringrazio davvero, ma…non posso” rimette gli occhiali da sole.
Devo buttarmi, ho probabilmente solo un’ultima chance, e non mi costa nulla. “Senti, posso farti una domanda? Dai, sarà la mia ricompensa!”
La sento sbuffare mentalmente, ma l’istinto di gratitudine &egrave difficile da reprimere, così al volo: “Spara!”
E’ la seconda volta che usa quel termine. Abbasso leggermente gli occhi: “Ehm, volevo sapere se ti depili. La vulva, intendo.” Bam! Vivere o morire!
Mi guarda seria, quindi abbassa la voce: “Che cazzo hai che non va? Come cazzo ti viene in mente di chiedermi una cosa del genere?”
La guardo decisa, negli occhi: “Quindi?”
Mi guarda anche lei: “Si, stronzo. Mi raso la fica! Ti eccita, pervertito? Ora puoi andare a farti la tua sega e pure a fanculo! Come cazzo ti viene in mente?” fa per andarsene.
“Era l’unico modo” la apostrofo.
Si ferma: “per fare cosa?”
“Per fermarti, per spiazzarti e toglierti da quel tuo comportamento tipo ‘grazie-ora-levati-dal-cazzo’. Forse facevo meglio a tenermi quel portafogli e spenderli per offrire un drink ad un’altra figa come te, ma grazie comunque”.
“Non ce n’&egrave un’altra” mi risponde. Ha alzato lo sguardo, le mani sono sulla vita, le spalle leggermente all’indietro. E’ inviperita, colpita nell’orgoglio.
“Di cosa, scusa?”
“Un’altra come me, stronzo”.
“Devo ammettere che hai un bel corpo e un visetto carino, ma c’&egrave sempre di meglio” le sorrido sarcastico.
“Non parlerei, dal tuo metro e settanta di altezza, fossi in te”
“Beh, le tua terza di tette non mi sembra nulla di cui vantarsi, non trovi?”
“Fottiti, cretino”
“Fotterti? Così, su due piedi? Senti, facciamo così. Ti offro il pranzo, ok? Ti piace il giapponese? Conosco un posticino dietro la Rinascente.”
“Eh, ma sei cretino?” non capisce, evidentemente. Mi stava riversando addosso merda e odio, ma che non prova verso di me. Ed ora vede che non ha avuto effetto, ed &egrave spiazzata nuovamente.
Mi avvio “Su, mi piace la tua compagnia, sei una gran conversatrice…” la istigo, facendole una piccola linguaccia.
Di tutta risposta, lei tira fuori la lingua tenendo la bocca un pò aperta “Simpatico…”
Non posso esimermi “…se vuoi te la riempio. La bocca intendo. Nel senso, andiamo a mangiare, no?”
Mi guarda con odio. No, &egrave finto. E’ inviperita perch&egrave le tengo testa, ma si diverte: “Perch&egrave no, tanto paghi tu!”
Così, la coppia più improbabile di tutta la mattinata di Milano si avvia verso Duomo. Facciamo due chiacchiere solite, mi chiede come mi chiamo, cosa faccio. Non &egrave il tipo di conversazione che desidero fare con lei, e glie lo chiarisco.
“Parliamo di qualcosa di più divertente…tipo, ti piace prenderlo in bocca?” stavolta ho esagerato sicuro.
“Ma che cazzo di problema hai? Vaffanculo!” e fa per andarsene.
Mi paro davanti a lei, ma non la fermo: “Visto, &egrave questo di cui stavo parlando prima. Che problema hai tu? Ci sono due possibili risposte: si, ti piace. E no, non ti piace. Ma fare l’offesa ti fa semplicemente sembrare una ragazzina pavida e suddita dei tabù della società…alla faccia dell’emancipazione femminile!” la canzono.
Spazientita: “Si, mi piace. Anzi, lo adoro!” e così dicendo, assume un’espressione molto sexy.
“Stronzate” le dico io.
“Ok, &egrave vero. Non mi piace, o meglio, non ci trovo niente di che, e spesso il sapore &egrave acre” sembra essere un pò più distesa. Mi provoca. “E a te?”
“No, veramente non ci trovo nulla di che. E non trovo eccitante dover umiliare la mia partner, o stabilire una sorta di dominazione su di lei” rispondo semplicemente.
“Quindi non ne hai mai ricevuto uno?” mi canzona.
“Veramente, moltissimi. Avevo una scopamica che ne era davvero appassionata, piaceva senza dubbio più a lei che a me.”
Mi guarda incredula “Si, certo…”
“Sul serio. Me ne ha fatti in tutti i posti, ed era DAVVERO brava!”
Diventa audace, e si spinge a chiedermi: “Anche in pubblico?”
Sorrido dentro di me. Continua la discesa. Le rispondo sinceramente: “Si. Al cinema. Ricordo che a metà del secondo tempo di Pirati dei Caraibi mi ha afferrato l’uccello e si &egrave chinata su di me. Solo che, sai, ci sono i poggiabraccia tra le poltrone, e quindi ha assunto una posizione davvero strana. Alla mia sinistra c’erano tre ragazze, credo fossero amiche tra loro perché parlavano in continuazione durante il film. Quella più vicina a me deve averci beccati, perch&egrave guardava fissa fissa davanti a se, era tutta rigida come se avesse un palo nel culo!”
Sembra coinvolta “Si, ti credo. Sai che imbarazzo!”
Continuo: “Appunto, infatti la fisso per un pò, e quando muove un attimo gli occhi verso la scena intercetto il suo sguardo: ‘Scusa’ le sussurro ‘&egrave colpa sua!’ indicando la mia amica intenta a divertirsi. Lei mi fa un cenno, ma sembra sconvolta. Le accarezzo la mano, che si trova sul poggiabraccia, e lei si irrigidisce ancora di più. La continuo ad accarezzare e la guardo negli occhi: ‘ti dispiace?’ le chiedo. E lei mi fa cenno di no. Così continuo a guardarla negli occhi e ad accarezzarle la mano. Anche lei mi guarda, sembra imbarazzata e tesissima, ma vedo il suo petto alzarsi ed abbassarsi in modo molto marcato. Continuiamo così finche la mia amica non mi fa venire, e in quel momento la ragazza accanto a me mi stringe la mano così forte che sento il suo battito del cuore.”
Lei mi guarda: “Stronzate. Te la sei inventata, cretino”
“No, per niente. Se me la fossi inventata, avrei aggiunto che si era fatta sditalinare ed eravamo venuti insieme!” le ribatto.
Mi guarda strana: “Che cazzo di persona che sei…” Poi sorride.
So che sarà un pomeriggio divertente.
Purtroppo, prima di arrivare al pomeriggio, c’era da sopravvivere al mezzodì in centro a Milano, e fortuna che siamo alla fine di Agosto, e dovrebbe essere ‘deserto’. Non tira nemmeno un refolo d’aria e lentamente la conversazione languisce, la sua fronte si ricopre di piccole gocce di sudore; il fugace gesto di scostarsi i capelli dal viso, che trovo naturalmente intrigante, diviene il riff di una canzone noiosa che non vuole proprio finire. Fortunatamente, da Cordusio a Duomo non ci vuole molto. Ringrazio mentalmente il taxi che, quasi investendoci inviperito, ci porta un filo di frescura. Poi la guardo, e dei, mi chiedo perch&egrave io la stia ignorando da un paio di minuti. Le sorrido e le porgo la mano: la guarda stranita. Poi la prende e mi fa uno sciocco baciamano, esagerato:
‘Sei contenta, principessina?’ mi stuzzica
Mi inginocchio, lì, a fianco della strada. Le continuo a tenere la mano, e a questo punto le reggo il gioco. Lascia o raddoppia, no? Lei mi fissa, e dopo un paio di secondi mi fa: ‘Allora?’
‘Beh, a meno che tu non mi dica un bel ‘SI’ e mi butti le braccia al collo, rimaniamo qui…’ le sorrido. Con gli occhi e con la bocca, perch&egrave spero ci caschi. Sto morendo di caldo e non reggerei il gioco troppo a lungo.
‘Si, a cosa?’ ridacchia. Ha un sorriso meraviglioso, forse l’ho già detto. E’ solare, ma non nel ‘solito’ modo. Non &egrave il sorriso bianchissimo di una biondina abbronzata e con qualche lentiggine sul viso che puoi trovare nelle pubblicità degli occhiali da sole. E’ più un bagliore azzurrino controluce al sole, non saprei come altro spiegarlo.
E dopo un istante di esitazione, lancia un urletto da quindicenne, quasi avesse visto Justin Bieber attraversarle la strada: ‘Siiiiiii!’ e nel frattempo mi tira in piedi. Lei esagera, io esagero, e ci troviamo uno contro l’altra, quasi cadiamo, la prendo per i fianchi e evito ad entrambi uno schianto contro quelle sculture di marmo che ci sono in mezzo al marciapiede. La sento esile tra le mie braccia, ma non debole. E’ un fascio di muscoli e nervi, ed &egrave calda come la sabbia al mare.
‘…dai che ho fame, stronzo!’ mi apostrofa, attraversando selvaggiamente la strada.
L’afa si disperde, il torpore scompare: non so se solo nei due metri che la circondano, o in tutta la città. Nei due minuti che ci distanziano dal cibo, mi parla un po’ di sé: non che io le abbia chiesto nulla, semplicemente si ‘apre’. La ascolto, le credo anche. Pessima idea, per uno nella mia posizione, ma la sua voce ha qualcosa di mesmerico. Quando arriviamo davanti al Musubi, stiamo ridacchiando entrambi, e nemmeno ricordo perch&egrave.
‘Eccoci!’ le faccio, indicandole il posto. Per chi non lo conosca, sembra un po’ uno di quei take away che potresti trovare in Giappone, con tanto di bandierine in tela azzurre e il menù direttamente illustrato sopra la cassa, con le foto incorniciate in ciotole dall’aspetto orientale, i nomi scritti in giappo dai quali non si capisce nulla. Rimane leggermente spiazzata, evidentemente si aspettava un sushi bar.
Poi si blocca, mi guarda e smadonna: ‘Cazzo, sono in ritardo sparatissimo. Scusami un minuto, devo avvisare…’, infila decisa la mano in tasca estraendone un iPhone, quindi si allontana un paio di metri a telefonare. Nel frattempo, mi metto in coda: si, perch&egrave la coda c’&egrave, e nemmeno poca. Esce dal locale, ok che non &egrave grande, anzi non &egrave nemmeno piccolo, &egrave proprio minuscolo. A due passi c’&egrave pure Luini, e anche Spuntini, ma pare che qui intorno si raduni sempre la massa della gente che sta in centro!
Lascio vagare lo sguardo sull’umanità riunita lì intorno: studenti, cazzeggiatori, avvocati, commerciali. Non commercialisti, commerciali. Addetti alle vendite. Quelli li riconosci a 20 metri di distanza, tanto &egrave lungo l’ego che li precede. Poi mi distraggo un istante. Ok, forse più di un istante. Tra la folla al crocevia noto una coppia di ragazze che chiacchierano fra loro. Sembra siano indecise sul da farsi: una non vuole assolutamente fermarsi qui ‘…figurarsi se devo aspettare 10 minuti in coda, con questo caldo, per un panzerotto riscaldato…’ la sento dire. La osservo meglio: i capelli raccolti in una coda, occhiali da sole con una montatura spessa ma di pregio, belle gambe. Davvero belle. Poi scompaiono un istante, per riapparire due metri più in là: ‘…e poi, chissà dove potremmo berci un caff&egrave decente, qui intorno…’. Le seguo con lo sguardo, finché non sento qualcosa sul viso. Mi volto, ed &egrave la mano della mia effimera compagna, con un filino di incazzatura striata negli occhi: ‘finito di sbavare addosso a quelle due?’ mi apostrofa.
‘Veramente io ne ho vista solo una…’ lascio cadere il discorso, avanzando con la fila fino all’ingresso del locale. Ma la scheggia piantata negli occhi fatica a svanire…’collecting a jar of harts, eh?’ penso.
Finalmente l’attesa termina, ordiniamo dei temaki e portiamo via. Ci facciamo mezzo minuto a piedi, per andare a sederci dinnanzi al cinema di Via S. Radegonda. Le tettoie installate mantengono il posto al fresco e, incredibilmente, &egrave quasi deserto. Ci guardiamo e mangiamo, senza spiaccicare parola. ‘Mangerei volentieri un pezzetto di te, adesso’ la stuzzico, finendo un temaki. ‘Anche condita così?’ sorride, asciugandosi una lacrima di sudore dalla tempia. Poi lei scoppia a ridere e sputacchia riso ovunque. Le prende la ridolera e io non la aiuto, facendole il solletico. Dopo un minuto di stupiderie, &egrave senza fiato e con la bocca sporca di riso ovunque. ‘Ecco, condita così sei a posto! Ora basterebbe solo toglierti quei quattro stracci!’ la punzecchio.
Mi guarda seria, poi sorride: ‘Ma vaffanculo, lasciami mangiare!!!’ si lamenta, mentre si ripulisce il lato della bocca con il dorso della mano.
‘Non ho mai detto che non ti avrei lasciato finire’ attacco.
‘Non ho mai detto che non mi sarei lasciata spogliare’ ribatte. La spallina del reggiseno le &egrave scivolata lungo la spalla sinistra e pende, lasca, dalla manica della maglietta.
‘Che cazzo di persona che sei…’ le ricordo. Ma questa volta lei non sorride. Mi guarda.

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