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Racconti Erotici Etero

IL FUNERALE MASCHERATO

By 2 Gennaio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Il volgo faceva disordinatamente ritorno dal funerale nero. I bifolchi schiamazzavano disperati o si strappavano i capelli con le mani rugose, le donne riempivano l’etere cupo con i loro piagnistei; v’erano pure alcuni discoli sdentati, che approfittavano di quella confusione disperata per giocare degli scherzi di cattivo gusto. Uno di loro pisciò in una pozzanghera.
E pensare, oh, e pensare! Le fisarmoniche avevano suonato le musiche del male e del dolore, la bara aveva fatto un indistinto rumore, allorché l’avevano deposta nella terra, gli affossatori s’erano calati delle maschere di ferro arrugginito sul volto ed avevano lavorato con dei badili macchiati di sangue. Nel fatale istante dell’estremo addio, una voce nera s’era levata dagli abissi ed aveva proferito il nome della defunta. Allora, era stato come se la morte l’avesse chiamata agli inferi.
Mille ceri rossastri avevano illuminato il mattino ingombro di nebbie, foriere di tempeste, presagi e malefici. Era stato come se l’intero cimitero e le sue tombe fossero divorati da fiamme scarlatte, vane quanto i nembi grigi dell’inverno.
Qualcuno aveva sghignazzato e sghignazzava ancora. Io non so se fosse stato il becchino dalla barbaccia unta ed atra, o il vecchio vedovo sdentato, dal volto che pareva un teschio bianco.
Tra quanti facevano ritorno dalla cerimonia funebre e sospiravano sollevati, perché la morte non li aveva voluti con sé, v’era pure lo Zoppo, vecchio uomo dalla gamba di legno. Egli aveva il volto rugoso e vizzo ed era privo degli incisivi; inoltre, gli mancava l’occhio destro e portava una benda nera su di esso, camminava appoggiandosi a un bastone e bestemmiava sempre. Era vestito con un frac nero, tutto rosicchiato dai roditori della sua cantina. Non portava alcun copricapo, forse per mostrare al mondo i suoi capelli lunghi, rigidi, ritti quanto i denti di un pettine e del colore dei topi.
– Ben le sta! ‘ brontolava lo Zoppo, alzando il suo bastone al cielo. ‘ Ben le sta di essere morta, &egrave quello che le spetta! Ha avvelenato mio figlio! Ha ammazzato anche il figlio del bottaio, del carrettiere, del fabbro e del mastro birraio più anziano del villaggio! Doveva crepare! E se mi ascolti, o vipera, che tu possa crepare ancora! Crepa! Crepa, maledetta!
Passava allora, di ritorno dalla lugubre cerimonia, il carro della morte, condotto da una pariglia di cavalli neri, con le lingue penzoloni, i dorsi e le criniere macchiati di sangue, a cassetta c’erano due giovani che avevano ciascuno un teschio al posto del volto, portavano dei pipistrelli sulle spalle e tenevano sul capo dei cappelli a cilindro color della pece, da cui pendevano serpi. I loro abiti neri parevano fatti a brandelli e sghignazzavano.
Fu una visione macabra, che svanì nelle brume grigiastre, al pari della luce spettrale e scarlatta che veniva dalle lanterne poste ai lati del carro.
Prima di fare ritorno alla sua dimora, lo Zoppo si diresse alla taverna del villaggio, dove, tra le botti colme di birra e del primo vino dopo la vendemmia, s’incontrò con l’Orbo.
I due si salutarono prendendosi per i capelli, come facevano sovente, poi si misero a confabulare con le loro voci roche e gutturali, che riempivano la stanza già ingombra di vapori, risa e odore di vernaccia. Erano due vecchi amici, avvezzi a sparlare delle perfide noverche e delle giovani sanguinarie che abitavano nel borgo.
– Allora, ti ricordi della morta? ‘ fece l’Orbo.
– Eccome, se me ne ricordo! Che gli avvoltoi vadano a divorarla nella tomba! ‘ rispose lo Zoppo.
L’Orbo era un uomo dal volto rotondo, che pareva tutto bianco, senza bocca e senz’occhi, senza naso e con due buchi al posto degli orecchi. Per l’occasione, s’era messo la sua giacca rattoppata, a scacchi bianchi e neri, sulle braghe ricoperte di ragni.
Negli ultimi tempi, il volgo aveva cominciato a mormorare che la defunta era giunta dagli inferi, per compiere le sue vendette sulla terra. E pensare, oh, e pensare che nel villaggio dalle case nere e grigie l’avevano conosciuta come una vergine pia, che faceva i miracoli e meravigliava tutti con il suo canto celestiale! Cantava nel coro della chiesa grande’
E lo Zoppo prese a raccontare all’Orbo quella storia cupa.
C’era una volta la Vergine Nera, la quale si propose di sedurre dapprima il figlio del fabbro e ci riuscì. Lo corteggiò nei pressi della fucina di suo padre, quando il vecchio genitore non c’era e riuscì a conquistarlo facendogli toccare le sue carnose gambe e succhiandogli le labbra con le sue.
Il giovane la possedette carnalmente, ma non avrebbe dovuto farlo. Poi, ella gli chiese di mostrarle come si fondevano i metalli. Voleva vedere il ferro fuso! Lui allora si avvicinò al forno maledetto e glielo mostrò.
– Accendilo per me ‘ gli disse la Vergine Nera, che aveva i capelli rossi ed era ancora intenta a rivestirsi, dopo il loro congresso carnale violento.
Lo sventurato la esaudì ed ella, quando nel forno si sprigionarono delle fiamme tanto terrificanti da divorare il mondo, gli diede una spinta e lo fece precipitare dentro.
Questa fu la fine del figlio del fabbro.
Per contro, il figlio del bottaio venne chiuso dalla perfida in una botte e morì lì dentro, dopo avere fatto testamento in suo favore ed averle lasciato tutto il suo patrimonio. E come sghignazzava, la megera, piantando i chiodi col martello per chiudere la botte! Gli aveva detto che era solo per gioco.
– Dove mi porti adesso? ‘ le aveva chiesto il figlio del bottaio, prima di morire nella botte.
– Non te lo dico! ‘ era stata la risposta di lei, soffocata da un riso scherzoso e malefico.
Nessuno mai poté scoprire il suo delitto e la Vergine Nera s’impossessò di tutti i beni dello sventurato.
Poi venne la volta del figlio del carrettiere, che aveva un fallo lungo, gigantesco e lo usò per far scoppiare di piacere la rossa del male. La sentirono strillare forte, durante un accoppiamento sessuale consumato nel gelo di una notte. Lei riuscì persino a penetrarlo, con una delle sue scarpe. Fu come se entrambi toccassero la vita e la morte. Poi, ella volle preparare per lui la zuppa!
Accese il fuoco nel camino, appese un gran calderone nero alla catena e si mise a rimestare il brodo sempre più bollente con un mestolo di legno.
– La vuoi assaggiare? ‘ chiese al suo amante, tirandogli un bacio dalle sue labbra rosse.
L’altro acconsentì e lei, quando le si avvicinò, lo mise a bollire nel calderone, badando bene di chiuderlo con il coperchio, che pesava alquanto.
Alla fine, se lo mangiò insieme alla zuppa.
Tutti gli altri amanti della Vergine Nera fecero una brutta fine, compreso l’ultimo, che cadde nella gola di una fornace, dove ad attenderlo non c’erano le fiamme, bensì più di cento vipere. Eppure, la bella soleva posare le sue belle mani sul capo dei fanciulli, per benedirli, il popolo diceva che fosse assai virtuosa e non sapesse nemmeno cosa fossero le gioie della carne, pareva la donna più religiosa e caritatevole del villaggio, tanto che i poveri e gli orfanelli le si radunavano sovente intorno!
Un brutto giorno, qualcuno la fece morire nel calderone nero.
– Oggi &egrave toccato a lei ‘ concluse lo Zoppo. ‘ Ella non meritava altro che il grigiore delle nebbie foriere del destino e il riso cupo degli affossatori senza volto.

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