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Racconti Erotici Etero

Il Buliccio

By 27 Dicembre 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

“IL BULICCIO”
di Firewell

Capitolo uno.

Giovani, esuberanti, pieni di vita, passavano le giornate a giocare, fantasticando di tutto e realizzando passatempi con poco o niente.
Passavamo interi pomeriggi a raccogliere rami, piccoli tronchi, e frasche per riunirli in qualcosa che potesse essere la nostra tana, il covo del clan cui appartenevamo.
Io, Antonio, Renato e Filippo sudavamo d’estate per attrezzare il nostro covo. Poi lo godevamo al riparo da occhi indiscreti, scrutando dalle mille fessure se qualcuno si avvicinasse. Ma questo non accadeva quasi mai, allora organizzavamo battute nella striscia di vegetazione che limitava i palazzi, verso il mare. Queste incursioni, ci rendevano furtivi, quatti, quatti spostavamo gli arbusti pronti a colpire l’avversario con le nostre spade di legno.

A volte sconfinavamo nell’orto di qualche pensionato che, abusivamente, aveva spianato il pendio per ricavarne un campicello. Allora si faceva strage d’ortaggi, con poderosi fendenti i pomodori schizzavano il loro liquido rosso, sangue che si appiccicava alle nostre magliette, sui pantaloncini corti e lungo le gambe, pezzi d’insalata come trofei da riportare con onore al nostro covo. La tana, il nostro punto d’arrivo, la nostra capanetta come seconda casa.

Spesso la battaglia si concludeva con l’arrivo del proprietario, esasperato, smoccolante epiteti, più volte armato di bastone. Urlante minaccia di informare i nostri genitori. E noi, come i porcelli di Walt Disney nella casetta, immaginavamo che nessuno ci avrebbe potuto prendere, stanare, trovare.

Ansanti, grondanti di sudore e succo di varie verdure ci barricavamo all’interno; poi stremati dalla fuga tentavamo di riprendere un aspetto accettabile per il rientro a casa.

Fu in una di queste occasioni che mi trovai per la prima volta in un forte imbarazzo, data l’età, fu un ricordo indimenticabile.

Pippo mi stava vicino mentre si toglieva la maglietta per pulirla alla meglio, improvvisamente notai il suo torace nudo, l’avevo visto mille volte al mare ma forse quello che più mi colpì era la pelle, abbronzata, liscia, levigata, tesa. Le spalle rivestite da piccoli muscoli guizzanti, il collo tenero e vellutato, la schiena gradevole, ben proporzionata con fianchi stretti e forti, il petto glabro con un accenno d’aureola intorno ai piccoli capezzoli e il ventre piatto imperlato di sudore. Mi turbò ulteriormente l’attaccatura del bacino dove i pantaloncini appena abbassati facevano vedere il candore della pelle non esposta al sole.
Un latte che avrei voluto bere, toccare, baciare. N’ero attratto e allungai distrattamente una mano sfiorandolo su di un fianco, mentre anch’io mi toglievo la maglietta. Ebbi come una scarica elettrica, la pelle d’oca su tutto il corpo e un principio d’erezione, che a quel tempo non sapevo nemmeno cosa fosse se non un fastidio al basso ventre. Filippo nemmeno se n’accorse mentre rivolto agli altri diceva:

– Avete visto quel “buliccio” che casino per due pomodori di merda.

Antonio e Renato addirittura si tolsero i pantaloncini per meglio pulirli e dalle mutandine lise dai continui lavaggi si poteva vedere la loro pelle bianca in contrasto con tutto il resto del loro giovane fisico. Gli inguini delicati, lisci come il marmo. Dolci glutei prominenti uniti alle cosce con curve armoniose. I miei compagni si muovevano normalmente senza accorgersi che quella nudità mi sconvolgeva e m’incantava tanto da farmi venire un dolore fortissimo allo stomaco. Dovetti nascondere sotto la maglietta arrotolata la mia completa erezione. Mi trattenni dal dire quello che provavo e che sentivo perché ero spaventato. Avrei dato l’anima, in quel momento per toccare i loro corpi, avvicinarmeli alla bocca, sentirne l’odore, tutto avrei fatto, ma cosa, non lo sapevo.

Antonio mi era davanti a gambe larghe.
Lo guardavo dall’alto al basso e fissavo quella pelle ambrata ogni tanto segnata da piccoli segni bianchi di cicatrici provocate dal contrasto con rovi e cespugli.
– Sei bianco come una pezza – disse ridendo e si girò verso gli altri – Sarà che si fa troppo pippe – continuò ridendo, e gli altri non risero, perché, a quel tempo, nessuno aveva ben chiaro che cosa fossero le pippe.

Il giorno dopo avevamo deciso di andare a pescare sugli scogli, così, di buon ora, scesi in strada con l’occorrente. Giù c’era solo Antonio, gli altri doveva studiare o fare gli affari loro.

Scendemmo la “crosa” che portava alla spiaggia. Case strette addossate ad una viuzza ancora più angusta. Si sentiva il rumore delle persone nei loro miseri alloggi, c’era chi ascoltava la radio, chi urlava con qualcuno, chi passava l’aspirapolvere e chi, o come Carla, affacciata alla finestra guardava la gente passare.

– Ciao Antò – disse appunto la bambina quando eravamo all’altezza della sua finestra.

Era una compagna di scuola d’Antonio quindi il saluto era d’obbligo. Il ragazzo rispose alzando la testa per accompagnare il saluto ad uno dei suoi candidi sorrisi.

– Andate a pescare ? ‘ disse Carla. Era evidente dato che avevamo la canna, il retino e le esche.

– No a “trifole” ‘ rispose ironico.

– Cosa sono le “trifole” – continuò Carla, che sembrava non volerci mollare.

– Tartufi – risposi cercando di riavviare il passo.

– I miei hanno comperato un gelato, e si chiama appunto tartufo bianco, credo – fece lei.

– Non &egrave la stessa cosa – dissi io sbuffando – ogni modo &egrave sempre buono lo stesso, il tartufo &egrave una specie di fungo carissimo che solo pochi si possono permettere e si magia affettato o in salsa con il riso.

– Quante cose sai, saputello – disse Carla sporgendosi dalla finestra.

– I tuoi sono a lavorare? – domandò Antonio strizzandomi un occhio.

– Si – fece lei con voce squillante – sono sola soletta.

– E perché non esci – feci io.

– Non ne ho voglia, poi ho da mettere a posto la mia camera, prima che tornino i miei.

– Se ti va, possiamo venire a darti una mano – disse Antonio, e senza aspettare la risposta s’infilò nel portone. Io lo imitai, senza entusiasmo.

Sulla porta aperta Carla ci aspettava con indosso una canottiera fucsia e un paio di pantaloncini neri. La canotta l’avevo già vista, ma non avevo notato i due bozzi all’altezza del petto che facevano pressione contro la stoffa.

– Ciao – disse facendosi da parte.

– Ciao – ripeté Antonio – Questo &egrave Claudio – indicandomi.

– Ciao Claudio – fece lei chiudendo la porta.

Antonio si diresse verso quella che doveva essere la camera di Carla, vi entrò e ruzzolando sul letto sfatto, disse: – Che casino che c’hai.

– Dammi una mano a mettere a posto, allora, troglodita – reagì lei, raggiungendolo.

Rimasi in piedi. Ricordo l’odore di quella casa come se fosse qualcosa d’alieno, il puzzo di spazzatura stagnante, pattume abbandonato sotto il lavandino, immondizia costipata in qualche bidone che nessuno svuotava da tempo. Il fetore misto all’afrore di fritto e minestra riscaldata sembrava impregnare ogni cosa.
Rimasi lì in piedi, nel solito imbarazzo dell’ospite trascurato, nessuno mi cagava e come un soprammobile, silenziosamente attesi.
Guardavo i due scherzare fra loro, poi sempre più sul serio iniziarono a toccarsi e a fregarsi l’uno contro l’altra. Carla bambina cresciuta precocemente era un po’ rossa in volto mentre Antonio goffamente cercava di fare l’uomo che non era. L’istinto li guidava ma i loro gesti erano stupidi come di marionette cui avevano tagliato i fili. Carla dopo le insistenze del mio amico si tolse la canottierina e si fece ammirare mettendosi in ginocchio sul letto.

– Minchia che meline – fece Antonio cercando di toccarle il seno appena pronunciato.

– No – fece lei ritraendosi – mi fanno un po’ male.

Allora Antonio si avvicinò con la bocca a quelle piccole ghiandole eburnee e iniziò a leccarle.

– Il mio gelatino – disse passandosi la lingua sulle labbra.

– Il tuo tartufo – rise lei reclinando la testa indietro e mostrando la gola indifesa sulla quale faceva capolino una piccola vena azzurra. Mi avvicinai, come un automa le poggiai le labbra su quel vaso sanguigno pulsante. Lei trasalì.

– Cosa fai? – mi apostrofò guardandomi male.

– Niente – risposi io impacciato. Mi ritrassi.

– Devi inumidirti le labbra prima di baciare una ragazza – fece Antonio sollevandosi da quella specie di seno lucido di saliva.

– Cosa – abbozzai, ritirandomi sempre più verso la porta.

– Dai! Stupido – disse lei con un sorriso, vieni qui. Accompagnò la frase con un gesto della mano che batteva sul letto.

Ero scombussolato, non sentivo più gli arti inferiori né quelli superiori, era tutto un formicolio, mi ronzava anche un po’ la testa ma feci due o tre passi verso di loro andandomi a sedere sul quel pagliericcio sfatto.

Antonio si tolse la maglietta e io lo guardai con la stessa smania del giorno prima, iniziando con una debole erezione, un fastidio, dolore, disagio, gocce di sudore sulla fronte.

– Dai, fammelo vedere – disse lei rivolta al mio amico.

– Ma l’hai già visto, &egrave sempre lo stesso – rispose lui un po’ imbarazzato.

Antonio, era il nostro capo, anche se non si erano mai fatte elezioni in tal senso, era il più alto di noi, più scapestrato, più attaccabrighe, più asino, più tutto. Un modello da emulare, a lui le cose bene o male riuscivano sempre, e, cosa da non trascurabile, si sapeva sempre destreggiare con i ragazzi grandi.
Non aveva genitori che lo assillassero con i compiti, di lui nessuno s’interessava per conservarlo pulito, ordinato, educato e onesto. Si malignava di suo padre recluso nelle patrie galere, per questo lui doveva essere per forza un duro. L’atteggiamento lo aveva sicuramente, ecco il motivo del mio stupore quando lo vidi impacciato di fronte alla richiesta di Carla.

– E tu che fai, lì impalato, il tuo non lo mai visto – disse lei girando il musetto verso di me.

Io, che già mi contorcevo per la mia semi erezione mi avvampai portandomi le mani sul basso ventre a mo’ di protezione.

– Non te lo rubo mica – disse la ragazzina ridendo.

– Dai faglielo vedere – continuò Antonio.

Non avevo scampo, non potevo far vedere che ero imbranato, i grandi affermavano che un uomo va fiero del suo “coso” e lo fa vedere ALLE DONNE con orgoglio, perché &egrave il più bel regalo di madre natura fatto ai maschi. Quindi con mani tremanti slacciai i primi bottoni dei pantaloni e spinsi giù l’elastico delle mutande. Per la tensione mi si era rimpicciolito all’inverosimile e dovetti afferrarlo per la pelle, sulla punta, e portarlo alla vista dei miei due compagni d’avventura.

– Ma togli quei pantaloni, che io non vedo niente – continuò Carla allungando le mani verso i miei fianchi. Il mio imbarazzo era al limite, avrei voluto sfuggire a quella tortura terribile.

– Dai che poi ti fa vedere la sua’ – disse Antonio avvicinandosi nel disperato tentativo di rincuorarmi.

Solo la presenza del mio amico mi trattenne dal fuggire a gambe levate. Era il suo corpo mezzo nudo, l’aroma dell’eccitamento, la padronanza con la quale gestiva l’evento, a me sembrava tutto ingovernabile, la complicità del momento, mi avevano fatto perdere ogni barlume di razionalità. Il cuore mi pulsava all’altezza dello stomaco e le gambe mi tremavano da non stare più in piedi.

Presi con forza il bordo dei pantaloni e con uno scatto secco mi tolsi tutto in un colpo solo. In quel momento mi sembrava di essere come San Sebastiano legato all’albero di fico e trafitto dalle frecce.
Carla si avvicinò con la mano, ed iniziò ad armeggiare sotto il mio ombelico. Sentii il calore delle sue dita ed ebbi una nuova sensazione elettrizzante, rapidamente ritornò un’erezione sempre in crescendo finché non raggiunse il massimo sotto il movimento ritmico della mano di lei. La bambina fattasi vicina emanava un aroma di salame, quell’odore mi impregnò le narici come fosse l’effluvio del peccato.

Antonio mi era accanto e capì dai miei occhi, che provavo sollievo e disse abbracciandomi: – ti fa una pippa, godi amico, godi.

Una scarica elettrica mi sconquassò tutto, mi trattenni, mi costrinsi con le braccia e tremai per lo spavento mentre Carla sorridendo mi pose le sue labbra sulla guancia e mi sussurrò all’orecchio: – E’ la prima sega che ti fanno? -. Mortificato feci cenno di sì, ma non capivo cosa fosse successo finché il bravo Antonio si calò i pantaloni e iniziò a masturbarsi dicendo: – Vedi pisquano, questo &egrave il movimento che fa il cazzo quando &egrave nella fica delle donne per godere deve essere tirato su e giù. Prima viene duro poi gode.

– Per noi ragazze &egrave diverso – fece Carla allungandosi nel letto, arcuando la schiena per togliersi i pantaloncini con annesso slip.

– Noi abbiamo la “patatina” che deve rimanere chiusa finché non ci sposiamo, però qui sopra’

E così dicendo indicò la parte alta di quella ferita che gli si apriva tra le gambe, io non gradivo guardarla perché mi dava un senso di sporco, di molle, di muschio. Ogni modo feci finta di interessarmi, mentre ero attratto dal corpo di Antonio, completamente nudo, vedevo il suo piccolo pene rosa, duro. La sua cappella vermiglia che appariva e scompariva ogni volta che lui muoveva la mano. Dal mio posto vedevo la sua natica destra, bianca, tesa, arrotondata quel giusto che invita ad una carezza.

Carla, per semplice dimostrazione, o perché ne aveva veramente voglia iniziò a toccarsi il clitoride, sempre con un gesto circolare e ritmato. La guardavo, mi piaceva anche il suo corpo, la pelle era anche più dolce di quella del mio amico, mi perveniva la fragranza del suo sesso e mi piaceva. Mi piacque anche baciarla, sfiorarle il seno, carezzarla tra le tenere cosce. Tutto mi piaceva in quel momento, era vera gioia quella che provavo; ero talmente euforico che ottenni un’altra erezione. Nel frattempo Antonio stava godendo; lo capivo perché si dimenava e ansimava:

– Baciamelo – fece dirigendo il suo cazzo verso la bocca di Carla che, anche se eccitata dal suo titillamento scostò prontamente il volto.

Il mio amico ormai lanciato in una disperata spinta contro la bocca di lei, trovò la mia guancia sul suo percorso, e terminò il breve ma intenso orgasmo fregandomi il cazzo sulla faccia. Io non mi ritrassi restai fermo ad assaporare il piacere di quella pelle delicata sul viso. Antò ebbe le sue contrazioni (così le definii) mi afferrò con la mano i capelli. Quella mano tra i capelli, il violento sfregare sulla guancia, quel corpo un po’ sudato così vicino che mi godeva sopra mi eccitò sino al punto che ebbi un orgasmino senza neanche toccarmi.

– Porco – disse la ragazza sollevandosi dal letto ‘ per chi mi hai preso, per tua sorella.

– Un bacino sulla puntina – fece lui sorridendo, mettendosi seduto vicino a me.

– Sei un porco – continuò lei.

– Siamo dei porcelli – dissi io stiracchiandomi a fianco al mio amico.

– Scusa se prima’ – disse Antò rivolto a me.

– Di che’ – feci io – quando scappa, scappa.

Scoppiò una risata che ci trovò tutti e tre abbracciati tra le lenzuola.

Non credo di dire nulla di nuovo affermando che quell’esperienza mi cambiò la vita e di molto. Mi masturbavo con regolarità pensando e fantasticando sempre cose nuove, ma data la mia poca esperienza, il sogno era sempre quello che mi vedeva con Antonio nudo e con lui che mi sovrastava dirigendomi il cazzo contro la faccia, gingillo che avrei baciato, leccato, cosparso della mia saliva, me lo sarei fregato dappertutto lo avrei adorato tanto era bello, l’avrei masturbato per ore per farlo godere sempre, perché un cazzillo così meritava di essere coccolato, idolatrato, consumato d’attenzioni. Amato.

Qualche volta mi compariva davanti anche l’immagine della fessurina di Carla, con il suo bottoncino godereccio, del suo ventre piatto e delle sue gambette nervose. Il seno non raccoglieva i miei entusiasmi, quando ero intento a godere, ma le labbra sì, i capelli, e le mani calde e avvolgenti; a volte, al loro pensiero, gioivo di soddisfazione.

I giorni dell’estate passavano con regolarità, continuavo a vedermi con la banda nella nostra tana, ad andare al mare per nuotare, pescare o semplicemente per oziare sotto il sole. Le scorribande si erano sempre più diradate, anche perché ogni volta che incontravo gli occhi di Antonio sentivo che ormai quelle erano cose da bambini piccoli, io ormai avevo appreso la conoscenza con la C maiuscola, ero un eletto, credevo d’essere l’unico a masturbarmi, che gli altri non sapessero e potessero, poverini, godere come godevo io.
Capitolo due
Quel giorno Antò era andato con i suoi, Renato era a letto con il mal di pancia o che sa dio, Filippo e Angelo dovevano studiare per rimediare le loro risicate sufficienze. Così, dato che mio padre aveva una certa influenza in ambito locale, al cinema ci andavo gratis. Decisi per l’Odeon dove proiettavano un film a cartoni animati.

Attesi, insieme con una frotta di altri bambini, l’apertura del cinema e mi cercai un posto tra le prime file. Molti bambini erano accompagnati dai genitori, pochi, data l’ora in cui la maggior parte delle persone adulte lavorano, quindi tanti erano soli e sghignazzanti.

Si spensero le luci e la proiezione iniziò, Topolino rincorreva Pluto che voleva sotterrare un osso tra i fiori del giardino di Minni e ogni tanto carambolava inciampando tra gli attrezzi nascosti nell’erba. Tutti si rideva di quel bel sano ridere che solo a undici anni si può avere. Per la prima volta notai che Minni portava le mutandine con i ricami; Porky non aveva neanche uno straccio di slip, però non si vedeva a quale sesso appartenesse. Un angelo pensai, i vecchi raccontavano che i cherubini non hanno sesso, quindi me li immaginavo lisci come Porky.
Mi venne di grattarmi una gamba e lo feci senza distogliermi dal film, ma mentre ritraevo la mano scontrai quella del mio vicino: – Scusa – dissi piano voltandomi verso di lui. Lui non rispose ma mi guardò, nel buio della sala vidi una testa rasata con i segni di almeno un paio di cicatrici, un viso di bambino con l’espressione di un vecchio, una polo verde dalla quale uscivano due braccia magre e tutte piene di graffi. Una ‘legera’ pensai.
In certi quartieri della mia città c’erano famiglie disgraziate costrette ad usare i propri figli per piccoli furti, scippi e altre amenità. Sbandati, violenti, non so che altro. Ogni modo quello seduto accanto a me era sicuramente una ‘legera’.
Il film continuava a scorrere sul grande schermo, ed ecco di nuovo quel formicolio alla gamba, istintivamente allungai la mano, ma stavolta incontrai la sua che si ritraeva. Fui pervaso da terror panico, cosa stava facendo la ‘lagera’… Lo guadai di nuovo, e lui mostrò appena i suoi denti, di cui un incisivo spezzato in un angolo, in una specie di sorriso.
Fine primo tempo, le deboli luci si accesero e mi permisero di guardare meglio. Più che fissare lui mi accertai che altri non avessero visto quando mi toccava. Fortunatamente tutti i grandi erano dietro, con i loro figli. Si diceva che stare troppo vicino allo schermo fa male alla vista, quindi in quella fila di poltrone c’eravamo solo noi due. Passò l’uomo dei gelati e mi feci dare un cornetto grande.
Secondo tempo, il refrigerio della crema e il giusto sapore di cioccolato mi rilassarono, quando il tipo mi disse sottovoce:

– E’ buono? – rivolto al gelato.

Feci cenno di sì.

– Me ne dai un po’ – continuò lui avvicinando la bocca al cono. Lo ritrassi – dopo!…

Gli allungai il gelato quando ormai n’era rimasto poco al fondo; in un attimo scomparse tra le fameliche labbra del ragazzo.
Paperino sotto le stelle cercava di segare l’albero di Cip e Ciop, il buio in sala &egrave quasi totale.
Appena un’impercettibile pressione sull’inguine mi fece capire le intenzioni del mio vicino. Non si era accontentato del gelato. Esitai con il cuore che mi batteva forte, un misto di curiosità e paura mi attraversarono la mente, non seppi che fare, oppure sì, ma non volli farlo. Avrei potuto spostarmi di qualche poltrona, andare dietro vicino ad un adulto con prole, ma restai fermo.
La pressione si fece più ardita, le sue mani sbottonano la patta dei miei pantaloni e le sue dita s’intrufolano alla ricerca della mia piccola appendice inguinale. La trovò e iniziò a sfregarla per ottenere l’erezione che non tardò ad arrivare, provò a masturbarmi ma i pantaloni non gli consentono di muoversi bene, allora continuò un massaggio per mantenere il piacere senza però riuscire a farmi godere.
Con l’altra mano prende la mia e se la appoggia in mezzo alle gambe come dire: tocca anche tu. Iniziai a tastare, poi facendomi largo tra l’elastico dei pantaloncini riesco ad afferragli il suo piccolo cazzo duro. Per la prima volta avvolgevo tra le dita quel dolce tenerume vagheggiato nei miei sogni. Senza darmi il tempo di assaporare quell’emozionante momento si libera dicendo:

– Andiamo nei cessi.

I cessi di certi cinema sono veramente orribili, quelli dell’Odeon erano nel seminterrato con un ingresso enorme, tutte piastrelle bianche da ospedale, e i cagatoi piccoli e stretti, con pesanti porte di ferro, nemmeno che dovessero contenere delle casseforti.
Al solo pensiero di sprofondare in quella specie di catacomba moderna mi vennero i brividi; interpretati dal ragazzo come un fremito di piacere e quindi di assenso. Con un sorriso di complicità si alzò.

Dopo pochi minuti lo seguii nel cesso scendendo le scale con passi che rimbombavano come stessi oltrepassando l’antro dell’inferno. Spostai una tenda di pesante velluto vermiglio e lungo il corridoio entrai nel bagno degli uomini. Lui era già dentro ad un cesso che si masturbava.

– Dai che godo – mi fece – prendilo in bocca.

Non l’avevo mai fatto però mi attirava terribilmente quella piccola ma virulenta protuberanza muscolosa. Poteva essere un lecca lecca, un ciupa ciupa, e come quando si mette in bocca un grissino, aprii la bocca e la serrai sul suo cazzo.

– Hai! – fece lui – non con i denti! Cretino, succhialo con le labbra e la lingua.
Obbedii, anche se un gusto salato mi arrivava in gola ripugnandomi un po’, egli cominciò a muoversi avanti e indietro afferrandomi la testa con le mani. Ciò mi eccitò; avevo ancora il piacevole ricordo d’Antò, la sua accarezza tra i capelli dopo aver goduto sulla mia guancia.

In ginocchio su due pezzi di carta igienica iniziai a masturbarmi mentre l’amico mi godeva in bocca. Appena ebbe finito si rivolse al mio cazzo che leccò, succhiò, spompinò con maestria tanto da farmi godere con spasmi e contrazioni bellissime. Fummo interrotti da un tipo che venne a pisciare ma se n’andò subito senza vederci.

– Mi chiamo Marco – fece lui sottovoce.

– Ciao Marco – risposi io cercando di ricompormi.

– Ti &egrave piaciuto? – continuò lui sedendosi sulla tazza del water con i pantaloni abbassati.

– Si – risposi deciso, afferrando la maniglia della porta del bagno.

– Aspetta – fece lui – se vuoi provare qualcosa di nuovo e da uomo, possiamo parlarne.

– Non qui, se viene qualcuno chissà cosa pensa.

– OK, torniamo in sala.

– No andiamo sulla spiaggia – conclusi.

Dietro al cinema c’era il club della vela con una piccola spiaggia riservata all’alaggio delle barche. Entrammo scavalcando la recinzione, tra le barche in rimessa, ci sedemmo sulla sabbia fresca e un po’ umida di una giornata di fine estate.

– Per godere bene ci vuole altro – fece lui dandosi arie da grand’intenditore.

– A me piace anche così – risposi io.

– Mio fratello mi ha detto che si gode di più con le donne.

– Non &egrave vero – risposi io.

– E che ne sai tu. Se già stato con una femmina’

– Lo so, lo so.

– Tra uomini si gode anche con il culo.

– Il culo – feci io.

– Si i ‘bulicci’ se lo piantano nel culo.

– Ma io non sono un ‘buliccio’.

– Con me hai goduto’ anche se non te l’ho messo nel culo.

– &egrave un’altra cosa – risposi.

– Mi hai fatto una pompa.

– Per me era un modo per farti piacere.

– Mi hai fatto una pompa.

– Anche tu – ribattei.

– Io non ho detto, che non sono un ‘buliccio’.

– Sei un ‘buliccio’? – domandai.

– No, scemo. Io vado con le femmine.

– E allora perché sei venuto con me.

– Facevi un buon profumo di borotalco, pulito, tenero, nella penombra del cinema le tue labbra sembravano quelle di Michela.

– Chi &egrave Michela.

– Una che mi fa veramente godere.

– Più di me.

– Tu sei bravo, mi attizzi, però lei si fa far di tutto.

– Balle – lo stuzzicai.

– Domani, nella villa, a quest’ora e vedrai se sono balle – concluse alzandosi e scappando via.

– Dove, nella villa – urlai.

– Dal leone.

La ‘villa’, pseudonimo del parco pubblico, aveva due Palazzi antichi, uno: la scuola elementare e l’altro la biblioteca civica, poi tra una miriade di strade e sentieri c’era la casa da t&egrave, il monastero, una chiesetta, un arco di trionfo e altre amenità. Conoscevo la zona come le mie tasche, era meta di terribili battaglie a colpi di cerbottana contro i ragazzi di San Vittorio, quartiere dove vivano i figli degli operai del cantiere navale. ‘Dal leone’, uno spiazzo segnato da aiuole tracciate ma mai coltivate, dove lungo la circonferenza c’era una finta caverna dalla quale, nei tempi migliori, sporgeva la statua di un ruggente leone. Oggi restavano le zampe tutte sbrecciate e lo scheletro di ferro che reggeva la terraglia.

Ero lì da cinque minuti, non passava un cane, la zona era abbastanza isolata, coperta da una folta vegetazione. Nei primi giorni estivi dava frescura ma d’autunno offriva solo un senso di malinconia.

Ad un tratto sbuca Marco con fare furtivo mi fa cenno di raggiungerlo. Mi precipito con la curiosità e quel patema avvertibili solo allora. Sensazioni capaci di farmi scoppiare il cuore d’emozionante gioia di vivere.

– Ciao – fece lui indicandomi un passaggio tra la siepe di bossi.

– Ciao – risposi sgambettando oltre l’aiuola.

Camminammo in silenzio per due o trecento metri, infrattandoci sempre più nella selva di corbezzoli, frassini e lecci. Il rovo nasceva spontaneo, prepotente, pronto con le sue spine a lacerarci la pelle. A circa cento metri da una casa di guardiani ci fermammo. Marco mi fece cenno di nascondermi tra i cespugli e iniziò a latrare fingendo un verso di un improbabile cane; dopo pochi secondi, dalla casa esce una figura di donna e punta verso di noi.

Con le dita della mano unite, chiuse in segno di: che cazzo fai, la ragazza gesticolava all’indirizzo di Marco.
Michela attraversò la radura, si sottrasse allo sguardo dei suoi, raggiungendoci. Era grande, avrà avuto più di quindi anni, forse frequentava gli ultimi anni delle medie però a me sembrava vecchia. La cosa mi mise subito in imbarazzo però rimasi lì accucciato e con gli occhi fissi su di lei.

– Ce l’hai il grano ‘ disse sottovoce rivolta a Marco.

– Ce l’ha lui.

Sentendomi chiamato in causa quasi urlai.

– Chi io’

– Zitto, e caccia le mille.

– Chi ha detto’ ‘ continuai, ma poi riflettendo’oggi avrei dovuto pagare la mia prima marchetta. Era normale.

– Ok ‘ feci tirando dalla tasta una banconota.

La ragazza l’acchiappò al volo, con un gesto da prestigiatore la fece sparire chissà dove. Con la stessa abilità si diresse verso di me iniziando a strofinarmi tra le gambe. Marco gli si mise dietro e le sollevò la sottana.

– Stai fermo che ho le mie cose ‘ disse lei spingendolo via.

Le sue cose… pensai chissà di che cose parla.

Intanto, armeggiando era riuscita a slacciarmi i bottoni dei pantaloni e aveva infilato la mano alla ricerca del mio cazzettino tutto rintanato e spaventato da quella specie d’aggressione manuale. Lo tirò fuori masturbarlo, ma siccome non ne voleva sapere di rizzarsi si avvicinò con la bocca e provò a leccarlo di mala grazia.

– Non vale ‘ disse Marco ‘ Io voglio vedere toccare e ficcare.

– Va a fan culo! ‘ rispose lei senza togliersi il mio coso dalla bocca.

Iniziavo a provare un certo piacere al contatto con quella bocca, e il su e giù mi diede una lenta, ma completa, erezione, dopo poco quella miscela di manipolazioni e sbocconcellamenti si trasformò in un orgasmino semitragico.

– Ridagli i soldi ‘ disse Marco brandendo un bastone di un ramo secco.

– Ha goduto, che cazzo vuoi ‘ rispose lei.

– Devi fargli vedere la fica e tutto il resto com’eravamo d’accordo.

– Non posso, ho le mie cose.

– Non m’interessa, gli affari sono affari.

– Va bene, se non ti fa schifo, guarda pure ‘ concluse lei sollevandosi la gonna e tirandosi giù le mutandine.

Amici miei lo spettacolo che videro i miei occhi, non lo auguro neanche ad un cane, Marco continuò a guardare mentre io girai la testa disgustato.

– Beh! Hai il ‘marchese’, che mi frega ‘ disse il ragazzo.

– Se non ti frega a te figurati a me ‘ rispose lei.

– Voglio vedere che ti ficchi dentro qualcosa.

– Sei matto! Non mi va.

– Lasciamo perdere ‘ interruppi io.

– Ma hai pagato coglione ‘ mi apostrofò Marco.

– Non importa ‘ risposi ‘ Andiamocene.

– Per questa volta ti &egrave andata bene ‘ fece Marco minaccioso.

– Sarà per un’altra volta ‘ conclusi io, avviandomi da dove eravamo venuti.

La ragazza mi rimase in mente, quindi mi parve normale andarla a visitare altre volte. Queste visite furono molto istruttive per la mia vita sessuale attuale e futura.
Capitolo tre
La scuola, benedetta istituzione, arrivò come ogni anno.
La definivano dell’obbligo ma per me era una vera e propria tirannia.
Quest’anno, però avevo un bagaglio d’esperienze extra scolastiche invidiabili. Guardavo tutti dall’alto in basso, solo Antonio era da me considerato alla pari, gli altri mi parevano piccole prede da cacciare, giovani corpi da ispezionare, innocenti intelletti da pervertire, corpi candidi da far godere.
Sicuramente mi sbagliavo, però n’ero convinto, e con l’arroganza di chi la sa più lunga degli altri affrontavo i compagni di scuola come se fossero degli emeriti imbecilli.

Finché un giorno Renato mi confidò un segreto. In quel momento capii di non essere l’unico a detenere tutto il ‘Sapere del sesso’.
Un certo Nicolino era ‘buliccio’.

– Come fai a saperlo ? ‘ domandai subito interessato.

– Lo sanno tutti, anche se &egrave un segreto.

– Io non lo sapevo ‘ continuai, trascinando l’amico in un posto tranquillo.

Trovai logico portarlo verso la nostra casetta ma Renato si fermava ogni momento per parlare.

– Non lo sapevi, perché non abita nel nostro quartiere, Antonio però lo conosce bene.

– Come, lo conosce bene.

– Dice di avergli fatto il culo.

– Il culo! ‘ esclamai.

– Certo, per poca pecunia si fa inculare.

– Un altro marchettaro ‘ conclusi io.

– Perché ne conosci degli altri ‘ disse Renato guardandomi strano.

Accidenti ero caduto in un intrigo.

– Ne ho sentito parlare di ‘legere’ che per qualche soldo fanno cose strane.

– Solo sentito parlare… ‘ fece Renato con ironia.

– Sono affari miei ‘ continuai io con la solita boria.

La giornata autunnale era ancora calda, anche se le ore di luce si riducevano giorno dopo giorno. Dopo aver lasciato di malo modo Renato, andai al ‘campetto’ per vedere se c’era Antonio. Lui amante di calcio giocato e parlato, Antò era sempre pronto ad una sfida nel nostro finto campo di calcetto. Era un’area adibita a deposito di materiale edile nel quale avevamo trovato lo spazio per inserirvi due porte, ricavate da delle assi da costruzione. Nel mezzo delle quali circa cento metri quadrati di superficie terrosa piana e sgombra da ogni cosa troneggiava Antonio con altri ragazzi, però non giocava a pallone anche se la sfera bianca e nera spuntava sotto il suo piede sinistro.

Mi avvicinai al gruppetto inserendomi vicino al mio amico.

– Vi dico che &egrave vero ‘ diceva con convinzione un bambinetto di circa dieci anni.

– Lo so, lo so ‘ rispondeva Antonio ‘ ci sono stato martedì pomeriggio e vi dico che &egrave vero.

– A dove lo fa ‘ proseguì un altro.

– Da sua nonna. I vecchi lavorano e in casa c’&egrave sua sorella grande che lo spedisce tutti i giorni da sua nonna – continuava Antò accentrando su di lui tutta l’attenzione.

– Come da sua nonna.

– Nel giardino di casa c’&egrave quella specie di gazebo, lì dentro.

Oramai avevo capito di chi parlavano, sorprendente era la facilità con cui ne parlavano, sembrava quasi una notizia da telegiornale, alla quale tutti dovevano essere edotti. Il povero Nicolino ormai era stato messo alla berlina e i suoi ‘clienti’ non se ne vergognavano, anzi si vantavano di un rapporto ‘contronatura’, come dicevano i ben pensanti, facendone pubblicità.

– C’&egrave una vecchia poltrona di vimini con dei cuscini altrettanto vecchi ‘ continuò Antò ‘ lui si mette a novanta gradi sul seggio e io da dietro mi sputo sul cazzo e glielo butto su’

Ebbi un attimo di disinteresse dal proseguo del racconto per immaginare il ragazzo, con i pantaloni calati e il suo culetto bianco in bella vista, quasi proteso verso l’ariete di Antonio. La saliva sulla punta, per agevolarne la penetrazione, era un gesto di disprezzo verso il ‘buliccio’ che carponi si stava sottomettendo per dar piacere, senza riceverne. Da quanto ne sapevo la penetrazione da dietro &egrave dolorosa. Quindi concepivo con la fantasia il viso di un ragazzino provato dal bruciore dello strofinio del cazzo all’interno dell’ano. Un’espressione di dolore, una smorfia di patimento che fa arrossire il volto, gonfiare le vene del collo mentre le mani brandivano i cuscini per sopportare il male. Sotto i colpi ben assestati di Antò, le natiche emettono un ritmo sonoro come di sculacciate, mentre il taglio tra le natiche si dilata per effetto della penetrazione.

A questo pensiero fremetti di piacere e rischiai di farmene accorgere dal capannello di ragazzi. Fortunatamente troppo intenti ai dettagli del racconto di Antò, per notare il mio impiccio e successivo furtivo allontanamento.

Mi diressi alla casetta con il cuore che mi batteva in gola, cercavo un rifugio per scaricare il mio imbarazzo, sentivo di essere terribilmente attratto dal mio stesso sesso, ma nel frattempo temevo di fare la fine di Nicolino, il quale stava diventando lo zimbello del quartiere e presto lo avrebbero saputo anche i suoi con le conseguenze che ne derivano.
Al solo pensiero che mio padre avesse saputo quello che mi era capitato in questi ultimi mesi mi faceva morire di paura, se poi gli fosse arrivata la voce di un mio probabile ‘imbuliccimento’ sarei sicuramente morto dalla vergogna.

Il silenzio all’interno del nostro covo era interrotto dal rumore delle auto sull’autostrada, mi sedetti ansante nell’angolino più remoto, con la schiena appoggiata alla parete, rimasi un tempo indeterminato a fissare nel vuoto, poi mi ritornò alla mente il racconto di Antò e come un automa mi abbassai i calzoni e iniziai a masturbarmi, ma mentre lo facevo sentivo la curiosità di provare a dilatarmi lo sfintere, per provare, se era vero che faceva male. Subito mi guardai in giro per vedere se c’era qualcosa di appropriato all’uso, e non vedendo niente, m’ispezionai con le dita, cercando di fare una lieve pressione con l’indice della mano destra. La mia cedevole carne resistette un poco poi riuscii a farmi strada per una falange, non di più. Mi ricordai l’uso della saliva per agevolare la penetrazione, estrassi il dito quel poco e me lo umettai bene facendomelo passare più volte in bocca. Aveva uno strano gusto, quel movimento tra le labbra e la lingua mi dette un brivido di piacere, mentre la mia mano sinistra continuava il su e giù. L’indice s’incuneò bene tra le natiche e con un leggero movimento dei fianchi me lo spinsi bene dentro. In quell’attimo godetti meravigliosamente bene, sentendo le contrazione del mio sfintere intorno al dito, assaporai il piacere come non mai prima di allora. Dal mio cazzo fuoriuscì anche un po’ di umore, stimai l’evento come il risultato dell’intenso gusto con cui avevo goduto.

Conclusi affermando che non &egrave per niente vero che la penetrazione da dietro &egrave dolorosa, poi riflettendo pensai al cazzo di Antonio o a quello di Marco e mi persuasi, i loro attributi era più grossi del mio dito, forse aumentando la dilazione e lo sfregamento si sarebbe sentito bruciore.

Cedere o non cedere a quest’impulso, al mero godimento, in generale, &egrave il potere della libertà. Ogni soddisfazione dell’impulso, nella misura in cui avviene con conoscenza, produce necessariamente autodeterminazione; il corpo &egrave fatto in modo che sia possibile, per suo tramite operare in libertà.
La libertà che caratterizza la condotta umana non &egrave qualcosa che, nell’essere umano si aggiunge alla sua base animale, ma qualcosa che fin dall’origine differenzia l’uomo dall’animale. Io, con il mio comportamento da un lato mi sentivo prostrato, perché’ pensavo di non essere normale, di aver preso la strada sbagliata, verso una dualità di rapporti insani, ma, dall’altra riconoscevo naturale quest’istinto verso tutto ciò che mi era stato precluso, e la sua scoperta mi creava ogni giorno nuove soddisfazioni, nuove risposte alle mie tante domande, nuove cognizioni arricchivano il mio lacunoso bagaglio d’esperienze. Quell’accapponare di pelle mi conquistava, ogni volta che affrontavo una situazione mai sperimentata, era naturale, non potevo crearmela da solo, così il sentire piacere quando una mano mi sfiora il cazzo, indipendentemente che sia la mia, quella di Michela o quella di Marco, era istintivo. Ogni ragazzo sano, sollecitato nelle parti intime non guarda certo il sesso del partner per raggiungere il piacere, dal mio modo di vedere questa era la mia credenza, e ancor più l’avvalorai dopo quel giorno di fine Ottobre, dove con il mio cartoccio di castagne mi infilai al cinema tra sferzate di vento o pioggia fine e pungente.

Le quattro del pomeriggio, un film western con l’intramontabile Jhon Waine. La sala semi deserta, in galleria qualche coppietta a “ruscare”, in platea solo pochi individui perdigiorno. Mi siedo lungo la stessa fila di questi fannulloni disoccupati incapaci di trovarsi anche un misero lavoro. Guardai verso di loro, e quando gli occhi si abituarono al buio, vidi anche delle teste bianche, pensionati o vecchi vagabondi capitati li nell’attesa di un miglioramento del tempo. Non dovetti aspettare molto, un uomo si alzò e con la scusa di vedere meglio lo schermo, si sedette vicino a me, prima con cautela poi con più ardire iniziò a toccarmi tra le gambe, io lo lasciavo fare, infilò la mano nei pantaloni e arrivò al mio cazzo nudo, il contatto con quella mano e al movimento che essa imponeva al mio attaccabile virgulto mi faceva piacere. L’uomo teneva, con la sua grossa mano, il mio cazzetto all’interno dei pantalocini, e questo l’avevo già sperimentato, rimane difficile una masturbazione come si deve, il mio muscolo ebbe un impulso, quindi l’uomo lo afferrò con sole tre dita e iniziò il menaggio. Godevo e mi sprofondavo nella poltrona, per non essere visto, poi anche il fatto di essere osservato passò in secondo piano, mi feci più ardito e iniziai a toccare tra le gambe dell’uomo, lui agevolò immediatamente quello strofinamento slacciandosi la patta dei pantaloni, infilai la mano e sotto le mutande mi bloccai, sentendo sulla base dell’enorme cazzo, un cespuglio di peli. Quell’uomo era anormale o aveva qualche malattia, pensai. Però stavo proprio godendo bene e l’incoscienza della giovane età mi fece andare avanti.

Molti bambini sanno che intorno al sesso degli adulti cresce il pelo, perché’ hanno una sorella o un fratello grandi, oppure hanno qualche volta visto i genitori nudi. Io mai, nella mia famiglia non c’erano altri eredi e i miei non si erano mai fatti vedere, al massimo in mutande, ma nudi mai.

L’uomo ansava un poco mentre la mia mano fredda e tremante iniziava a percorrere la sua grossa asta di turgida carne. L’afferrai a tutto palmo, altrettanto sporgeva oltre le mie dita, lo masturbai come potevo, penso che solo quel contatto appagasse di piacere l’uomo. La mia accondiscendenza l’aveva riempito di soddisfazione godereccia, con scossoni trattenuti, ad un tratto mi trovai le mani appiccicaticce di un liquido caldo. Ritrassi subito la mano e preoccupato la esaminai come potevo. Non era sangue, puzzava di borracina secca, lattice viscoso, me lo avvicinai al viso per meglio ispezionarla, l’uomo velocemente mi asciugò la mano facendo – zitto – con il dito messo perpendicolare sulla punta del naso. Oramai il mio cazzettino si era ammosciato e quindi con l’egoismo abituale di certi adulti, l’uomo si alzò e se ne uscì senza dire una parola. Dopo un po’ anch’io me ne andai. Al primo rubinetto pubblico mi lavai ripetutamente le mani.

A casa, in bagno, terminai quello che l’uomo del cinema non aveva fatto. Pensai: il pelo da me sfiorato era lo stesso visto, tutto appiccicato di sangue nero e umori vari, il giorno della scoperta delle “mie cose” di Michela. Ma certo quel grumo di secrezioni dalle quali ricevetti solo disgusto e un principio di conato di vomito non era altro che pelo sporco, costretto dal pannolino ad assumere una strana forma, come di macchia sulla pelle. Così, conclusi, quando si cresce oltre ad emettere dello strano liquido, che non &egrave piscio, ma &egrave più denso e glutinoso, crescono i peli alla base del cazzo e sul ventre.

Considerazioni, scoperte, analisi, per mezzo delle quali ogni giorno sviluppavo le mie conoscenze sul sesso, ero un autodidatta con una forte propensione verso l’apprendimento. In quel periodo non c’era argomento che mi interessasse di più, a scuola andavo male, i miei rapporti con gli amici erano freddi e spesso litigiosi, i miei vecchi li vedevo con occhi diversi, come un fastidio quando erano presenti, con il loro finto perbenismo, sembrava che facessero di tutto per annoiarmi e irritarmi ripetendomi sempre le stesse cose.

La mia vita era spesso fuori di casa, appena possibile uscivo in strada e gironzolavo nei posti più imprevedibili alla ricerca d’isolamento, forse per nascondermi, ma da chi da che cosa?.

Masturbandomi avevo notato che la quantità d’umore che fuoriusciva aumentava sempre più, prima erano solo un paio di gocce sulla cappella di un liquido trasparente come l’acqua. Alla fine dell’autunno dovevo asciugarmi con il fazzoletto o con la carta igienica secondo le disponibilità. Nel culetto ero riuscito ad infilare due dita senza sentire alcun tipo di dolore, anzi avevo trovato più gusto, perché’ il piacere veniva dalla dilazione dello sfintere più che dalla presenza delle dita al suo interno. Era questo che pensavo e quindi quando mi eccitavo andavo alla ricerca di qualcosa che mi dilatasse il “mille righe” in modo da avere sempre un orgasmo più intenso e completo.

Scoprii che la bottiglietta della Coca Cola non serve solo a contenere la gustosa bevanda, ma una volta svuotata e ben umettata poteva essere un ottimo strumento di piacere se lo sfintere &egrave pronto a riceverla.

Quando non c’erano i miei vecchi in casa, andavo nello sgabuzzino, prendevo una bottiglia vuota, le ungevo bene l’imboccatura e il collo d’olio da cucina, poi mi lubrificavo dentro il più possibile quindi iniziavo a masturbarmi pensando al corpo nudo di Antonio o al cazzo peloso dell’uomo del cinema o al gusto dell’imberbe ‘pisellino’ di Marco. Quando iniziavo a godere mi dirigevo la bottiglia tra le natiche, in piedi, prono in avanti, iniziavo a penetrarmi, prima piano poi sempre più con veemenza fino a raggiungere liberatorie scariche di piacere, flettendo le ginocchia in un raptus di libidine violenta.
Estrarre la bottiglietta, a volte era doloroso, però il godimento raggiunto ne valeva la pena. Queste masturbazioni, spesso, mi riducevano l’ano dolorante, ma anche quel dolore era piacere perché’ concludeva un godimento necessario al mio giovane corpo.

Quell’allenamento del muscolo mi permetteva degli ampliamenti anali veramente capaci, notai restringersi dopo pochi giorni di interruzione.
Capitolo quattro
Certi pomeriggi andavo a trovare Michela, improvvisata maestra nel rendermi conscio sulla normalità della presenza di pelo sul sesso, i suoi toccamenti mi rincuoravano della mia ‘normalità’, non stavo diventano “buliccio”. Anche se a pagamento, avevo rapporti con una femmina sempre ben disposta a provare tutto quello che l’istinto ci diceva di fare.

La penetrazione vera e propria, non era tra i nostri trastulli, però surrogati di tutti i tipi quello sì. Lei se lo faceva mettere nel culetto e su mia richiesta, si penetrava con oggetti vari, però non voleva ricevere il mio cazzo davanti, dicendo di voler evitare il rischio di rimanere incinta.

Di quei rapporti mercenari, mi entusiasmava l’incutere timore, nella ragazza, di una fecondazione. Ne traevo piacere non annoverandomi nella schiera dei ‘bulicci’. E questo mi faceva star bene.

Il ritorno, più o meno, allo stato originale del mio sfintere, invece, mi procurava una sensazione di privazione di quel piacere celebrare provato al pensiero di essere penetrato da un vero cazzo. Preoccupato del fatto di avere sempre il passaggio tra le mie natiche pronto al mio ipotetico amante. Volevo farmi trovare capace di offrirgli alcuna resistenza, anzi della cedevole tenera carne dentro la quale godere senza impedimenti di sorta.
Questo pensiero era motivo di frequenti masturbazioni e la angoscia di non poter soddisfare il mio sodomita mi rendeva inquieto. Escogitai, perciò, un sistema per essere sempre pronto ad un’irruzione del sospirato attributo maschile, con relativo sfintere tenero e pastoso al punto giusto, capace di accogliere l’oggetto del mio desiderio, senza forzature ma con gusto del partner al quale mi sarei assoggettato come uno schiavo.

Il procedimento era semplice, avrei dovuto tenere in permanenza, escluso le naturali funzioni fisiologiche, un oggetto tale da dilatarmi mantenendo la giusta ampiezza sino al momento fatidico. Con pochi attrezzi conservati nella rimessa diedi forma ad un cono con la base di circa quattro centimetri di diametro, lungo sei,sette e ulteriori due con una circonferenza maggiore.

Quell’aggeggio mi pareva giusto al caso mio, lo levigai con cura finché non venne liscio come il vetro, dandomi da fare per non procurarmi dolore lo spalmai di vaselina filante, me lo spinsi dentro mentre mi aiutavo con una masturbazione incontenibile. La prima parte entrò tutta tirandomi il muscolo oltre ogni sopportazione, mentre la seconda si fermò tra le natiche dove trovò un giusto alloggiamento. Nel rincalzarmi mutante e pantaloni provai a muovermi flettendomi verso il basso e roteando il bacino per accertarmi che la cosa non fuoriuscisse. Al primo tentativo uscì, ma dopo un’accurata pulizia dal grasso di vaselina lo installai definitivamente.

Con quella specie di tozzo cazzo tra le natiche mi misi a camminare per la rimessa deserta, poi andai a casa e nel breve percorso all’aperto, con quel coso che mi scuoteva le budella era un piacere senza confronti. Uscii per strada, temerario, pensando che nessuno sapeva del mio segreto, mentre io ad ogni passo gustavo quel gonfiore tra le natiche e trattenevo a forza una prorompente erezione.

Guardavo le persone passare e vedendo i loro visi normali, indaffarati, vacui, mentre il mio leggermente purpureo era la maschera di un profondo godimento ancor più bello perché’ palesato, segreto e libero.

Seduto nel banco di scuola, poi, era bellissimo, tutto il mio peso gravava sulle natiche e premeva con forza l’oggetto da me costruito contro le pareti del culo.

Fui buttato fuori di classe perché ostentavo un’erezione di fronte alla Prof. Lei non capiva, ma aveva visto sotto il banco la stoffa tirata dei miei pantaloni, urlando sentenziò:

– Fuori, vatti a lavare sotto l’acqua fredda.

Terrorizzato che la cosa si sapesse a casa mi alzai, porgendo la schiena alla scolaresca, mogio, mogio lasciai l’aula.

L’accaduto non ebbe nessun seguito spiacevole, se non quello che quando andavo a scuola dovevo togliermi il ‘coso’ e nasconderlo bene nello zaino.

– Perché’ la Prof. ti ha buttato fuori – mi disse il mio compagno di banco durante l’intervallo.

– Mi era venuto duro – risposi ingenuamente – mi faceva vedere le mutandine dalla cattedra e così mi &egrave venuto duro ‘ mentii.

– Ma non dire stronzate, quel cesso ti a fatto rizzar l’uccello ‘ continuò.

– Sempre femmina &egrave’

– Un cesso, un water closet, un rumenta di femmina incazzosa e tu ci godi a vedergli le cosce. Depravato.

– Non sono mica un “buliccio” come te – sentenziai.

– Certo che piuttosto di farmi toccare dalla Prof. mi faccio una pippa o mi faccio fare’un culo così.

– Addirittura – feci io sorridendo.

– Senza ombra di dubbio – continuò facendo un ampio gesto con la mano come dire ‘preciso’.
Capitolo cinque
Iniziò a crescermi qualche pelo sul viso e dei riccioli sul pube, ero entusiasta, stavo diventando uomo, maschio forse sì. Dopo lo studio, da qualche giorno avevo iniziato a frequentare un Bar vicino a casa, più come sede per gli appuntamenti con i miei amici che non come ritrovo per giochi insulsi di carte o biliardo. Qualche semifreddo o stecca di cioccolata era l’unica mia consumazione durante l’attesa. Evitavo di entrare nel locale, quando non avevo da aspettare qualcuno. L’osteria era sporca e frequentata da laidi avvinazzati. Quel popolo zozza, catechizzato dal Prof. d’italiano tra i personaggi di E.Zola, frequentatori di cantine e locali di second’ordine.

Il caldo appena sopportabile di quel pomeriggio oramai primaverile mi trovava pensieroso, tra fantasie e realtà concludevo quest’anno di scuola superiore. Traendone un riepilogo potevo dire: i miei voti avevano ripreso quota, speravo di superare la prima sessione degli scrutini senza troppa fatica, e per me non era poco.

Nelle storielle raccontate durante i mesi invernali c’era la fola di due ragazzi del quartiere giù alla marina. Figli di pescatori, povera gente. I quali presi da un raptus di auto erotismo si erano masturbati usando foglie di ortica. Avendo costatato in precedenza che l’ortica stimolava l’afflusso di sangue nelle dita, e il pizzicore se non esasperato da uno strano senso di formicolio, i due, prima, con cautela avevano ottenuto una rapida erezione, poi presi dalla frenesia si erano ridotti al punto di dover ricorre alle cure mediche del pronto soccorso.

Incredibile ma possibile conoscendo i due tomi come elementi disposti a qualsiasi perversione pur di raggiungere il loro scopo, non ci stupimmo più di tanto.

Sghignazzammo come dannati, al pensiero dei loro cazzi gonfi e infuocati, forse anche sanguinati ma sicuramente ustionati dalla pianta. Era la barzelletta del momento.

In quanti modi la mente può interpretare il sesso, la scoperta del quale &egrave sempre legata ad esperienze diverse e personalizzate. Sono pochi quei fortunati che trovano la strada spianta grazie a genitori evoluti o a situazioni particolari, un esempio era il povero Nicolino, il quale avendo frequentato un collegio dai frati, quando ne era uscito aveva scoperto un sesso brutale, sporco, bestiale. Aveva obbedito a tutti come era stato abituato dai monaci, sottostare alle loro imposizioni, giuste o sbagliate che fossero, quindi al primo rimescolio caratteristico dei ‘risvegli ormonali’ s’era confuso nel distinguere i maschi e femmine, si era trovato a porgere le natiche anziché il cazzo e l’aveva fatto con tale esteriorità da diventare il “buliccio” di turno.

&egrave scientificamente accertato: ‘l’ambiente giovanile bolla i suoi stessi simili, l’handicappato, il negro, lo scemo, il “buliccio”. Persone provate da problemi fisici, psicologici, di integrazione o intangibili dove i ragazzi della mia età non concepiranno mai una loro comprensione.
Il barcollare dell’ubriacone non &egrave un alcolista bisognoso di terapia, ma un fantoccio al quale tirare le palle di fango o cospargerli la strada d’ostacoli in modo da vederlo cadere e ridere, ridere delle sue tribolazioni.

Nei sottopassaggi, d’inverno, trovano rifugio i reietti della società, noi aspettavamo che si addormentassero per andargli a pisciare sopra. La cattiveria non &egrave tale perché’ &egrave sotto il confine della goliardia o addirittura dell’obbligo, poiché il ragazzo escluso da certi riti dal suo “clan” &egrave tagliato fuori, espulso da ogni azione stabilita dai suoi amici compreso gioco o la solidarietà scolastica, che vuol dire “passami il compito d’inglese”, oppure “difendimi dai più grandi”. Senza dubbio il proverbio: l’unione fa la forza non &egrave tanto indovinato quanto nella vita di un giovane al quale, come in molti casi avviene, manca del sostegno dei suoi vecchi.

Nel nostro clan erano accettati altri adepti, però l’oligarchia originaria era sempre quella a decidere il da farsi. Uno rimaneva oligarca finché si dimostrava all’altezza delle situazioni, doveva quotidianamente superare degli esami nell’uscire vincente dalle situazioni di vita.
Ogni ragazzo del clan compensava le carenze dell’altro purché’ avesse un contributo da dare al gruppo. Questi scambi di “attenzioni” tra noi erano automatici, nessuno doveva chiedere qualcosa a nessuno, se Renato bravo d’inglese, svolgeva prima il compito della mia fila, me lo passava, poi faceva il suo con il rischio di non finirlo per tempo. Ed io, quando mio padre mi dava dei biglietti omaggio per le partite di calcio di serie A, li portavo ad Antonio e così via, la “famiglia” aveva il suo tornaconto.

Questo patto solidale lo ruppero solo le femmine. Insinuatesi, sui diciotto, diciannove anni, nella vita di Antò e di Filippo facendoci infrangere il cerchio nel quale si racchiudeva la nostra oligarchia.

Era la solita calda estate quando al mare, Antonio mi presentò la sua ragazza. Sapevo di un ‘filarino’ con una certa Deborah con l’acca. Però non immaginavo un legame fisso, tanto esclusivo da far abdicare il nostro “capo”. La ragazzina era veramente carina, con i capelli all’ultima moda e il costume da bagno alla Brigitte Bardot, un due pezzi che però copriva abbastanza il suo giovane e aggraziato corpicino. Forse anch’io un domani avrei avuto una ragazza tutta per me, ma solo al pensiero di dovere rinunciare a un buon cinquanta per cento della mia libertà, mi metteva nella condizione di abbandonare l’idea immediatamente.

Al lido dove passavo buona parte del giorno, c’era sempre fermento d’arrivi e partenze, nuove facce contro le vecchie che ritornavano ai loro paesi d’origine. Smargiassi e timidi, brutti e belli, vecchi e giovani, ricchi e poveri una vera babele di carne al sole. Tra questi personaggi c’era un attore di teatro, non famoso, ma divertentissimo. Omosessuale dichiarato, era tra i ricchi della spiaggia perché’ oltre al suo lavoro vantava le proprietà su diversi immobili lasciatigli in eredità dal padre, morto di crepacuore per il dispiacere di avere un figlio “checca”. Ermes Bey, il suo nome d’arte, era un individuo sui 35, 40 anni dall’aspetto molto ben curato, giovanile e con una proprietà di linguaggio affascinante.
Lo avvicinai la prima volta mentre prendevamo un bagno. Com’era solito fare, scherzava con i bagnanti la cui carnagione manifestava la loro scarsa condizione sociale. Quei tipi con addome bianco e braccia scure, il bicolore caratteristico di chi lavora all’esterno con la canotta. Alcuni omaccioni panzuti sembrava avessero la negativa sul corpo. A quelli e alle loro consorti Ermes Bey dirigeva i suoi lazzi, sempre divertenti e mai oltraggiosi, si destreggiava tra rudi cavatori e dotti impiegati come un serpente tra le canne. Destava in me un gran magnetismo, e come un pezzo di ferro, quel giorno gli passai davanti nuotando come solo un pesce può fare.
Disse, ad alta voce:

– Stia attendo dotò – rivolto ad un panzuelo in difficoltà tra le onde, come una nave alla deriva – abbiamo uno squaletto nei paraggi, se fossi in lei starei attento’più il boccone &egrave abbondate più lo squalo gode.

Chiaramente quella frase era diretta a me, perciò con una capriola m’immersi e nuotando sott’acqua gli sfiorai una gamba. Con un urlo da donicciola isterica, Ermes gridò sgambettando:

– Lo avevo detto, che lo squaletto vuole la sua preda, però io sono magro e posso dargli ben poco da magiare.

Lo schizzare di spruzzi d’acqua delle sue, recitate, goffe bracciate, in uno stile di nuoto imprecisato fece ridere chi era accorso al suo urlo.

Mi affiancai al finto incapace nuotatore e con vorticosi mulinelli del corpo lo feci più volte bere l’acqua salmastra.

– Non esagerare, squaletto, – mi disse sottovoce – che oggi potrebbe essere per te un giorno infausto, te lo leggo negli occhi, in quei begli occhi azzurri nei quali &egrave dolce tuffarsi.

– Concluse parodiando una canzone ormai fuori moda.

Mi affascinava terribilmente, quell’uomo dalle movenze femminili con un cervello grande e una vita fuori del mondo.

– Se mi leggi le carte – continuai frenando il mio entusiasmo natatorio – potrò vedere se oggi &egrave un giorno fortunato o no.

Sotto il suo ombrellone, spesso, teneva dei raduni di cartomanzia, con le signore della spiaggia, matrone intente a contendersi i suoi favori. Incantate dalle sue previsioni e dall’oratoria frammista a parodie istrioniche.

– Mi casa tu casa – rispose e con quattro poderose bracciate da vero esperto di nuoto raggiunse la riva e sculettando nel suo costumino cremisi, si diresse verso la sua sdraio.

Guadagnai la spiaggia in un lampo e ancora tutto gocciolante mi accovacciai sulla sabbia calda; vennero subito in mio “soccorso” due dei miei compagni d’avventure.

– Giovani virgulti ‘ iniziò l’attore, come se stesse leggendo il copione di una rappresentazione teatrale – da qualche tempo scorgo in voi una sano interesse verso la mia opera di psico artista. A dire il vero io nutro piacevole diletto nell’osservare i vostri corpi seminudi, sarà la mia mercede per quello che andrò a presentarvi. &egrave la presenza presso il mio umile sito di cotanta virile e impetuosa nerboruta bellezza mi dia gaudio.

– Parli come un libro stampato – feci guardandolo dal basso in alto.

– Ricordati, nella vita &egrave importante la penna, la sciabola, ma anche la dialettica affascina e a volte stordisce. Dante, Leopardi, Manzoni sapevano scrivere in maniera eccelsa però come oratori valevano ben poco, chi però interpreta le loro opere riceve quegli applausi a loro negati in vita. Il cervello, se sempre acceso, stimola la lingua e questo assurdo muscolo &egrave capace di sollevare il mondo, pensate ai filosofi greci che nulla o poco scrissero ma ancor oggi sono sulle nostre bocche e si studia di loro. I generali romani arringando le loro schiere conquistarono il mondo. Con l’abilità dialettica, i politici, i giornalisti e molti manager d’azienda sono giustamente definiti trascinatori di folle, anchorman, maestri nel convincimento, coinvolgenti nelle problematiche, creano seccature a tutti con la sola forza della parola.

Avevamo ricevuto una lezione gratis, a scuola non ci aveva mai parlato nessuno così, per questo, pensai, ci si va sempre malvolentieri.

La nostra amicizia durò l’intera estate, Ermes era un ‘vate’ per me, perché’ con il suo fare da genitrice, da chioccia, m’istruiva ogni giorno su mille cose diverse.

Una vera enciclopedia umana, divertendo insegnava e istruiva divertendosi. Mai che avesse accennato ad avere rapporti sessuali con noi, anche se quotidianamente, lontano da orecchi indiscreti, c’istruiva sul sesso, ci parlava di rapporto orale, anale, coito e tutto ciò che ci veniva in mente senza trascendere nel volgare ma stimolando col discorso nuovi argomenti di conversazione. Ci raccontò quando suo padre gli portò una donna in casa per vedere se poteva avere un figlio ‘normale’. Lui scavalcò la finestra del terzo piano e minacciò di gettarsi nel vuoto, alch&egrave il vecchio si rassegnò per morire dopo qualche tempo di infarto.

Come parlava, anche nel raccontare, era un libro aperto, confidava i difficili esordi nel campo teatrale frenati dalla sua palese omosessualità, però quando vestito da dama del trecento impersonava la sua parte, il pubblico rispondeva positivamente e gli impresari erano contenti. Spesso raccontava la positività della sua ‘diversità’ nel mondo dello spettacolo, quella giusta confusione di sesso dovuta ai continui travestimenti inesistente in altri ambienti. L’immorale nella società borghese &egrave tollerato dai pittori, fra gli scrittori e dietro le quinte dei teatri come negli ambienti cinematografici. Ridendo affermava: gli scultori, poi sono un po’ tutti scarsi di testosterone perché la polvere di marmo alza gli ormoni femminili a scapito di quelli maschili. Aggiungendo, lo sfregamento dello ‘scalpello’ tra le cosce di nerboruti ragazzotti faceva sì di desiderare il contatto diretto con il modello per vedere se la statua si anima e dia sfogo a tutto l’ardore infuso dall’artista. Sapeva creare l’intrigo, quell’atmosfera d’interesse prodotta era uno stimolo per correre sotto il suo ombrellone.

Il giorno che lo trovai vuoto fu come mi fosse mancato qualcosa di veramente caro. Chiesi a tutti e, com’era logico, le sue vacanze erano finite, un ingaggio, un contratto, forse me lo avevano portato via per sempre.

&egrave difficile da spiegare quell’impulso speciale provato ogni qualvolta. I preparativi per fare qualcosa definito dalla gente ‘per bene’ proibito, quel senso d’avventura misto a trepidazione che colpisce lo stomaco con un peso gradevole. Un tormento desiderato, uno stimolo verso una contesa contro noi stessi. Ogni qual volta mi si presentava una situazione pericolosa, illecita o imprevedibile sentivo dentro di me un senso di disagio seducente, qualcosa partire dalle viscere e arriva in bocca, da star male, ma eccitante, come una premessa al piacere del quale il corpo e la mente si servivano per sviluppare nuove capacità intuitive.

Come un computer ha bisogno dei suoi input, io mi sentivo vuoto dentro, e quando mi si prospettava qualcosa di nuovo era un input memorizzato in qualche locazione del cervello, però non freddamente come lo farebbe un elaboratore elettronico, per me erano sensazioni, ebbrezze, piaceri; il vivere o data la mia giovane età, imparare a vivere.

Il beccheggio della barca, si trasmetteva al fasciame sotto forma di sodi scricchiolii.
Un “gozzo” di quattro metri e mezzo con il quale ero uscito al largo in compagnia di un mio compagno di scuola, e due nostre comuni amiche, era robusto. La giornata splendida, senza vento, mare calmo e sole caldo.
Da neonato andavo già in mare con mio padre quindi i pescatori non ebbero remora alcuna nell’aiutarmi ad alare la barca. Non avevo problemi a governare quella che si poteva considerare un’imbarcazione da uomini. Mi raccomandarono di rimanere entro le sei miglia e di non fare lo stupido. Risposi che il mio vecchio gli sarebbe stato riconoscente. Sfruttavo spesso questa situazione e ciò mi faceva apprezzare quell’uomo, il mio capo famiglia appunto, mi dava sempre un aiuto indiretto e glie n’ero grato. Veramente la riconoscenza era un aggettivo a me sconosciuto verso i miei vecchi, però iniziavo a capire che spesso era comodo avere un padre influente e una madre dietro i fornelli.

Stavo forse invecchiando?’

Appena raggiunte le tre miglia, iniziò un naturale spogliarello, mi tolsi la Tshirt e i pantaloni corti, così fece Claudio, restammo in costume da bagno, anche le due ragazze nei loro due pezzi all’ultima moda.
Iniziavano a formicolarmi le dita delle mani, mentre quel piacevole senso di vertigine mi rendeva euforico e preparato ad una nuova esperienza, le premesse erano buone’ Le ragazze avevano accettato con entusiasmo un giro in barca, quindi erano ben disposte nei nostri confronti. Noi le avevamo scelte perché ci piacevano, una con i capelli neri corti, un viso regolare e due fossette sulle guance che avrei voluto mordere tanto erano simpatiche e invitanti, il seno piccolo ma prepotentemente teso all’insù premeva contro la stoffa del reggipetto, gambe affusolate e lisce come la pelle di un neonato facevano da supporto a due fianchi creati per essere accarezzati, baciati, afferrati con veemenza durante un ipotetico amplesso. Stefania, la bionda, era un po’ meno modellata, aveva ancora qualcosa della bambina che era stata in lei, comunque il suo visino era tenero con due occhi azzurri e un’espressione che sembrava voler dire “mangiami”, prendimi, accondiscenderò a tutto, sono sottomessa ai tuoi desideri.

Chissà come, ma dall’aspetto, dal modo di muoversi e da quello di esprimersi, ci facciamo subito un concetto di una persona. Molte volte, io, l’imbroccavo e quindi ero sicuro: la più arrendevole era la bionda.

Il sole bruciava. Spensi l’entrobordo quando la riva era circa a quattro miglia da noi, si vedeva il litorale con tracce appena distinguibili di case e strade. Il silenzio, immediatamente prese il sopravvento, lo sciabordio delle onde contro la carena, lo stridio lontano di qualche gabbiano e nient’altro creavano un ambiente ideale per delle confidenze anche profonde’

Il mare era limpido e invitante e un tuffo in quel naturale refrigerio mi sembrava la soluzione migliore. Senza aspettare il calare dell’ancora, da prua mi tuffai iniziando a nuotare intorno alla barca. Claudio assicurò l’ancora ad uno scalmo e mi seguì. Quel che si dice “gli stupidi” era il termine adatto al nostro comportamento. Un tipo di danza rituale prima dell’accoppiamento, con relativi schizzi d’acqua verso le “nostre” femmine, il far oscillare la barca pericolosamente nei due sensi in modo da provocare quegli urletti emessi dalle ragazze tramite i quali esternare l’invito a farci più audaci.
Ricordo un detto in dialetto, spesso ripetuto da mia nonna: ‘Mà Togno u me tucca’ tucchime Togno che mi ghe godu!..’ Nella prima parte la ragazza con ritrosia invoca la mamma perché Antonio la tocca, ma poi con voluttà invita Tonio a proseguire.
Il primo diniego &egrave, in realtà, un invito a toccarla proprio lì, un falso moralismo obbligava le femmine a negarsi al loro maschio perché lui non pensasse di andare con una ‘puttanella qualunque’, ma proprio quando arrivano a titillargli il punto giusto, rimarcavano l’evento con uno strillo, che doveva essere di riprovazione ma che in realtà era d’invito. Come sono complicate, solo dio lo sa. Non condividevo quella falsa pudicizia ma mi adeguava piano, piano; cercando di percepire quei messaggi inequivocabili portatori di sane scopate.

Stefania e Clara si catapultarono in acqua, sollecitate dalle nostre spinte ai bordi della barca, nuotarono con vigore per vincere l’impatto tra il mare fresco e i loro corpi riscaldati dal sole. Le raggiungemmo subito e iniziammo a scherzare spingendole sott’acqua e facendoci a nostra volta immergere con forza tra i flutti. Quest’esercizio serviva a dare inizio ai mutui toccamenti, solo alle spalle per il momento, ma già era utile a rafforzare quella situazione d’attesa, preliminare dedicato, a stuzzicare gli animi. Si rideva, senza nessun apparente motivo, ma era utile farlo per ben predisporre la femmina al fatto che non c’era ostilità nei loro confronti ma gioia e stimolo ad assaporare qualche piacere, oltre la semplice allegria. La femmina in certi momenti &egrave diffidente per natura o convinzione, la nostra abilità era quella di dimostrarci ingenui, e forse lo eravamo, non invadenti, e ben inclini nei loro confronti.

Mentre riemergevo da un ennesimo tuffo, con rapide bracciate, sott’acqua, mi portavo sempre più vicino a Stefania e mi strofinavo contro il suo corpo, prima lievemente per esaminarne l’eventuale reazione, che al momento non c’era, poi più temerariamente. A questo punto ricevetti, quando ero ancora sott’acqua, un bel calcione sulle spalle dato in modo da tenermi lontano da questi toccamenti subacquei. Claudio invece, il calcione se lo era preso subito e mogio, mogio se ne stava risalendo in barca. Per solidarietà lo raggiunsi e mi sdraiai a prendere il sole sull’impalcato di prua. Nel frattempo le ragazze continuavano le loro abluzioni senza interessarsi di noi, mi era venuto il pensiero di mettere in moto e ricattarle dicendo: ‘O ce la date o vi lasciamo qui’. Ma non mi sembrò la cosa più ragionevole in quel momento. Facendo spallucce continuai ad aumentare quella tintarella oramai consolidata; anche i capelli, originariamente castano chiari mi si erano imbionditi, strinati dal solleone. Le ragazze risalirono a bordo e dopo essersi asciugate al sole si erano rituffate parlottando fra di loro e forse percependo il nostro disinteresse, si misero a ‘fare le stupide’ a loro volta. Spruzzandoci con schizzi d’acqua facevano dondolare la barca, c’invitavano a scendere in mare. Noi atteggiavamo un comportamento sostenuto evitando le loro provocazioni. Finché dopo qualche tempo ci decidemmo ad un refrigerante bagno.

Si vedevano le bollicine bianche dell’aria pressata nell’acqua dal peso dei nostri corpi e poi le gambe delle ragazze vicine quasi a sfiorarsi.
Noi ragazzi riusciamo a vedere torbido anche quando non c’&egrave’ specialmente quando siamo ‘ingrifati”Pensai mentre con tutta la mia forza cercavo di riemergere dietro la barca. Salito a bardo ebbi appena il tempo di sentire un forte botto sotto la chiglia, sussultai e mi rituffai veloce in tempo per vedere Claudio, oscillare come una monetina lanciata in una fontana, sparire verso il fondo. Con la forza della disperazione lo raggiunsi e sentendolo svenuto lo afferrai saldamente per riportarlo in superficie. Una scia di sangue gli usciva dai capelli fluttuanti come alghe. Con tutta l’energia del mio corpo ben allenato riuscii a riportarlo all’asciutto cercando di rianimarlo alla meglio, dopo pochi secondi, Claudio, aprì contemporaneamente occhi e bocca, dai primi scaturì uno sguardo spaventato, dalla seconda un fiotto d’acqua, poi un respiro cavernoso tipo mantice. L’uomo era salvo, pensai, ma cosa era successo?

Nel frattempo le ragazze ci avevano raggiunti, avvertendo una strana agitazione sulla barca, con uno sguardo interrogativo domandarono la stessa cosa.

– Ho dato una craniata contro la chiglia della barca – ci rantolò Claudio tra una golata d’acqua salmastra e l’altra.

– Che cazzo ci facevi sotto la barca – tentai di dirgli in modo che si ricordasse il perché eravamo in mare.

– Andavo per cefali, stronzo’

– Sta migliorando – dissi rivolto alle ragazze.

Clara si avvicinò a Claudio, sdraiato sul fondo della barca iniziò a massaggiargli lo stomaco, con il viso preoccupato Stefania cercava di tamponargli la ferita alla testa. I fazzoletti di carta presto s’inzuppavano d’un rosso purpureo, poi di sangue rosa e dopo poco l’emorragia si fermò. Ormai Claudio era seduto e iniziava a compiacersi di tutte quelle attenzioni. Un sorriso da gaudente gli rallegrava il volto. Specialmente quando Clara durante il massaggio era scesa in basso oltre l’elastico degli slip da bagno.

L’azione rotatoria di quelle mani femminili vicino al suo attributo maschile, lo svegliarono definitivamente. Stefania lo teneva tanto vicino al suo piccolo seno che Claudio ne poteva sentire il calore, l’odore, la tenera consistenza.

Il ragazzo iniziò a muovere le mani in ogni direzione carezzando quei corpi così protesi verso di lui. Con ogni mezzo cercava di scoprire quella poca pelle ancora coperta dai minuscoli bikini. Clara si ritraeva, quando le mani di Claudio si posavano su di lei, per poi riaccostarsi seriosa, un via vai flessuoso ed eccitante, sia per il mio amico sia per me.

Sentivo gonfiare e indurirsi il cazzo, l’irrefrenabile faceva fatica a rimanere nel costume. Mi accoccolai più vicino possibile ai tre, cercando di essere coinvolto nel loro ménage.
Stefania accarezzava il torace del ragazzo. Con piccoli baci sul collo e sulle spalle Claudio si prodigava nella sua opera. Clara esaltava le carezze dell’amica, non trovando resistenza, anzi ampia disponibilità, aveva abbassato lo slip e plasmava con poca abilità, ma tanto impegno quel cazzo un po’ avvizzito dalla permanenza nell’acqua. Regalando al ragazzo momenti di solluchero incredibili. Il cazzo si rizzò come un fuso e Stefania, curiosa, spinse anche lei la mano per afferrarlo, sentirne la consistenza, conoscerne la vibrante potenza il calore pulsante, la pelle fine e instabile.

Veder calare quella manina tremante sul “pisello” di Claudio esaltava la mia libido sino al punto di bagnarmi il costume, fortunatamente umido. Il mio socio era in una situazione d’estremo godimento, riceveva le attenzioni delle due ragazze senza più poter far niente. Se da un lato era frustrante dall’altro manteneva la concentrazione sul suo esclusivo piacere e questo amplificava la soddisfazione fisica che provava.

Eccitato come pochi, tentai una carezza a Stefania, lei l’accettò senza staccare lo sguardo dal cosone di Claudio, iniziai a toccarla tra le gambe, cercando di farmi largo attraverso lo slip e l’attaccatura della coscia. La ragazza agevolò il massaggio alzando il bacino.

– Lasciala stare – mi urlò Clara.

Stupito la guardai con sorpresa dicendogli.

– Perché, non gli faccio niente di male.

– Appunto – fece la ragazzina dai capelli corti.

Allungò la mano stretta a quella di Stefania che masturbava il mio amico, per porla tra le mie cosce. Era lei che voleva tutto, il mio e quello del mio socio. Claudio era riuscito a mettere alla luce un seno di Stefania e lo baciava a succhiotto facendo uno strano rumore con la bocca, mentre agevolando la manipolazione di Clara sfilavo gli slip a Stefania. Avevo capito che Clara voleva dirigere il menage, quindi mi muovevo con prudenza, era così bello quello che stava accadendo che non volevo rovinare tutto per motivi competitivi.

Quella fessurina contornata da una chiara lanugine era rugiadosa d’umore, così indifesa, così palpitante, così buona da sentirne il gusto in bocca senza averla nemmeno sfiorata. Lo spettacolo era da cardiopalmo per uno come me eccitabile solo al pensiero, vedere una situazione, ritenuta, altamente erotica; era come invitare a pranzo un affamato, quindi, per quella sensazione di golosità che mi struggeva dentro, avvicinai la bocca al ventre della ragazza. Inumidii di piccoli baci e leccatine la parte in vista, poi mi incunearmi tra le cosce di Stefania, avvertii il fastidio dei suoi peli, ma quell’odore forte e seducente allo stesso tempo m’invitò a proseguire. Clara cercò di respingermi dal sesso della sua amica. Con insistenza spinsi sempre più forte la lingua tra le labbra di quella bocca d’amore che teneramente si schiudeva sotto la mia pressione finché non ebbi ragione. Che gusto piacevole, che godimento disperato, che vittoria sentire Clara incassare la sconfitta lasciando libere le mie labbra di baciare quel bocciolo di carne ormai pronta a godere la mia lingua. Senza toccarmi m’impiastricciai lo slip, Claudio se n’era già “venuto” con rivoli di caldo sperma tra le mani di Stefania, a quel contatto la ragazza sussultò e sospirò di soddisfazione, per me si tradusse in un doloroso contatto tra il mio setto nasale e il suo pube rimescolante spasmi d’estasi.

– Ragazzi, che bello’ – dissi appena riuscii a capire di non avere il naso rotto.

– Direi di più – fece Claudio con un sorriso a 32 denti.

Stefania rossa in viso ma apparentemente appagata si rovesciò sul telo da bagno ansando. L’unica ad avere, la passerina in fiamme, non placata da alcuna nostra attenzione era Clara. L’unica ad avere ancora gli slip addosso. Ginocchioni su di un salvagente sembrava aspettasse qualcuno che la consolasse, guardava un po’ la sua amica con la patatina al vento un po’ Claudio con il suo cazzo afflosciato tra le gambe e in ultimo diresse lo sguardo su di me senza costume da bagno, ero lì nudo come un verme con il mio cosino piccolo, piccolo tra le gambe.

Subentrò in me un ché di profonda tenerezza verso quella ragazza, sopraffatta suo malgrado da una specie d’orgia inconsapevolmente forse voluta da lei. L’abbracciai non per passione ma per simpatia, come una sorella, da amico ad amica per consolarla, forse, o semplicemente perché in quel momento mi sembrava la cosa giusta da fare. Lei non capì il mio gesto di consolazione interpretandolo come un tentativo di proseguire con le schermaglie amorose e mi rovesciò sul fondo della barca con una spinta degna di un lottatore di sumo.
– Ma va a fan culo ‘ gridai al suo indirizzo. Sentivo la mia schiena dolorante per l’urto contro i paglioli. Pensavo: oramai era coinvolta in un rapporto dal quale difficilmente sarebbe potuta uscirne, era complice dei miei piani goderecci ed era inutile che facesse la ‘dura’, però bisognava renderla più docile e partecipativa ai nostri consessi linceziosi.

Gli insegnamenti di Ermes Bey mi vennero in aiuto in quel momento inebriante. Cercando di arrancare tra i paglioli della barca e la panca di mezzo; nudo e dolorante, mi venne in mente quello che l’attore ripeteva a proposito delle ragazze: – Sono come noi, forse un po’ più furbe, ma hanno i nostri stessi pregi e difetti. Sbaglia quel maschio che per il desiderio verso di loro, le mette su di un piedistallo, le considera superiori e prive di quegli istinti comuni a tutti noi, pardon voi, maschietti. Questo discorsetto, seguiva esempi e chiarificazioni nei quali la nostra fantasia si perdeva.
Il quel momento pensai ad alcune domande per Ermes.
Anche le femmine hanno delle esperienze sessuali tra loro? Prima di incontrare i membri, del così detto, sesso forte? Conservano quest’abitudine anche quando hanno il ragazzo, sono fidanzate e magari sposate? Le femmine hanno come me la smania di possedere sia un bel corpo del loro stesso sesso sia di quello antitetico. Il primo perché’ provoca il desiderio di transigere. Il secondo perché’ &egrave godimento puro, esercitato dalla natura per la regolare riproduzione della specie. Spesso un po’ sadico o masochista in ogni caso perverso al punto giusto da renderlo diverso dal semplice accoppiamento per fare figli?
Non che si volesse far del male ai propri partner ma gustare quei momenti in cui, per raggiungere l’orgasmo, a volte, il viso dell’amante si contorce in una smorfia di dolore dovuta ad una penetrazione profonda e completa!
Questo impulso era scaturito in me quando Michela, la meretrice guardiana della “villa”, mi succhiava il cazzo e io le strizzavo i capezzoli sino a farla mugolare. Quel gemere a bocca piena mi faceva raggiungere degli orgasmi immediati e violenti. Quindi lo ritenevo una cosa comune dato che viceversa, spesso avevo sognato di essere penetrato dal di dietro succhiando un grosso cazzo sul quale mugolare tutto il mio piacere e la sofferenza di una dilatazione spasmodica. Conclusione, se quello che penso o faccio &egrave universale ciò vuol dimostrare che sono normale, i miei istinti sono da animale sociale, non da ‘buliccio’.
Capitolo sei

Sulla barca, tutto era rimasto immobile, in quei pochi secondi di riflessione, solo Clara si era voltata per chiedermi scusa e informarsi se mi ero fatto veramente male.
– Meni come Cassius Clay – la tranquillizzai sorridendo. Non c’era imbarazzo delle nostre nudità, era scattata in noi quella solidarietà del non pudore, di chi ormai ha visto l’intimità dell’altro, quindi non cerca più di nascondere con i vestiti ciò che prima era tabù.
Clara era l’unica che non si era completamente spogliata ma mi parve opportuno non ricordaglielo visto che le mie vertebre erano ancora indolenzite. Ogni modo prima ho dopo ci sarebbe stato un rimedio anche a questo. Con il cervello, sempre sollecitato e pronto a nuove esperienze improvvisamente mi misi a lavorare come un calcolatore elettronico e iniziò a presentarmi una situazione stuzzicante. Sperando che la fortuna in quel momento fosse dalla mia parte, azzardai uno sguardo di complicità con Claudio, e dirigendomi verso di lui dissi all’indirizzo della brunetta.

– Non preocupe, my ermosa, noi ci vogliamo tutti bene. Iniziando ad accarezzare le spalle del mio amico.

– Come va la capeza, my compagnero – continuai scherzosamente, sperando che Claudio non avesse la reazione negativa che temevo.

– Meglio, molto meglio – fece lui sorridendomi ammiccando un’intesa che pareva concordata. Ciò mi diede coraggio nel continuare, mi chinai sul suo ventre iniziando con piccoli baci e succhiotti scendendo con la testa sempre più giù finché’ non sentii i suoi peluzzi umidi e profumati di sesso, sfiorarmi una guancia. Inginocchiato sul cumulo dei nostri vestiti abbandonati sul fondo della barca, con il sedere latteo in bella mostra, non dovevo essere certo attraente. Sbirciando Stefania, sulla mia destra notai che mi guardava un po’ sorpresa.

– Credi che a noi non faccia piacere’ – dissi, rivolto a Clara, alitando le mie parole sul cazzo di Claudio.

Cos’&egrave, vergogna la tua o paura di fare qualcosa di sbagliato?’ – continuai con il viso sull’ombelico del mio amico. La ragazza che senza distogliere lo sguardo si era seduta a ridosso del vano motore.

– Non t’intriga una situazione come questa, lo so che voi ragazzi siete dei pochi!’

Tutte domande che cadevano nel vuoto del silenzio, solo le espressioni degli occhi erano sorprese ma attente.

– Non hai mai visto un ragazzo succhiare il cazzo ad un altro maschio – finii di dire imboccando quello di Claudio.

Un gemito di piacere o di sgomento, uscì dalla bocca del mio amico. La paura era che per la prima volta l’uomo riceveva un tale trattamento da un suo pari.
Ma dai risultati del mio rapporto orale verificai che la cosa non era tanto sgradita, anzi, le dimensioni del cazzo crebbero con mia grande soddisfazione.
Con una mano inizia a masturbarmi e guaivo, fingendo un po’, un godimento infinito. Stefania, la quale, per solidarietà nei miei confronti cercava di toccarmi tra le cosce. La sollecitai a continuare, lasciandole libero spazio alle sue mani prensili, anzi feci di più, la guidai verso di lui in modo che lo ghermisse come si deve.

Godevo come un matto, avevo in quei momenti toccato il massimo della mia soddisfazione terrestre, pensai: ora posso anche morire con il cazzo in bocca pulsante sotto le sferzate della mia lingua oramai era lì, lì per venire.

Complici di quell’orgia omosessuale non ci preoccupavamo del mondo esterno, l’universo eravamo noi, i nostri amplessi, gli umori, i sospiri, i lamenti e gli spasmi, erano il gusto di vivere. Beato chi riesce a soddisfare le proprie voglie, senza reprimere le sue passioni, il corpo e la mente ne traggono beneficio e appagamento, noi eravamo fortunati perché’ stavamo togliendoci di dosso tutti quegli struggimenti inconfessabili per cui avevamo sospirato sognandoli, sofferto per la loro irrealizzabilità, deperito in folli masturbazioni mirate alla realizzabilità delle nostre fantasie. Grazie a Dio, Buddha, Maometto e Allah, grazie a tutti per quello che mi capitava perché’ ero dove volevo essere, facevo quello che volevo fare, prendevo quello che da sempre avevo voluto ricevere. E così un caldo liquido m’inondò la gola di un sapore aspro e pungente, ma non tanto da farmi mollare il boccone; tanto ero eccitato respiravo forte con il naso; serravo il cazzo di Claudio tra le labbra, comprimendolo tra il palato e la lingua. Mentre con calibrati colpi di reni raggiunsi un orgasmo completo e irrazionale.

La sera arrivò con una brezza fresca e intensa tanto che ci svegliò dal sonno dei giusti. Le prime luci dei lampioni, sul litorale, mandavano i loro aloni giallognoli verso le strade trafficate dal rientro pomeridiano. Feci capolino dal bordo della barca, non si vedeva altro che mare increspato. Le ragazze si rivestirono per la frescura notturna, mentre avviavo il motore m’infilai anch’io qualcosa di più consono alla temperatura. Claudio tirò su l’ancora in silenzio, lo guardavo mentre accendevo le luci di deriva, e mi sembrava mortificato, abbacchiato, forse anche un po’ triste. Non capivo il perché’ poi lo intuii quando mi disse:

– Mi dispiace, ma non gliel’ho fatta a trattenermi.

– Dispiacerti di che, fratello – risposi – per me &egrave stato bellissimo e non esiterei a ripeterlo. E a voi ragazze &egrave piaciuto – continuai, rivolgendomi alle nostre amiche.

– Una domanda sciocca, prevede una risposta scema – disse Clara – c’&egrave piaciuto cosa’

– Ok, Ok io sono come le tre scimmie, simbolo della mafia, non vedo, non sento e non parlo. Sono una tomba, tra di noi non &egrave successo niente dato che il primo a rimetterci sarei io se si sapesse come mi sono comportato’

– Da “buliccio” – rise Stefania.

– Appunto – confermai con un briciolo d’amarezza.

– Ma va la! Che siamo stati bene insieme – confermò Clara – Ora però &egrave tardi, portaci a terra.

– In un lampo, mie dolci signore – dissi dando gas e mimando il gesto cavalleresco del guascone che si toglie il capello per omaggiare la sua dama.

– In ogni caso ti devo un favore – insistette Clara – e spero di rendertelo presto.

Questa frase mi colse di sorpresa, perché mi aveva detto quella frase’ forse ero riuscito a farle avere un orgasmo succhiando il cazzo del mio amico? Bah! Ai posteri l’ardua sentenza’

Mi soffermai a riflettere sul mio compagno’

Intelligente di buona famiglia, sveglio come pochi, avevo subito apprezzato il suo intuito ma non mi sarei mai aspettavo certo che volesse riprovarci. Comunque con i miei giudizi non volevo mandare a puttane una giornata che si era avverata felice.
A parte il suo infortunio, e la confusione sui ruoli, si concludeva in un successo grandioso. L’avevo dedicata al mio maestro Ermes Bey. Merito ovunque sia.
Capitolo sette
I giorni passavano tranquilli, fotocopie uno dell’altro. Con la scusa dei compiti mi chiudevo in camera per interi pomeriggi, guardando dalla finestra immaginavo Clara e Stefania’ sorridevo passando oltre. Anch’io come loro avrei voluto un amico che mi attizzasse il cuore come succedeva a loro, purtroppo quelli che sentivo capaci di farlo non contraccambiavano.
Avance non era opportuno farne per non trovarsi il marchio di “buliccio” addosso, per cui mi reprimevo, sfogandomi con Michela e la mia mano destra.

Con Claudio ci vedevamo a scuola, puntualmente m’invitava a casa sua per studiare assieme, diceva.
Ma c’era troppo filing tra me e lui. Lo feci insistere un poco e poi accettai. Mentre superavo il condominio di Clara ironizzavo sia per quel che mi aspettava, sia fantasticavo sulle mie due amiche immerse nei loro giochi saffici, ciò mi ridava quella sensazione di pre eccitazione fisiologica proveniente dallo stomaco e diretta l’inguine passando attraverso tutti i miei sensi.

– Ciao – mi salutò Claudio aprendomi la porta di casa.

– Ciao testa – feci, entrando con sicurezza, gli passai le dita tra i capelli scompigliandoli un po’.

La sua camera era moderna, non mancava l’Hi Fi, la televisione, il telefono, gli stendardi della sua squadra del cuore e un profumo di buono che stuzzicava le narici.

Tutto pulito e ordinato, un po’ asettico ma perfettamente funzionale, la scrivania contro la finestra, per aver più luce, il letto lontano dalle pareti per scendere da entrambi i lati, il mobile libreria, con annesso TV in modo da seguire i programmi comodamente sdraiati.

– Complimenti ‘ dissi facendo un giro di 360 gradi su me stesso.
– Ti piace, &egrave qui che studio, dormo, a volte mangio, vivo.

– Ti ci fai le pippe’

– Anche quelle’

Risi.

Così dicendo c’eravamo seduti sul letto.

– Ci sono i tuoi, in casa. – dissi con aria di complicità, ma senza troppo entusiasmo.

– No, e non torneranno sino a sera.

– La servitù ha il suo giorno di libertà – feci io sarcastico.

– Siamo soli soletti – concluse.

– Volevo preparare algebra – feci in tempo a dire, che Claudio mi fu addosso, allupato come un satanasso, iniziò a spogliarmi, e ogni pezzo di pelle scoperto lo baciava, succhiava, leccava con ingordigia.

Quando si trattava di sesso, volevo essere io a condurre l’azione, oggi mi sentivo violentato, costretto, sicuramente non coinvolto, ma al mio amico sembrava un’ulteriore stimolo esaltante.

– Spogliamoci, dai… – m’invitò il ragazzo ansimando.

– Ci stai già pensando tu – dissi io agevolandogli le sconclusionate manovre sui miei abiti.

– Sai’ti desidero – continuò lui tra un affanno e l’altro – non avevo mai avuto il coraggio di confessartelo, ma quando ti ho potuto sentire vicino, quel giorno in barca ho ringraziato il signore di quello che mi stava accadendo.

Lo lasciai fare ‘ la cosa non mi dispiaceva proprio, anzi il sentirmi desiderato mi deliziava alquanto, ero sempre io che mi struggevo per gli altri, quest’inversione di ruoli mi attizzava un casino. Il mio sesso iniziò a reagire e il corpo nudo del mio compagno che si contorceva sopra di me. Mi accarezzava, mi strusciava il cazzo ovunque. La bocca famelica del mio amico si posò sulla cappella iniziando un succhio fantastico. Claudio rantolò:

– Ti rendo il piacere.

– Troppo buono. Risposi mettendomi comodo.
Avido come un neonato verso il proprio biberon, Claudio continuò la “pompa” vorticosa di labbra, lingua e palato. Era tutto così morbido intorno al mio cazzo, così piacevole che mi rilassai abbandonandomi bramoso solo di piacere.
Mentre con gli occhi chiusi mi beavo questi momenti, Claudio si spostava cercando di mettersi parallelo al mio corpo supino, senza mollare la presa, anzi aumentato il movimento d’aspirazione e compressione. Mi trovai il suo sesso vicino alla mia faccia. Un sessantanove, ecco dove voleva arrivare il mio amante, chiedeva d’essere “spompinato” anche lui visto che presentava un’erezione gagliarda con liquido seminale che luccicava sulla vermiglia cappella. Afferrai l’oggetto del desiderio e iniziai a masturbarlo mentre ogni tanto lo imboccavo per poi espellerlo dalla bocca per continuare il su e giù con la mano. Mentre reciprocamente ci gustavamo i relativi attributi sessuali, mi venne da accarezzarlo tra le natiche, il suo culetto era proprio all’altezza del mio viso lo vedevo ondeggiare nel tentativo di raggiungere l’orgasmo. Raggiunto il suo “mille righe” palpitare sotto la pressione delle mie dita, una raffica di fiotti di sperma m’inondò la gola. Tossendo mi liberai dall’attrezzo di Claudio e vomitai il suo seme sul lenzuolo.

Lui si sollevò e rimanendo carponi, sul letto, mi guardò con una tenerezza.

– Ancora, una volta, mi dispiace, ma mi ecciti troppo sei troppo stimolante, mi piace ogni cosa che mi fai. Adoro il tuo corpo, il profumo, il gusto di te mi fa impazzire.

Considerando che il mio cazzo svettava in aria come un ariete fremente, mi posi, senza nemmeno riflettere, dietro di lui. Lo vedevo carponi con le mani sprofondate nel materasso. Claudio era immobile come una statua, forse aveva inteso la situazione e soggiogato aspettava gli eventi, poggiai il mio cazzo contro il suo buchetto abbrunato e spinsi. Benché’ il cazzo fosse grondante di liquido scivoloso, la pressione non otteneva il risultato voluto.

– Dai, spingi – fece lui ruotando la testa verso di me.

– Ti faccio male – lo avvisai, tornando alla carica. Lo sfintere del ragazzo mi resistette ancora.

– Vai a prendere un po’ d’olio, la prima volta &egrave meglio ungerlo un po’.

Mi ricordai in quel momento lo strumento di piacere che mi ero auto costruito allo scopo di mantenere dilatato il mio.

Claudio, nudo come mamma lo aveva fatto, sgattaiolò in cucina e dopo un attimo era lì con la bottiglia dell’olio extra vergine d’oliva. Si rimise carponi e presentandomi le chiappe sospirò: – L’ho tanto desiderato, ti regalo la mia verginità – e mi schioccò un piccolo bacio.

Unsi bene l’indice e il medio e iniziai a penetrare con le dita il bocciolo bruno del mio amico, la carne si apriva e scivolai all’interno, spinsi più forte e anche la seconda falange entrò. Claudio mugolava un poco ma non faceva cenno di tirarsi indietro, anzi, quando avevo solo pochi centimetri di dita ancora fuori, rinculando fece in modo da inglobarle completamente. Inizia un movimento di va e vieni, intervallato da leggere divaricazioni delle dita, in modo da dilatare l’ingresso il più possibile. Unsi e lubrificai bene ogni parte interna ed esterna del suo condotto anale e quando tutto era pronto per la penetrazione, il mio cazzo palesemente si afflosciò. Un po’ sconsolato mi riversai, con un sospiro di delusione, sul letto supino. Claudio mi fu subito sopra, armeggiò con mani e bocca per rianimare il cadavere finché’ questi non risuscitò. Senza aspettare che mi rimettessi nella giusta posizione mi scavalcò e scendendo sul mio bigolo s’auto inchiappettò. La cosa era estremamente eccitante, perché’ vedevo il mio amico gambe aperte sopra di me, lo vedevo in faccia, vedevo il suo cazzo tornato duro che si muoveva nell’aria e il mio che gli scompariva tra le natiche, lo accarezzai e iniziai a masturbarlo. Sentivo il suo culo cedere e il mio muscolo penetrare sempre più dentro. Sensazione bellissima, guardare il ragazzo mentre si spingeva, con sforzo, il mio attrezzo dentro. La smorfia di godimento mista al dolore mi eccitava terribilmente. Le sue cosce larghe con i testicoli che fregavano contro il mio inguine era un’estasi di piacere. Con un ultimo sforzo Claudio si penetrò completamente.

– Fa male – dissi rantolando.

– Brucia un po’, però tu continua pure a toccarmi davanti che mi aiuta a sopportare questo rodimento. Accelerai subito il movimento della mano.

– Più piano – fece lui – voglio gustare il più possibile questo momento, non voglio venire subito.

Diedi un ritmo lento alla sega, tirandogli giù bene tutta la pelle scoprendo il glande dilatato al massimo, per poi ritornare su lentamente stringendo le dita intorno a quella canna di carne palpitante.

– Così, va bene – ansimò il ragazzo.

Da sotto, gli sorrisi, guardando il suo volto imperlato di sudore, iniziai a ritrarre e spingere il mio bacino, lui mi agevolò sollevandosi un poco, in modo da lasciare lo spazio sufficiente tra noi e il materasso. Il ritmo accelerò, mentre lui con veloci colpi di reni si assestava sempre meglio il mio cazzo nel retto. L’orgasmo ci raggiunse all’unisono con schizzi di sperma che mi arrivarono sino sul mento. I miei, penso gli pervennero in gola passando, dall’interno, per tutto il suo corpo.

Pausa’, estratto il mio “priapo” dalle sue burrose natiche, mi rovesciai di lato e lui davanti a me si accoccolò tra le mie braccia teneramente. Aveva tutto il corpo ricoperto dalla pelle d’oca e le mie carezze lo facevano rabbrividire finché’ esausto si addormentò. Per pochi minuti, anch’io mi abbandonai, ma, mi risvegliai subito al pensiero che potevano rientrare i genitori di Claudio.

La nostra storia, continuò per molto tempo, come Clara e Stefania eravamo amanti, senza abbandonare qualche puntatina personale da Michela.

Mi sentivo un papa, avevo il mio harem e lui aveva me. Non riuscivo a mettere su un chilo benché mangiassi come un lupo, mia madre si preoccupava perché ero sempre più magro, mi faceva fare serie d’iniezioni di ricostituente’ pensava fossi malato. Ero felice, invece, la scuola era l’ultimo dei miei problemi. Claudio oltre a darmi lezioni di sesso mi coinvolgeva nei suoi studi (erano anche i miei), per questo la sufficienza ci scappava sempre. Le relazioni con il mondo erano ottime: difficilmente provavo frustrazione verso qualcosa che non potevo avere, dal motorino, alla barca, dal contante sempre in tasca, ai piaceri della tavola e del sesso. Mi sarei compiaciuto se non fosse, il farlo un gesto d’alterigia verso, ed erano in molti nel mio quartiere, coloro che non godevano appieno una vita come la mia.

Durante il ferragosto i vecchi di Claudio andarono in vacanza da soli, avevano detto al figlio: – Sei grande, maturo, puoi anche stare una settimana da solo. E lui si, si, con la testa. Partirono il dieci d’agosto il mattino presto e lo stesso giorno Claudio era alla mia disperata ricerca. Lo incontrai nei pressi di casa verso le dieci. Sorrise e m’informò della storia dei suoi, invitandomi subito a casa sua. Accettai perché’ avevo sentito gonfiare l’uccello nei pantaloni già almeno un paio di volte mentre gironzolavo con il mio ‘Ciao’.

Ci avviammo sul mio motorino, lui si stringeva forte a me e da dietro mi soffiava dolcemente all’orecchio: – Ti ho preparato una sorpresa, vedrai…

Arrivati a cento metri da casa sua, fui costretto ad inchiodare il “trabiccolo”, Clara e Stefania ci avevano visto arrivare in lontananza e la bruna si era fiondata in strada per fermarci.

– Che succede? – domandai quando lei appoggiò le mani sul manubrio come se afferrasse un toro per le corna.

– Niente! – rispose lei candidamente – vi abbiamo visto arrivare e pensavamo di passare un po’ di tempo in compagnia, sono tutti alla spiaggia o in montagna, il quartiere &egrave deserto e io ci ho le mie cose, quindi neanche Stefania vuole andare al mare. Beati voi maschi, che non c’avete il mestruo, &egrave una seccatura ultra galattica.

– Noi c’abbiamo la barba, il militare’ e due coglioni così’ sorella – replicai cercando di spostare il motorino vicino al marciapiede.

– Mi dicevi, che non sapete dove sbattere le corna – fece il mio socio un po’ alterato.

– Se vi diamo fastidio, ce ne torniamo a casa a vedere la TV – rispose Clara intuendo qualcosa.

– Già, a voi donne non sfugge niente – intervenni – così &egrave meglio che sappiate – e abbassai la voce – stiamo andando a casa sua per un intrigo tra noi. Però nulla osta che veniate anche voi due, dove c’&egrave posto per due c’&egrave spazio per quattro, basta stringersi un po’.

Sei d’accordo Claudio?

– Ok, Ok – fece lui di malagrazia.

Clara si avvicinò al mio amico e scontrandolo con il gomito disse:
– Lo volevi tutto per te. Bell’egoista che sei – e rise di gusto.
Stefania ci seguì, senza parlare, aveva paura che il suo ragazzo la vedesse con noi e che gli facesse qualche scenata di gelosia.
Il pisquano non immaginava che le corna gliele metteva Clara. Sono i casi della vita pensai sorridendo.
Furtivi ad uno ad uno salimmo dal mio amante. Come cospiratori ci sentivamo stuzzicare l’appetito lussurioso mentre tra le mura domestiche si preparavamo a dar sfogo ai nostri piaceri.

Claudio sparì in cucina e noi dopo poco lo seguimmo curiosi. Non era il posto adatto alle nostre prospettive. Lo trovammo impegnato a sistemare dei piattini, intorno ad una torta gelato, appena estratta dal congelatore.

– Era questa la sorpresa – dissi io, leccandomi le labbra.

– Era il mezzo con’

– Non capisco – continuai.

Visibilmente imbarazzato dalle due ragazze il mio amico si ammutolì.

– Calma e gesso – sentenziai sedendomi a tavola – voglio capire cosa volevi fare e voglio che lo fai anche se ci sono loro due.

– Non… No, non &egrave il caso…

– Invece sì, loro sono le nostre migliori amiche, non ci devono essere segreti tra noi, quando siamo insieme tutto &egrave permesso, tutto &egrave concesso qualsiasi cosa ci baleni nella testa dobbiamo farla o dirla, niente deve essere tenuto nascosto, non c’&egrave pudore in questo nostro rapporto, solo un profondo godimento d’ogni comune desiderio, anche il più inconfessabile.

– Hai ragione – farfugliò Claudio – però prima voglio dirvelo a voce, poi se mi costringerete lo metterò in pratica. Claudio disse quel ‘costringete’ con un tono di voce’ immediatamente capimmo che chiedeva essere costretto.

– Canta – sentenziò Clara sedendosi e invitando Stefania a fare lo stesso.

– Un sogno – iniziò il nostro amico – mi stimola ogni neurone del cervello come un incubo delizioso.

– Il tuo sogno avrà un inizio e una fine – lo interruppi – comincia da capo. Siamo noi soli seduti al tavolo con questa splendida torta davanti, se non ci sbrighiamo si squaglia.

Claudio iniziando a distribuire le fette aprì la bocca per parlare.

– Se ridete, vi stronco – interruppi rivolto verso Stefania che si era portata la mano verso la bocca, per nascondere un attimo d’ilarità – qui si fa terapia – proseguii ‘ &egrave una cosa seria. Attacca fratello!

– E’ un po’ difficile, Ma’ ci provo.

– Avrei voluto farmi vedere da te, avrei voluto sentire l’eccitazione nel trovarmi disponibile alle tue voglie, pronto, anzi, invitante, sottomesso; avremmo mangiato la torta saziando il palato, poi tu mi avresti rovesciato sul tavolo e dopo avermi umettato lo sfintere con un po’ di crema avresti fatto l’amore con me bocconi sul tavolo.

Sudava a raccontare questa storia, bevve un po’ d’aranciata poi abbassò lo sguardo umiliato.

– Bello, mi piace – feci con compiacimento’

– No’ Non so se’

– Il solito pazzo satiro – disse Clara sottovoce, ma si vedeva lontano un chilometro che era eccitata come una cagnolina in calore.

Feci spogliare il mio innamorato, rivolto di spalle. Pensai per vergogna invece era per mascherare una sua prepotente erezione. Lo raggiunsi da dietro e abbracciandolo aderii completamente al suo giovane corpo, passai una mano sul davanti e premendo forte sulle sue natiche gli accarezzai il cazzo…

Lo baciai nel collo e gli titillai con la punta della lingua un lobo di un orecchio. Sempre in quella posizione iniziai a spogliarmi, aderendo e ritraendomi da lui. Claudio immobile in attesa degli eventi si godeva le mie manipolazioni.
Quando fui completamente nudo ci sedemmo a tavola e iniziammo a far finta di mangiare la torta ormai squagliata.

Leccai con voluttà il cucchiaino poi immergendo le dita nel liquido cremoso feci capire al mio amico che era arrivato il suo momento, lui si alzò, mi sfiorò con un bacio i capelli e si mise a pancia in giù sul tavolo.

– Sorpresa ‘ feci io ‘ brandendolo sui fianchi e facendolo mettere supino. Cogliendolo per i polpacci, posizionai le sue gambe sulle mie spalle in modo che il suo culetto si trovasse proprio all’altezza del mio virgulto di carne. Claudio mi guardò con gli occhi lucidi.

– Mi ecciti da morire, voglio vederti in faccia quando godi ‘ dissi lascivo.

– Anch’io ‘ fece lui sorridendo.

Gli presi dolcemente il suo cazzo in mano e iniziai a imburrare il suo sfintere. Quando ritenni l’operazione conclusa a buon fine, mi sollevai e con dolcezza iniziai a penetrarlo. Per non sfuggire alla mia azione, Claudio afferrò con entrambe le mani ai bordi del tavolo. Io con l’altra mano raggiunsi i suoi capezzoli e iniziai a tormentarli per poi titillarli come se fosse il clitoride di una femmina. Godevamo di gusto, muovermi dentro di lui era piacevolmente libidinoso, piano, piano per protrarre più a lungo possibile il nostro orgasmo.

Claudio scuoteva la tasta incitandomi a penetrarlo con più veemenza per farlo godere. Accelerai il movimento della mano e con due dita raggiunsi la sua bocca aperta in un’implorazione di voluttà ficcandogliele in gola. Lui le accettò con piacere iniziando a succhiarle con gusto. Al pensiero d’essere tutto dentro a quel ragazzo, ebbi il tempo di sentire il caldo umore del mio amante colarmi tra le dita, e venni di gusto.
Mi abbandonai sul corpo sudato di Claudio, e in un estremo momento di libidine spinsi la mia lingua in quella bocca, ancora dischiusa dalle mie dita. Godetti il suo bacio profondo e la risposta della sua lingua morbida e vellutata che pareva volermi leccare anche le tonsille.

– Incomincia a farmi male la schiena ‘ mi sussurrò il ragazzo.

– Lo credo ‘ confermai lasciandolo libero di alzarsi dal tavolo.

Nudi e sazi, ma non tranquilli di fronte alle due ragazze disperatamente coinvolte in una masturbazione frenetica ci riaccendemmo come i Minerva. Vedevamo Stefania sdraiata sull’amica con la schiena arcuata, protesa verso la mano della biondina.
Ci sistemammo come spettatori, senza un briciolo di pudore o di rispetto della loro intimità, a guardare il panorama.

La precocità sessuale &egrave un fenomeno individuale.
Avevo capito che nelle femmine avviene con largo anticipo rispetto a noi; in me era comparso qualche impulso già in terza elementare, con parziali indurimenti del pisello. Solo intorno ai dieci undic’anni era diventato, la ricerca della mia sessualità, un chiodo fisso, come una ginnastica mentale. Ogni cosa che ruotava intorno alla mia persona era collegata con il sesso, in altre parole per la mia giovane età era comprendere, specializzare qualcosa di nuovo. Un modo di avventurarsi lungo i sentieri della vita, passando per le zone erogene anziché’ per il cervello.

La mia follia faceva lavorare al massimo l’istinto per arrivare al godendo oltre ogni limite. La mia dottrina era raggiungere il piacere in ogni modo e con chiunque volesse farlo, ‘maschio e femmina, cani, gatti e cammelli’ che fossero, vecchi o giovani, bianchi o di un’altra razza, perversi o miti, belli o brutti.

La mia mente giovane e inesperta, sembrava elaborare in continuazione situazioni definite scabrose dalla così detta gente per bene. L’impulso dell’incognita imbarazzante, la situazione oltre il limite del concesso e del permesso, mi stimolava mentalmente scaricandosi in piacere fisico. Una specie di Kamasutra personale che vedeva il sottoscritto protagonista o soggetto d’incontri sessuali d’ogni tipo. Ogni volta ne partorivo uno nuovo e subito il mio cervello tentava di elaborarne uno nuovo, in una ricerca sempre più complicata di rapporti sempre diversi.
Non sapevo se in altri ragazzi della mia età era la stessa cosa, restava il fatto che la fortuna avesse baciato me permettendomi di metterli in pratica.

Oggi ero riuscito a soddisfare me e i miei tre amici, e non era ancora finita.

Pensai… anche loro faranno lo stesso mio ragionamento? Chissà! Non era importante saperlo alla fine del mio ragionamento, però ero curioso e quando Clara, sotto i nostri occhi lussuriosi raggiunse l’apice del godimento.
A bocce ferme, come si suol dire, domandai:

– Pensate d’essere normali?

Mi guardarono, tutti e tre, come se fossi un marziano. I loro volti erano tra l’incredulo e l’offeso per questo Claudio, facendo il gesto di rivestirsi commentò:

– Sarai tu il normale. Come ti permetti di dire così… proprio tu…

– Scusate – Ripresi, capendo che avevo sbagliato tutto – non volevo offendere, mi sono espresso male, perché’ stavo facendo un mio ragionamento e senza riflettere ho dato aria ai polmoni. Però volevo dire, se pensate che altri ragazzi della nostra età abbiano un così bello, esclusivo, gratificante rapporto come abbiamo noi. Oppure, noi siamo stati benedetti da qualche santo per avere questa fortuna. Ci dobbiamo preoccupare perché ci stiamo traviando oltre ogni possibile ritorno ad una ‘normalità’. Conformismo indesiderato e non perfettamente da noi conosciuto?

– Senti, senti che filosofo dal cazzo moscio ‘ abbozzò Clara – però sotto, sotto un pensiero del genere mi era venuto in testa anche a me, cio&egrave’ &egrave da considerare una fortuna il fatto che io abbia Stefania come mia amica del cuore, oppure &egrave stato il caso a farci accorgere della nostra passione e a farcela condividere? Mi sono, anche chiesta se altre ragazze, più giovani o più vecchie di noi lo fanno. Come non avrei mai pensato che i ragazzi lo fanno e non so se altri maschi, escluso i presenti, facciano sesso tra loro.

– Di ragazzi – prese a dire piano Stefania. ‘ non ne conosco, se non voi due, il mio ragazzo, ad esempio, &egrave ‘normale’.
– E brava la santerellina – fece Claudio – così noi saremmo i pervertiti e per voi solo una debolezza infantile.

– Non &egrave questo il problema – lo interruppi – il mio tarlo &egrave: se il destino ha voluto regalarci tutta questa comunione di felicità, oppure siamo degli eletti. Viviamo u’esperienza unica troppo precoce per la nostra età, siamo troppo intelligenti, o oltremodo stupidi per nostro comportamento.

– E vallo a sapere il perché – continuò Claudio sedendosi.

Avevo di fronte a me due splendide creature, ancora profumate di sesso, alle mie spalle un coetaneo tenero e ben disposto eppure stavo lì, anch’io nudo, a filosofeggiare sul nostro rapporto.

Non soddisfatto del loro corpo volevo anche la mente? Perché ero così, mi preoccupavo perché non ero l’animale che in quei momenti avrei dovuto essere.

– Ho fame – disse Stefania, avvicinandosi al tavolo.

– Io, invece devo andare in bagno a cambiarmi – continuò Clara.

Mangiammo pane e salame con l’aranciata sgasata di Claudio e poi ci rivestimmo per congedarci dal comune amico.

– Stefi, toglimi una curiosità, ma con il tuo bello ci fai l’amore – dissi tutto d’un fiato.

– Saranno affari miei no! – rispose la ragazza.

– Tra noi non ci sono segreti, ricordatelo.

– Sì, ma con il preservativo, però – rispose lei facendomi il gesto di mandarmi a quel paese.

– Il preservativo, ecco un argomento su cui dibattere – continuai.

– Che cosa c’&egrave da dire sul preservativo – s’intromise Clara.

– C’&egrave, o altro che c’&egrave da dire. Chi glielo dà al suo tomo. Dove lo compra questo preservativo, ad esempio.

– Li prende a suo padre – disse Stefania.

– A sì, perché suo padre usa il preservativo.

– Tutti gli uomini che non vogliono aver bambini usano il preservativo.

– Il gondone, fratello – esordì Claudio – non sai cos’&egrave il profilattico: rimedio che preserva da gravidanze indesiderate oppure atto a prevenire da malattie veneree. Ce l’hai a casa l’enciclopedia o no. Fai come me, cerca tutte le parole strane e vedrai che ti farai una cultura.

– Cacchio, ragazzi. Continuate, perché ho troppe domande da fare, sulle quali non ci potrei dormire la notte.

Comodamente seduti iniziammo a parlare. Fuori c’erano circa trentadue gradi e faceva un caldo cane. Con tutte le finestre aperte circolava un po’ d’aria e stavamo quasi meglio noi all’ombra di tutti quei pazzi al mare sotto un solleone da ustioni epidermiche.

– Sono confuso – esordii – mi bolle la testa.

– Sì, ora che ti sei raffreddato il pisello – fece Clara – vuoi anche scaricarti la coscienza.

– E’ questo il problema, quale coscienza, perché dovrei scaricarmi qualcosa quando non ho fatto niente di male.

– Cosa vuoi, un certificato che ti attesti: ‘i rapporti tra lo stesso sesso sono uguali a quelli tra sessi diversi’ – continuò Stefi.

– Cio&egrave, voi siete convinti che &egrave male &egrave sporco, contro natura? – domandai.

– No, ma comunque non &egrave normale ‘ ribadì Stefania – quella normalità esteriorizzata da tutti, oggi, nel buio delle loro camere da letto non mettono certo in pratica.

– Ipocriti, affermai – tutti ipocriti.

– Ermes Bey, non lo era – fece Claudio lapidario.

– Uno contro un milione? – ridomandai.

– Un rapporto oggettivo – sentenziò Clara.

– Cio&egrave, fate quel che dico ma non fate quel che faccio.

– Sì, come i preti – affermò Clara – che predicano l’astinenza e poi se una ragazza come me va a confessarsi deve stare attenta a non inciampare in qualche tappeto della sacrestia’

– Cos’&egrave sta storia del prete? – feci sorridendo.

– Lascia perdere, ma torniamo a bomba, perché &egrave tardi e fra un po’ dobbiamo andare a cena.

– No, no – se ne uscì Claudio – se c’&egrave una storiella piccante sui preti voglio sentirla.

– Ma che piccante d’Egitto. Sei un pervertito come lui, dove vedi del losco ti ci butti a pesce.

– Che cosa servono gli amici, sennò.

– Begli amici – continuò Clara – dei maiali libidinosi ecco quello che siete.

– Dai racconta, facciamo finta che sia successo ad una tua amica.

– Ok, va bene compagni viziosi, vi racconto quello che &egrave successo alla’ mia amica.

Per Pasqua ‘questa mia amica’ si era recata in parrocchia. Le due del pomeriggio, chiesa deserta, il prete bighellonava tra le panche sistemando i messali. La mia amica gli chiede di confessarla, lui la guarda, con un sorriso la invita in sacrestia. La ragazzina lo segue e si mette in ginocchio sul tappeto mentre l’uomo in tonaca sta su uno scranno settecentesco. Le domande sono imbarazzanti, la mia amica risponde, ma si rende conto che il prete rasenta l’osceno nella sua curiosità morbosa. Sottomessa termina il supplizio di richieste verbali, con dei no o dei sì sussurrati, quasi estorti. Alla fine si alza, con passo svelto, allontanandosi inciampa sul tappeto e cade bocconi. La gonnellina si solleva scoprendo bel culetto rivestito di bianche mutandine d’adolescente.
La ‘mia amica’, non fa in tempo a ricomporsi che il curato gli &egrave sopra, lei sente qualcosa di caldo e umido intrufolarsi tra le gambe, mentre tenta di sollevarsi da terra. Il peso dell’uomo la contrasta e poi un dolore, una spinta, un colpo di frusta, una penetrazione violenta la spaventano, l’annichiliscono, la straziano. Un rapido scuotimento, e qualcosa di turgido che le raschia l’utero poi un lattice vischioso e caldo gli cola sulle mutandine tra le natiche.
‘ Un infraccosce’dal curato – l’interruppi serio.
– Violentata, senza la possibilità di una vendetta, quel porco bavoso avrebbe sicuramente negato ogni cosa se lo avesse denunciato – Chi crede ad una ragazzina? A fronte di una chiesa tutta coalizzata a difendere il suo prete? – continuò incazzata.
– Ma chi &egrave stò stronzo, don Marino ‘ disse Claudio, riferendomi al sacerdote della mia parrocchia.

– E chi altri – rispose Clara.

– Razza di stronzo. Bisognerebbe fargliela pagare ‘ continuò Claudio.

– Ragazzi, lasciate perdere, acqua passata, ormai come andata &egrave andata.

– Sì, ma quella merda d’uomo, nascondendosi dietro la tonaca chissà quante ragazzine ha fatto ‘inciampare nel suo lurido tappeto.

– &egrave’ la vita… – concluse Claudia con rassegnazione.

– Un emerito cazzo – continuai sentendomi avvampare di rabbia – se non lo vuoi fare tu ci penso io a spaccargli il muso. Tutto santo e pio, dall’altare predica l’astinenza e poi violenta le nostre donne’ E no! Qui bisogna far qualcosa.

– Lascia perdere – disse Stefania toccandomi un braccio – siamo troppo insignificanti, non dico troppo giovani, ma proprio ‘piccoli’ per riuscire a far valere i nostri diritti.

– Penso proprio di no, vero Claudio?

– Io una mezza idea ce l’avrei. Se vogliamo correre il rischio’
Capitolo otto
Dopo un paio di giorni dal nostro ultimo incontro Claudio, Stefania, Clara e il sottoscritto andavamo con passo marziale verso la nostra parrocchia.
Poco dopo si aggregò Michela alla quale mollai subito alcune banconote.
Le presentazioni mi parvero inutili. Continuammo a camminare in silenzio. Claudio teneva sotto il braccio una fiammante Polaroid, regalo del suo compleanno. Io una cinepresa a 8mm. Acquisto di mio padre per immortalarmi quand’ero un neonato. Clara e Stefania facevano numero.
Entrati nella chiesa deserta, abituando gli occhi alla penombra ispezionammo le navate e l’abside, senza far rumore controllammo che in sacrestia ci fosse sufficiente luce per la ripresa. L’esito era positivo. Mi nascosi dietro un baldacchino; dopo poco vidi anche Claudio che cercava un posto dove nascondersi, lo trovò e scomparse tra dei paramenti sacri.
Passarono alcuni interminabili minuti e il campanello del confessionale suonò, dopo poco lo scalpiccio del curato anticipò la sua presenza, la sua tonaca svolazzante attraversò il sagrato e sparì verso Michela, pronta a recitare la sua parte.
Come previsto don Marino se la portò in sacrestia e seduto sul seggio la fece inginocchiare ai suoi piedi mettendogli una mano sulla testa.

Iniziarono le solite domande poi i particolari sui peccati di Michela, inventati o confidati veramente. Il clima si stava surriscaldando, il prete sembrava ansare sotto l’abito talare, allora Michela, ben istruita dal sottoscritto iniziò a calcare la dose portando l’uomo ad ascoltare situazioni stimolanti, mentre con la scusa del caldo si sbottonava i primi bottoni della camicetta, scoprendo una buona porzione di turgido seno. Il prelato non staccava gli occhi da quelle due rotondità lattee e si asciugava il sudore. Prima della penitenza e dell’assoluzione, Michela, con la scusa del male alle ginocchia, si sollevò la gonna in modo da scoprire anche una bella porzione di cosce. Mentre si stava alzando già pronta ad inciampare sul tappeto. L’uomo non gli e ne dette il tempo e gli fu subito addosso, Michela finse un po’ di resistenza, mentre il motorino della mia cinepresa iniziò a ronzare. Se le condizioni del prete fossero state normali, mi avrebbe sicuramente sentito, ma allupato come satanasso non sentiva nemmeno le trombe dell’arcangelo Gabriele. La scopata ebbe inizio quasi subito, come al solito il maiale non aveva neanche sfilato le mutandine alla sua vittima, perciò c’era poca pelle esposta alla luce, ma il groviglio di corpi, il movimento delle reni e le spalle nude di Michela erano sufficienti a far capire tutto anche ai più incompetenti in materia.

Quando Michela afferrava la testa del curato e la sprofondava nell’insenatura del seno Claudio faceva partire il suo flash. Dopo una diecina di minuti, Michela ci fece cenno di svignarcela mentre sollevandosi la gonnellina copriva il volto del curato col proposito di farsi dare una slinguata alla fica. Il prelato gradì e così noi sgattaiolammo via. Vicino all’altare maggiore c’era Stefania e Clara alle quali rivolgemmo un gesto d’intesa: – Tutto Ok… E volammo fuori dalla chiesa ancora vuota e deserta.
Le istantanee erano perfette, l’incognita era la pellicola, aveva bisogno dello sviluppo per vederne il risultato. Le foto in ogni caso erano molto eloquenti.
Tutti e cinque ci ritrovammo a casa di Claudio e nella sua camera preparammo un pacchetto con foto e filmino (da sviluppare). Uno scritto anonimo denunciava il fatto.
Spedimmo il plico il giorno successivo ad un giornale di Torino a tiratura nazionale, però prima brindammo alla riuscita della nostra vendetta.

– Vedrai che se, se ne interessano i giornali lo sputtanamento &egrave galattico – dissi alzando il bicchiere di Coca Cola.

– Siamo dei professionisti – rise Claudio – pensa che in ogni foto non si vede il viso di Michela, ma sempre bene quello dello stronzo.

– Anch’io nel riprendere la scena ho sempre fatto in modo che la nostra amica fosse nascosta, quando si girava verso di me fermavo il meccanismo d’avanzamento.

– Meglio di Sergio Leone. Dovremmo fare qualche ripresa anche tra di noi, visto che siamo così bravi – intervenne Clara.

– Grande idea – feci mettendo le braccia tese in avanti, facendo il verso del “ciak si gira”.

L’unica che non rideva e scherzava era Michela. Mi avvicinai a lei dicendo: – Qualche problema?

– Sì, voglio restituirti i soldi, avete fatto una cosa buona e non voglio essere pagata per questo.

– Ti ringrazio – dissi sorpreso – ma quei soldi a te servono più che a noi quindi fai finta di averci aiutato gratis e noi poi ti abbiamo fatto un regalo, d’altro canto il lavoro più grosso l’hai fatto tu.

Questo la consolò abbastanza e quindi rientrò nel gruppo come una sorella maggiore.

– Vi dico che si potrebbe provare a scattare delle foto dei nostri incontri diciamo “molto amichevoli” e vedere se come attori siamo bravi – continuai prendendo in mano la Polaroid.

– Per i filmati dovremmo trovare qualcuno, complice, capace di svilupparli senza tante storie – disse Claudio.

– Iniziamo con delle foto, dai! – feci eccitato dalla novità.

Mi spogliai e posizionandomi alla luce della finestra mi feci scattare una foto coprendomi con una mano il viso.

Dopo il rapido sviluppo vidi un ragazzo nudo con il cazzo al vento che si nascondeva il volto, niente d’interessante.

– Prova tu Stefania – disse Claudio con la fotocamera in mano.

– Scusa ma Michela’ – disse Claudia

– &egrave una di noi al cento per cento ‘ feci io serie.

Stefania controllò lo guardò della sua amica e ottenuto il tacito consenso, si spogliò e rilevando il mio posto si fece fotografare. La foto era meglio della mia, ma in ogni modo era sempre un po’ fredda e non trasmetteva niente.

– Stefi, fai una cosa, mettiti il grembiulino della madre di Claudio e poi io da dietro ti brancico in modo da fingere un amplesso ‘ dissi. Clara confermò.

– Siete dei bei porcelli, voi quattro – interruppe Michela – mi piacete un casino.

Claudio recuperò un grembiule e la ragazza nuda lo indossò, mi posizionai dietro di lei aderendo bene al suo corpo, ed essendomi calato così bene nella parte, notai il mio cazzo inturgidirsi; infastidendo un po’ la mia partner con sfregamenti fuori luogo. Click e la foto iniziava a trasfondere qualcosa.

Iniziammo a fare un’istantanea dietro l’altra, finché i pacchetti della Polaroid non finirono. Nelle istantanee ad un certo punto era apparso anche Claudio, mentre gli scatti li faceva Clara. Poi Michela reggeva l’apparecchio quando Clara coinvolta si era unita al gruppo.

Alla fine sul tavolino del salotto c’erano una trentina di foto che riproducevano corpi nudi in atteggiamenti inequivocabili e abbastanza eccitanti da essere ammirate con piacere.

– Ci si potrebbe fare, su, dei soldi – disse Michela sfogliando i cartoncini con su le nostre pose.

– Vorresti, dire che vendendole, possiamo guadagnarci degli extra, mentre ci divertiamo? – la interruppe Claudio interessato al vile denaro.

– Certo, c’&egrave tutto un mercato di foto e giornali, così detti, pornografici che potrebbe fruttarci dei bei soldini.

– Affare fatto – fece Clara avvicinandosi a Michela con la voglia di accarezzarle il viso.

La nostra nuova socia lasciò fare e quasi invitandola le presentò il collo e poi anche più giù, verso il seno prepotentemente messo in risalto dal movimento in dietro della sua testa.

Eravamo tutti attizzati come una miccia e bastò quel gesto per dare sfogo alla nostra libidine, a tutta l’esuberanza covata in ogn’uno di noi.
Senza farla finire Stefania gli stampò un bacio profondo sulla bocca, da lasciare Michela senza fiato, tanto che dovette sedersi’sdraiarsi sul divano.
Claudio ed io, uno dalla testa e l’altro dai piedi l’aiutammo a liberarsi dei vestiti e restammo ad osservare le nostre amiche che si divertivano con i loro giochini lesbici, finché comparve una scatola di preservativi. Hatù, era la marca, li rigirai tra le dita, mentre Claudio ne apriva una bustina rossa con la scritta: “Con serbatoio”.
Mi venne da ridere, perché pensai al contenitore della miscela del mio motorino e quanti chilometri avrei fatto scopando con il serbatoio del profilattico pieno?

Claudio se ne infilò uno per prova e si guardava soddisfatto. Avendo entrambi ricevuto il messaggio dalle ragazze, qualcuna voleva essere scopata da un maschio, accarezzandolo lungo le spalle diressi il mio amico verso Stefania accovacciata sul tappeto lambiva avidamente il seno di Michela, mentre Claudia era intenta a sprofondarle tra le cosce.

– Dai, &egrave il tuo momento – dissi a Claudio, indicandogli con lo sguardo quell’invitante deretano proteso verso l’esterno e disponibile in ogni sua funzionalità godereccia.
Il ragazzo si chinò lentamente e iniziò ad accarezzare i fianchi della nostra amica, poi si aggrappò con una mano all’attaccatura delle natiche e con l’altra diresse il suo cazzo duro come il marmo verso la fica della femmina salivante. Claudio in ginocchio dietro a Stefania iniziava a muoversi ritmicamente dentro di lei. Io in piedi vicino a lui non trovai altro da fare che posizionargli il mio cazzo vicino al viso. Claudio con gli occhi lucidi di piacere mi guardò e aprì le labbra carnose, ben inumidite, pronte all’ingoio. Non potendone più dalla voglia spinsi leggermente il bacino, hoplà! Il bigolo sparì nella bocca del mio socio. Dall’alto vedevo tutto e tutti, il cuore mi sbatteva forte, la lussuria mi martellava le vene del corpo facendomi gonfiare il cazzo a dismisura. Iniziai a muovermi nella bocca del ragazzo e dopo pochi colpi scaricai tutto il mio godimento in quella gola:

– Buuuonaaa… – e se ne venne tra le cosce di Stefania.

– Dai, dai che vengo anch’io – mugolava Michela all’indirizzo di Clara che pareva impazzita tanto velocemente muoveva lingua e testa tra le cosce della ragazza. Ce la stava mettendo tutta per far raggiungere l’orgasmo alla nuova amica e non voleva far brutta figura di fronte ad una ragazza più grande di lei.
Oltre al piacere era anche una questione di reputazione che non poteva essere messa in dubbio. Dentro di lei albergava un buon settanta per cento di maschio celebrale in un corpo di femmina adorabile.
L’orgasmo arrivò quasi subito e Michela si rilassò sul divano. Io ero di nuovo in tiro, per cui mi sdraiai sulla ragazza ancora scossa dagli ultimi spasmi di piacere e brutalmente la penetrai d’un colpo. Subito ebbe un attimo d’irrigidimento poi piegando le gambe sulle miei reni mi fece capire che gradiva, o… come gradiva. Mi ero messo il “gondone” e sentivo l’orlo dell’attrezzo fregarmi contro i testicoli e questo strofinio compensava il mancato contatto diretto con le pareti uterine della ragazza. Sudai, vibrai e godetti mentre vedevo i miei amici che osservavano il mio sforzo.

– Dai! Metticela tutta – fu l’incitamento di Claudio che con un Kleenex venne a detergermi il sudore.

– Mettetegli qualcosa sotto la schiena ‘ fece Claudia, rivolgendomi agli astanti spettatori.

– Presto un cuscino – disse Stefania verso Claudio.

Sembrava di assistere ad un’operazione di alta chirurgia’
Di lì a poco Michela, sollecitata dalle mani delle ragazze, arcuava il bacino in modo da fare posto ad un voluminoso cuscino.
In quella posizione ero sprofondato completamente nel sesso della mia amante. Muovermi al ritmo dei ondeggiamenti del suo bacino, sentivo le vibrazioni provocate da un raptus di libidine intensa. Infoiato come un stallone stavo raggiungendo la scarica finale. Rivolto a Claudio, con un respiro affannoso dissi:
– Poggiagli il cazzo tra le labbra.
Lui senza un attimo d’esitazione s’introdusse tra le nostre teste ondeggianti per posare il suo teso strumento di piacere sulla bocca della ragazza. Per fare questo assunse una posizione un po’ strana, riuscì a mantenere l’equilibrio con l’aiuto di Clara.
Anche Stefania volle collaborare, con il proprio corpo, dette a Claudio un punto d’appoggio. In questa situazione orgiastica il ragazzo eccitato oltre ogni limite iniziò a muoversi sulla bocca di Michela. La ragazza lo lambì con la lingua e se lo aspirò cercando di ingoiarlo.
Da sopra, mi trovai nella piacevole situazione di scendere con la mia bocca spingere, succhiare, leccare quel meraviglioso oggetto del desiderio. Costretto tra le nostre bocche fameliche Claudio eruttò il suo piacere rovesciandosi sulle nostre amiche. Io e Michela raggiungemmo l’orgasmo piastricciandoci il viso con la sperma del nostro compagno.

– Ragazzi, se continuate così, fra un po’ venite sangue. – disse Clara aiutando l’amica Stefania a rialzarsi. Rotolai ridendo di gioia.

– Siamo forti, tutti insieme siamo fortissimi, e chi c’ammazza noi…

– Un po’ di Vov – sospirò Claudio alzandosi con un atteggiamento da vero pascià.

Nel mobile bar dei vecchi, c’era ogni ben di dio. Ci servimmo Marsala all’uovo, Vov e whisky finché un po’ alticci non ci lasciammo per rientrare a casa.

Per alcuni giorni correvamo, ogni mattina, all’edicola per comprare il giornale, ma purtroppo la notizia non c’era. Delusi ritornavamo al solito tran, tran quotidiano. Quando ormai avevamo perso ogni speranza nella giustizia di questa società, arrivò la novità, non tramite la stampa bensì dai nostri vecchi.
Conversando a pranzo manifestavano il loro stupore per il trasferimento di don Marino in un seminario d’Africa.

– Un santo – commentava mia madre – andrà a fare del bene dove veramente ce né bisogno. Credo che sia stato lui a chiederlo. Sono le male lingue sempre ben informate a dire di quella lettera ricevuta dal vescovo’

– Speriamo’non ci siano tappeti – dissi tra una forchettata e l’altra di spaghetti al ragù.

– Cosa c’entrano i tappeti – fece mio padre guardandomi serio. Non va mica in Oriente il nostro ex curato. In Congo non fanno tappeti…

– Lo so, lo so – dissi continuando a mangiare.

– Sei sempre più magro – iniziò la solfa mia madre – eppure mangia come tre persone, dovresti essere cento chili per quello che fai sparire dal piatto, sicuramente avrai il verme solitario, non &egrave possibile…

– Lascialo stare – la interruppe il mio vecchio – &egrave giovane, cresce come una zucca e poi fa tanto movimento, i giovani bruciano le calorie, tu stando in casa a guardare la TV neanche te lo sogni.

– Ha ragione papà – incalzai – io nuoto, corro, gioco al pallone e ho bisogno di cibo per far andare avanti la macchina.

– Sei troppo magro, avessi almeno la ragazza potrei capire – fece mia madre azzardando – ma sei sempre con quel Claudio o con i tuoi amici al campetto, non ti vedo mai con delle ragazze…

– &egrave presto – intervenne mio padre – comunque &egrave vero, con tante ragazze sei sempre a bighellonare con quei perditempo pari tuo.

Non ero più nella pelle dalla voglia di informare i miei amici della novità, per cui tagliando corto mi servii il secondo, lo celebrai in un attimo, un morso ad una banana e via; lasciai mio padre che a mò di rimprovero diceva: – Benedetta età, non hanno più rispetto per nessuno, diventano egoisti e prepotenti come i galletti d’India.

Dopo tutto i miei vecchi non avevano torto, Antonio ormai era promesso sposo, Renato aveva la figlia del farmacista, fidanzati in casa, si faceva vedere in giro quasi ad esibire il suo trofeo, bellissima creatura e di buonissima famiglia, ma vuota come una zucca vuota.
Gli oligarchi della capannetta oramai si erano dispersi.
Claudio ed io eravamo ancora single.
Giocava a nostro favore il merito negli studi, con la media dell’otto. Questo gratificava le nostre famiglie più del vincolo di un rapporto “normale”, un’amicizia legittimata.

Quel giorno avevamo appuntamento da Michela, ormai rimasta orfana, viveva sola nella cascina avita. Claudio mi raggiunse per strada e fu subito informato del trasferimento di don Marino.

– Maledetti giornalisti, non l’hanno pubblicato, chissà che fine hanno fatto le nostre foto e il filmino.

– Non lo so, ma qualcosa si &egrave mosso lo stesso.

– Con troppa delicatezza, hanno usato i guanti di velluto contro quel pedofilo di merda – continuava Claudio incazzato.

– Forse, ma se non fosse stato per noi quell’essere avrebbe continuato a fare i suoi porci comodi con le ‘nostre’ ragazze.

– Adesso va ad insidiare le negrette – fece il mio amico bussando alla porta di Michela.

– Non credo, non credo proprio. La chiesa &egrave come la mafia, quando sbagli paghi, e paghi salato.

La fresca figura di Miki apparve sull’uscio, invitandoci ad entrare.

Tutta frizzante come un bicchiere di Coca Cola si diresse verso un cassetto di un mobile dell’ingresso, e senza darci il tempo di parlare:

– Ecco la vostra parte – fece, allungandoci due pacchetti di banconote divise con l’elastico.

– Hai venduto le foto? – disse Claudio prendendo una delle mazzette. Lei fece di sì con la testa.

– Accidenti, non ci avrei proprio creduto – feci prendendo la mia parte.

– Ci sono ancora due fette per Clara e Stefania’se vengono.

– Alle due…hanno detto.

Infatti, il toc, toc alla porta fu quasi immediato. Mentre la padrona di casa faceva i soliti convenevoli dissi: – Lo sapete di don Marino…

– Sì, l’ho saputo dai miei, comunque se ne parla anche in giro. Abbiamo fatto un buon lavoro, sono le autorità, i giornalisti che non hanno fatto la loro parte.

– Per il rischio che abbiamo corso il risultato &egrave stato scadente ‘ fece Michela – per cui prendetevi queste due mazzette e compratevi un regalino di consolazione – concluse stendendo i pacchettini di soldi verso Clara e Stefania.

– Ce ne fossero – rispose Michela chiudendo il cassetto – anche film o riviste spinte, c’&egrave chi compra tutto pagandolo molto bene.

– Questo si che &egrave un “bisnes”- intervenne Claudio – se avessimo l’attrezzatura necessaria.

– Per ora facciamo pure delle semplici foto – continuò Michela – poi tutto l’ambaradero mi sarà fornito dal mio cliente.

– Senti, senti come parla da trafficante la nostra sorellona – fece Clara sorridendo – noi ci mettiamo la materia prima e lasciamo volentieri a te il commercio.

Michela, della camera dei suoi vecchi, né aveva fatto un locale adatto ai nostri scopi, sgomberando tutto il ciarpame della sua povera gente. Con abbondanti passate di calce sui muri aveva disinfettato e ripulito l’ambiente.

Oltre al riscaldamento a termosifoni, aveva sistemato in un angolo una stufetta elettrica per aumentare la temperatura, in modo da poterci spogliare senza patire il freddo. Su di un cavalletto, recuperato non so dove, c’era la Polaroid e di fronte, in piena luce: cangianti coperte, lenzuoli variopinti e cuscini d’ogni forma e colore completavano l’arredo.

– Chi si mette alla macchina – disse Michela con il chiaro intento d’essere lei la protagonista delle prossime foto.

– Io – dissi facendomi da parte, in modo che gli altri potessero spogliarsi e riporre i loro abiti fuori dall’obiettivo della macchina.

Michela, sempre più affaccendata, consegnò ai miei soci tre maschere nere, come quelle della Banda Bassotti di Walt Disney, dicendo: – Così non abbiamo più il problema di nascondere la nostra identità.

– Ottimo – commentai mentre mi preparavo a scattare.

Iniziò proprio Michela spogliandosi e mettendosi in pose diverse, sempre più stuzzicanti. Tra uno sviluppo, che la Polaroid indicava sul libretto d’istruzione di trenta secondi, nei quali dovevo tenere l’istantanea tra due piccoli riquadri d’alluminio, sotto un’ascella per permettere l’emulsione dell’immagine; e l’altro la mia modella si consigliava con gli altri tre, fuori campo, per trovare pose nuove e stimolanti.

– Dai, che m’attizzi tutto – ridevo con la foto sotto il braccio, poi la controllavo e se era buona la riponevo su un tavolino al mio fianco.

Fu la volta di Clara e poi Clara e Stefania, poi ancora Michela e Claudio e via in tutte le combinazioni possibili. Caricavo e scaricavo la Polaroid con abilità da professionista finché rimasi senza ricariche e interruppi il gruppo plastico ancora non ben definito.

– Ok, ragazzi ora il lavoro &egrave completo. Ci saranno un centinaio di foto da piazzare mi sembra che per oggi basti così.

– Domani tocca a te – fece Claudio guardandosi l’uccello talmente rigido che pareva volesse esplodere da un momento all’altro – mi faccio delle panciate di cazzo duro da farmi venire l’infarto.

– Povero coccolo – intervenne Michela accarezzando il mio ‘strumento di lavoro’ – hai bisogno di scaricare la tensione.

– Chiamala tensione – sghignazzai portandomi verso di loro.

– Se avessimo la possibilità di svilupparci le pellicole della cinepresa, potremmo fare dei film – fece Stefania imitando l’operatore cinematografico dei tempi andati, quando usavano aggeggi a manovella.

– Prima o dopo vedrai, riusciremo a trovare il sistema di stamparceli noi i negativi, allora compreremo una reflex e così, su pellicole a colori, vedrai che pose – disse tutto d’un fiato Michela, poi tirò un sospiro si rizzò in piedi, asciugandosi i capelli sul collo continuò – anche le pellicole cinematografiche riusciremo a sviluppare, ve lo garantisco.

– E allora perché non iniziamo a filmare i nostri incontri, poi per lo sviluppo c’&egrave sempre tempo.

– Non &egrave così, mi sono informata, e le pellicole se non le sviluppi entro un certo tempo si sgranano, sbiadiscono e quindi il nostro “lavoro” non &egrave più commerciabile.

– Ma quanto tempo ci vuole – interruppe Claudio – per avere l’attrezzatura?.

– Non lo so – rispose Michela – ma credo che sia questione di giorni.
Capitolo nove
Gli affari andavano a gonfie vele, gli incassi delle foto integravano le nostre ‘paghette’ per cui decidemmo di affidare il versamento dei nostri profitti su altrettanti conti correnti con firme disgiunte, ogn’uno di noi con Michela. La nostra “datrice di lavoro” era la più vecchia e quindi anche la più indicata per i rapporti con la banca.

Arrivò il materiale per lo sviluppo e la stampa delle foto e dei filmini 8mm. Conseguenza, ci trovammo in casa della nostra amica con un’eccitazione e un’euforia speciale.

Passammo tutto il pomeriggio a leggere i manuali, provare e riprovare nella camera ricavata da uno sgabuzzino dove al posto della lampadina normale ne avevamo messo una rossa, eufemismo per camera oscura. Pellicole, sviluppi, fissaggi, stampe, negativi e lavaggi. Avevamo anche la possibilità di fare degli ingrandimenti e aggiungere dei filtri alla reflex. Un laboratorio fotografico con annessi e connessi. Claudio risultava il più incline nell’arte di riprodurre le immagine, mentre Clara riusciva a sviluppare foto e pellicole con sufficiente maestria. A noi restava da fare’ solo, i modelli e non ci dispiaceva di certo, anche se il lavoro era lavoro’

L’improvvisata me la fecero i miei vecchi, una sera di ritorno dalla nostra officina di dissoluzioni.

Parlò mia madre – &egrave un periodo che sei sempre fuori al pomeriggio, non ti vedo mai studiare e preparare i compiti.

– Mà, – interruppi subito – a scuola vado bene, ho sempre una buona media, che male c’&egrave se vado con degli amici qualche volta oppure in piscina ad allenarmi.

– Il fatto &egrave – continuò la mia genitrice – che in piscina sono settimane che non ti vedono, papà ha parlato con il tuo allenatore; ti ha tolto dai titolari della squadra.

– &egrave vero – parai sperando che abboccasse – mi sento un po’ giù di fisico e così ho preferito stare un periodo in panchina. Mi riposo sotto gli esami e poi ritorno in squadra.

– Allora, cosa fai tutto il santo giorno – intervenne mio padre, severo.

– Alla mattina, vado a scuola, e lo sapete, due volte alla settimana vado anche di pomeriggio. Gli altri giorni esco a studiare in casa di Claudio o di qualche altro compagno di scuola.

– Frequenti sempre dei ragazzi! – affermò il mio vecchio con fare sospetto.

– No, ci sono anche delle ragazze, la figlia del vigile, Stefania e Clara che abitano nella Torre.

– Comunque, tu la ragazza non ce l’hai – concluse il vecchio.

– Non ho tempo, adesso per le smancerie, Pà, mi interessano gli studi e i miei amici.

– Lo so! Ma non &egrave normale – insisteva mia madre.

– Senti, ho parlato con il Dottor Segalla, il notaio, ha una figlia – continuò mio padre ‘ più o meno della tua età.

– Non la conosco – feci tentando di sottrarmi alla conversazione.

– La conoscerai – rimarcò il vecchio con tono duro – &egrave stata dalle Madri Pie sino al diploma.

– Ha fatto le private – commentai.

– Anche tu avresti potuto farle – precisò mia madre – ma a causa degli impegni politici di tuo padre abbiamo stabilito di iscriverti alla statale.

– Comunque – continuò il vecchio – questa brava ragazza, non conosce nessuno qui del quartiere e l’unico che potrebbe accompagnarla a teatro o al cinema ABBIAMO DECISO, sei tu.

Mi scappava da ridere, ma mi trattenni.

Volevano appiopparmi la verginella pensando che se pendevo verso il mio stesso sesso una compagnia femminile avrebbe parato le chiacchiere delle male lingue. Farisei di genitori, che non erano altro.

– Ok, ok – risposi – se vi fa piacere farò il cicisbeo alla figlia del notaio.

– Non scherzare – ribadì mio padre – il notaio &egrave un uomo molto influente e la cosa deve essere presa con la massima serietà.

– Ti ho mai deluso? – domandai spudoratamente.

– Sino ad oggi, no! In avvenire cerca di mantenere sempre questa linea, e avrai dal futuro quello che ogni ragazzo vorrebbe potersi permettere dalla vita!

– Me ne ricorderò – conclusi cercando di sgattaiolare in camera mia con la scusa di ripassare.

– Sabato sera ANDRETE al Politeama, ho già prenotato i biglietti.

Da oggi a sabato sarebbero passati ancora tre giorni nei quali qualcosa sarebbe successo, di sicuro.

Durante l’ora di Religione, io e Claudio, facevamo schizzi e progetti per il nostro primo filmato pornografico. Posizionavamo la cinepresa, le luci, lo sfondo. Ci inventavamo delle situazioni che ritenevamo elettrizzanti. Studiavamo la sceneggiatura, la regia e le sequenze del film eccitandoci come mandrilli.

Durante l’ora di ginnastica, facevamo i compiti del giorno dopo e così eravamo liberi per il pomeriggio.

Interno: casa di Michela.
Ambiente: camera da letto stile povero ma decoroso.
Personaggi: Stefania che rassetta il letto vestita da serva; Clara che esce dal bagno con un baby doll trasparente.

Ciak, azione, motore.

Stefania piegata oltre il necessario, scopre l’attaccatura delle cosce e il suo culetto, raccoglie il tappeto per sbatterne la polvere. Clara da dietro le raggiunge, con la mano, accarezza le sode natiche. Stefania si blocca in quella posizione e da all’operatore il tempo di spostare la cinepresa per fare un primo piano della mano sul sederino. Stefania si raddrizza e pudicamente si ricompone, Clara insiste cercando di abbracciarla. La serva cerca di sottrarsi ma poi si sottomette e le due donne finiscono sul lettone.

Clara si dà da fare per spogliare la domestica.
Primo piano, seno di Stefania che sfiora i capezzoli della padrona. Le ragazze sono nude.
Carrellata sui loro corpi: prima da uniti e poi supini.
Zoom sui loro cespugli inguinali, mano di Clara che inizia a stuzzicare il clitoride della sua amante. Full immersion tra le grandi labbra della fica di Stefania asciutta ma dischiusa al punto giusto. Carrellata per allargare il piano e riprendere il sessantanove in toto, poi in piano americano e in fine zoom, prima sulla lingua di Clara, semi scomparsa nella fica dell’amica e poi’
Primo piano dell’amica che gode e si sprofonda tra le cosce di Clara baciando, mordendo e leccando la fessura lucida e gonfia di piacere.

– Tocca a te – fa Michela, dandomi una spintarella.
Entro in scena, giacca e cravatta come un marito che rientra dal lavoro in anticipo.
Primo piano sul mio viso sorpreso. Poi sulle ragazze che colte sul fatto tentano di coprirsi senza riuscirvi.
Guardo avidamente i loro corpi e dal mio viso scompare l’espressione di stupore per lasciare il posto ad un ghigno di lussuria.
Mi spoglio, mentre sollecito le donne a continuare.
Libero la “belva” dagli slip e permetto, all’operatore, di riprendere il culetto marmoreo di Stefania, posizionata sulla sua amica supina, sta carponi per continuare la leccata saffica.
Mi posiziono dietro dirigendo il cazzo in quella fichetta ben umettata, con un colpo la penetro.

Primo piano del mio palo che divarica le grandi labbra della vagina profferta alla chiavata.
Estraggo parte del cazzo e faccio riprendere la scena con la cinepresa a pochi centimetri da me.

Motore al rallenty, stantuffo la ragazza. ‘La padrona’, da sotto, sposta di pochi centimetri la lingua dall’amica e si mette a lambire i miei testicoli.
Primo piano, con cazzo fermo e in movimento, poi il mio viso con espressione di godimento.

Sempre con la cinepresa che ronza a pochi centimetri dal mio inguine, tolgo il cazzo dalla fica di Stefania e passo nella bocca di Clara e poi di nuovo nella fica. ‘La padrona’ mi lecca la cappella lucida degli umori della ‘domestica’.
Il motore della cinepresa trasmette le sue vibrazioni all’interno della mia coscia per riprendere ogni particolare da vicinissimo.
Piano americano: per allargare l’immagine e riprendere completamente la scena.

Mantenere l’erezione non &egrave un’azione difficile, problematico &egrave l’essere coinvolto’il cervello non collabora.
Fortunatamente per me l’eccitazione consisteva nel piacere di esibirmi in un amplesso a favore di altri. La ripresa filmica, mi attizzava un casino. Più professionalità mi ripetevo. Controllati, non sei un principiante che ti alluppi trascurando i tuoi doveri.

Nel frattempo su suggerimento di Michela, mi sdraiavo supino sul letto e Stefania si cimentava in uno ‘spegni moccolo’ ad occhi chiusi. Riuscii a pensare: forse gli dava fastidio la cinepresa sempre tra le cosce o forse vuole dare il meglio di sé. O semplicemente gli piace farsi guardare quando scopa pensando a quanti si ecciteranno vedendo il suo corpo e le sue pratiche sessuali non usuali. Le nostre perversioni o deviazioni sessuali, fra le quali potevamo tranquillamente includere anche l’omosessualità, erano il mezzo per scoprire la nostra voglia di esibizionismo.

Clara gli si piazza, in piedi, davanti, a gambe larghe facendosi leccare la patatina, mentre da sotto vedo la sua fica rigonfia di umori. La cinepresa ronza sempre tra le mie gambe, riprende l’amplesso, poi si sposta lentamente sulle ragazze e ritornare da me grondante di sudore.

– Non inquadrarti l’ombra ‘ grida Michela. Claudio nel riprenderci non aveva notato la sua sagoma entrare ‘in campo’.

Inizio ad avere difficoltà respiratorie, l’affanno di non potermi muovere come voglio io, la mascherina sugli occhi si sbriciolava sotto l’effetto della mia secrezione. Cerco di cambiare posizione. Metto Stefania carponi pronta all’azione per una prepotente “pecorina”, e sino a qui niente di nuovo, la cosa eccitante &egrave Clara che afferrando con le dita le grandi labbra della vagina dell’amica mi agevola l’inchiavardata. Ponendosi di fianco per darmi la libertà di aderire bene alla ragazza. La ripresa di quella posizione &egrave lunga e estenuante. Claudio ricarica la cinepresa e poi riprendere con il mio cazzo pronto alla penetrazione e poi piano, piano dentro e poi fuori. Clara si mette carponi a fianco di Stefania anca contro anca. Michela m’invita a toccare anche la padrona e così, con una mano, mi reggo alle reni della domestica e con l’altra spingo due dita nella fica di Clara.
Particolare dei due culetti vicini, delle dita, successivo piano americano delle due ragazze, davanti, che si spingono la lingua, una nella bocca dell’altra.
Stop, fine primo tempo.

Clara scende dal letto per rivestirsi e Stefania la imita, con una leggera pressione sui fianchi la blocco, con quattro colpi ben assestati raggiungo l’orgasmo che mi straziava i coglioni, spruzzando tutta la mia lussuria sulla sua schiena.
Sento un paio di click e vedo la luce abbagliante del flash. Claudio poggiata la cinepresa aveva la reflex in mano e fotografava il mio liquido che schizzava in aria.

– State fermi ‘ disse Michela e rivolta a Claudio ‘ ricarica la cinepresa, voglio anche quest’ultimo pezzo. Indicandoci, in particolare la schiena di Stefy con il mio lattice che cola lungo i fianchi, e sulle spalle.

Tutto finì con una doccia calda.

Il susseguirsi incessante delle operazioni vede le nostre amiche ritirarsi in camera oscura per sviluppare, foto e filmino. Noi, per riprendere respiro beviamo Vov, succhiamo miele direttamente dal barattolo, guardiamo la TV e parliamo di scuola come bravi ragazzi borghesi e un po’ secchioni.

– Schifoso mondo ‘ uscendo dallo sgabuzzino, Clara sembra molto contrariata ‘ &egrave venuto tutto male.

– Come male ‘ fa Claudio alzandosi.

– Tutto sfuocato, mosso, contro luce ‘ continua Michela.

– Non prendetevela con me ‘ farfuglia il nostro amico.

– Non &egrave, neanche colpa tua purtroppo abbiamo ancora molto da imparare.

– Non &egrave facile ‘ interviene Stefania ‘ siamo dei dilettanti, spero si possano utilizzare le immagini migliori per stampare delle foto, venderemo quelle’

– E’ un’idea, resta il fatto che il film &egrave da buttare’

Clara infilò la bobina nel proiettore e per dieci minuti fece scorrere le immagini sullo schermo. Aveva ragione sembrava di vedere una sequenza interminabile d’errori d’esposizione, illuminazione, inquadratura, movimento’poco di quelle pellicole poteva essere utilizzato.

– Bisogna, provare tutto ‘ disse Clara ‘ dall’obiettivo alle luci, dal movimento della cinepresa, alle inquadrature, dagli zoom, ai particolari. Non so quanta pellicola dovremmo buttare prima d’avere qualcosa di decente, però dobbiamo riuscire a fare qualcosa che possa tradursi in pecunia.

Quel sabato avevo un impegno con i miei, anche al pomeriggio: parrucchiere, doccia, barba. Un piccolo restauro. Volevano mi rimettessi a nuovo.
I miei amici, invece, fortuna loro, si chiusero nella casa di Michela e studiarono i loro manuali di fotografia e cinema. Li invidiavo, però non avevo scelta.

– Ciao ‘ dissi quando mi fu presentata la ‘mia fidanzata’.

-Ciao ‘ rispose lei stendendomi una manina che pareva un’ameba.

Rivolgendomi al pubblico ufficiale ‘ possiamo andare ‘ dissi con estremo servilismo.

– Certo ragazzi, e divertitevi ‘ rispose il vecchio, un passo avanti rispetto alla moglie, la quale da dietro salutava la figlia con un fazzolettino. Neanche se fossimo partiti per la guerra d’Africa.

Per l’occasione, mio padre, aveva noleggiato un taxi, sul quale salimmo senza parlare. Il motore si avviò e l’autista partì.

– Danno la Locandiera di Goldoni ‘ dissi d’un fiato per interrompere quel silenzio a me poco gradito ‘ con Carla Gravina’l’attrice.

– Lo so – rispose.

– Sarà una noia mortale, se mi dovessi addormentare, svegliami.

– Perché, &egrave una commedia divertentissima, come si può dormire’poi’in teatro.

– Non sono un gran cultore di questa forma d’espressione artistica ‘ dissi con ironia – preferisco il cinema, la TV, al limite, la rivista; ma il teatro non lo digerisco proprio.

– E allora perché questa sera stai andando al politeama con me ‘ ribadì Rosa un po’ acida.

– Per far piacere ai nostri vecchi ‘ risposi villanamente.

– &egrave la stessa cosa per me ‘ terminò la ragazza, aprendo la portiera del taxi, eravamo al capolinea. L’ingresso del teatro era illuminato per le grandi occasioni.

Cercando i nostri posti, notai, da uno degli ingressi in sala, Michela sotto braccio ad un vecchio e strabuzzai gli occhi. Sapendo che era orfana e di parenti n’aveva, ma non certo gente che frequentava le sale teatrali trasalii. Mi fece un cenno di saluto, ero rimasto mezzo in piedi e mezzo seduto, in quella posizione non era difficile notarmi, bloccato con gli occhi a civetta, accennai un sorriso di risposta, e mi sedetti.

– Una tua parente? ‘ fece Rosa.

– Un’amica! ‘ risposi.

Un paio d’ore di spettacolo, devo ammettere divertente, l’attrice, era veramente brava.
Alla fine un tripudio d’applausi e tutta la troupe a fare inchini e ringraziamenti.

– Avevi ragione ‘ affermai uscendo dalla sala.

– Te l’avevo detto, poi lei era così istrionica, una vera artista di teatro.

– La preferivo in ‘Ioanca e le altre’.

– Hai visto quell’orribile film ‘ quasi urlò lei inorridita.

– Come fai a sapere che era orribile.

– Ne ho sentito parlare come’del diavolo.

– Io vedo una marea di film, non pago l’ingresso, quindi a volte non guardo neanche cosa si proietta, entro e mi siedo, specialmente quando piove o &egrave brutto tempo, oppure quando non ho niente da fare.

– Beato te, io vedo qualche film in TV e basta.

– Svegliati amica mia, andare all’università vuol dire farsi un mazzo tanto!

– Ah! come parli? Cerca di essere un po’ meno volgare.

– Scusa, scusa, mi &egrave scappata.

Fuori il taxi non c’era, aspettammo qualche minuto e ne spuntò uno. Feci cenno per fermarlo ma invano.

– Accidenti, ci ha lasciato a piedi quel cretino.

– Perché doveva passarci a prendere? ‘ domandò Rosa.

– Certo, alla fine dello spettacolo, doveva essere qui.

– Chissà cos’&egrave successo.

– Un cancro che lo colga, ecco cosa &egrave successo. Avessi almeno il mio motorino.

– Si, così vestiti, ti ci vedi sul motorino. ‘ rise la ragazza.

– Hai ragione, ma quando rimango a piedi non connetto.

Rosa s’incamminò, non era interessante stare davanti ad un locale pubblico oramai vuoto.

– Dall’altra parte ‘ feci, indicando con il dito – la strada di casa &egrave di là.

La serata era discreta, meteorologicamente parlando, quindi con le scarpe nuove che mi facevano un po’ male ai piedi trotterellavo verso casa con a fianco la verginella. Pensai: guardati da quelle caste e pure spesso hanno delle sorprese’
Alta era alta, poco meno di me quindi sull’uno e 75, capelli biondi ben curati, un viso anonimo ma gradevole, le gambe dovevano essere altrettanto lunghe, le immaginavo inguainate in un collant bianco. Il seno assente, in quel vestito preso in vita e senza ombra di scollatura, pareva piatta come una tavola. Occhi cerulei con un po’ di sopracciglia, anch’esse, ben curate. Labbra carnose, forse un po’ di rossetto le avrebbe dato maggior rilievo, ma anche così non erano male. Voto tra il sei e il sette.

Passato il quartiere di Santa Linbania, il più era fatto. Proprio in quel momento arrivò, da dietro, il taxi lampeggiando. Salimmo lo stesso, ormai era pagato, e appena ci sedemmo eravamo già di fronte alla magione dei Segalla.

– Ciao, ci possiamo vedere ancora ‘ feci io nel salutarla.

– Telefonami, magari una sera al cinema.

– Promesso ‘ e le strinsi la mano, che parve scomparirmi tra le dita.
Capitolo nove

Domenica pomeriggio ci vediamo in casa di Michela, appena arrivato saluto l’allegra brigata e poi:

– Cosa ci facevi a teatro ieri sera? – domandai a Miky.

– Curavo le pubbliche relazioni della nostra società.

– Un po’ anziano il tuo cavaliere.

– Sono loro che comprano, devo essere disponibile per mantenermi il cliente.

– E’non ti dispiace per niente – commentai.

– E’ gentile, quasi tenero, altruista.

– E scopa da dio – intervenne Claudio.

– Non lo so – ripropose Michela – non l’ho mai fatto con lui – m’invita al ristorante, al cinema a teatro, gli piace farsi vedere in giro con me, una più giovane di lui, ma non pretende niente. Accenna al sesso per questioni di lavoro.

– Bene – dissi cambiando discorso – siamo qui per fare qualcosa o cincischiamo in questa giornata festiva.

– No, no – fece Clara – dobbiamo mettere a punto alcune cose. Vedere i risultati delle nostre prove.

Sul solito divano in quello che si definiva impropriamente uno studio cine fotografico, ci sedemmo tutti seriosi.

– E tu cosa ci facevi con quella squinzia slavata? – mi domandò a brucia pelo Michela.

– Che dici? – risposi, facendo il finto tonto.

– Quella vestita come Maria Goretti, cos’&egrave una tua conquista.

– Un’amica di famiglia, non la conoscevo sino a sabato sera, ha organizzato tutto il mio vecchio.

– La promessa sposa – intervenne Stefania.

– No, temo che abbiano qualche sospetto. Mi vedono frequentare sempre dei ragazzi, e non mi sono ancora fatto il filarino, mia madre vuole coprire le apparenze con una facciata di perbenismo. A me sta bene, due giorni la settimana, qualche ora la sera, posso sprecarla per fare contenti i miei.

– Utile come copertura per quest’attività – concluse Claudio ‘il nostro ‘lavoro’ si presenta più difficile di quanto pensassi. Le foto no! Ma le riprese non vogliono decollare.

Analizzammo, le prove fatte nei giorni precedenti e non si potevano considerare materiale decente.

Riprendiamo seguendo alla lettera il testo, che tra i tanti, ci sembra il più attendibile. Posizioniamo le luci come descritto, finestre e persiane chiuse, lavoravamo solo con la luce artificiale. Stefania si sposta sulla scena, e finché la cinepresa &egrave ferma, forse, tutto va bene. Il difficile &egrave spostarla senza fare danni.
Il pomeriggio, passa, in altre estenuanti prove e si conclude con lo sviluppo d’alcuni rullini non sviluppati prima.

Come al solito ero in tiro, ma dovetti reprimermi perché tutti erano troppo impegnati a far soldi, o meglio a farne di più di quello che ritenevo sufficiente. Tutto era iniziato come un gioco diventando ogni giorno più un assillo che un piacere. Questo mi seccava, tenevo più ai miei amici che a tutto l’oro del mondo. Sentivo perdere il loro interessamento per il sesso, quello per godere s’intende. Mancava l’entusiasmo, l’elettricità scatenata dal godere di noi stessi. Il piacere di esibirsi, mostrarsi nelle nostre acrobazie sessuali, gioire nel vedere il piacere scaturire dai nostri corpi, gustare le nostre reciproche perversioni, amarci per la soddisfazione di poterlo fare.

L’unico fedele al mio dogma, era Claudio con il quale mi vedevo più spesso. Con gli altri, giusto il tempo per fare una ripresa o due pose.
Avevamo rapporti di reciproco, piacevole sesso, tutti e due sapevamo cosa faceva piacere all’altro, e quindi non dovevamo, come avviene con le ragazze, preriscaldare i nostri incontri con preamboli superflui, ma bastava andare diritti alla meta con mutuo godimento.

– Buona sera signora – dicevo alla moglie del notaio entrando, tutto azzimato, nella casa di Rosa.

– Ciao, carissimo – fece lei.
Erano oramai un paio di settimane che ogni martedì e sabato uscivo con la loro figlia e oramai nel quartiere la cosa era talmente nota da far ringiovanire mia madre di dieci anni. La povera vecchia, usciva più spesso di casa, era tornata a truccarsi il viso e frequentava più spesso il parrucchiere, cambiava spesso abito e si fermava a chiacchierare con le pettegole del rione. Questo miracolo era opera mia e n’ero soddisfatto, perché mi aveva fatto salire nell’indice di gradimento della mia famiglia al punto che il genitore mi aveva comprato un’auto nuova, nuova .

Accompagnai al cinema l’oggetto del mio incondizionato successo e durante la proiezione mi permisi un paio di volte di prenderle teneramente la mano. Lei non solo accettò il mio contatto, ma, mi sorrise compiaciuta. Non volli sbilanciarmi oltre perciò continuai ad avere un atteggiamento compunto e deferente.

Il primo bacio, fu un lieve sfiorare di labbra una sera di ritorno da un giro in auto, eravamo stati a Portofino e passeggiando sul molo c’eravamo tenuti per mano come due scolaretti. Lei doveva stare bene con me, perché si dimostrava sempre ben disposta e accondiscendente, anche se io non andavo mai oltre il seminato, cio&egrave non volevo che qualche mia impulsiva azione rovinasse quest’amicizia così importante.

Il solito pomeriggio in casa di Michela, la compagnia riunita al gran completo per iniziare una ripresa in grado da poter soddisfare gli eventuali spettatori. Due nuove cineprese, montate rispettivamente su un cavalletto la prima e la seconda su un macchinario scorrevole, le luci erano meglio disposte e di nuova concezione, praticamente era tutto nuovo, appena comprato e pareva agli occhi di un profano come me, molto funzionale.

– Iniziamo la ripresa – esordì Michela spogliandosi.

Claudio si mise alla cinepresa fissa, Clara a quella mobile, rimanevamo io e Stefania.

– Allora mio bel stallone – fece Miky indicandomi con le braccia aperte – facciamo da cavie?

– Con piacere – risposi spogliandomi.

Si unì a noi anche Stefi che movimentò ulteriormente le scene, creando un groviglio di corpi difficile da gestire, specialmente su di un set dove mancava un regista.

Come il solito, il filmato si concluse con un mio orgasmo sul seno di Michela.

Dopo qualche minuto di camera oscura, Clara fece capolino dalla porta e ci accennò che era tutto ok. Fu un’ovazione generale che ci coinvolse al punto che fu stappata una bottiglia di spumante. Allegri come dei bambini intorno ai loro nuovi giocattoli facevamo progetti per le prossime volte, considerando anche il fatto che avremmo dovuto avere almeno un regista.
Il montaggio delle pellicole lo facevo io, visto che mi avevano affibbiato l’epiteto di ‘toro da monta’ la qualifica mi aspettava di diritto.

Così scherzando e ridendo iniziammo prima a spingerci e a toccarci l’un l’altro e poi ad azzuffarci in un’orgia di piacevolezze che per quanto mi concerne terminò con un’irrorazione del culetto di Claudio che schizzava ogni sua stilla di nettare testicolare nella gola di Stefania.

Estenuato ma soddisfatto, ritornavo a casa per cena, guidando lentamente. Pensavo che era quasi impossibile quello che mi accadeva, possibile che mi andava sempre tutto bene, non un problema, non un contrattempo. Tutto filava come l’erba liscia.

Improvvisamente un botto fortissimo e poi l’auto che inizia a sbandare paurosamente, tento di tenerla diritta ma invano, urto il marciapiedi e finisco contro un palo della fermata dell’autobus. Mi scuoto e guardo se sono ancora tutto intero, si almeno in apparenza.

– Si &egrave fatto male – sento una voce femminile, dal finestrino andato in frantumi.

– No, non credo – rispondo automaticamente.

– E’ colpa mia, guidavo come una scema – continuò la donna tentando di aprirmi la portiera.

– Ma lei &egrave ferita – dico guardandola in viso, dove un rivolo di sangue esce dall’attaccatura dei capelli.

Nel frattempo altre vetture si fermarono, telefonano ai vigili, all’ambulanza e al carro attrezzi senza rendermene conto di tanta solidarietà umana guardo la donna e tento un misero soccorso.

Questa si mette a piangere.

– Colpa mia, colpa mia ‘ ripeteva ‘ ci saremmo potuti ammazzare.

– Non esageri andavamo a trenta all’ora.

C’&egrave un tale che ci accompagna al bar “a prendere qualcosa di forte”.
Mi gira un po’ la testa ma per il resto sto bene.
Dal bar chiamo casa informando i miei e li tranquillizzo sull’accaduto.
Dopo pochi minuti viene a prendermi mio padre e mi porta a casa.
Il giorno dopo vuole portarmi dal nostro medico per una visita generale senza alcun esito, a parte il classico colpo di frusta al collo, un livido nel braccio e un taglietto in una gamba sono sano come un pesce. Mentre mi rivesto trovo nella tasca jeans un biglietto con l’indirizzo dell’investitrice, probabilmente la donna me lo aveva dato per la richiesta danni. Mio padre aveva già attivato la nostra assicurazione, tramite il numero della targa. Per mio conto cercai il numero di telefono della signora Ferrari Marinella sull’elenco telefonico e la chiamai.

– Buon giorno – dissi alla cornetta – sono quel ragazzo che lei ha investito ieri sera.

– Certo, certo – risponde una voce femminile dall’altro capo del telefono – le do subito il numero della polizza.

– La ringrazio, ma ho telefonato per sentire come sta’

– Si annoti questi dati – e iniziò a dettarmi alcuni numeri e il nome della sua compagnia assicurativa.

– La ringrazio, signora’

Il mio vecchio si interessava di tutto, pratiche assicurative, carrozzeria, ritiro della vettura. A me non restava che consolare l’investitrice, considerando che mi sembrava umano interessarmi di una personcina gradevole, involontariamente piombata nella mia vita.
Era pazza, ubriaca, chissà’ Da quando Ernestina Prola nel 1907 fu la prima donna a prendere la patente ad oggi nel 1976, sono talmente poche che guidano, il fatto mi incuriosiva.

Questo mi intrigava, una donna che guida un’auto vuol dire una femmina indipendente, magari lavora, vive sola, ogni tanto riceve degli uomini in casa sua per un breve rapporto, poi se ne torna libera e magari felice. Non era il caso della signora Marinella la quale sprigionava un senso di malessere, ben oltre al fatto di aver causato un incidente stradale.

– Potrei venirla a trovare, potremmo parlare a quattrocchi – azzardai.

– No, non credo – rispose smontandomi – adesso no, magari più avanti, ora sono troppo presa, Ciao – disse interrompendo la comunicazione.

La chiamavo tutti i giorni, finché non accettò di vedermi. A volte mi comporto come l’edera, dove mi attacco muoio, questa volta bastarono un po’ di telefonate e ottenni il consenso di quella donna.

– Buon giorno – esordii presentandomi alla sua porta.
Il gusto della novità, nella mia vita bizzarra, era cosa rara, benché sempre cosparso di continui successi.
La conoscenza di quel nuovo essere mi stimolava come quando andavo a cercare sesso nei cinema.

Il cuore mi tornava a battere forte, le mani mi si inumidivano e quel senso piacevole di disagio alla bocca dello stomaco erano i sintomi di quel risveglio disperatamente cercato. Mi piaceva trovarmi in queste situazioni d’incertezza, non sapere cosa fare e come farlo, avere qualcosa da fare di diverso cosunque fosse. Più inaspettato, oscuro e pericoloso più mi eccitava facendomi fare cose, prendere decisioni sicuramente poco razionali ma appaganti alla mia sete di novità.

– Buon giorno – rispose lei facendomi entrare.

– Dove li metto – avevo un mazzo di gerbere che goffamente tenevo in mano a mo’ d’offerta.

– Sei stato a disturbarti – fece lei con un sorriso.

Notai che mi dava del tu e lo gradii molto.

– Oh, niente – farfugliai.

– Accomodati, vieni pure avanti – mi sedetti:

– Forse ho abusato della tua gentilezza – iniziai – però non mi era mai successo di essere coinvolto in un incidente, sino all’altro giorno.

– Il perito &egrave venuto, l’assicurazione ha pagato? – mi interruppe, informandosi.

– Si, si certo – risposi – Eri ferita e non ho fatto niente per aiutarti.

– Parli come una persona più matura dell’età che dimostri – disse sedendosi – prendi un caff&egrave o preferisci un drink.

– Un caff&egrave va benissimo – risposi – però non subito, se non hai premura vorrei poterti dire che mi dispiace’forse andavo troppo piano.

– Ma non dire sciocchezze – m’interruppe – sono stata io che non ti ho visto.

– Ecco, quello che mi ha incuriosito da subito, il motivo per cui non mi ha visto.

– Secondo me, sei ancora scosso – fece lei alzandosi per andare a preparare il caff&egrave – non ho mai sentito nessuno della tua età’ sei sui ventuno, ventidue anni’con dei discorsi così profondi, così strani; studi filosofia per caso?

– Indovinato, faccio Lettere e Filosofia, ho ottenuto il rinvio per il militare.

– A guardarti meglio ti facevo più vecchio – commentò lei tornando dalla cucina.

Mi servì il caff&egrave e portandosi il liquido bollente alle labbra disse:

– Sei un ragazzo singolare, non riesco a capire cosa vuoi, il perché delle tue telefonate, di questa visita…

– Nulla di strano, curiosità – continuai – c’&egrave stato un guasto meccanico, ad esempio non hanno funzionato i freni. Oppure cosa?

– Ero distratta, soprappensiero, se questo può calmare la tua smania di sapere.

– Ahh! Una distrazione… ‘ non sapevo più cosa dire per rimanere vicino a lei.

– Si, una sbadataggine imperdonabile, ho corso il rischio di far del male al prossimo.

– M’incuriosisce’ – esordii – Perché sto vivendo un periodo da re Mida, dove tocco, qualunque cosa faccia, comunque mi comporti &egrave sempre un successo. Non conosco lo scoraggiamento di una vita difficile e piena di ostacoli. Ne sento parlare ma come l’acqua sulle pietre di un torrente, passa senza fare, apparentemente, danno. Non conosco la sensazione in cui uno si trova quando &egrave in crisi.

– L’hai davanti – disse la donna sorridendo – beato te che ti stai godendo la gioventù. La mia &egrave stata bella sin che non ho deciso di sposarmi poi c’&egrave stato un graduale deterioramento conclusosi con una separazione.

– Me ne dispiace – feci quasi contento.

– A me no – continuò lei – oggi sono un essere umano indipendente, con qualche problema, ma libero da quell’inferno di convivere con un uomo, del quale non potevo sopportarne la presenza – disse tutto d’un fiato servendomi un altro caff&egrave – e non capisco perché sto qui a parlarne con te che potresti essere mio figlio.

– Un fratello minore – feci sorridendo.

Marinella si alzò e dirigendosi verso la porta del suo appartamento facendomi capire che il mio tempo era scaduto. Mi alzai avvicinandomi all’uscita, furtivamente le rubai un bacio piccolo scappando senza girarmi in dietro.

A causa della mia auto in carrozzeria, quel martedì restammo a casa di Rosa a vedere la partita di calcio. Il notaio, sua moglie e noi due vicini sullo stesso divano di fronte ad una delle prime televisioni a colori (1977).
– Sistema PAL – disse il dottor Segalla indicando la TV – tra SECAM e PAL ha vinto il PAL.

– Forse perché era il migliore? ‘ domandai, tanto non sapevo nemmeno cosa volesse dire.

– Comunque &egrave uno spettacolo vedere le immagini a colori &egrave tutto un’altra vista, specialmente le partite &egrave veramente piacevole seguire i colori delle squadre in campo.

– Si – aggiunse Rosa – sembra di essere al cinema standosene in casa al calduccio, e mi si rannicchiò vicino.

Il padre la guardò serio e lei subito si ricompose. Forse arrossì ma non lo so, perché intenzionalmente fissavo lo schermo TV.

Il lunedì pomeriggio ero impegnato con i miei soci nello studio foto cinematografico.

Il martedì con Rosa.

Il giovedì studiavo tutto il giorno.

Il venerdì avevo ripreso gli allenamenti.

Il sabato studio e poi con Rosa

La domenica in famiglia e poi con i miei amici in casa di Michela.

Una settimana sempre molto impegnata che però doveva farmi trovare un po’ di spazio per la signora Marinella. Non volevo mollarla, mi stuzzicava troppo. Mi piaceva, anche fisicamente, matura ma armoniosa, quella giusta elasticità delle forme, goloso di fronte ai suoi seni, ingordo verso quei fianchi morbidi e ben raccordati con il suo vitino stretto da quella larga cintura di lustrino nero. I capelli poi’ben curati e lunghi al punto giusto da scoprire un viso triste ma dolce come il miele. Una vera donna, non le max diciottenni conosciute sino ad oggi. Una femmina capace di ronzarmi nella testa giorno e notte, volevo scoparla’

Saltai l’allenamento’l’aspettai al ritorno dal lavoro sotto il portone di casa. Sentivo che avevo bisogno di vederla, il mio ultimo commiato era stato un po’ imbarazzante’ ‘dovevo andare a Canossa’.

– Ecco il ladruncolo – disse lei sorridendomi.

Quel schiudere di labbra mi dette sollievo, pensavo fosse incavolata con me, invece improvvisamente mi ridette il coraggio di risponderle a cuor sereno.

– Buon giorno volevo vederti, dirti come mai non hai la macchina?

– Non vado mai a lavorare in auto – rispose lei – in ogni caso la mia Simca &egrave ancora dal carrozziere, caro mio, io me li devo pagare i danni, l’assicurazione ha pagato i tuoi, ma chi prende torto, in un incidente il carrozziere se lo paga.

– Non &egrave possibile – affermai.

– Invece &egrave proprio così – disse aprendo la porta di casa del suo appartamento.

L’avevo seguita senza invito, come un cagnolino segue la sua padrona.

Mi fece entrare, e iniziò a fare quel che doveva senza curarsi di me.

– Dov’&egrave la sua vettura – dissi alzando la voce, perché la sentivo ma non riuscivo a capire dov’era.

– Alla carrozzeria Duemila – rispose da una stanza – perché?

– Niente, la mia non so nemmeno dove l’ha portata, mio padre.

– &egrave ha posto?

– Si, si come nuo….

Riapparse alla mia vista indossando una tuta di felpa e morbide pantofole ai piedi. La guardai con piacere, messa in libertà la sua figura era ancora più piacevole perché rivelava un atteggiamento familiare, intimo, comodo e delicato che mi bloccò la voce in gola.

– Scusa se non posso sedermi a fare conversazione, ma devo preparami un po’ di zuppa.

– Scusa te, sono io che disturbo, sarà meglio che me ne vada.

– Se vuoi rimani pure, però penso che anche i tuoi ti aspettino per cena.

– Si, si – dissi avviandomi alla porta.

Lei mi accompagnò e quando ero sul punto di andarmene mi fermò toccandomi un braccio baciandomi sulla guancia. ‘ Ciao! – disse richiudendo l’uscio.

Rimasi sullo zerbino per cinque minuti senza aver la forza di muovermi. Poi correndo in strada mi fiondai alla ricerca della carrozzeria dove Marinella aveva lasciato la sua utilitaria.

Tre sabati pomeriggio più tardi, invece di azzimarmi per uscire la sera con Rosa, presi il motorino e corsi a suonare il campanello dell’appartamento di Marinella.

Ero stato in carrozzeria dando disposizione di riparare la vettura. Il titolare volle essere anche pagato per la sosta nella sua officina, la vettura era ricoverata presso di lui da oltre tre settimane.

Ritirai un po’ di soldi dal mio conto, saldando ogni debito.

Attesi, fremendo, fuori della porta e quando questa si aprì, allungai la mano dove tenevo la chiave dell’auto e dissi:

– Ecco la tua macchina e qui fuori parcheggiata.

Lei mi guardò stranita, poi seria mi apostrofò:

– Che cosa hai detto? Non vorrai farmi incazzare anche nel weeck end. Quel linguaggio non era di una signora ‘ pensai.

– Perché ti faccio un regalo e tu t’incazzi?

– I regali li vai a fare alle tue amichette – fece lei chiudendomi la porta in faccia.

Restai a guardare quel legno lucido, attraversato da lunghe striature scure immaginai ci fosse scritto: ‘SOMARO’.

La porta si riaprì e Marinella mi fece entrare.

– Scusa, ma mi hai colto alla sprovvista – disse sedendosi accanto a me sul divano.

– Capisci che non sono una che ha bisogno di sorprese per essere gentile. Non ho bisogno d’essere compiacente nei tuoi confronti perché non voglio dover dipendere da nessuno, tanto meno da un ventenne impertinente come te.

– Non l’ho fatto con intenzione – mentii.

– E allora perché?

– Perché non sapevo che l’assicurazione non copre i danni di tutti ‘ tornai a mentire.

– Ma santo ragazzo, non hai riflettuto’chi crea un danno n’&egrave responsabile. Chi rompe paga e i cocci sono i suoi…

– No, pensavo, le assicurazioni dovrebbero liquidare tutto e tutti, e allora perché si pagano?

– Benedetta ingenuità – commentò – chi ha pagato, tuo padre?

– No, ho saldato io la fattura dal carrozziere.

– Si con i soldi delle paghette, risparmiati giorno per giorno…

– No!, ho le mie entrate e potrei comprartela la macchina, non solo riparartela.

– Buon giorno signor Onassis – fece lei indicandomi la porta.

– Dai, non cacciarmi, sono venuto a portarti la Simca con propositi pacifici’per dimostrarti la mia amicizia, non per essere trattato a calci in faccia.

– Senti, forse non l’hai capito ma sono in forte imbarazzo, perché da un lato potrei apprezzare il tuo gesto, ma dall’altro non credo di poter accettare la tua elemosina.

– Non faccio la carità, tanto meno ho pensato di farla a te. Per quanto ne so potresti essere stata la moglie di Agnelli e quindi non aver bisogno di nessuno. Ma l’ho fatto solo perché mi sembrava una cosa giusta, non era mia intenzione umiliarti. Non avrebbe scopo la mia azione di risarcire con quella di offendere. C’&egrave contrasto tra le due cose, non credi?

– Allora dove vuoi arrivare – fece lei sbuffando.

– A niente, essere carino con te &egrave forse un reato? Esserti amico, sapere che non me ne vuoi per averti creato dei problemi.

– Ma perché, io, dovrei avercela con te, dovrebbe essere l’opposto.

– Mettiamola così – interruppi – volevo farti una sorpresa’speravo ti avrebbe fatto piacere avere, subito, la tua auto e ho provveduto. Sempre per solidarietà.

– Ma non ci può essere amicizia tra me e te’c’&egrave incompatibilità di età. Non sono la tua zietta, del film che stanno proiettando in questi giorni in città.

– Magari – feci sorridendo.

– Sei anche sfrontato – disse alzandosi e sparendo in una camera.

Rimasto solo. Pensai: lei aveva capito. Prima o poi le avrei chiesto di fare all’amore. La nota dolente era come si fa a chiedere ad una donna quello che si brama?

Mentre facevo funzionare il cervello a pieno ritmo, suonò il campanello del telefono, lei uscì e andò a rispondere. Senza riflettere, la raggiunsi da dietro e mentre parlava alla cornetta iniziai ad abbracciarla e baciarle i capelli, il collo a strofinarle il seno sopra la felpa. Mi respingeva come poteva. La mia fortuna fu che la telefonata era importante ed ebbi qualche minuto per continuare ad accarezzarla e a stringermi a lei come un boa costrictor.

– Ti richiamo, io, si, si più tardi ti richiamo…

Sentii queste parole e poi un forte bruciore all’inguine sul quale istintivamente allungai le mani urlando.

Girandosi mi aveva appioppato una ginocchiata ai miei gingilli e poi a braccia tese mi aveva scaraventato a terra.

– Ma sei impazzito – mi urla pronta a difendersi.

Tutto rattrappito, sulla moquette rantolavo il mio dolore. Lei fa un passo avanti, poi due indietro, respira forte e pare scaricare la sua tensione perché con tono di voce diverso dice:

– Ma cosa ti &egrave saltato in mente, volevi prendere con la forza quello che non ti aspetta.

E visto che non rispondevo si china su di me:

– Non credere di farmi pena, te lo sei meritato, ma cosa credi io non sono la gallinella che si accovaccia aspettando passiva la sua sorte. Maschi, stupidi maschi, siccome a voi basta sfiorarvi per essere pronti a scopare’pensate con il cazzo. Poveri illusi e in particolare te figlio del ‘senatore’,di esperienza ne devi proprio avere poca credendo di approfittarne facendo lo stupido. Non siamo mica più nell’ottocento caro cretinetti…

Appena smise di parlare con una mossa repentina l’afferrai al collo e la trascinai per terra, colta di sorpresa subito non reagì, poi iniziò a lottare come una tigre. Graffi, morsi e un paio di volte sento le mie costole scricchiolare sotto la pressione dei suoi gomiti.

– Ti desidero troppo – continuo a dire – mi piaci da morire, non resisto. Uccidimi ma io non smetterò di amarti.
Invece mi difendo, ed essendo molto più agile di lei riesco a schienarla e a mettermi a cavalcioni della sua vita fermandogli le braccia contro il pavimento.
In questa posizione lei arcua il bacino per disarcionarmi. Prono su di lei mi avvicino sempre più alla sua bocca che inizio a baciare. Serra le labbra e anzi cerca di mordermi, allora con tutta la mia forza inizio a baciarle il collo tenendola giù, poi con uno sforzo notevole passo dalle labbra al petto sino all’incavo dei seni, oltre non posso andare a causa dei vestiti. Si libera una mano e mi afferra per i capelli. Tento di imprigionarla di nuovo ma più tiro e più mi faccio male, così mi sdraio bocconi gravando con tutto il corpo su di lei. Fregandogli, intenzionalmente il gonfiore che avevo tra le gambe in mezzo alle cosce.

– Brutto porco – dice tra tutti gli altri epiteti – ora ti sistemo.

E con un colpo di reni più forte mi rovescia sulla moquette. Mi &egrave sopra, inferocita e inizia a menar sberle a destra e a manca. Io mi copro il viso con le mani e cerco di sottrarmi a quella gragnola di schiaffoni. Senza rendersene conto si siede sul mio inguine a cavalcioni premendo con la sua parte più calda sul mio rigonfiamento. Questo supplizio mi fa più male delle sberle, e glielo faccio notare cercando di mettermi di fianco. Lei no, infervorata dalla lotta continua a farmi sentire la sua ardente intimità a pochi millimetri dal mio cazzo senza capire che stavo scoppiando. In un attimo di pausa riesco a divincolarmi e la guardo, rossa in viso, accigliata come un’aquila, pronta a colpire.

– Ok, ok – faccio presentando le mani a mo’ di resta – hai vinto.
Appena lei abbassa la guardia, gli balzo di nuovo addosso e inizio a farle viaggiare le mani su tutto il corpo. Ovunque si liberava uno spazio, della sua strenua difesa, io lo raggiungevo per tentare di mettere a nudo una parte della sua candida pelle.

– Basta – gridava lei – basta, se no mi metto ad urlare, verranno i vicini, sarà uno scandalo. Mi blocco un attimo e poi rispondo:

– Si, si fai venire i vicini, che ci trovano così, una signora separata con un ragazzo, lei tutta rossa in viso e con gli abiti cencicati e lui con un attizzamento da elefante innamorato.

– Sei un vigliacco – continua lei mentre mena schiaffoni come se fossero caramelle.

– Ti voglio – ripetevo – voglio fare l’amore con te, ti prego non ne posso più.

– Vai a scaricare i tuoi bollenti spiriti altrove, stronzo che non sei altro. E giù sberle, calci e graffi. Mi rincorre per la stanza come se l’aggressore, ora fosse lei, ed io la vittima.

– Ti faccio passare, io, la voglia. T’insegno, io, l’educazione…

All’altezza del divano mi fermo di botto, con una schivata di schiena le faccio fare un ruzzolone sui cuscini volandogli letteralmente sopra. Non reagisce subito e così mi sistemo in una posizione più stabile, gli afferro i polsi con una sola mano e con l’altra tento di calargli i pantaloni della tuta. Il contatto con quella pelle che immaginavo candida e ricoperta di piccole efelidi mi inebria.
Il calore che emanava il suo corpo sudato, il profumo di una femmina pulita. Come sfiorai l’elastico delle mutandine venni come un cretino, abbandonandomi sopra di lei.

– Anche la eiaculazione precoce mi dovevo sorbire oggi – fece lei da sotto divincolandosi.

Mogio come un cane bastonato mi alzo e senza parlare vado verso la porta.

– Fermo lì, Casanova – dice lei afferrandomi per un braccio – ora vai in bagno e ti sistemi per benino, non voglio che qualcuno ti veda in questo stato. Poi sparisci per sempre dal mio cospetto.

Feci quello che mi aveva appena ordinato e mentre ero in bagno a ripulirmi mi sarei messo a piangere, non lo nego alcuni lacrimoni mi corsero lungo le guance e bestemmiai il signore per quest’ignobile scherzo.

Con i pantaloni calati, la carta igienica in mano intento ad asciugare gli slip non dovevo essere certo un bello spettacolo.
Capitolo dieci
L’esperienza con la signora Marinella fu qualcosa che mi dette da pensare’

Riprendendo gli allenamenti in piscina dovetti ridurre le prestazioni con il mio gruppo d’amici. Non ero geloso di nessuno e quindi mi accontentavo dei loro ritagli di tempo. Con Claudio era diventato un rapporto platonico, gli facevo capire che lo desideravo, che continuava a piacermi e nelle rare occasioni di simulati orgasmi davanti alla cinepresa, facevo in modo di dimostrargli che lui era sempre il mio preferito.

– Dai tuffati ‘ sentii urlare al mio indirizzo mentre ancora mi trovavo sul bordo della vasca.

– Arrivo ‘ dissi rivolto a Marcello, che con un altro gruppo di pallanotisti mi faceva segno di raggiungerlo.

Con due bracciate arrivai al centro del gruppo, il mio allenatore, appunto Marcello, era un uomo sui trentasette anni, quasi alla fine della sua carriera come pallanuotista. Per questo da pochi mesi si cimentava come trainer della nostra squadra.

– Prenditi una corsia e fai trenta vasche per ogni tipo.

Con quella frase intendeva impormi di nuotare per circa un chilometro moltiplicato per i quattro stili fondamentali, più altre trenta vasche di trentatre metri con la tavola.

– Cinque chilometri, mister ‘ feci lagnandomi.

– &egrave il minimo ‘ ordinò categorico ‘ anche gli altri le stanno facendo.

Guardando verso le corsie, ebbi la conferma di quando affermava, molti miei compagni erano intenti a subire il supplizio.
Nuotai, nuotai e ancora nuotai.

La nudità negli ambienti sportivi &egrave normale, negli spogliatoi non c’&egrave pudore, in particolare nel nuoto che s’indossa solo un semplice slip. Per cui quando si fa la doccia, spesso, non ci s’infila quell’inutile indumento e si va in giro come mamma ci ha fatto. Spesso ero turbato da qui corpi nudi di ragazzi e uomini atletici ma non più di tanto, poi m’ero abituato, in quell’ambiente mi sembrava, appunto, logico muovermi in mezzo ad altri maschi altrettanto svestiti.

Quel giorno, avendo iniziato gli allenamenti dopo gli altri, fui costretto a fermarmi in vasca più a lungo. Nuotavo lentamente, mentre si accendevano le luci all’interno della piscina, l’eco delle voci che rimbombavano si allontanavano gradatamente mentre tutti uscivano per strada. Ero esausto, non coordinavo i movimenti e facevo ancora più fatica a spingermi nell’acqua.

– Vieni fuori ‘ sentii urlare Marcello ‘ &egrave tardi, continuerai la prossima volta.

Salendo la scaletta me lo trovai davanti con l’accappatoio della sua squadra addosso. Era imponente, un fascio di muscoli con due spalle larghe come un armadio, una barba ispida e i capelli tanto corti che si vedeva la cute della testa abbronzata.

– &egrave poco che faccio il trainer alla vostra squadra ‘ mi disse facendomi prendere respiro ‘ però non sono per niente contento della vostra forma, ed in particolare la tua, se vuoi rimanere nel gruppo devi darti da fare.

– &egrave quello che tento di fare, mister.

– Sei troppo scoppiato, non hai resistenza, ti manca il nervo. Fatti meno pippe e mangia proteine e carboidrati per riempire un po’ di più questo fisico scheletrito.

– Magari avessi il tempo per fari delle pippe ‘ dissi sorridendo, visto che lui era entrato in confidenza, mi permisi di aggiungere ‘ ho la ragazza fissa e qualche amica che ogni tanto vuole una ripassatina’

– Molla tutto, per un po’ e rimettiti in forma ‘ se no out.

– Ci proverò, ma sarà difficile ‘ conclusi andando verso le docce.

Mi tolsi lo slip e sotto il getto dell’acqua bollente mi tonificai con un auto massaggio di spugna e striscia di crine. Frizionai finché la pelle non mi venne rossa. La leggera irritazione che provocavano quegli strofinamenti mi piaceva, quasi mi eccitava, per cui mi guardai in giro non volevo essere scoperto in quel mio stato di semi erezione.
Ero tranquillo, non sentivo nessuno avvicinarsi, anche se il getto della doccia faceva abbastanza rumore, ormai tutti avevano lasciato il locale e il custode doveva essere al bar come al solito.

Mi sbagliavo, perché mentre mi gustavo quel relax corroborante mi trovai davanti un uomo sulla quarantina nudo davanti a me. Al momento non riuscii a fare a meno di ammirare i suoi muscoli possenti, le spalle e i suoi pettorali scattanti. Si avvicinava cauto, eravamo a leggero contatto, avrei potuto andarmene ma come al solito rimasi fermo in attesa di qualcosa che sapevo doveva succedere. Sentivo quel senso d’oppressione allo stomaco, un nodo in gola e la curiosità mi bloccò, con l’erezione tra il teso e il rilassato, quella via di mezzo che esprimeva in quel momento la mia volontà. Non ebbi molto tempo per riflettere’l’uomo prendendomi la striscia di crine disse:
– Forza, fammi sentire come ci si sente sotto il massaggio di quest’aggeggio.
Senza fiatare presi a frizionarlo piano, mentre lui visibilmente eccitato mi presentava il suo notevole arnese. Il crine mi cadde mentre lui facendosi sempre più vicino mi si incollava al corpo.

– Mi sei piaciuto da subito ‘ mi disse fermando il getto d’acqua ‘ hai qualcosa di particolare che mi attizza.

Non riuscivo ad emettere alcun suono vocale, sorpreso e confuso sentivo il suo corpo contro il mio, il suo alito sul collo e poi giù verso il capezzoli, me li succhiò e morse, mentre la sua mano coglieva il mio cazzo menandomelo. Mi tremavano le gambe per il piacere, la sorpresa ritornava a farmi sentire quel gusto della trasgressione’mi ribolliva il sangue. Abbandonato a quel massaggio mi beavo di quel corpo vigoroso che mi premeva contro, ne respiravo il profumo ne ammiravo la consistente elasticità, qui muscoli guizzanti, i pettorali agili sollecitati dal movimento delle mani, una sul mio cazzo, l’altra che mi accarezzava la schiena fino alla fenditura tra le natiche. Facendo un giaciglio con asciugamani e accappatoi mi invitò a sdraiarmi accanto a lui, ubbidii e lui mi fu subito sopra leccandomi e succhiandomi dappertutto, lo assecondavo nei suoi movimenti finché non iniziò a succhiarmi il cazzo, se lo sprofondò in bocca tanto che con il naso mi solleticava il pube, pareva volesse ingoiarlo tanta era l’avidità con la quale inglobava il mio muscolo teso allo spasimo. Ogni tanto si liberava la bocca per dirmi:

– Ti piace, godi?

Ed io facevo di sì con la testa, pregandolo di continuare. Ad un certo punto gli schizzai tra le labbra e lui lappò tutto con una lingua calda e delicata che mi strappò gemiti di piacere. Toccava a me, ora restituirgli il godimento, cominciai a toccarlo ad accarezzarlo poi con la bocca volli gustarlo dappertutto, quella fine pelle flessuosa tesa da una muscolatura da campione mi piaceva parecchio e mi soffermai tra le sue natiche tese, dure come il marmo solleticando i testicoli per incorporare quel gonfio cazzo, la cappella vermiglia mi entrò in bocca premendo sul palato poi mi scivolò in gola. L’uomo godeva e lo faceva capire con profondi sospiri di beatitudine, solo che ad un certo momento senza farsene accorgere mi prese alle spalle e con tutto il suo peso mi appiattì sul nostro giaciglio. Raccolta un po’ di schiuma e sapone dal piatto della doccia mi umidificò tra le natiche e assicurandosi che non potessi reagire iniziò a penetrarmi lo sfintere, cercai di ribellarmi ma mi teneva inchiodato con la sua forza. Urlai di dolore quanto il suo cazzo s’introdusse nel mio retto, e lui pronto a tapparmi la bocca con un lembo d’asciugamano. Sentivo il mio intestino lacerato dai suoi colpi, e pensare che avevo sempre sognato di poter soddisfare un uomo, mi ero anche preparato a farlo, immaginavo questo momento come appagamento della mia libidine invece ero martoriato da quella selvaggia violenza. Tentai di rilassarmi, col proposito di una rapida conclusione. Mi sbagliavo, L’ individuo continuava a martellarmi le reni e non era finita qui, da dietro un armadietto comparve un altro più anziano ancora, anzi molto più vecchio’probabilmente era lì dall’inizio e infervorato all’estremo si dirigeva verso di noi facendo dondolare tra le gambe un cazzo sproporzionato.

– Dai, King, spaccagli bene il culo, al verginello.

– Fregoli vieni che ce né anche per te ‘ rispose l’uomo intento ad accanirsi nel retto, ansimando.

Il nuovo arrivato, lo conoscevo come Aldo, si fece avanti afferrandomi per i capelli mi sollevò la testa quel tanto che bastava per togliermi dalla bocca il panno di spugna e iniziare a strofinarmi tra le labbra il suo cazzo. Visto che non volevo collaborare, mi chiuse il naso con due dita e le strinse tanto finché non aprii la bocca, poi lesto m’infilò tutto il suo muscolo in gola. I due uomini si eccitavano reciprocamente dicendo oscenità e incitandosi l’un l’altro tormentandomi. Bocconi su quella spugna imbevuta d’acqua, sorretto per le spalle dal secondo uomo, che in ginocchio davanti a me si beava del mia stimolazione linguale, ero violentato come un oggetto di piacere senza partecipazione, anzi più cercavo di dibattermi più mi lamentavo e maggiormente si aizzavano di dissennato sadismo.

– Forza Fregoli che mi sento venire ‘ urlò l’uomo dietro di me.

Aldo accelerò il ritmo nella mia bocca spruzzandomi in gola il suo umor denso, mentre l’altro con tali spasmi da sollevarmi da terra m’irrorò le budella senza pietà.

– Ingoia! ‘ m’impose Aldo, senza fare il minimo cenno di liberarmi la bocca. Ubbidii perché ormai la maggior quantità mi era già colata nell’esofago.

Pensando che il supplizio fosse finito tentai di alzarmi gridando:

– Ma che cazzo fate’

Non feci in tempo a muovermi che i due mi sistemarono supino. Quello chiamato King, afferrandomi per i piedi mi sollevò come un capretto. Avevo lo sfintere indolenzito e un’infiammazione interna da piangere per il dolore, cercai di scalciare ma inutilmente, preso dai due lati non riuscivo a sottrarmi al loro eccesso di smania sfrenata, mi ritrovai con i talloni sulle spalle di Aldo mentre l’altro mi teneva per i polsi. Guardando la budella molle dell’uomo mi persuasi che non poteva penetrarmi subito, lo guardai sconvolto gridando:

– Lasciatemi, vi denuncio stronzi! ‘ ma mi fermai subito, perché l’uomo facendomi dondolare il cazzo sul viso mi faceva intendere che l’avrebbe usato per farmi tacere, era già in tiro, pronto a togliermi il respiro. Non volendo subire un altro abuso orale’zittii nello stesso momento Aldo con i pollici e gli indici delle mani mi serrava mi capezzoli tirandoli all’esterno come se volesse strapparli dal torace. I miei lamenti erano la sua eccitazione. Mise le ginocchia sotto le natiche per aderire il più possibile al mio culo tormentato e guardando l’altro che si masturbava lentamente sulla mia faccia, ebbe l’impulso per un’altra prepotente erezione. Mi penetrò dicendo:

– Sei già tutto bello bagnato vedrai che ti faccio godere come una troia.

Il supplizio riprese con maggior veemenza, sentivo lo sfintere lacerarsi e ogni muscolo del retto cedere sotto l’azione di quell’ariete. Non contento l’altro volle che lo masturbassi lentamente soffiando il mio affanno sulla sua grondante cappella. Non so come ma anche il mio cazzo s’induriva e a un certo punto svettava sbattendomi sulla pancia ad ogni colpo che ricevevo.

– Vedi che godi puttanella ‘ disse l’uomo ridendo.

L’uomo inginocchiato vicino alla mia faccia prese a masturbarsi da solo con frenesia finché non mi schizzò in faccia il suo godimento. Nel tentativo di evitare quel liquido vischioso mi agitai, forse contrassi anche lo sfintere, questo sollecitò Aldo nel vomitarmi nell’intestino la sua scarica lasciva.

– Dai leccala ‘ disse tenendomi fermo la testa.

Mi costrinse a lambire con la lingua gli angoli della bocca dove rivoli di lattice colloso colavano lentamente. Abbandonato su quel cumulo di panni intrisi d’acqua, feci in tempo a sentire, tra le altre minacce:

– Se parli sei un uomo morto ‘ e i due sparirono dagli spogliatoi.

Dopo aver tentato un paio di volte di alzarmi, ci riuscii con gran dolore, buttandomi sotto la doccia. Li denuncio, li rovino, pensavo, però dopo una mezz’ora, riflettendo convenni che uno scandalo, un fatto del genere reso pubblico, mi avrebbe precluso ogni relazione sociale; vedi il frequentare Rosa, Marinella e i miei soci, questi ultimi già si sentivano il fiato sul collo della Buon Costume figuriamoci se avrebbero potuto frequentare uno come me, interessato dal clamore di certe notizie morbose. Poi mio padre avrebbe avuto i suoi affari rovinati. Sì’sì’io ero la vittima ma in ogni caso la gente ti perdona ma resta il risolino, il dubbio, la calunnia sono sempre pronti a distruggerti la vita. Conclusi che un bel silenzio non fu mai scritto e zitto, zitto, vacillando mi diressi a casa.

Non volli più frequentare la piscina. Mia madre era contenta di questa decisione perché gli avevo dato ragione confermando il mio deperimento. Poi gli esami universitari mi assorbivano troppo e poi la mia innocente relazione con Rosa ben qualche energia me la consumava’i miei vecchi capirono. Mio padre volle portarmi dal nostro medico e feci l’ennesima cura ricostituente, nel frattempo mi accordarono il permesso di sospendere gli allenamenti, ed era questo quel che volevo. Col tempo ritornavo spesso a pensare alla violenza subita non in modo spiacevole, però, ma con pulsione erotica sentivo quei cazzi turgidi gonfiarsi dentro di me, gustavo quella sborra che mi colava in gola, ne sentivo ancora l’acre sapore e quelle mani che mi procuravano dolore tirandomi i capezzoli sino allo spasmo erano un sottile appagamento lascivo. Mi eccitavo del tormento inflitto al mio corpo, dell’umiliazione di subire la brutalità tesa al godimento dei due cazzi. Il dolore può essere anche piacere affermava il Divin Marchese ed io ero sempre più attratto da questo stimolo, se da un lato mi terrorizzava dall’altro mi solleticava il ‘mille righe’, quando mi passavo un dito tra le chiappe, o mi ammaccavo i capezzoli per assaporare il piacere di essere tormentato.
Come più volte mi era capitato richiamavo alla mente la mia anormalità per convincermi di essere diverso dal resto degli altri individui di questo pianeta, in primo luogo perché mi piaceva tutto, i cambiamenti, le eccezioni e poi le perversioni per stimolare la gran caterva di erotismo che mi scorreva nelle vene. Ero un cultore del sesso e solo in funzione di quello vedevo lo scorrere della mia vita. Il fare sesso era scoprire me e gli altri, svelare la natura di coloro che conosci prima e dopo averci fatto l’amore, rivelare i propri bisogni erotici e recepire quelli delle altre persone, conoscere le più appassionati pulsioni protese ad attivare ogni neurone celebrale affinché si possa sempre più assaporare il piacere usando qualsiasi mezzo per ottenerlo.

Con questo convincimento discolpavo i miei stupratori, loro cercavano di soddisfare il piacere del sesso e probabilmente c’erano riusciti, a scapito mio, ma questo non importava, io ero l’oggetto con il quale arrivare al giusto appagamento per il quale la mente si applica scaturendo i pensieri e poi le voglie, i vizi, i fatti belli o brutti che siano. Filosofi e medici, psichiatri e studiosi hanno affrontato questo problema e quasi tutti sono convenuti in una semplice deduzione: le persone sono tutte diverse ma hanno la loro carica animale che li spinge verso le loro esperienze, c’&egrave chi &egrave più concreto e agisce di persona e chi &egrave più celebrale e progetta situazioni che vorrebbe mettere in atto, circostanze reali, ma spesso, sogni. I miei erano speranze ostinatamente desiderate in concrete realtà, quindi quando decisi di invitare Marinella nel covo dei cineasti era un desiderio di coinvolgerla in qualcosa di morboso attinente alla mia vera identità, allo stesso tempo sentivo di poterla umiliare o appagare, indipendentemente se avesse accettato o respinto di fare la comparsa in quell’orgia di dissolutezze alle quali mi preparavo mentalmente da tempo.

Ne parlai prima con la mia compagnia.

– Ma l’hai scopata ‘ disse Michela.

– Beh! Si e no’

– Ho &egrave si o &egrave no.

– Sono venuto ancor prima di metterglielo dentro.

E giù tutti a ridere.

Michela ne fu subito entusiasta, anche lei voleva portare un suo adepto, perciò pareva di prendere con una fava due piccioni, in realtà c’era il rischio di estendere ai neo interpreti la nostra attività, con le conseguenze di renderla troppo pubblica, quindi pericolosa. Dal punto di vista della legge, quello era un periodo molto puritano e censorio. Certe pubblicazioni definite dai più ‘oscene’ venivano perseguitate.
Capitolo undici
Sono in macchina con Marinella. Quasi ogni giorno l’aspetto all’uscita dal lavoro e l’accompagno a casa, così eravamo entrati in confidenza senza più ricordare il fallimento di quella sera. La mia nuova amica spesso si lamentava del magro stipendio, aveva lo sfratto per insolvenze con il proprietario dell’appartamento, non arrivava neanche a metà mese, per cui doveva fare debiti con il fornaio, macellaio, verduriere ecc. ecc. Però mi minacciava di non ripetere il gesto del carrozziere. Quindi se mi fossi permesso non mi avrebbe più rivolto parola. Allora dissi:

– Devo parlarti di una cosa molto seria per avere da te qualche consiglio.

– Sei forse rimasto incinto? ‘ rise lei, accomodandosi sul sedile.

– No, non scherzare, &egrave una cosa che volevo dirti da tempo ma non avevo il coraggio, spero di averlo oggi perché non voglio aver segreti con te, che amo appassionatamente, stimo immensamente, desidero più della mia vita stressa.

– Sputa, senza tante smacerie ‘ fece lei curiosa.

Iniziai a raccontarle la mia storia con i miei quattro amici, la nostra avventura, il buon guadagno e del nostro totale coinvolgimento da non volerne più uscire.

– Potere o volere ‘ volle che precisassi, lei.

– Volere ‘ evidenziai ‘ siamo noi quelli a divertirci di più, &egrave complicità cementante, nessun altro sentimento potrebbe essere così forte, siamo un tutt’uno e lo VOGLIAMO integralmente, c’eccita l’avere altri occhi addosso, sguardi morbosi, stimolati, curiosi. Il piacere di immaginare masturbazioni solitarie guardando i nostri amplessi &egrave enorme, il sapere di certi filmini guardati in coppia per stimolare lui o lei ci dà lo sballo, Cercare situazioni sempre più stuzzicanti.
Siamo noi a volerlo’ conclusi.

– Certo, sotto il profilo dell’erotismo &egrave molto convincente ‘ condivise Marinella.

Pensavo, con questa frase di averla in mano, continuai.

– Abbiamo scattato migliaia di foto, prima in bianco e nero con una semplice Polaroid, oggi abbiamo uno studio professionale con fotocamere modernissime e uno per riprese filmiche da far concorrenza a molti cineasti. Il difficile &egrave trovare attori e attrici fidati da avviare ad un redditizio lavoro, poche ore la settimana e si fanno su i milioni.

– Non credo ad una sola parola che hai detto ‘ mi smontò la mia amica.

– Non c’&egrave problema &egrave tutto controllabile e verificabile ‘ continuai dopo un attimo di sospensione ‘ ma devo essere sicuro della tua fedeltà, una denuncia e siamo tutti rovinati, non possiamo correre rischi, se accetti di venire con me non devi aver ripensamenti e tanto meno principi di legalità o moralità o atteggiarti censori. Noi ti diamo tutta la nostra garanzia di riservatezza e segretezza però tu dimenticati delle cose perbene alle quali sei stata educata sino ad oggi.

– Perché, allora non ci mettiamo a fare i falsari o i ladri, rapinatori, delinquenti sui generis ‘ continuò canzonandomi.

– Perché non ne siamo capaci ‘ risposi semplicemente ‘ poi il rischio &egrave troppo, invece noi, con quello che ci PIACE fare, facciamo divertire anche gli altri, i poveri di sensibilità, gli stanchi della solita ‘minestra’, i guardoni, i maniaci, i sessuofobi, tutti coloro che vorrebbero fare e si devono accontentare di vedere.

– Siete dei filantropi, allora ‘ commenta Marinella.

– No, siamo un team capace di produrre immagini gradite agli uomini ma non sgradevoli alle loro amanti, e a noi resta il piacere di disporre di grano divertendoci.

– Sei convincente come un venditore della Folletto ‘ commentò lei ‘ ma non m’incanti, m’incuriosisci, ma non mi convinci.

– Che vuoi che ti dica per dissuaderti? Sono un essere immorale proteso a guadagnare sui vizi di poveri squilibrati, assommando illeciti su delinquenze nell’attesa che la Buon Costume mi sbatta in galera.

– Semplicemente, portami a vedere il posto e allora ci posso credere ‘ mi tranquillizzò Marinella ‘ per la censura ne riparleremo dopo.

– Grazie ‘ dissi soddisfatto, avviando il motore.

Mezz’ora dopo eravamo in casa di Michela, dopo le presentazioni di rito, strinsi la mano anche al nuovo invitato, che conoscevo già.

– Ciao Marco ‘ salutai sorridendo ‘ lo sapevo che prima o poi le nostre strade si sarebbero incrociate di nuovo.

Lo osservai con occhio clinico e conclusi: era all’altezza della situazione, biondo con i capelli a spazzola, occhi azzurri e viso traviato, un corpo giovane e ben proporzionato, il ritratto della salute se non fosse stato per quel suo sorriso fesso dai denti gialli e rovinati.

Marinella faceva conoscenza con le ragazze del gruppo, poteva essere davvero la nostra parente provocante dell’ormai memorabile film ‘Grazie Zia’.

Rideva e scherzava senza ombra d’impaccio, sembrava a casa sua e questo mi diede un po’ fastidio, volevo essere io a metterla al corrente di tutto coinvolgendola, mentre lei sembrava volesse auto informarsi trascurandomi completamente.

– Ragazzi ‘ esordì Clara alzando un po’ la voce ‘ oggi &egrave un gran giorno per noi’due nuovi amici entrano nel gruppo, nel cast’una piccola festicciola bisogna fargliela, come segno di ammissione ad un circolo direi molto esclusivo.

– Non ho ancora deciso ‘ intervenne Marinella ‘ sono curiosa come una scimmia, m’interessata parecchio ma non ho ancora fatto la mia scelta.

– Ormai sei dei nostri ‘ intervenni ‘ perdete ogni speranza voi ch’entrate.

Dopo aver bevuto un ottimo champagne, sbocconcellato qualche pasticcino. Di comune accordo iniziammo a studiare un copione per la realizzazione di un cortometraggio sul quale avevamo già fatto un paio di ‘pizze’ e si doveva concludere entro la settimana. Restava da girare la scena di lui (io) e lei (Stefania) al rientro a casa erano colti da un raptus di libidine. Ci posizionammo vicino alla porta della camera e facendo finta di richiuderla entrammo in scena. Iniziammo a baciarci e a toccarci come accesi da una struggente passione poi gli abiti iniziavano a cadere sul pavimento, Stefania era molto brava nel muoversi a favore della cinepresa fissa, azionata da Claudio, mentre la mia eccitazione tradotta in un gonfiore al basso ventre era oggetto di attenzione di Clara che faceva funzionare la portatile. Le tolsi il reggiseno. I suoi seni respirarono, liberi e impettiti. Ci coricammo, ormai nudi, le diedi un colpetto di prova dietro, e alla nostra regista piacque perché volle riprenderlo dai due lati, Michela era talmente coinvolta nella direzione artistica del film da non provare nessun altro interesse in quello che vedeva. Iniziai con i seni di Stefy e anche questo raccolse il consenso di Michela.
La penetrai piano per permettere a Claudio di riprendere la scena con il rallentatore. La mia partner mi spinse un dito didietro e questo fu anche ripreso con la reflex. Continuammo a far l’amore in tutti i modi possibili, usando le sue gambe come caldi, dolci remi per governare il nostro rollio. Stefy passò alla fase orale (non quella di Freud) ma quella di femmina eccitata che golosamente vorrebbe cannibalizzare il proprio amante se questi &egrave stato talmente bravo da farla godere come si deve. Bocca aperta, morbida, umida e ansante, labbra molli, aspiranti, struscianti tutto sul mio corpo, sul mio inguine, tra le mie natiche, ovunque.

– Alt! ‘ fa Michela ‘ &egrave necessaria la sborrata in faccia e concludiamo il pezzo.

Controllando quanta pellicola c’era nelle macchine, Clara fece cenno di sì, la scena dello schizzo in aria con recupero da parte di Stefy al volo ci stava’o se ci stava.

Dietro di noi Marinella si liberava degli stivali e si massaggiava i polpacci, la sua semplicità in quel gesto nascondeva un po’ d’eccitazione provata nel vederci scopare, con molta serietà professionale venni spruzzando il viso della mia partner, lei, come da copione mi ingollò il cazzo e leccò la cappella facendo in modo che si creasse un filo di sperma tra questa e le sue labbra.
– Ottimo ragazzi ‘ fece Michela.
Io guardavo Marinella, era seduta sul ‘nostro’ divano, fuori campo, bella e affascinante, sorrideva con le labbra aperte. La guardai negli occhi leggermente truccati, poi le osservai ostentatamente il seno, che si muoveva sotto la camicetta mettendo in evidenza un respiro accelerato da un certo impulso, speravo fosse dovuto alla mia performance. Le guardai le gambe, si agitavano troppo facendo frusciare le sue calze di seta. Sembrava tranquilla e ignara ma era solo un atteggiamento. Mentre stantuffavo dal didietro la mia amica, l’avevo guardata provocatoriamente.

– Ok, ok ‘ fece Claudio fermando la macchina. Si spensero le luci e Clara con un panno di spugna asciugò il viso dell’amica, per poi accompagnarla sotto la doccia, mi asciugai anch’io e attesi per la abluzione di chiusura.

– Non c’&egrave male ‘ si congratulò Marinella ‘ devo dire che &egrave un’esperienza nuova e abbastanza eccitante. Non credevo di avere, dentro di me, una voyeur, però condivido’nella mente ci sono tutte le perversioni, basta farle scattare fuori.

– Stupita? ‘ domandai, tutto nudo e per niente imbarazzato.

– Turbata! Direi, un po’ sorpresa, ma sicuramente coinvolta.

– Mi stai rendendo l’uomo più felice del mondo ‘ le sussurrai all’orecchio baciandogli una guancia.

– Vai via che puzzi di sudore e di femmina indecente ‘ disse lei ridendo e rovesciandosi sul divano. Aveva dei bei fianchi e lo sapevo, le gambe le vedevo come quelle della Venere di Botticelli. Senza aspettarne il consenso le baciai i seni tramite la stoffa della camicetta e lei tremò come una ragazzina sotto l’influsso del soffio del peccato.

– Vatti a fare la doccia’sessuofobo ‘ disse inaspettatamente lei.

Obbedii, e dopo un quarto d’ora ritornai con l’accappatoio di spugna candido addosso.
Marinella era ancora seduta sul divano. Guardandomi disse:
– E se facessimo un fuori onda’
Sorpreso, esaltato senza aspettare un suo eventuale ripensamento le sollevai la gonna, spostando di lato le sue mutandine mi tuffai sul suo pelo un po’ umido ma meravigliosamente profumato si sesso.

– Cosa facciamo noi ‘ disse Claudio ‘ dobbiamo andarcene?

– No, no ‘ sospirò Marinella ‘ state qui, fate delle foto, fate quello che volete, ma rimanete qui.

– Mettetevi le mascherine, allora ‘ disse Michela interessata.

Appena Marinella la indossò ebbe come uno scuotimento con simultanea fuoriuscita di umori che bevvi di gusto, anzi succhiai. Continuai a muovermi dentro, mentre facevo scivolare via l’accappatoio. Intorno a noi lampeggiavano i flash. Con la lingua intorpidita le cascai sul suo seno e lei mi abbracciò. Con rapidi gesti si tolse i vestiti. Non paga mi rivoltò sul divano e si mise a cavalcioni iniziando il suo rodeo. L’amplesso per me era patologico ma per lei doveva essere estremamente neurotonico, godeva a farsi guardare mentre indecentemente scopava un maschio. Quegli sguardi lussuriosi, il fatto di essere fotografata la esaltavano al punto che si scaricò una, due o forse tre volte. Rossa in viso con le vene del collo gonfie e il sudore lungo tutto il corpo, i capelli appiccicati al viso sembrava una fatta di coca. Si mise carponi e volle essere ‘oltraggiata’ da dietro.

– Dai ‘ disse Marco, rivolto al sottoscritto, mentre guardava Marinella in viso ‘ ha delle goccioline di saliva che gli colano agli angoli della bocca.

Claudio ne fu rapido e l’immortalò. Nel profondo dei miei testicoli sentivo qualcosa’ il fremere eccitante e distante di un orgasmo, di quella soddisfazione miracolosa, esclusiva. La tenevo forte per i fianchi, mentre sentivo scuotersi e ondeggiare sotto di me il suo bacino. Aspettavo l’orgasmo festoso e trionfante. Sì, venni selvaggiamente. Gridando, sospirando, agitava la testa implorando a tutti di non smettere.

– Sono la vostra troia ‘ proclamava ‘ la cagna, la bagascia che vi servirà quando vorrete.

Marco, non potendone più, si liberò dai pantaloni e afferrandola per i capelli le piantò il suo arnese in bocca.

– Sii’ – sospirò, iniziandolo a succhiare con avidità.

Clara scaricò la reflex e si appese alla bocca di Claudio come Romolo e Remo alle mammelle della lupa. Marinella ferocemente venne ancora e Marco auto elettosi reporter, ci faceva la radio cronaca del suo viso lo descrisse aperto in una meraviglia estatica.

– Secondo me ha visto la madonna! ‘ sentenziò sarcastico.
Mi accasciai sul tappeto ai piedi del divano, Marinella dopo aver ricevuto ridondante lussuria da tutti, mi venne vicina, sussurrandomi qualcosa all’orecchio, io assentivo smorzato nell’udito per il ronzio nel cervello, avrei detto di sì anche se avesse proposto di uccidermi.

– Sono una pedofila ‘ disse con un sospiro.

L’accarezzai. Non era vero però, forse a lei faceva piacere pensarlo.

– La nostra mammina ‘ dissi.

– Oh, finalmente’ne avevo proprio un gran bisogno ‘ fu la sua debole risposta.

Ad un tratto la mia mente iniziò ad estraniarsi e venni colpito dall’ennesima verità spaventosa; tanto più sono ossessionato dal sesso, tanto meno riesco a provare gratificazione sessuale. Mi ricordo benissimo di orgasmi di tanto tempo fa, impossibili adesso. Oltre ad essere disturbato di mente lo sarò anche nel corpo? Pensai.

Scorrere i giorni della mia vita &egrave come esaminare una pila di lenzuola intrise di umori lascivi. Dovrei pensare ad altro.
Non serve.
Mi passano davanti immagini di culetti, tette e tettine, fianchi, fiche, cazzi.
I segnali del loro prevaricare o della sottomissione, l’immagine del mio cazzo eccitato tra cosce lattee causa del mio pallore e della mia spossatezza congenita. Al diavolo forse hanno ragione la vita &egrave un’altra.

– Ma quando esce la tua robina bianca ‘ disse Clara rivolta al ragazzo. Lui si contorse un po’ poi assentì.

Stavamo facendo l’ennesimo filmato e Clara recitava la sua parte.

– Allora vuoi dire che hai avuto l’orgasmo? ‘ continuò Stefy riprendendo la posizione di prima e ricominciando a fare ciò che faceva magnificamente.

– No aspetta un minuto ‘ la interruppe Clara, tirandoglielo via dalle mani ‘ ora tocca un po’ a me.
– Ragazze ansimate troppo poco ‘ disse Michela ‘ più Ahhh, Ohhh, Siii.

Ora si era messa a sfregarsi il cazzo sul monte di Venere, poi più in basso. Inizia a scopare. Prima lo cavalca poi scende e si riempie la bocca, gli bacia i testicoli.

– Prendila da dietro ‘ ordina la ‘registra’.

Al terso round i ragazzi caddero stremati, mentre le femmine facevano ancora i loro finti Ahhh, Ohhh, Siii .

Marinella mi dette un bacio furtivo.
Capitolo dodici

Con Rosa ci vedevamo, spesso anche in ateneo, anzi quando avevamo una lezione negli stessi orari l’accompagnavo in auto da casa all’università e viceversa. Fu proprio in uno di quei brevi percorsi a farmi scoprire una ragazza un po’ diversa, maliziosa, forse.
– Leggendo un testo, mi ha incuriosito un certo Giulio Romano ‘ disse con nonchalance – già nel XVI secolo rappresentava con incisioni, quanto mai classiche, sedici modi di fare all’amore e quello più sorprendente &egrave che l’Aretino se ne servì per scrivere i Sonetti Lussuriosi, lo sapevi?

Eccola, invece di essere io a spingere il discorso sul sesso, era lei a provocare con un argomento provocante teso a renderci complici.

Aveva ragione, erano ormai mesi che i nostri rapporti si limitavano a innocenti baci, leggere carezze sui vestiti, casti accarezzamenti sulle gambe. Non andavo mai oltre, perché mi faceva piacere pensare a lei disponibile e a me ritroso, come tenerla con il fiato sospeso. La coprivo di attenzioni, d’affetto, ero romantico, sensibile’ma lei avrebbe voluto o potuto andare oltre, spesso mi bloccavo e con una scusa qualunque la riportavo alla realtà. Probabilmente questo fastidio era durato sin troppo e quindi, se non cambiavo strategia, rischiavo di fare la fine del cornuto.

– I preti dissero che si sarebbe meritata la crocifissione ‘ continuai riferendomi all’artista.

– Il tempo gli dette ragione, le sue ‘posture’ sono state oggetto di studio sulle esigenze fisiche ed emotive dell’essere umano. Proprio in questi anni vengono pubblicate decine di libri e di articoli dedicate al difficile processo di ridefinire e rivalutare il modo di essere dell’uomo e della donna nei loro propri desideri.

– Parli di sesso? ‘ azzardai, pensando alla ‘mia ragazza’ in posizioni spinte.
Fino a quel momento non avevo mai affrontato discorsi del genere con lei, capaci di rovinare la nostra casta amicizia. Mi sbagliavo perché a quell’età le ragazze ‘normali’ ne hanno già preso qualche decina di metri di cazzo, una donna come la mia aveva voglie concrete da soddisfare, anzi &egrave già troppo tardi per iniziare una vita sessuale sana. Chissà perché consideravo Rosa diversa dalle altre femmine, avevo timore di guastare qualcosa. Decisi di stare al gioco.

– Certo, la sessualità non l’abbiamo inventata noi, &egrave sempre esistita se no come faremmo ad esistere? ‘ continuava Rosa seria e direi quasi cattedratica – oggigiorno la gente ricerca con ansia una relazione romantica, profonda, che arricchisce. In una frase: una relazione veramente intima con un altro essere umano.
Da tempo i suoi sconvolgimenti ormonali soppressi da masturbazioni notturne stavano affiorando.
La mia espressione da perfetto imbecille, con il labbro inferiore leggermente abbassato e gli occhi sgranati, fecero intendere a Rosa, quanto ero sorpreso da tanta competenza su argomenti tabù, nel suo mondo dorato. Erede del più famoso notaio democristiano della regione non aveva potuto durante l’adolescenza farsi una sana scopata senza dar adito alle maldicenze.

– Lo sapevo ‘ continuò lei ‘ appena un ragazzo sente queste cose si scandalizza’poveri ipocriti.

– Dimmi di tutto, ma non considerarmi un perbenista’ero convinto che considerassi il sesso qualcosa di sporco, di cattivo. Permettimi di avere una ragionevole sorpresa ‘ l’inganno era un’altra delle mie ‘qualità’.

– Vorresti dire che parlare di sesso con il proprio ragazzo &egrave sconveniente, sarei spregiudicata se ti parlassi del Kamasutra ovvero Aforismi sull’amore risalenti ai secoli IV e V dopo Cristo. Sarei impertinente se affrontassi con te i ‘Tre saggi sulla teoria della sessualità’ oppure ‘Al di là del principio del piacere’ di Sigmund Freud?

– No, non credo! ‘ affermai ‘ un conto &egrave la teoria e un altro la pratica.

– Che vorresti dire.

– Potremmo stare ore a parlare di sessuologia ma la parte più utile di tutti gli scritti del mondo &egrave quella trasferita nell’esperienza diretta. Se io e te, un giorno, decidessimo di conoscerci meglio sicuramente io potrei trovarmi a pensare: ‘Una brava ragazza non dovrebbe fare questo” e tu ‘Perderà il rispetto se gli dico che desidero quello”

– Ma perché dovremmo avere dei problemi, siamo fidanzati no? Io da tempo non considero peccaminoso il piacere sessuale anche se fino ad oggi non l’ho provato direttamente.

– Potrebbe essere arrivato, quel momento ‘ gli dissi fermando l’auto e andandole vicino per baciarla.

Lei mi agevolò venendomi incontro, per la prima volta ricevevo un bacio alla francese da Rosa, un atto di affetto profondo, un assoggettarsi voluttuoso, quel reclinare la testa di lato a mo’ di stabilire un contatto anche del corpo oltre a quello delle nostre lingue.
Provai e farle scorrere le mani lungo i fianchi e poi attraverso la gonna sulle cosce, giù sino al ginocchio inguainato nelle calze di nylon.
Ritornando indietro la mano si infila sotto la gonna e arrivo sino all’attaccatura con l’inguine, lei mi aiuta sollevando leggermente il sedere in modo che la stoffa possa scivolarle dietro la schiena.

Fortunatamente ci eravamo fermati in un posto isolato e semi deserto per cui non correvamo il rischio di essere visti. D’altro canto se non importava a lei figuriamoci a me. Erano più i momenti in cui ero nudo che quelli dove indossavo degli abiti.

Aspettavo un cenno da lei, cosa volesse che le facessi, ma Rosa continuava a baciarmi con la gonna sollevata sul ventre. Feci scattare il sedile, abbassandolo il più possibile. Rosa scivolò distesa tirandomi sopra di lei con una salda presa delle mani dietro la mia nuca. Bocca a bocca diedi inizio ad un’ispezione generale del suo interno cosce, non portava i collant e le giarrettiere erano piacevoli da allontanare dalla sua pelle calda e vellutata, quando arrivai alle mutandine sentii il suo naturale irrigidimento, scollandosi dalla mia bocca sospirò:

– Vorrei tanto poterlo fare’

– Rilassati – gli sorrisi teneramente e continuai una specie di massaggio leggerissimo, quasi un solletico, impiegando i polpastrelli e cercando di mantenere il tocco più delicato possibile, solleticando più il pelo che il clitoride. Lei rabbrividì un paio di volte come se fosse attraversata da una lieve scossa elettrica. Scostando le mutandine sfiorai la sua carne umida e cedevole, lei esalò un altro sospiro abbracciandomi con forza.

– Mi stai rendendo l’uomo più felice del mondo ‘ gli sussurrai in un orecchio, baciandoli il lobo. Liberai il suo clitoride già notevolmente sodo e diedi inizio ad una lenta masturbazione.

Sorreggendomi con una spalla allo schienale riuscii ad utilizzare anche l’altra mano per slacciarle la camicetta e scoprire i trini di un raffinato reggiseno, involai su quella pelle dolce baci e languidi passaggi di lingua mentre lei mi afferrava la mia testa portandosela sulle labbra per un ‘lingua in bocca’ perpetuo. Continuavo la carezza affettuosa, premurosa, calda e, quando potevo le sussurravo parole suadenti, quasi una nenia che la inebriasse al punto di abbandonarsi al mio massaggio, senza fretta aspettai che raggiungesse l’apice.
Lei non mi cercava, e io non le offrivo di toccarmi, contenevo con competenza la mia erezione e ragionavo con calma su quello che potevo o volevo che fosse fatto dalla mia amante. Ad un tratto sentii sparire da sotto le mie dite quell’adorabile bottoncino di carne e Rosa assaporò il piacere di venire tra le mie mani.
Restammo abbracciati in quella, che per me, era una scomoda posizione, finché lei lo ritenne necessario, poi con piccoli baci sul suo viso mi allontanai per farle riprendere respiro.
Tutta rosea, un po’ spettinata, con i vestiti in disordine la guardavo con immenso piacere, lei alzò lo sguardo e incontrando il mio disse:
– Sarà meglio che andiamo a lezione, c’&egrave Logica tra venti minuti.

Avviai il motore mentre Rosa usando lo specchietto di cortesia dietro al parasole, cercava di mettersi in ordine, tentando un leggero trucco.

– Non mi dici niente ‘ feci curioso.

– Cosa devo dire, sono un po’ confusa, non ho esperienza per dirti se sei stato bravo o no. Mi &egrave piaciuto, lo desideravo da tempo. Avere più confidenza con te era un mio sogno segreto. Mi dispiace non aver ricambiato il piacere che mi hai fatto tu. Tutto questo parlare mi imbarazza parecchio, vorrei non doverti dire niente, per non sciupare una prossima volta.

– Solo il fatto di promettermi che ci sarà una prossima volta, &egrave il più bel regalo che mi potessi fare ‘ e le lanciai un bacio.

Quella sera, a casa mia, espressi il desiderio, ai miei vecchi, di volermi fidanzare ufficialmente con Rosa. Mio padre ne fu entusiasta, mia madre sembrava che gli strappassero l’affetto di un figlio, ma si rallegrò per farci contenti.

I giorni successivi passarono a preparare la festa di fidanzamento, sia i vecchi di Rosa che i miei erano trafelati dai preparativi, noi due, invece, ci godevamo tutto quell’interessamento scambiandoci tenerezze e frasi ammiccanti pronti a ritrovarci al più presto a tu per tu per continuare la nostra lezione di sessuologia.
I preliminari di un nuovo incontro mi esaltavano come un generatore carica la batteria, fantasticavo con la certezza di essere all’altezza della situazione e ciò mi eccitava, mi stimolava, metteva in agitazione le mie cellule sovrabbondanti di energia erotica, travalicando il significato di normale e mi trovavo sempre ad ascoltare prima il mio desiderio che la ragione per la quale avevo iniziato ad eccitarmi.
La voglia era carnale e non più rivolta all’oggetto della mia passione, ma era una libidine che attraversata ogni parte del mio corpo, mi contraeva lo sfintere, induriva il cazzo, raddrizzava i capezzoli, cercava disperatamente sfogo ovunque e comunque.

Con questa fregola addosso mi trovai all’ingresso della piscina a non dal lato degli atleti, bensì da quello del pubblico. Esibii la tessera alla cassa ed entrai salendo le scalette che portano alle tribune. La partita era iniziata da poco ma non mi interessava, tra la gente salutai chi conoscevo, e mi sedetti in modo da poter vedere meglio. Un giocatore era il mio oggetto di ricerca, lui e il suo degno amico, li odiavo da desiderarne la loro morte, però ero lì che cercavo di vedere se c’erano tra le calottine degli atleti. Non riuscii a vederli, la partita era noiosa, mi alzai per andarmene.

– Ecco il nostro campione ‘ mi sentii dire mentre scendevo le scale.

Mi voltai ma non c’era bisogno di capire che quella voce apparteneva a Fregoli.

– Come mai non ti abbiamo più visto agli allenamenti ‘ disse sfrontatamente l’uomo abbracciandomi. Mi ritrassi di scatto e per poco non volai giù.

Da sotto uscì un’ombra, mi afferrò un braccio con forza.

– Stai attento che potresti cadere ‘ mi sorrise il porco.

– Sei venuto a vedere la partita? ‘ domandò ironicamente Aldo.

– Si, perché &egrave vietato ‘ risposi tra i denti.

– No, no! Però te ne vai prima della fine.

– Sono affari miei! ‘ continuai duro.

– Cercavi forse qualcuno? ‘ chiese il Fregoli.

– No, no, sono sempre cazzi miei.

– Permettimi di farti osservare che sono cazzi nostri ‘ continuò l’altro prendendosi, con il palmo della mano aperto, il malloppo che aveva tra le gambe. Rise e mi trascinò giù dagli ultimi scalini. Coprendogli le spalle Fregoli l’aiutò a spingermi oltre l’uscita.

– Cercavi noi vero? Sapevo che prima o poi ti avremmo rincontrato, hai fatto il bravo non mettendo in atto le tue minacce e noi abbiamo capito che saresti tornato. Tornano tutti prima o dopo.

– Lasciami ‘ tentai una reazione che però era molto debole e l’uomo lo capì subito.

– Dai non fare lo scontroso, sai che ci piaci ‘ e si diressero, obbligandomi a seguirli, verso la spiaggia deserta dove sorgono le ‘casette’ dei pescatori, veri e propri magazzini di reti, palamiti e piccole officine dove depositare i loro attrezzi. Aldo aveva la chiave di una di queste e prontamente aprì la porta per spingermi dentro nel buio totale.

– Aspetta che accendo il lume ‘ sentii l’accendino scattare e una lampada a gas illuminò l’ambiente.

– Che ne dici del nostro pied a terre ‘ disse l’altro orgoglioso.

Effettivamente avevano trasformato quella baracca in un’alcova degna di loro, pesanti tappeti sul pavimento che immaginavo di cemento, cuscini e spesse coperte riempivano gli angoli, sulle pareti rinforzate da pesanti pannelli, foto di donne nude e uomini muscolosi alla Jhon Vigna.
Da una cassa spuntavano bottiglie di alcolici d’ogni tipo e su di un banco era poggiato un proiettore ‘ per filmini pornografici’ pensai.

Rapidamente mi spogliarono e ammirandomi come un animale al macello, si pregustarono il loro momento di depravazione. Io immobile perso nel dubbio enigmatico tra rifiuto e remissività. Ero in fregola e questo non permetteva al mio cervello di avere reazioni razionali, ma ero, allo stesso tempo spaventato perché i due erano senza alcun riguardo pur di raggiungere i loro scopi.
Aldo pronto, nudo e in piena erezione mi mostrava il suo enorme arnese scuotendolo nell’aria. L’altro si svestiva gustando il mio sguardo sul suo corpo da dio greco, essendone consapevole faceva in modo che ogni gesto provocasse un esplosione della sua massa muscolosa.
Come un robot eseguii i loro desideri succhiando sperma e ricevendone nel culo quantità indecifrabili. Godevo anch’io e durante il primo rapporto pretesi di essere accontentato. I due uomini presero a succhiarmi il cazzo simultaneamente uno da un lato e l’altro dall’altro, congiungendo le labbra ad ogni passata di lingua. Il mio sfintere era già stato tormentato una volta ma Aldo non volle avere pietà e mentre mi sorbiva il cazzo volle infilarmi due dita aprendole a mo’ di forbice per allargarmi con la forza il buco. Quando eruttai il mio orgasmo quello che vedevo come il ‘discobolo Lancellotti’ mi leccò bene la cappella e si assicurò anche l’ultima goccia di sperma. Erano di nuovo alluppati, fecero partire il proiettore mettendomi carponi sul tappeto con la faccia rivolta verso lo schermo. Le immagini che seguirono erano amplessi omosessuali con penetrazioni profonde e orge tipo quella alla quale partecipavo. Quella statua di carne del Doriforo mi afferrò per i fianchi e iniziò a penetrarmi per poi estrarlo subito. Sapeva di farmi male ma questo lo esaltava. Mi lamentavo, sapendo di fargli piacere. Aldo mi mise sotto gli occhi degli indumenti intimi femminili e volle che li indossassi.

– Sei la nostra troia, devi farci godere ‘ e beveva da una bottiglia.

Subito mostrai avversione nel prendere parte a quell’artificio, poi venni obbligato dalla minaccia che mi avrebbero penetrato con una mano, e per dare una dimostrazione esaustiva Aldo si unse con del grasso sino al polso.

Indossai le calze di nylon, una specie di tanga e un reggicalze nero con dei nastri rossi. Mi risparmiarono il reggiseno ma vollero che calzassi una parrucca rossa, Il più bello dei due, quello che ogni volta vedevo come una statua greca diversa, mi sporcò le labbra con del rossetto sanguigno e pretese una pompa con relativo imbrattamento dell’asta con quel cosmetico. Aldo mi montò sopra facendomi sdraiare a pancia in giù e iniziò a martellarmi le reni, poi venni sollevato e in ginocchio fui costretto a sbocconcellare prima il cazzo di Aldo alla mia destra e poi quello del David di Donatello, a sinistra con un movimento imposto dalle loro mani che mi spingevano la testa verso i loro arnesi. La passione di Fregoli erano i miei capezzoli e mentre mi teneva soggiogato prese due mollette, e pretese di afferrare la mia carne costringendola tra i due pezzettini di legno. Urlai e il grido venne soffocato dall’abbondante colata di sperma, mi agitai in un orgasmo doloroso contraendo lo sfintere dilatato a dismisura dal cazzo di Aldo, questi si svuotò dentro di me gridando: – Prendi, troia, ti faccio un clistere di sborra, godo’

Speravo in un momento di pausa, ma i due avendo bevuto quasi una bottiglia di grappa erano farneticati, e pretesero che mi accovacciassi sulla bottiglia vuota che loro mi tenevano tra le gambe. Sentii il freddo contatto con l’imboccatura (molto più aspra della bottiglietta di Coca Cola) e stringendo gli occhi mi calai leggermente fermandomi quando il tormento raggiunse lo strazio, Aldo non contento posandomi le sue mani sulle spalle, con un colpo secco mi spinse giù sino al punto che dalle natiche non iniziò a fuoriuscire sangue. L’altro lo fermò.

– Non vedi porco! Che non sei altro, la verginella ha le sue cose, prendili un pannolino.

Terrorizzato, cercai di sottrarmi a quel gioco letale, ma l’uomo sopra di me continuava a pesare sul mio corpo come un macigno, tentavo una reazione da sotto ma era impossibile, disperato afferrai un’altra bottiglia semi vuota e con tutta la mia forza glie la fracassai sull’inguine. Appena libero presi il cavalletto dello schermo e colpii ripetutamente ‘mister muscolo’ finché non lo giudicai stordito. Aldo, nel frattempo aveva cercato di fermarmi ma ero troppo atterrito per sentire i suoi pugni sul viso, mi rivolsi a lui e brandendo sempre il tubo di ferro lo colpii sul naso e poi sul collo, finché una maschera di sangue comparve sul suo viso, esaurendo la forza dei suoi colpi. Crollò sulle ginocchia e poi bocconi sul pavimento. Mi liberai i capezzoli da quelle dannate pinzette, estrassi dallo sfintere la bottiglia insanguinata, avevo un dolore fortissimo ai testicoli oltre al bruciore dentro e fuori il corpo. Mi guardai in uno specchio, avevo un taglio sullo zigomo sinistro e un ematoma in fronte. Prima di uscire unsi la bottiglia di grasso e la ficcai tra le natiche di Aldo spingendola a forza con le mani e tutto il peso del corpo, L’uomo si lamentò e capii che era ancora vivo, aumentai lo sforzo sul fondo del recipiente fino a vedere il suo sangue colargli sui testicoli. L’innominanto (prarafrasando Manzoni) riverso a pancia in su, tutto imbrattato di sangue mostrava l’orgoglio della sua depravazione afflosciato su di un lato. Presi la lampada a gas e facendo attenzione a non ustionarmi gli e la sistemai tra le gambe, subito l’odore della sua carne che friggeva pervase l’aria, poi l’urlo dell’uomo che si scuoteva nel tentativo di allontanare lo strazio dei suoi genitali. Lasciai che rotolasse di qualche metro e poi lo colpii nuovamente alla testa pronto a ucciderlo se era necessario.
Rivestitomi uscii per recarmi al pronto soccorso. Venni medicato al viso, il resto lo tenni nascosto ai medici, poi rientrando a casa scaraventai il motorino contro un muro e simulai un incidente per giustificare le ferite e in generale il mio stato di profonda prostrazione. La mia difficoltà a deambulare l’ostentai con un incedere claudicante, in modo che si pensasse mi fossi fatto male alle gambe, benché le radiografie non indicavano nessun trauma. Mi chiudevo in bagno e mi medicavo, nascostamente; ogni volta che defecavo era un’emorragia per cui giravo con un pannolino di carta igienica tra le gambe.

Per molto tempo dovetti abbandonare la mia fruttuosa attività. I miei soci erano diventati sospetti, perciò oltre alla mia cattiva condizione fisica, frequentare la casa di Michela diventava pericoloso. Mi venne riferito da Claudio che anche una ragazza piemontese aveva voluto entrare nel ‘giro’ ed era bravissima, sicuramente la più brava del gruppo. Moana si faceva chiamare e aveva già lavorato in uno studio fotografico, aveva il book di nudi bellissimi.
Il lavoro andava a gonfie vele e pensavano di dargli una parvenza di legalità, per operare sul mercato dei film a luci rosse.

Spesso mi domandavo se per caso, sia pure in maniera inconscia, dio non volesse punirmi, farmi espiare. Ma punirmi di che, espiare da che cosa? Mi sentivo un uomo normale, conducevo una vita sociale regolare. Nessuno, al di fuori dei miei amici, conosceva la mia vera identità. Nessuno sospettava della mia vera natura.
Capitolo tredici
La ‘mia’ Rosa, i quel periodo, era molto comprensiva della mia ‘indisposizione’. La vedevo tra una lezione e l’altra. La sera, a casa sua o nella mia. La festa di fidanzamento vene celebrata in sordina, addebitandone la colpa al mio sfortunato incidente e ad un periodo di intenso lavoro dei nostri rispettivi padri. Di quella fase ricordo che gettai decine di mutande sporche di sangue per non insospettire la mia vecchia, compravo slip nuovi ogni giorno e quelli usati finivano nello sciacquone del water. Avrei avuto bisogno di almeno un paio di punti ma resistetti.

Dopo una quindicina di giorni ripresi le forze e dopo un mese mi ero completamente ristabilito anche se evitavo di presenziare alle riprese in casa di Michela, non perdevo occasione per visitare Marinella e mantenere i contatti con Claudio. Quest’ultimo era il mio confidente, oltre ad essere l’unica persona sulla quale contassi veramente. Mi teneva sempre informato su tutto ed in particolare sulla nostra attività ‘lavorativa’. Ragguagliandomi sulle novità di carattere legale intraprese da Michela con un paio di avvocati specializzati nel ramo. Settore della giurisprudenza in decisiva ascesa considerando il numero delle riviste hard che si trovavano oramai nelle edicole e di alcuni Sexy Shop aperti nelle grandi città come Milano e Roma.
Il denaro che continuavo a guadagnare, anche se non ‘lavoravo’, mi venne consigliato di toglierlo dalla banca, affermando che potevo essere soggetto ad accertamento fiscale a causa delle nuove leggi, con la conseguenza che il nostro segreto rischiava di diventare una notizia alquanto scabrosa per coloro che non ne erano a conoscenza. Seguii alla lettera i consigli di Claudio e oggi devo dire grazie a lui se posso vivere con un vitalizio esentasse ed extra lavoro piuttosto congruo.
Quello che era stato un motivo di piacere dei nostri reciproci desideri sessuali era diventata la nostra attività principale, non potendo sostenere la mia parte nelle riprese, mi rendevo utile nei rifornimenti, nel montaggio di qualche pellicola (quando i tecnici erano impegnati) e nell’acquisto del necessario per le riprese. Una specie di trovarobe indispensabile per la crescente attività. Facevamo servizi fotografici per alcuni mensili legalmente e sempre illecitamente producevamo film pornografici procedendo di pari passo con regolarità semi professionale.
Lo studio procedeva altrettanto bene, sostenendo gli esami di norma riuscii a discutere la tesi nei tempi previsti.
– Dottor Alemanni ‘ sentenziò Michela con un briciolo d’invidia, per la sua terza media.
La nostra sorellona era diventata una donna in carriera, Clara e Stefania pornostar a tempo pieno. Marinella part time. Tutti erano autonomi, cresciuti, liberi da ogni dipendenza che non fosse quella di vivere tra i propri impegni quotidiani, non più soggetti a farsi trascinare dagli entusiasmi imprevisti, dalle situazioni capitate lì per caso. Tutto calcolato e fuori dal mio modo di vedere la vita. Anch’io, mio malgrado, ero inserito in quel tipo di società, però avevo le mie eccezioni che potevano tradursi in fatti spiacevoli, erano comunque fatti che formano, eventi differenti capaci di distogliere dalla monotonia dell’esistenza borghesemente squallida alla quale andavamo in contro.

Con questo pensiero che mi ronzava nella mente guidavo tranquillamente per le caotiche vie di Milano. Nei pressi della stazione Centrale c’era uno dei primi Sexy Shop che la capitale lombarda avesse annoverato e nel quale ci rifornivamo di attrezzature varie. Parcheggiai, non con poca fatica, e mi diressi verso l’ingresso. Un ragazzino di circa quattordici anni guardava le foto debitamente censurate con strisce nere, affisse alle vetrine. Il resto, esposto nel negozio era dietro a dei cristalli colorati di bianco non vedibile dall’esterno.

– Vai dentro? ‘ mi domandò il ragazzino.

– Si perché? ‘ risposi.

– Mi compreresti ‘Le Ore’.

Sorrisi, e sapendo il contenuto di questo non ancora famoso giornale hard, azzardai.

– Che ci fai con questa rivista?

– Me lo compri, si o no ‘ continuò lui impettito.

– Si, anche se non dovrei, visto che sei minorenne.

– Faccio la collezione ‘ m’informò.

– Bene, non avrai tanti numeri per ora, a essendo un esperto del settore, ti posso garantire che questa rivista avrà sicuramente un grande successo, meglio di ‘Men’ o, ma &egrave un’altra cosa ‘Play Boy’.

– Grazie ‘ fece il ragazzino allungandomi una banconota.

In quel momento scattò nel mio cervello quello scompiglio ormai noto come un piacevole dolore perciò dissi:

– Te la regalo se mi dici dove vai a ‘studiarlo’.

Probabilmente il ragazzo adottava quella tecnica con molti frequentatori del negozio, perciò era pronto a cogliere le allusioni del tipo: sapere a che ora andare al cinema per incontrare i manipolatori di giovani virgulti?

– In una cantina, qui vicino, &egrave abbandonata.

Entrai nel locale e comprai il necessario poi nel reparto riviste presi l’ultima copia de ‘Le Ore’ e un altro giornale svedese che prometteva rapporti con giovani succhiatori.

– Eccoti la tua rivista ‘ dissi uscendo ‘ se guardandola ti ecciti, potresti aver bisogno di una mano amica che ti guidi al piacere. Ormai ero partito, una lieve eccitazione mi irrorava il basso ventre, sentivo formicolarmi le estremità. Disagio, paura forse, stimolazione tanta, rodimento allo stomaco e poi guardavo con avidità la mia vittima, la vedevo tenera, indifesa, sottomessa.

– Seguimi ‘ fece lui infilandosi la rivista sotto la maglietta e voltandomi le spalle.

Dietro la stazione, lungo un marciapiede stretto e poco frequentato, si aprivano alcune porte riservate allo scalo merci, più avanti una scaletta scendeva sotto il livello della strada portando ad una saracinesca divelta. Com’&egrave strano che un posto così frequentato diventi tetro e deserto solo a poca distanza dall’ingresso. Il ragazzino entrò nel buio più totale e dopo pochi passi accese una torcia elettrica, illuminando un mucchio di cartoni disposti a mo’ di giaciglio, li raggiunse e facendosi posto vi si sedette sopra iniziando a sfogliare avidamente la rivista. Per agevolarlo posizionai la luce alle sue spalle e tenni la torcia in modo da poterlo osservare dall’alto in basso, dopo poco notai che i pantaloni sotto la patta iniziavano a muoversi, dentro c’era qualcosa che pulsava, si muoveva. Mi sedetti affianco a lui, poggiando la borsa sul pavimento. Senza porre altri indugi gli sbottonai i calzoni ed estrassi il sui tenero muscolo vitale già semi duro, iniziai ad accarezzarlo e poi, appena raggiunta la consistenza giusta, lo masturbai con grande sollievo di entrambi.

– Come ti chiami? ‘ gli soffiai in un orecchio.

– Carlo, ma che importanza ha?

– Nessuna!

Lentamente mi chinai su di lui e benché sentissi un puzzo di piscio e tanfo di sporco non resistetti dal desiderio di succhiarlo, anzi quegli effluvi, mi stimolavano al punto che dovetti masturbarmi per sedare l’eccitazione. Carlo non mi guardava nemmeno, troppo intento nello sfogliare il suo giornale e poi prendere quello svedese e commentare le scene di sesso che più colpivano. Sentii l’asta vibrare e feci appena in tempo a sollevare la testa per non ricevere il suo lattice in gola.

– E meglio che farsi una sega da solo, no ? ‘ commentai.

– Molto meglio ‘ e vedendo il mio movimento svelto disse ‘ aspetta che t’aiuto.

Si ripulì con un lercio fazzoletto di stoffa e prese il mio muscolo palpitante con entrambe le mani. Mi masturbò lentamente al punto che lo pregai di accelerare se no avrei urlato. Sorridendo, il ragazzo, mi passò la lingua rasposa sulla cappella facendomi venire di gusto.

Ritornando verso casa, sorridevo per l’avventura, congratulandomi delle mie capacità di cogliere ogni occasione, di speculare gli avvenimenti, le opportunità che una volta lasciate sono perse. Purtroppo non sapevo che il ragazzino aveva le piattole, me ne resi conto dopo qualche giorno con un gran prurito sotto un’ascella. Claudio, come al solito mi salvò la situazione andando in Farmacia a comprare il ‘mom’ e mi cosparse ogni zona pelosa del corpo.

– Sei fortunato ‘ mi disse ‘ potevi prenderti lo ‘scolo’ o la sifilide.

– Sì. Si ‘ feci tristemente ‘ sono in un periodo sfortunato, ma come si fa a mettere il preservativo per fare una sega.

– Esistono dei preservativi corti, hanno un nome strano ma per te che vai nei Sexy Shop non sarà difficile trovarli, non servono per ‘ciulare’ ma hanno lo scopo di evitare il contatto diretto delle mani durante la masturbazione.

– Sei sempre il meglio ‘ feci accarezzandolo sui capelli.

– Devi fare questo trattamento finché muoiono tutte.

– Sarà un’occasione per stare un po’ insieme ‘ dissi sorridendo.

– Sarà meglio che la terapia te la finisci a casa tua ‘ fece freddamente Claudio.

– Come vuoi ‘ continuai serio ‘ però non ti facevo geloso.

– Non sono geloso né nient’altro, il motivo lo sai benissimo, noi ci danniamo per realizzare più soldi possibile prima che ci arrivi la ‘buon costume’ addosso, e tu vai a prenderti questi schifosissimi cosi, in barba ad un minimo di serietà verso i tuoi amici. Sarai fuori dal giro per almeno un’altra settimana, e questo perché? Per aver avuto una fregola manipolatoria con un ragazzino che probabilmente lo fa a tempo pieno.

– Come al solito hai ragione ‘ dovetti ammettere ‘ ma &egrave qualcosa più forte di me, mi scatta nel cervello un impulso difficile da controllare e mi trovo a far cose poco irrazionali…non devo essere a posto di cervello!

– Per me ti puoi fare anche il cane, però quando vieni in studio devi essere sano e pronto alla bisogna ‘ mi sparò in faccia queste parole quasi urlando ‘ non usiamo preservativi nelle riprese, perciò cerca di mantenerti senza malattie che potrebbero appestarci tutti.

– Dagli all’untore ‘ commentai mesto.

– Questa regola vale per tutti, ricordalo, abbiamo speso una cifra per fare le analisi a tutti i nuovi adepti e pensi che vogliamo essere infettati da te? ‘ e mi spinse letteralmente fuori di casa.

Avevo i parassiti e mi sentivo tale ogni volta che Michela mi consegnava la ricevuta del versamento fatto per conto di una società ‘fantasma’ con soci anonimi in un Istituto di Credito lussemburghese.

Considerando gli ultimi avvenimenti, potevo affermare che la ‘sfiga’ aveva iniziato ad interessarsi di me e perciò presi le contromisure del caso, mettendomi a regime, facendo un po’ di sport e abbandonando ogni pensiero velleitario sul sesso e company.

Purtroppo, dovetti ammettere che una volta inseriti in un certo sistema di vita, difficilmente si riesce ad uscirne, non che io volessi abbandonare per sempre tutto e tutti. Volevo una pausa, così detta di riflessione, però era difficile mantenere i miei propositi dato che avevo una fidanzata alla quale avevo fatto una promessa che doveva essere rispettata’

Il fatto accadde imprevedibilmente un pomeriggio di fine giugno.
Sgravato dai miei mali, avevo deciso di prendere la nuova barca di mio padre, un Calafuria da sballo ormeggiato nel porticciolo turistico vicino alla piscina comunale.
Coinvolsi Rosa a prendere il sole lontano da tutti e da tutto. Con mille voglie morbose uscivo dalla rada a passo d’uomo godendo la brezza e il ronzio del potente motore sottocoperta.

– Per essere una barca da pesca &egrave bellissima ‘ fece Rosa uscendo dalla cambusa.

– Apparenze ‘ dissi sorridendo ‘ il mio vecchio non può esternare un ‘Granchi’ o un ‘Baglietto’ per i motivi che sai, così si &egrave fatto la barca da proletario che personalmente preferisco a tutte le altre.

– E’ comodo e funzionale come poche.

Diedi gas e il motore rispose subito aumentando la velocità e impennando la prua, pronta a rientrare in acqua per fendere le onde lievi, e aprirsi un varco nel mare calmo. Bordeggiando intorno alle cinque miglia ci gustavamo il panorama della costa appena delineata ma soave come un quadro impressionista.

– Spegni ‘ fece Rosa poggiandomi una mano sulla mia che reggeva i comandi.

– Agli ordini, commodoro ‘ dissi sorridendole.

Calai l’ancora e ci lasciammo dondolare come neonati in una culla di undici metri. A poppa c’era abbastanza spazio per stendere due grossi teli di spugna e sdraiarsi a prendere il sole, il primo della stagione. Guardavo le poche nuvole in cielo, e mi beavo delle mie buone condizioni fisiche pensando a quanto ero stato stupido in certi momenti da non capire quanto poco ci vuole a perdere quello che senza nessuna fatica avevo’LA SALUTE. E mentre mi davo del coglione da solo, sentii Rosa muoversi, mi girai strizzando gli occhi per difendermi dal una lama di luce solare accecante. Lei si era tolta il reggiseno del bikini e a pancia in giù si abbronzava la schiena. Vedevo quelle piccole, ma sode mammelle schiacciate sotto il suo peso far capolino tra le ascelle con un rigonfiamento invitante.

– A Saint Tropez, le ragazze prendono il sole senza reggiseno ‘

– Topless, &egrave questa la moda – fece lei quasi a giustificasi.

– Si, credo di si.

Con un dito leggero, mettendomi di fianco, scorrevo la colonna vertebrale della mia donna. Allargando la mano le accarezzavo le scapole, i reni e saltando lo slip proseguivo sul didietro delle cosce lisce fin dove potevo arrivare. Per poi ripercorre la strada a ritroso.

Lei sollevando la testa mi osservava con occhi felici, invitandomi a baciarla. Lo feci con piacere e assaporai la sua bocca tenera e pronta, disponibile a ricambiare con slancio il mio gesto.
Io sotto, di traverso per raggiungere la sua bocca, lei sollevata quel tanto da sfiorare con i capezzoli il telo di spugna mi permetteva di ammirarle il minuscolo seno, compatto e con le aureole prominenti. Un seno accattivante quasi infantile, che mi occhieggiava a pochi centimetri dal naso. Bastò sollevare leggermente la testa e mi trovai a lambirlo con la lingua. Rosa non si mosse, anzi inarcando la schiena si sollevò quel tanto da permettermi di mungergli prima l’uno e poi l’altro globo di tenera carne eburnea.

– Ci vedranno ‘ fece lei.

– Chi ‘ risposi liberandomi le labbra.

– Qualcuno, da terra o se passa un’altra barca.

– Da terra ci vuole un bel paio di cannocchiali per distinguere qualcosa qui. Altre barche non se ne vedono ‘ la tranquillizzai ‘ comunque se preferisci andiamo sotto coperta.

– Continua ‘ fece lei con un sorriso che non vidi ma intuii.

Mentre continuavo e sfiorare con la lingua quei singolari capezzoli, l’accarezzavo dove le miei mani arrivavano purché fosse pelle, il senso tattile mi anticipava gioie prossime venture tonificandomi ogni muscolo, rendendomi percettivo e quindi sensibile ai suoi impacciati toccamenti.
Ci eravamo disposti al contrario di prima, lei supina e io di fianco con occhi ammirati mi scaldavo il sangue al suo gesto pudico di incrociare le braccia sul seno senza accorgersi che un capezzolino usciva allo scoperto, rendendola ancora più stimolante da guardare.
Lasciai a lei la prima mossa, mi bloccai ad ammirarla e attesi che si rilassasse se fosse per caso stata colta da un attacco di improvvisa ritrosia. Aprì gli occhi e allargando le braccia mi attirò su di lei, ci baciammo a lungo e ci strofinammo uno contro l’altra tanto da rimanere a tratti incollati con una parte del corpo coperto di un velo di sudore. Vedevo in controluce i suoi pelini biondi sulle braccia, appena un cenno sotto le ascelle, non ancora depilate, e lì mi intrufolai per fargli sentire la mia lingua, poi passai ai lobi degli orecchi per ritornare a suggergli le labbra in un estenuante movimento di toccata e fuga.
Fermandomi, volle assaggiare anche lei la mia pelle e mi baciò le spalle, il petto, il collo, leccando con la sua lingua a volte tesa altre molle in piena salivazione.
Azzardai a infilarle la punta delle dita nello slip e non ebbi da parte sua nessuna reazione apparente, allora facendo leva con il dorso della mano lo feci scivolare lungo le natiche espugnando con impazienti carezze il culetto, soffermandomi tra le natiche per solleticare lo sfintere.
Muovendo alternativamente le gambe, Rosa si liberò dello slip e sollevandosi si sdraiò sopra di me. Dolce fervore il suo corpo, emozionante sofficità, delizioso peso. L’abbracciai forte stringendola a me. Baci lievi, rumorosi e profondi mi coprirono il volto mentre il mio pene spingeva contro il pube di lei, Rosa lo sentiva e gli si muoveva sopra spostando il bacino da destra a sinistra.
Non potendolo più trattenere nel costume lo liberai e feci in modo di posizionarlo tra le cosce di lei. La presenza calda e umida di quell’inconsueto oggetto così vicino alla sua intimità la irrigidì. L’invadente, ormai, gli frizionava i peli pelvici, Rosa, inaspettatamente, se lo sistemò meglio, fuori da ogni possibilità di penetrazione incontrollata e stringendogli le cosce contro se lo tenne così, finché io, da sotto non iniziai a muoverlo come se gli fossi dentro. Questo accenno di coito (in gergo infraccoscini) le piacque perché iniziò ad aiutarmi nel via vai, lasciando più spazio di azione e agevolandomi con movimenti ritmati, antagonisti ai miei.

I suoi gesti erano semplici, istintivi, corali; Rosa si muoveva come volevo che si spostasse e io ero teso al pieno soddisfacimento del suo intento, cercavo di interpretare in anticipo quello che voleva, per metterlo in pratica senza interruzioni di sorta.

– Amore ‘ gli sussurrai all’orecchio ‘ sei incredibile, mi stai facendo morire di piacere.

– Lo sento ‘ ansimò lei, senza interrompere il movimento di reni ‘ &egrave tanto bello che faccio fatica a crederlo.

La baciai con trasporto stringendola a me con forza, mentre schizzi di sperma le inondavano l’interno delle cosce.

Restammo alcuni minuti così, una sull’altro, abbracciati con le bocche unite e le mani che ci accarezzavano dolcemente. Piano, piano, Rosa scivolò di lato e la mia pelle sudata avvertì la brezza marina, rabbrividii cercando il suo corpo come la necessità di conservare quel gradevole calore. Rosa mi accolse tra le sue braccia tempestandomi di piccoli baci.

– Devo andare a lavarmi ‘ fece lei con riservatezza, abbassando lo sguardo.

– Se proprio devi, ma sarà un tormento aspettarti.

– Vieni anche tu.

– Posso ‘ accennai.

Lei non rispose per sgattaiolare sottocoperta. Intravidi Rosa che si chiudeva in bagno. Andai verso il bar, che mio padre teneva sempre ben fornito, per gli amici, e mi versai un whisky. Mi rinfrescai al rubinetto del lavello e bevvi d’un fiato. La mia dualità, maschio ‘ femmina, dolce ‘ violento, sadico ‘ masochista, romantico e porco mi sconquassava il comprendonio. Anzi lo stesso freno, che mi imponevo, funzionava da combustibile per un desiderio sempre più forte.
Rosa uscì dal bagno indossando un accappatoio di almeno due misure più grande, mi guardò sorridendo.

– Non fumi, ma bevi ‘ disse accennando al bicchiere.

– No, non bevo mai. Oggi &egrave un’occasione speciale, come straordinaria sei stata tu ‘ dissi trattenendo l’impulso.

– Non ho fatto niente di particolare se non quello che l’istinto mi consigliava, vedo che non ti ho deluso.

– Deluso? Sei stata bravissima, una vera femmina ansiosa di soddisfare il suo maschio. Io, piuttosto non credo di averti accontentato, però posso sempre rimediare’

– Sei carino a dire così, tenero ‘ e si avvicino per baciarmi ‘ ma non sono così ‘porca’ da pretendere forti prestazioni dal mio uomo ‘ mi sussurrò tra le labbra.

L’abbracciai, per non farla allontanare da me e presi a baciarla sul viso, sul collo, sul petto. Allontanavo la stoffa di spugna scoprendo la sua pelle fresca di doccia, profumata ed arrendevole. Lei mi stringeva la testa tra le mani accarezzandomi i capelli.

– Basta, dai ‘ sentivo che mi diceva, ma non l’ascoltavo, intento com’ero a togliergli l’accappatoio.

L’indumento finì in terra e noi sopra, Rosa supina e io in ginocchio tra le sue gambe, sveltamente mi tuffai sul suo pube e iniziai a lambirgli con la lingua il clitoride, piccolo, come minuto era il suo seno, il viso, le mani, le labbra. Una bambolina che nulla aveva delle donne che avevo conosciuto, femmine sensuali, dai grandi seni, dalle labbra tumide, dalle mani prensili, dai visi carnali. Le classiche donne da letto.
Rosa invece mi infondeva tenerezza per la sua esilità esteriore, per il candore della sua pelle, per il fatto che fisicamente non poteva competere ma sicuramente poteva darmi tanto amore.

– Vieni su, che sei scomodo ‘ fece lei afferrandomi per i capelli.

– Ma, tu, tu non’ – e iniziai a masturbarla con la mano mentre le baciavo il seno duro e flessuoso.

– Vuoi proprio’ – fece lei mettendomi una mano sulla mia.

– Certo, non &egrave giusto che io si e tu no.

– A me &egrave piaciuto così, se vuoi continua pure.

Continuai senza pietà trascorrendo minuti e secondi, attimi di intenso piacere reciproco. Volli che fosse lei a toccarsi spiegando che mi eccitava moltissimo guardarla
Rosa non lo fece. Allora mi detti da fare io. Ci trovammo spesso nella classica posizione di una penetrazione smaniata, ma Rosa con dolcezza si ritraeva, a volte con evidente sforzo.

– Aiutami ‘ mi ripeteva ‘ non dobbiamo bruciare tutto così.

L’aiutai sino ad un certo punto e cio&egrave sino a quando non ci ritrovammo uno dietro l’altra. Lei si era messa bocconi per evitare i miei assalti frontali, mettendo allo scoperto, però, il suo tenero culetto. Gli bersagliai di baci le natiche, passando la lingua su tutta la colonna vertebrale per mordicchiargli il collo, discesi tra i suoi globi e divaricandoli introdussi la lingua su quel bronzeo buchino indifeso.

– Ma che fai ‘ la sentii dire.

Ma ormai avevo spinto dentro la punta della lingua e mi aiutavo con la saliva a umettare l’interno. Quando mi sollevai, non le permisi di muoversi, perché gli fui sopra e premendola sul pavimento la costrinsi con il peso del mio corpo a subire comunque una penetrazione. Appoggiai il cazzo tra le natiche e fregandolo su e giù glielo feci sentire bene.
Rosa taceva ma la sentivo contratta, passai una mano sotto il suo ventre e iniziai a masturbarle il clitoride mentre delicatamente spingevo tentando una anche pur piccola dilatazione. Lei accettò la stimolazione manuale rilassandosi, però lo sfintere era imprendibile.

– Non vuoi? ‘ azzardai.

– Non lo so, ho paura ‘ rispose.

– Paura di che, molte persone lo fanno con reciproco piacere ‘ mentii.

– Non &egrave naturale.

– Certo che lo &egrave, molte mogli, per non avere figli lo fanno.

– Usano il preservativo o la pillola! Cretino, fa male!

– Un pochino come davanti, la prima volta, ma poi passa subito ‘ l’ingannai ancora.

– Farei qualsiasi cosa, per te.

– Anch’io ‘ affermai con decisione ‘ se ti fidi faccio in modo di farti meno male possibile.

– E come?

Usando quello che avevo usato in precedenza ma stavolta trovai solo burro, di quello in piccoli quadratini da spalmare per colazione.

Rosa sdraiata a pancia in giù, forse per non assistere alle mie insensibili manipolazioni, aspettava. L’avvicinai e con delicatezza e spostando le natiche poggiai il cubetto di burro sullo sfinter premendolo dentro il buchetto.

– &egrave freddo ‘ disse la mia amante.

Era vero, lo avevo preso dal frigo.

Poi si sciolse, Rosa subiva in silenzio. Cercai prima a farmi strada con le dita e in fine la penetrai, invitandola a toccarsi. Il cazzo scivolò di pochi centimetri e Rosa si lamentò.

– Fa male? ‘ domandai pensando che questa frase l’avevo già detta, haim&egrave.

– Un pochino ‘ rispose lei a denti stretti.

Lentamente, centimetro dopo centimetro la penetrai facendola comunque urlare.
Rosa cercava di sottrarsi al tormento che gli avevo procurato tra le viscere ma ormai le ero dentro e con tutto il mio corpo la costringevo a subire. Subito mi mossi ritraendo e riaffondando il pene in quel tenerume mentre Rosa gemeva invocandomi di smettere.
Era da quando ero sceso sotto coperta che aspettavo questo momento e non pensavo minimamente di cessare quella lacerazione verginale. Anzi con colpi sempre più forti le facevo sentire tutta la mia forza aggressiva, godevo nell’immaginare il suo viso stravolto dal dolore e avrei voluto metterle uno specchio davanti per vederlo. L’afferrai per i fianchi e la sistemai meglio, lasciandogli più spazio se si fosse voluta masturbare. Le volevo venire nel culo e questo in quel momento era ciò che pensavo, non mi interessava se gli procuravo dolore l’importante era irroragli l’intestino con le mie calde raffiche di sperma.

– Si, nel culo, lo sento tutto nel culo ‘ inaspettatamente Rosa, con una voce cavernosa sussurrò.

– Si, amore, sei mia ‘ dissi ipocritamente carezzevole.

Lei selvaggiamente mi spinse le reni contro l’inguine e oscillando il bacino fece in modo d’aderire il più possibile.

– Sei la mia porca ‘ osai dirle ‘ la mia troia, dai che ti spacco.

– Si, si fammi godere, fammi male, ma fammi venire.

Accelerai il movimento e irrigidii il mio muscolo più che potevo, presi a dilatargli le natiche in modo da aumentare la penetrazione.

– Così, si così ‘ rantolava lei ‘ arrivami fino al cervello ‘ e la sua mano veloce si muoveva.

– Godo, si vengo, ecco’ ecco’ – dicevo all’unisono con la mia donna.
Capitolo quattordici
Da circa un’ora esaminavo nuovi candidati alla carriera di porno attori. Michela era riuscita a legalizzare parzialmente la nostra ‘Agenzia’, si era trasferita in uno ex-studio televisivo nel centro della città, con ufficio, ascensore, e garage sotterraneo personale. Claudio curava la parte tecnica e Clara con Stefania istruivano il nuovo personale. Le due inseparabili amiche avevano da tempo lasciato la famiglia per vivere in un piccolo attico all’ultimo piano di questo moderno palazzo. Claudio aveva dovuto affrontare l’ostilità dei suoi vecchi, ma preferì metterli al corrente di ciò che faceva, prima che lo venissero a sapere da qualcun altro. Lo fece minimizzando i suoi reali compiti, affermando la sua completa estraneità alla partecipazione attiva nelle funzioni effettive dell’agenzia, ripeteva che il suo era un lavoro come tanti altri, ben pagato, non faticoso, per cui, sfruttando l’ignoranza, dice che potevano star tranquilli nulla di male sarebbe successo, gli aveva anche detto della possibilità di andarsene di casa se la sua presenza avrebbe creato imbarazzo.

– I protagonisti dei pornofilms ‘ mi diceva Claudia ‘ vivono in un fantastico paese dei balocchi del sesso.

Io continuavo a guardare una ragazzina, molto giovane e altrettanto magra che con gesti stonati si spogliava.

– Avanti un’altra ‘ feci appena la candidata fu completamente nuda.

– I loro corpi, messi in scena, sono sempre disponibili, devono essere desiderabili per il soddisfacimento della clientela ‘ continuava Claudia.

– Ma sono troppo giovani ‘ azzardai.

– Con tutti i pedofili che ci ritroviamo, queste sono già vecchie. Bisogna che i desideri coincidano con la rappresentazione, dobbiamo dare ciò che il mercato chiede.

Era la volta di un ragazzo sui vent’anni, bruno, atletico e ben dotato, non molto fotogenico ma sufficiente alla bisogna.

– Come ti chiami? ‘ dissi, alzando un po’ la voce.

– Andrea, Andrea Carli ‘ mi rispose appena calato l’ultimo indumento.

– Girati, fatti vedere bene, sotto il riflettore, grazie.

– L’intimità della trama nei film erotici deve far comparire il desiderio e subito soddisfarlo per poi rifarlo emergere senza interruzione di sorta ‘ continuava a parlare piano Clara.

– Ho capito ‘ la interruppi segnandomi sul notes il nome di Andrea Carli ‘ La pornografia &egrave dell’immaginario maschile, la soddisfazione dei desideri, bisogni, aspirazioni proprie del mio sesso.

– &egrave qui che ti sbagli ‘ intervenne Stefania, seduta dietro di me, sporse la sua testolina’ le donne dispongono di un diverso immaginario erotico per cui la merce destinata al mercato, oggi &egrave ad esclusivo consumo dei maschi.

L’ultima candidata era la sorella di Moana, quindi sicuramente già iscritta nel nostro libro paga. La lasciai spogliare e, indubbiamente superava con sensualità ogni altra concorrente, certo aveva avuto buona scuola, già da bambina frequentava l’ambiente e quindi sapeva come muoversi e come atteggiarsi meglio di chiunque altro.

– Ok ‘ feci all’indirizzo della ragazza.

– La questione delle due diverse sensibilità erotiche fa sì che noi, come agenti di mercato siamo convinti che l’attuale produzione della merce erotico pornografica debba tener conto soltanto del consumatore maschile e, conseguentemente produciamo in vista del vostro ‘naturale’ desiderio ‘ continuò Stefania.

– La concorrenza ‘ interruppe Clara ‘ più attenta per ragioni di sopravvivenza ai mutamenti di gusto e di consumo, da tempo s’&egrave resa conto che anche le donne acquistano e consumano pornografia.

– E a me che me ne cala ‘ feci sbuffando di questa arringa sulle teorie di mercato.

– Ti deve interessare ‘ fece Michela dal fondo della sala, era entrata nello studio senza che ce ne fossimo accorti ‘ In America alcune agenzie lavorando già su cassette video realizzando filmati per le donne con notevole successo, confermando l’intuizione di alcuni registi e produttori.

– Bene, allora vogliamo far concorrenza agli Stati Uniti ‘ feci alzando la voce ‘ non siamo in grado nemmeno di avere un zero virgola uno per cento del mercato nazionale e già parliamo di fare a gara con i maestri del cinema hard.

– Appunto per questo sarà facile alzare lo zero per cento sfruttando ogni opportunità ‘ continuò Michela sedendosi in mezzo a noi ‘ I film porno, girati tenendo conto dell’immaginario femminile, sono costruiti su ritmi lenti, sono un prodotto diverso: girato con attenzione, condito di sentimentalismo, che tiene conto dei tempi femminili biologicamente più lunghi.

– Quanto guadagniamo, con l’attuale produzione ‘ sentimmo dire da dietro. Claudio appoggiato allo stipite della porta s’era intromesso – Quel tanto che basta per una vita più che dignitosa, stamattina, guardandomi allo specchio o trovato il primo mio capello bianco.

– Siamo da anni in un settore in forte espansione e non dobbiamo desistere di fronte agli svedesi, americani o che so io’ – terminò Michela con tono nervoso.

– Rivalutare le trame e il gioco dei sentimenti ‘ riprese a dire Michela ‘ tessere una storia erotica che sappia rendere conto dei bisogni e delle fantasie delle donne, forse un nuovo genere rosa?

– Bisogna agire sullo stretto legame tra fantasia e pornografia ‘ continuò Clara ‘ almeno nell’attuale produzione di materiale hard, c’&egrave qualcosa, attualmente, che non sembra funzionare con tanta armonica concordanza.

– Guadagnare sulle fantasie erotiche ‘ dissi ‘ &egrave il nostro mestiere, però corriamo il rischio, dite voi, di apparire immiseriti di creatività portando il nostro prodotto al limite estremo della saturazione?

– Non proprio ‘ intervenne Stefania ‘ ma dobbiamo riciclarci secondo le volontà del mercato oppure crearci uno spazio in quello attuale con prodotti nuovi rivolti a nuovi clienti.

Tutto questo parlare di lavoro ci aveva distratto dall’orologio che c’informava dell’appuntamento fissato allo studio uno, la camera arredata per le riprese di un nuovo cortometraggio. Tra tecnici e attori avevamo una trentina di dipendenti più noi cinque, compresa Marinella. C’era un gran da fare in ogni stanza e sembrava veramente una cosa seria anche se spesso ricevevamo la visita delle forze dell’ordine. Andavamo comunque avanti vendendo i nostri films come se fossero stati girati in Romania dato che la legge ci vietava di produrre sul territorio nazionale materiale pornografico. Ci sentivamo pionieri di un lavoro inventato per caso e risultato come primaria occupazione di tutti, tranne me.
Io restavo sempre più in disparte perché non volevo essere coinvolto più di quello che oramai ero. Rosa sapeva ben poco di quello che facevo nei pomeriggi ‘liberi’, i miei sapevano che volevo essere indipendente e quindi facevo un lavoro presso un’agenzia di fotografia. Mio padre spesso me ne chiedeva il nome forse per informarsi, ma glielo negavo sempre con la scusa che non volevo essere aiutato da lui, che volevo lavorare e forse ‘far carriera’ senza raccomandazioni.

– Ti faccio entrare nel ‘pubblico’ ‘ mi ripeteva il mio vecchio, intendendo come ‘pubblico’ tutti quegli enti, appunto, pubblici nei quali il lavoro &egrave sicuro, lo stipendio corre anche se non si fa niente’

– Ho amici in Comune, in Provincia, nell’ANAS, dove vuoi, magari un contratto part-time’ – insisteva il genitore.

Nel ringraziarlo del suo interessamento, continuavo a preferire il ‘privato’, anche se con molti problemi ne traevo molte soddisfazioni economiche e’ fisiche.

Purtroppo le cose precipitarono, come spesso avviene, il mio influente padre mi fece pedinare e così seppe una parziale verità, per fortuna.

– Così lavori dove fanno fotografie di nudo ‘ iniziò una sera a cena.

Mia madre saltò sulla sedia.

– Me l’aspettavo ‘ dissi calmo ‘ non potevi rispettare la mia privacy, hai voluto mettere il becco anche lì.

– E’ così che parli a tuo padre ‘ intervenne la mia vecchia.

– E come dovrei parlargli, mi ha fatto seguire da qualche suo scagnozzo chissà cosa gli hanno detto di me. Io lavoro come Promotion manager, cio&egrave il responsabile della gestione delle attività promozionali e non m’importa cosa propongo ai clienti, l’importante che lo comprino ‘ mentii.

– Donne nude ‘ fece con disprezzo mio padre ‘ hai studiato sino a ventisei anni per vendere i calendarietti che danno i barbieri.

– Come al solito sei indietro di mille anni luce ‘ continuai smettendo di cenare ‘ guarda quante riviste ci sono nelle edicole, non fanno in tempo ad arrivare che vengono vendute a prezzi altissimi rispetto al prodotto offerto.

– E proprio mio figlio doveva vendere quel materiale osceno.

– Cosa c’&egrave d’osceno nel proporre una merce che il mercato chiede, potevo offrire immagini sacre ed era per me lo stesso lavoro’non lo stesso stipendio’

– Se si viene a sapere in giro dovrò dare le dimissioni ‘ disse mio padre rosso in viso dalla rabbia.

– Finora nessuno a saputo niente, comunque posso fare come dei miei colleghi, vado ad abitare in centro e così la vostra reputazione &egrave salva.

– Non &egrave questo che intendeva papà ‘ intervenne mia madre preoccupata.

– Se vi creo imbarazzo, me ne vado ‘ insistetti.

– La gente lo verrà a sapere lo stesso ‘ continuò il vecchio.

– Non credo. Claudio, che conoscete benissimo, lavora nell’agenzia con il beneplacito dei suoi genitori e nessuno li ha ancora messi alla berlina.

– Claudio’ Claudio, che vuoi che me ne importi del tuo amichetto ‘ sbottò il vecchio paonazzo – &egrave la gente che mi interessa, il notaio tuo futuro suocero, i compagni di partito.

– I primi che comprano le riviste dove la nostra agenzia pubblica le foto ‘ ribattei sfrontatamente.

Ciaf! Lo schiaffone arrivò improvviso con un urlo squittante di mamma che per poco non finì lunga distesa sul tappeto persiano nel tentativo di fermare la mano di mio padre.

Dopo alcuni mesi lascia la casa avita, mi sposai con Rosa in una piccola chiesetta delle Langhe, come testimoni chiamammo Claudio e Marinella, mentre il resto della troupe fu presentato alla mia futura consorte come colleghi di lavoro.
Col tempo Rosa volle sapere e fummo tutti d’accordo nell’addolcirgli la pillola meglio possibile. Fu più che comprensiva e non fece domande anche se qualche dubbio le passava sicuramente per la testa. La luna di miele ai Caraibi l’addolcì.
Sempre con molta diplomazia la invitai nei nostri uffici e presto si rivelò una valida collaboratrice anche se non la feci mai partecipare alle nostre riprese più spinte. Qualche foto di nudo artistico per riviste che ormai appartenevano al cult del genere erotico. Con un po’ di ritrosia moralistica mia moglie assistette alle pose fotografiche e quando certi fotografi da noi ingaggiati ebbero una certa notorietà Rosa parve compiacersi del nostro operato.

– In fin dei conti ‘ disse un giorno ‘ non facciamo altro che dare piacere a chi non fa nulla di male se non gustare il bello di un corpo nudo.

Il fatto che si rendesse partecipe del mio lavoro mi commosse al punto che abbracciandola le sussurrai:

– Credo che sia venuto il momento di avere un figlio che ci leghi indissolubilmente per la vita.

– Non credevo me lo avessi mai chiesto ‘ fu la sua risposta e con un gesto altrettanto deciso getto sul pavimento la scatola delle pillole anticoncezionali che teneva sotto l’abat-jour.
Per la prima volta facemmo all’amore non per godere ma per procreare e credetemi per me non fu una cosa da poco’

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