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Racconti Erotici Etero

Il corpo della professoressa

By 6 Giugno 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Non avevo mai pensato alla professoressa Randazzo come ad una donna, intendo che non avevo preso in considerazione la possibilità che lei avesse un corpo, del genere gambe, tette, culo e, naturalmente, fica.
Cerco di spiegarmi, io ho quasi diciotto anni, frequento l’ultimo anno del liceo scientifico, e sono poco propenso a considerare, sotto questo aspetto, una donna tra i quaranta ed i cinquanta, praticamente coetanea di mia madre.
Oltretutto, solo nella mia classe ci sono una dozzina di ragazze, su cui concentrare le mie fantasie erotiche.
Veramente, per essere precisi, le ragazze sono effettivamente tredici, ma dal numero vanno escluse Silvana, brutta e grassa e Franca, che poverina è tanto simpatica, ma è più piatta di una di quelle vecchie tavole di legno su cui, una volta, si lavavano i panni.
Tra le altre undici non saprei chi preferire tra Gianna, moretta e dalle curve accentuate e Lory, con quel musetto da ragazzina per bene, le tettine a punta, deliziose, ed un culetto rotondo che mi fa impazzire, ma anche Stefania, con i capelli biondi, lunghi e lisci, e poi c’è Annamaria e poi ‘
Insomma, non ho che l’imbarazzo della scelta, per dare forma alle mie fantasie, che finiscono regolarmente, la sera prima di addormentarmi, con delle seghe favolose.
Ebbene sì, se ancora non l’avete capito, sono timido, imbranato e sfigato.
Ma torniamo alla professoressa Randazzo.
Rosa Randazzo è la nostra insegnante di inglese, una donna alta e scostante, con i capelli di un biondo sbiadito, sempre raccolti dietro la nuca, che quando ci guarda con quegli occhi azzurri, quasi di ghiaccio, attraverso gli occhiali dalla montatura sottile, ci fa venire i brividi, nel senso che quasi ce la facciamo sotto davanti a lei.
Quando tre anni fa è venuta nella nostra scuola, trasferitasi dalla Sicilia, dove aveva sempre vissuto, all’inizio è girata qualche battutina sul suo cognome, del tipo ‘alla Randazzo piace il cazzo’, ma sono bastate due settimane di lezione con lei, per farci passare la voglia di fare gli spiritosi.
La professoressa Randazzo, quando inizia a parlare in inglese perde miracolosamente quel suo inconfondibile accento siciliano, al punto che sembra di avere a che fare con uno speaker della BBC, un inglese perfetto, insomma.
Di lei sappiamo pochissimo: vive sola, viene a scuola con una vecchia utilitaria ed indossa sempre ampi pantaloni, camicia a maniche lunghe, con sopra una giacca larga, anche in piena estate, che hanno reso impossibile valutare se avesse un corpo degno o meno di essere guardato.
All’inizio non mi capacitavo che una persona proveniente dalla Sicilia potesse avere quasi l’aspetto di una scandinava, poi un mio amico mi ha spiegato la faccenda dei Normanni, che parecchi tempo fa, seminarono diversi siciliani biondi e con gli occhi azzurri.

Dopo questo lungo preambolo, necessario per spiegarvi la situazione, vengo al racconto.
Oggi la Randazzo mi ha fatto una cazziata micidiale.
Tempo fa mi ha prestato un’antologia di poesie dei romantici inglesi ed io mi sono dimenticato di riportarle il libro.
Beh, veramente sono due settimane che me ne dimentico, ma oggi è proprio esplosa.
La sua sfuriata ha lasciato tutti senza parole, con il capo chino, mentre io avrei voluto nascondermi sotto al pavimento.
‘Ora basta, Ronchi, sono due settimane che mi prendi in giro, quel libro mi serve e ci sono anche molto affezionata, oggi pomeriggio, alle cinque, non prima, perché non mi trovi, me lo porti a casa, questo è l’indirizzo’.
Io ho preso il foglietto che mi porgeva e me ne sono tornato al mio banco.

Abita dall’altro capo della città ed ho pure il motorino rotto, così ho perso mezzo pomeriggio con l’autobus.
Ho suonato il citofono, accaldato per il lungo tragitto sotto al sole ed ho sentito solo la sua voce che mi diceva semplicemente ‘terzo piano’.
Quando mi ha aperto la porta ho avuto la mia prima sorpresa: la professoressa Randazzo, quando è fuori servizio, è diversa.
Senza occhiali, con i capelli sciolti, che le arrivavano sulle spalle, non sembrava più la iena che siamo abituati a vedere in cattedra.
Anche gli occhi, sarà forse la mancanza delle lenti, mi sono sembrati di un bell’azzurro caldo.
Mi ha fatto accomodare sul divano, dicendo che andava a prendermi qualcosa di fresco da bere e qui ho avuto la rivelazione: indossava un vestitino leggero, senza maniche e scollato, che le arrivava un palmo sopra al ginocchio.
Quando si è allontanata per andare in cucina è passata in controluce davanti alla finestra e, la trasparenza dell’abito, mi ha permesso di gustare la bellezza del suo corpo: un paio di gambe splendide, lunghe, dritte e ben modellate e due chiappe favolose, da far sembrare il culetto di Lory una cosa da niente.
Quando è tornata, tenendo tra le mani un vassoio con due grandi bicchieri di orzata, ho osservato il resto: due grandi tette, ancora belle sode, che si muovevano leggermente al ritmo della sua camminata, sicuramente libere dall’impaccio del reggiseno.
L’ultimo sguardo, prima che posasse il vassoio sul tavolinetto, è andato ai suoi piedi, snelli, abbronzati e curati, che avanzavano veloci nelle pantofoline rosse con il tacco alto.
Si è seduta sul divano vicino a me e mi ha passato uno dei due bicchieri.
Lei parlava, ma mi sono accorto che non riuscivo a sentire neanche una parola, ero completamente ipnotizzato dalla sua presenza e il mio sguardo oscillava indeciso tra le sue caviglie fini e la scollatura del vestito, piena di tutto quel ben di Dio, passando per le cosce, quasi completamente scoperte, perché sedendosi il vestito era risalito e lo spacco si era leggermente aperto.
Ad un certo punto l’ho fatto.
Non riesco ancora a capacitarmi, ma io, Luca Ronchi, quello imbranato, quello che non ha il coraggio di provarci con le compagne di scuola, quello che al massimo arriva a farsi le seghe di notte dentro al letto, sì, proprio io ‘ insomma le ho infilato una mano in mezzo alle cosce, alla professoressa Rosa Randazzo, il terrore del liceo.
Le mie dita si sono posate sulla sua carne morbida e sono rimaste lì.
Madonna che cazzo ho combinato! Ora la prof. mi rifila una sberla da farmi fare tre giri alla testa e poi mi scaraventa fuori di casa sua, ma il peggio verrà dopo, perché manca un mese alla fine dell’anno e sono sicuro che mi distruggerà.
Invece non è successo nulla.
Io ho lasciato lì la mano, lei sorride e mi sembra che abbia leggermente allargato le gambe, come ad invitarmi a proseguire.
Così la mia mano si infila sotto la stoffa del vestito ed avanza.
Sbircio con la coda dell’occhio, per osservare la sua reazione: i suoi occhi sembrano allegri e dalle labbra, socchiuse in un sorriso sensuale, esce un profondo sospiro.
Ormai sicuro che non verrò scacciato in malo modo, avanzo ancora, pronto ad incontrare la stoffa del suo slip e mi imbatto invece in un morbido cuscinetto peloso.
Cazzo, sotto non ha nulla. Mi manca il respiro, mentre lei mi prende per le spalle e mi fa inginocchiare.
Le mia testa, guidata dalle mani della prof., infilate in mezzo ai miei capelli sudati, si avvicina al suo sesso.
Ho visto nella mia vita un mucchio di fiche, piccole fessure rosee depilate, spaccature rosse e profonde, con gli orli frastagliati, asciutte, bagnate, tenute allargate con le dita, penetrate da cazzi di ogni colore e dimensione, sempre attraverso lo schermo di un computer, beninteso.
Questo è il mio primo incontro ravvicinato, con una fica vera, reale.
Il suo odore forte e penetrante all’inizio mi disorienta, ma lei continua a tirarmi dolcemente verso di sé ed io mi faccio coraggio e continuo.
è grande, rosea, bagnata e sormontata da un bel ciuffo di peli biondi, appena più scuri dei suoi capelli.
Quando le mia labbra vengono a contatto con quella bocca molto particolare, lei ha un sussulto violento, poi mi spinge ancora contro il suo ventre ed io sento che la sua fica si apre.
La mia lingua inizia l’esplorazione, dapprima timidamente, poi mi faccio coraggio e vado più a fondo, mentre lei geme e sospira sempre più forte.
Ho l’uccello incastrato nell’elastico delle mutande, che manifesta un disperato bisogno di volare, ma per liberarlo dovrei alzarmi ed aprirmi i pantaloni, e non mi sembra proprio il caso.
Alla fine è proprio lei a mettere fine a questo momento di follia.
Adesso si ricompone, mi dirà qualcosa del genere ‘scusami, è stato un momento di debolezza, adesso torna a casa, ragazzo’, invece dopo avermi fatto rialzare, mi trascina nella sua camera da letto.
è davanti a me, con il vestito completamente sbottonato da cui spuntano fuori le sue grandi tette con i capezzoli che nel frattempo si sono fatti duri e puntuti, mentre la sua fica, ora completamente bagnata dai suoi umori e dalla mia saliva, è così aperta che vedo il rosso vivo della sua carne.
Lei stessa provvede a liberare il mio uccello dalla prigione delle mutande e il tocco delle sue dita mette in atto la magia di farlo crescere di colpo alla sua massima estensione.
Non mi sono mai fatto fare una sega da una donna e devo ammettere che è tutta un’altra cosa, ma lei si ferma quasi subito, ha altri progetti per me.
Ora sono sdraiato sul suo letto completamente nudo, anche lei si è tolta il vestito, è salita sul letto in ginocchio a gambe larghe ed avanza lentamente sopra di me, mentre con una mano si tocca profondamente.
Quando arriva all’altezza del mio cazzo, ormai così gonfio da scoppiare, lo impugna con una mano e si abbassa.
Sento la punta della cappella strusciare sulla sua pelle poi è un attimo, la prof. piega le gambe lentamente fino a poggiare le chiappe sulle mie cosce.
Lo sento entrare tutto dentro di lei e mi sembra di impazzire, poi comincia a muoversi su e giù, mi sta cavalcando furiosamente ed io con le mani mi aggrappo alle sue tette e ‘
Sono venuto subito, accidenti.
Mi guarda male, come quando sbaglio la pronuncia di qualche parola Inglese.
‘Luca, devi cercare di durare un po’ di più, non sei da solo, se la faccenda va per le lunghe, sarà molto meglio per me, ma anche per te.
Dai, su, ora riproviamo.’
Si ripulisce con un asciugamano, poi si inchina e me lo prende delicatamente tra le labbra.
La sua lingua inizia un lavoro delicato e preciso, sembra che conosca esattamente i punti migliori per stimolarlo ed il mio uccello risorge rapidamente.
Questa volta sono stato attento.
Mi ha cavalcato a lungo ed io ho cercato di resistere più che potevo, anche se la vista di quel corpo splendido e di quelle tette che danzavano al ritmo della sua cavalcata erano qualcosa di irresistibile.
Ad un certo punto si è fermata un attimo ed ha ripreso più lentamente ma spingendo più forte sul mio ventre, per cercare di farlo entrare fino in fondo, mentre, contemporaneamente, mi piantava le unghie nel petto.
Ho capito che era il momento e mi sono lasciato andare, mentre lei gridava.

Ci siamo fatti la doccia insieme e, al momento di andarmene, sulla porta di casa, mi dato il libro: ‘tienilo pure un altro giorno, Ronchi, magari me lo riporti domani, a casa’.

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