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Racconti Erotici Etero

Il cliente

By 12 Marzo 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Ogni volta che mio padre concludeva un affare era solito ricevere il nuovo cliente nel suo studio a casa. Era una stanza particolare, con pareti chiare e tende leggere. A contrasto i mobili scuri di ciliegio spiccavano rispetto alla luminosità della stanza. E le pareti’ piene di librerie e quadri, riproduzioni dei suoi artisti preferiti’paesaggi, donne’ immagini surreali che portavano alla mente posti strani, a volte esotici’ luoghi lontani a me sconosciuti.
Quel giorno non era diverso dagli altri.
Nuovo affare in vista, famiglia al completo pronta in gran stile, come sempre.
L’immagine prima di tutto diceva mio padre, e cosa se non una famiglia ben affiatata poteva offrirla?
Come tutti i clienti, questo non era diverso, anche lui ne sarebbe stato colpito, avrebbe firmato di certo, rassicurato dalla stabilità della famiglia e della compagnia di mio padre.
Solo public relations.
Per il resto, mio padre non c’era mai.
Ma io gli volevo bene davvero e, come usavo fare ad ogni contratto, presi il vassoio con caffè e pasticcini dalla cucina e lo portai nello studio con un bel sorriso sul volto, pronta a fare la mia parte di figlia modello, un esempio di solidità e di gentilezza femminile che, un domani, avrebbe assunto le redini dell’impero paterno.
Aprii la porta, mi colse un leggero alito di vento alle spalle che corse a smuovere le tende.
Li vidi seduti entrambi sulle poltrone scure di pelle, sorridendo e scherzando, poche battute e qualche convenevole in una lingua che in principio non capivo.
Mio padre si alzò e mi presentò al nuovo cliente, Mr. Bailey, George Bailey.
Appoggiai il vassoio sul tavolino e gli porsi la mano. Lui la voltò e la baciò sul dorso, gentilmente.
Sentii il brivido caldo delle sue labbra che sfioravano a malapena la pelle, lo guardai in volto e mi rivolse un sorriso.
Mio padre mi ringraziò, io mi allontanai lasciandoli soli.
Ormai avevo fatto la mia parte. Da brava figlia, il mio compito era questo.
Non ci aspettava che attendere che il nuovo cliente andasse via per salutarlo e ringraziarlo.
Lo studio si aprì di nuovo portando con se la sua solita folata di vento, una sottilissima brezza primaverile che preannunciava l’arrivo dell’estate.
Con una mano sulla spalla del cliente, mio padre chiamò Sara, mia madre, e le chiese di far aggiungere un nuovo posto a tavola per la cena e di preparare la stanza degli ospiti: Mr. Bailey si sarebbe fermato da noi per pochi giorni, il tempo di sbrigare le pratiche necessarie.
La cosa mi turbò alquanto’ in assenza di mio padre, le vite mia e di mia madre trascorrevano in modo autonomo, indipendente’ poteva capitare di non vedersi per giorni, ognuna intenta a gestire le proprie vicende, quasi come se l’altra non esistesse.
La presenza di mio padre mi avrebbe costretta al suo continuo controllo il quale, come ben sapevo, non avrebbe tenuto conto del mio benessere e delle mie necessità di figlia ma esclusivamente ad impedirmi di farlo sfigurare con Mr. Bailey.
Il fatto di sentirmi costretta a fingermi una figlia perfetta chissà per quanti giorni, mi portò a mal accettare la presenza di un uomo a me estraneo che, contro di me, non mostrava nulla se non una manifesta simpatia e garbatezza.
La sera stessa, la cena trascorreva serenamente mentre io e mia madre fingevamo cordialità, il sorriso stampato sulle labbra, la mente vuota che vagava in cerca di pensieri più leggeri rispetto ai monotoni discorsi d’affari. Il cliente a volte mi fissava coi suoi occhi lucenti come diamanti’ uno sguardo intenso’ gelido, freddo, penetrante, che mi impauriva e che destabilizzava ogni mio equilibrio; ogni volta era come cadere dalle nuvole e sprofondare all’improvviso nella tensione più forte e nell’elettricità più intensa.
Anche dopo cena mi sentivo osservata, i suoi occhi mi puntavano a distanza scrutando ogni passo, esaminando ogni movimento con occhio attento, per poi ritrovarmi, occasionalmente, ad incrociare il suo sguardo ancora e ancora’ e ad imbarazzarmi ancora’ mi sentivo nuda di fronte a lui, spoglia di tutto, anche delle mie barriere emotive, e la mia anima andava in balìa’ in sua balìa.
Andai a letto frustrata e confusa, sorpresa di eccitarmi al solo pensiero del suo fissarmi che, in cuor mio, mi ispirava agitazione e paura misti ad un insano turbamento.
Poi due mani.
Mani lisce, levigate, che mi percorrevano al di sopra del lenzuolo, cercando un varco nel buio della notte. Aprii gli occhi debolmente e lo vidi’ vidi la sua ombra su di me, i suoi occhi magnetici che mi fissavano ancora, una mano sulla mia bocca, un’altra tra le mie gambe.
Avrei voluto gridare’ avrei dovuto’ eppure rimasi lì, immobile, mentre si addentrava cercando la mia pelle e il calore del mio sesso.
Ogni giorno me lo ripeto’ avrei dovuto’ avrei potuto’.
La realtà fu che godevo’ si, godevo di quella paura, godevo di quella tensione mentre mi allargava le gambe e si sforzava di entrare, mentre spingeva forte il suo sesso dentro di me tappandomi la bocca con una mano per impedirmi di gemere e urlare’ mentre mi teneva la testa per i capelli per permettermi di succhiargli la vita dal pene.
Ogni notte’ ogni volta lui entrava di nascosto a traviare il mio corpo e la mia anima spingendosi sempre oltre’ sempre più in là, insensibile alla mia confusione interiore, egoisticamente curante solo del suo appagamento che, puntualmente, portava al mio.
E io traevo piacere, piacere nell’angoscia, piacere nel timore e nella prepotenza, consapevolmente, tanto da averne paura, da temere le pulsioni nascoste in me stessa, tanto da fuggire ogni pensiero che si affacciava di giorno, quando fingevamo quasi di non conoscerci.
Ogni sera lo temevo e lo desideravo, rivendicavo per me le sue attenzioni notturne’ attendevo con ansia e paura il suo arrivo’ sognavo i suoi sussulti nel possedermi e le sue mani oltraggiarmi mentre mi attanagliava il timore folle di quella che era una violenza consenziente…
Perché mi compiacevo, mi compiacevo di quella violenza che mi turbava l’anima ogni volta ma, che per un breve istante, mi portava al culmine del piacere per poi buttarmi giù, nel più nero baratro dell’anarchia del mio cuore. La contraddittorietà catturava ogni mio pensiero di giorno, la follia li faceva tacere di notte. E la paura amplificava ogni sensazione ingigantendola a tal punto da distruggermi in un solo attimo di passione.
Quando se ne andò mi lasciò annullata, la mente stanca non si chiedeva il perché, desiderava, aspirava ancora.
Lui non venne mai più, tornò nel suo paese ad affare concluso.
Io non lo vidi mai più
Tutt’ora’ spero di non incontrarlo mai nella mia vita’ mai.
Bastardo.
Eppure’ mi manca’.

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