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Racconti Erotici Etero

Il piacere nella sofferenza prima parte

By 2 Marzo 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

IL PIACERE NELLA SOFFERENZA

Il vento gelido di tramontana, sferzava violentemente il viale alberato, costringendo le cime degli alberi a piegarsi, e passando tra i rami dell’alta siepe di oleandri, un sinistro e sibillino fruscio infondeva nel cuore cupe sensazioni. Non era il tempo migliore per uscire di casa, ma l’appuntamento preso in precedenza, non poteva essere disdetto. Io e la mia amica Michela, percorrevamo il lungo viale, intabarrate nei nostri lunghi cappotti, sotto braccio, sorreggendoci a vicenda. Finalmente al numero 115 della’antico palazzo, il nome che cercavamo, stava lì dinanzi a noi, una rapida occhiata di complicità, e il pulsante del professor Gilardoni fù schiacciato con decisione dalla mia amica Michela. Ho un appuntamento con il professore. Prego salite, terzo piano. L’ascensore di ferro battuto, ci portò diritto al piano, sull’uscio ad attenderci una donna, alta e magra, non giovanissima, cappelli corvini tirati indietro in un toupè di antica fattura, tailleur nero con gonna sotto al ginocchio, camicetta bianca merlettata, una figura non certo solare e rassicurante. Prego entrate, ci togliemmo i cappotti, poi ci accomodammo in salotto, su splendidi velluti verde scuro, attorno alle pareti arazzi di valore, raffiguranti scene di caccia alla volpe. Mi chiedevo tra me cosa ci facessi lì, in quella casa, certo accompagnavo la mia amica, ma non sapevo nulla che genere di visita dovesse fare, e chi era questo professore. Michela, che conosco da tanto tempo, e con cui sono in ottimi rapporti, mi aveva chiesto di non fare domande, di vedere e di ascoltare senza intervenire, poi dopo, alla fine mi avrebbe detto tutto e risposto a tutte le domande. Fedele alla consegna ricevuta, mi adeguavo seppur perplessa. Davanti a noi sul tavolo un vaso con strani fiori, lunghi steli, senza foglie, di diversi colori e robusti, più che fiori sembravano scudisci per cavalli. Uno cherry offerto dalla sinistra signora mi liberò dai pensieri che mi angosciavano sempre di più. Prego signore il professore le attende nel suo studio, entrammo dentro e salutammo, ma l’uomo seduto dietro la massiccia scrivania di noce, non ci degnò di uno sguardo e neanche rispose al nostro saluto. Capelli grigi, occhiali tondi da intellettuale, in vestaglia, curvo a leggere le sue carte. Dopo qualche minuto, mentre eravamo in piedi, ci rivolse l’attenzione dicendo alla mia amica: si accomodi, indicando la sedia vicino alla scrivania di fronte a lui, mentre a me solo un cenno per farmi sedere sulla poltrona vicino al mobile libreria. Michela a schiena ritta con le mani sulle gambe non accavallate , immobile fissava l’uomo di fronte, quando questi parlò ella abbassò il capo evitando di guardarlo in faccia. Suo marito mi ha detto che lei continua ad essere molto indisciplinata, non le stira le camice, non gli prepara la colazione, esce quando vuole e si veste come le pare, in più è anche indisponente, è vero ciò? Michela: vede…, io non…, voglio.., ho capito, la interruppe bruscamente, le solite giustificazioni, ehh.., ehh…! Bisogna riportarla all’ordine e al rispetto, io sò cosa ci vuole..! Il professore prese carta e penna e scrisse qualcosa che io non potevo vedere, mentre Michela, muta e imbronciata seguiva con gli occhi, l’uomo di fronte. Un colpettino sul campanello e nella stanza apparve, la donna vestita di nero, o se volete l’assistente del professore. Prese la carta dalla scrivania, ci gettò un’occhiata, la ripose e si mise all’opera, tirò fuori da un mobile a specchio, un cofanetto di legno ben lavorato e lo poggiò sul tavolino a tre gambe. Il professore ordinò a Michela di alzarsi e mettersi nell’angolo rivolta al muro, lei ubbidì passivamente, assumendo la posizione ritta e rigida. Vidi l’assistente tirare fuori dall’involucro una siringa di vetro e di metallo, come quelle di una volta, poi due fiale, una di colore rosso e l’altra bianca, le mischiò in un unica soluzione e caricò il cilindro, infine scartucciò un grosso ago e lo montò sulla siringa. Si tolse la giacca, si rimboccò le maniche della camicetta, beffarda, prese lo strumento e si avvicinò a Michela, che finora ignara non aveva visto nulla, mise la siringa tra i denti, le alzò la gonna ai fianchi, dicendole di reggerla con le mani, le abbassò il collant color carne e la mutandina bianca, il bel culetto della mia amica, spiccava davanti a noi in quell’ambiente tetro. Sadica e perfida la donna prese la siringa con quell’ago così grosso e in un attimo la conficcò nella carne della natica destra, senza usare neppure l’alcool, al chè, Michela emise un grido di dolore straziante, ma non si mosse di un centimetro. Quando cominciò ad iniettare il liquido, vidi la mia amica torcersi e piagnucolare, il medicinale doveva essere molto doloroso, ma non si muoveva dal posto, si limitò a piegare la gamba destra, segno che le faceva molto male. Piano con cattiveria calcolata, l’assistente ci impiegò molto tempo nel scaricarle il tutto nel muscolo, facendola soffrire molto, perchè non smise di torcersi e piagnucolare dal dolore. Le tolse l’ago lentamente, dalla carne soda del culetto, quando uscì del tutto, un fiotto di sangue segnò la bianca natica, solo allora l’assistente con un fazzoletto imbevuto di alcool, disinfettò la carne, ove potei veder un bel buchetto lasciato dall’ago. Il professore si alzò e si diresse dietro il culo di Michela, il porco sotto la vestaglia non aveva i pantaloni, si chinò con gli occhiali sulla punta del naso, e osservò il culetto forato della donna, poi con una mano apri una natica e scorse i peli attorno al buchetto del culo. Apriti cielo, si infuriò, dicendole che li avrebbe dovuti togliere, ed ora doveva aspettarsi una severa punizione. Michela silenziosa cominciò a massaggiarsi la natica forata ancora dolorante, mentre il professore si sedette e scrisse ancora qualcosa su di un foglio, lo passò all’assistente e questa andò nella’altra stanza, tornò con un mazzo di quei strani fiori che avevo visto all’ingresso. Il professore le indicò quello di colore verde, con piccoli nodi, e lungo più di un metro, la donna lo impugnò, ma Michela sbirciò e lo vide, emettendo un lamento piagnucoloso e dicendo : quello no…., vi prego no…! Fu subito zittita con autorità, le fu ordinato di mettere le mani sopra la testa, mentre la sadica le avvolgeva la gonna alla vita, e il collant con la mutandina alle ginocchia. Ritta, contro il muro, con tutto il sedere scoperto, la mia povera amica si preparava a ricevere una punizione esemplare. La megera in nero, con la manica della camicetta arrotolata al braccio, si mise in posizione e subito sferrò un colpo sul sedere, dove s’era di nuovo formata la scia di sangue, dal buchetto, fatto dal voluminoso ago. Michela ricevette i primi cinque colpi senza fiatare, evidentemente leggeri, iniziò la seconda cinquina, con più fervore, infatti lasciavano il segno a forma dello scudiscio, e la donna smuoveva il culo gemendo, alla fine il professore passò a controllare, pur vedendo il sedere striato a sangue non si ritenne soddisfatto e con un cenno indicò di proseguire. Le frustate furono sferrate con più violenza, tanto da provocare dei solchi abbastanza profondi e le grida sincere di dolore da parte di Michela. Alla fine di ben venti frustate, il culo della mia amica era tutto rosso di sangue vivo, ma lei pur piangendo cercando di intenerire i sadici, non si toglieva le mani dalla testa, segno che poteva ancora resistere, ma il professore, dopo aver ispezionato il sedere martoriato, mostrò un lato umano sinora sconosciuto, infatti disse che andava bene così. Alto e austero, si allontanò dalla stanza, l’assistente ripose la frusta e Michela abbassò le mani, si alzò la mutandina che subito si tinse di rosso, rosso sangue, sopra il collant e sul tutto la gonna, senza fiatare ci mettemmo i cappotti e fummo accompagnate alla porta. Tutto chiaro, nei primi momenti non osavo chiederle niente, vedevo sul viso la sofferenza patita e ancora in atto, fù lei a dirmi con voce tremante e lamentosa, che questi sono gli unici momenti, veramente intimi, sola con se stessa per ritrovare una forza interiore così grande da poter trasformare il dolore in piacere. Il vento sempre più impetuoso ci spingeva via, lontano.., e se pur violento e implacabile, non poteva che farci del bene portandoci via dal quel posto. fiordinorma@virgilio.it

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