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Racconti Erotici Etero

IL RISVEGLIO

By 3 Gennaio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Sono le 3 dopo mezzanotte, mi giro e rigiro sotto le lenzuola, ma non c’è verso di riprendere sonno. Avrò dormito sì e no un paio d’ore stanotte, è ancora l’effetto di quanto successo poche ore fa… E’ stato tutto molto veloce negli ultimi giorni, forse troppo per le mie abitudini, ma le parole “Non è mai tardi per riprendersi la vita” che mi rimbalzano in testa, mi convincono che ho fatto bene. Che riprendersi la vita vale bene qualche ora d’insonnia. Dalla porta socchiusa filtra un raggio di luce, debole, ma sufficiente a illuminare il tuo volto tondo e circondato dai riccioli biondi che ti fanno sembrare un angelo, come la prima volta che t’ho incontrato. Già, in questo momento non posso che guardarti come a un angelo col tuo nome, Gabriele, che calza a pennello.

Strani sono i pensieri che m’impediscono di dormire: esiste un destino scritto per ciascuno di noi? Oppure ciò che ci accade è frutto del caso o forse del caos? Oppure, come dice qualcun’altro, il caso è solo un pretesto che noi, consciamente o inconsciamente, ci creiamo per modificare la nostra vita? Sorrido tra me al pensiero che sto filosofeggiando, mentre siamo nudi, tu e io, sotto le lenzuola del mio letto, solo che tu dormi beato e tranquillo come un bambino. O, meglio, come un angelo.

Mentre, girata su un fianco, ti fisso ancora una volta, mi perdo a ricordare a quando, sei mesi fa, è cominciata questa storia. Sei mesi? No, troppo poco, è più onesto dire invece che la ragione per cui mi trovo qui adesso, la devo cercare quindici anni fa. A quel tempo venticinque anni, laureata da pochi mesi, con un piccolo lavoro da impiegata e tanti bei progetti nella testa, ero fidanzata da poco tempo con Carlo. Lui, dieci anni più di me, aveva già un ottimo lavoro in uno studio d’architettura, che però era troppo stretto per le sue ambizioni. Voleva mettersi in proprio, creare progetti innovativi, collaborare con architetti stranieri. E propio questa sua concreta determinazione mi aveva a tal punto conquistata da farmi decidere che era lui l’uomo della sua vita. Così, quando, esattamente quindici anni fa, mi chiese di sposarlo, non ebbi dubbi a dirgli di sì.

All’inizio fu molto dura perchè il mio stipendio non era granchè e Carlo, pochi mesi dopo il matrimonio, decise di licenziarsi per investire tutta la liquidazione nel suo studio. Ovviamente il lavoro non era molto, poichè faceva molta fatica a trovare clienti che dessero fiducia ad un giovane architetto. Ed era pure troppo orgoglioso per chiedere aiuto economico ai nostri genitori. A pensarci ora, con gli occhi bene aperti nel buio della mia camera, forse Carlo mi sposò non tanto perchè mi amava, ma perchè aveva bisogno di una moglie discreta accanto che lo sostenesse moralmente nella sua impresa. E proprio questo fu il mio ruolo nella coppia, quello della moglie fedele, discreta e ferma sostenitrice del marito ambizioso. Anche a costo di sacrificare i miei obiettivi professionali, che erano entrare in un’agenzia di marketing, fare esperienze lavorative all’estero, collaborare con aziende importanti, ma per me non era un problema perchè allora pensavo che l’amore sopra tutto dovesse guidare le mie scelte. Eppoi Carlo era veramente in gamba perchè dopo l’inizio difficile, la sua carriera prese rapidamente il volo, tanto che dovette prima assumere prima uno, dopo due e quindi tre dipendenti e contemporaneamente affittare uno studio più grande per fare spazio a nuove scrivanie, sedie e computer. Ben presto i soldi non divennero più un problema, tanto che all’età di trentadue anni, mio marito mi disse se non era il caso per me di lasciare il lavoro. Io rimasi a lungo dubbiosa, non per il lavoro in sè, che non era granchè, ma perchè mi consentiva comunque di non sentirmi del tutto dipendente da mio marito. Ma alla fine acconsentii, soprattutto per un’altra ragione: avevamo deciso che finalmente era ora di avere un bambino e stare tranquilla a casa avrebbe certamente aiutato il nostro proposito.

Ci demmo da fare con entusiasmo e la nostra intesa sessuale non fu mai così intensa e perfetta come in quel periodo. Leggevo avidamente tutti i giornali e i libri che davano suggerimenti sull’argomento e chiedevo consigli alle amiche con figli. Arrivai persino a proibire a Carlo d’indossare calzoni troppo stretti, perchè avevo letto da qualche parte che impedivano la moltiplicazione degli spermatozoi! Da parte sua, lui si faceva trovare sempre “pronto” in qualsiasi ora e situazione, persino quando era rintronato dal jet-lag dopo un viaggio intercontinentale, non rinunciava a prendermi con energia. Ciononostante non rimasi incinta. Preoccupati facemmo le analisi, dalle quali fortunatamente nessuno dei due risultava sterile. Ciò però non fece altro che aumentare la nostra ansia e rendere ancora più difficile il mio ingravidamento, tanto che arrivammo a considerare l’ipotesi della fecondazione artificiale. Due mie amiche che l’avevano usata, mi avevano già raccontato delle lunghe cure ormonali e delle sofferenze che si provano, per non parlare delle frustrazioni quando, come spesso succede, l’inseminazione non va a buon fine. Così presto decisi che non faceva al caso mio e che, se doveva succedere, doveva succedere naturalmente.

Ci provammo ancora e ancora, ma qualcosa si era ormai spezzato: va bene aver rinunciato alla mia vita per sostenere Carlo, ma non essere neppure capace di fare un bambino mi faceva sentire frustrata e incapace. A volte mi ritrovavo improvvisamente a piangere nel bel mezzo di una festa mondana oppure mentre guidavo l’auto nel traffico. Altre volte me ne stavo delle ore immobile stesa sul letto a guardare il soffitto e quando Carlo rientrava dal lavoro lo inondavo di lunghi discorsi densi della mia depressione oppure gli saltavo addosso per fare l’amore, ma lo facevamo in modo cupo, più per dimenticare per qualche minuto i nostri problemi che per ritrovare la serenità perduta. Amici e parenti ce la mettevano tutta per consolarmi, ma tutti i loro discorsi (“Agitarti non ti aiuterà a rimanere incinta” “Ci sono altre cose importanti nella vita. oltre ai figli” “Trovati qualcos’altro da fare così non ci pensi” ecc..) mi sembravano solo delle belle frasi fatte. Anche Carlo ci provava ad aiutarmi, ma sono certa che non capiva fino in fondo il mio dolore eppoi il suo lavoro lo teneva sempre più distante, in tutti i sensi, da me. Ora che ho gli occhi bene aperti nel buio della mia camera capisco che forse fu un bene non avere allora un bambino, perchè, alla luce di quanto successe dopo, non meritavamo di diventare genitori. Oppure inconsciamente nessuno dei due voleva veramente un bambino: io perchè forse già sentivo che il nostro rapporto stava peggiorando e lui perchè forse non riteneva un figlio “compatibile” con i suoi numerosi impegni.

Pian piano smisi di pensare alla mancata gravidanza e cominciai ad uscire di casa facendo un’intensa vita sociale: shopping, feste mondane, beneficenza. Non mi mancavano neanche gli hobby come i concerti di musica jazz, la piscina, la palestra. Tutti erano convinti che fossi anche uscita dal tunnel, ma in cuor mio sapevo che questa nuova frenesia serviva soltanto a mascherare la mia insoddisfazione e delusione per un matrimonio e una vita che non sentivo più miei. Insoddisfazione e delusione che sfogavo in discussioni sempre più amare e rancorose con Carlo. E proprio durante una di queste discussioni, giusto sei mesi fa, chiesi in modo perentorio a mio marito di farmi lavorare nel suo studio. Si prese un giorno per pensarci, ma alla fine acconsentì. Mi rendevo perfettamente conto che una laurea in economia non serviva molto in uno studio d’architetti e che per i collaboratori di Carlo sarei sempre stata la “moglie del padrone”, ma vendo da poco compiuto quarant’anni, decisi che quella era l’ultima possibilità di dare una svolta positiva alla mia vita.

Arrivò finalmente il primo giorno di lavoro e quando Carlo mi presentò i suoi collaboratori, già capii che aria tirava: al di là delle classiche frasi di benvenuto e dei sorrisi di circostanza sentii chiaramente una sorda ostilità nei miei confronti. L’unico che mi colpì positivamente fosti proprio tu, Gabriele: il tuo sorriso, aperto e leggermente beffardo, mi suscitarono subito simpatia, come pure il tuo modo di fare, cortese ma non remissivo. Eppoi quei riccioli biondi a incorniciare il bel volto rotondo mi fecero pensare subito ad un angelo circondato da un leggero alone di luce. E proprio questo fosti tu per me nelle settimane successive: una luce in quella specie di nido di serpenti. Non sapendo niente di architettura, mio marito mi diede dei generici compiti di “segreteria”. Ma quanto impegno ci misi, però! E quanta rabbia quanto invece sentivo la sufficienza e la superbia dei serpenti! Davanti a me ostentavano il loro liguaggio astruso da iniziati e quando chiedevo spiegazioni, la risposta era un “Eh, questo è difficile da spiegare per chi è profano del mestiere” oppure “Beh, cercalo su Internet” oppure “Scusa, ma adesso non posso che sono pieno di lavoro”. Oppure quando due persone conversavano e io cercavo d’introfularmi nel discorso, la reazione era immancabilmente mutismo e sguardi bassi. Che gioia invece sapere che con te almeno ogni tanto potevo avere una conversazione normale e farmi una bella risata senza il peso di sentirmi un’intrusa. E Carlo? Beh, era come se non ci fosse, con il suo ostentato ignorarmi era come se mi dicesse “Beh, hai voluto il lavoro, adesso arrangiati”.

Come potrei dimenticare quella volta che, durante una pausa caffè, scherzammo a lungo sul fatto che tu eri single? Alla fine io ti dissi qualcosa del tipo “Dai, che sei un bel ragazzo, vedrai che la trovi la fidanzata” e la tua risposta fu “A dir la verità, se tu non fossi sposata ti avrei invitata già da un bel pezzo a uscire con me.” Neanche oggi sono in grado di dire se le tue parole mi raggelarono o mi scaldarono o entrambe nello stesso tempo. E soprattutto con quale rapidità e nonchalance le avevi prununciate, come se le avessi già in serbo da tempo e non aspettassi altro che l’occasione giusta per farle uscire di bocca. Tu avevi venticinque anni, da poco laureato, stavi facendo il periodo di praticantato nello studio e tanti bei progetti in testa: come potevo veramente interessarti io, noiosa e insoddisfatta quarantenne, per di più sposata con il tuo capo? Allora risolsi la cosa come una battuta innocente, anche se un po’ esagerata, da parte di un simpatico collega. Ma da quel momento cominciai a osservarti con occhi più profondi di prima.

Mentre gli altri collaboratori erano con mio marito tutti un “Oh ARCHITETTO, lei ha proprio ragione” “Che idea originale che ha avuto, ARCHITETTO”, tu invece, pur sapendo stare al tuo posto, non rinunciavi a dire onestamente la tua opinione anche se era contraria a quella del grande capo. Quando ero in difficoltà avevi sempre il tempo di aiutarmi oppure di darmi qualche parola d’incoraggiamento. Pian piano capii che tutte quelle volte che venivi da me per scambiare quattro chiacchiere, avresti voluto andare oltre, chiedermi di vederci da soli fuori dall’ufficio o chissà che altro. Più che alle mie parole eri interessato a come reagivo alle tue delicate provocazioni. E anche quando eravamo in compagnia di altri, non mi staccavi mai gli occhi di dosso. Non feci in tempo a domandarmi a come reagire alle tue attenzioni, che successe qualcosa da far passare in secondo piano tutto, il lavoro, i colleghi, tu. Ancora adesso stringo forte gli occhi per trattenere dentro di me il dolore quando ripenso a quella sera di tre mesi fa. Dopo cena Carlo era rimasto seduto a tavola e questo era contrario alle sue abitudini di televisionario serale incallito. E in più il suo sguardo basso e serio non presagiva nulla di buono. Infatti, mi disse che ci aveva pensato molto, ma visti i nostri difficili rapporti, resi peggiori dalla mia pretesa di lavorare nella sua azienda, era meglio per entrambi prenderci la classica “pausa di riflessione”. In cuor mio m’aspettavo prima o poi qualcosa del genere e mille volte avevo pensato alla reazione più giusta e dignitosa. E feci esattamente il contrario. Piansi e con veemenza gli rovesciai addosso tutta la rabbia accumulata negli ultimi anni. Gli dissi che non era giusto, che dopo avermi usata mi aveva allontanata, che non ero più da tempo la sua donna ma solo un ornamento della sua vita e tante altre cose che non ricordo. Ma quello che mi faceva più rabbia era il suo atteggiamento: Carlo non è un uomo di slanci passionali, bensì di calma determinazione. Perciò se aveva deciso così, niente e nessuno l’avrebbe fatto tornare indietro. Difatti dovetti rassegnarmi alla separazione.

Fu per me di nuovo un periodo buio. Intendiamoci, Carlo si comportò impeccabilmente con me: acconsentì senza problemi alle richieste economiche del mio avvocato e mi trovò un bell’appartamento in centro arredato senza badare a spese. Solo che quella casa era una prigione dorata. Neppure gli impegni mondani risollevavano il mio animo svuotato e abulico, anzi frequentare lo stesso giro di amicizie di quand’ero sposata mi dava la nausea. Finchè, un bel giorno, mentre ero intenta nel mio solito shopping compulsivo non mi hai chiamata tu, mio dolce Gabriele: mi dicesti che avevi saputo della separazione, che ti dispiaceva per me e che potevo contare sul tuo aiuto. Io ti ringraziai sinceramente, ma archiviai la conversazione convinta che non mi avrebbe fatto bene in ogni caso rivedere qualcuno dello studio di Carlo. Una settimana dopo mi richiamasti e questa volta insistesti lungamente per vedermi di persona perchè avevi saputo da amici comuni che stavo veramente male. Avevi ragione, mentre ero stata praticamente costretta a far scivolare via la mia patetica vita matrimoniale, non riuscivo ancora a crearmi una vita nuova, tutta mia; ero bloccata, inibita, come se fare un passo in qualsiasi direzione mi avesse fatto fare un salto nel vuoto. Accettai il tuo invito più che altro perchè ero morbosamente curiosa di sapere come aveva preso Carlo la separazione, perchè ormai il mio ex marito mi voleva parlare solo tramite il suo avvocato.

Ci siamo incontrati bar del centro per prendere l’aperitivo. Mi hai chiesto come stavo e mi hai detto che mi trovavi meglio di quanto non mi avessero descritto gli amici comuni. Dietro le mie insistenze sei stato molto delicato nell’informarmi che avevi saputo che Carlo stava con un’altra, una ragazza carina, trentenne e in carriera, ma anche che sapevi per certo che non vivevano assieme. Invece di conficcarsi sotto la pelle, la notizia mi è scivolata addosso neutra e, con mia grande sorpresa, ho improvvisamente capito che non me ne fregava più niente della vita privata del mio ex marito e che forse qualcosa stava cambiando in me. Da allora ci siamo incontrati altre volte nello stesso bar e, avendo io cominciato a depurarmi dalle tossine della mia vecchia vita, potevamo parlare e ridere liberamente di tutto e di tutti. Così ho scoperto molte cose nuove di te: che non eri proprio sicuro di diventare architetto, che non avevi mai trovato una ragazza che ti piacesse veramente, che condividevamo l’amore per il cinema e per la cucina giapponese.

E devo ammettere che sei stato bravo ad approfittare di un mio momento di particolare buonumore per dirmi che ti sarebbe piaciuto passare una serata con me, del tipo cinema seguita da scorpacciata di sushi. Ora che ti fisso mentre dormi nel buio della mia camera, capisco che avrei dovuto aspettarmelo e forse inconsciamente volevo che accadesse, ma la verità è in quel momento mi hai colpita per l’ennesima volta e io sono arrossita come un’adolescente al primo invito. E sul tuo sorriso aperto, ma con una piega della bocca leggermente beffarda vedevo riflessi i miei patetici biascicamenti sul fatto che per me era troppo presto, che non era il caso vista la recente separazione, ecc. ecc… Lì per lì hai lasciato cadere la cosa, forse perchè pensavi che mi ci voleva più tempo. O forse perchè intendevi cuocermi a fuoco lento fino a farmi crollare ai tuoi piedi.

Nei giorni successivi non ho fatto altro che pensare sempre più a te, a quella strana e divertente atmosfera dei nostri incontri. Poi è arrivata domenica, già domenica scorsa quando ci siamo incontrati per caso al bar del cinema multisala. Dire per caso forse non è del tutto vero, perchè entrambi amiamo il cinema ed era forse inevitabile che prima o poi ci saremmo incontrati proprio lì. Ma che sorpresa quando ti ho visto entrare! E che tuffo al cuore quando ti sei accorto di me, mi hai sorriso e ti sei diretto al mio tavolo! E che sconvolgimento quando, dopo le prime frasi di circostanza, col tuo solito modo scanzonato mi hai bombardata con le tue richieste di frequentarci in modo diverso, perchè che ti piacevo un sacco ed era un segno del destino se avevamo così tanto in comune. Io ho cercato di respingere i tuoi attacchi con tutte le mie migliori forze, ma dalla bocca mi uscivano solo mezze frasi e tante parole di circostanza. O forse è stato il mio modo di metterti alla prova, per vedere fino a dove arrivava la tua determinazione. Fatto stà che a un certo punto, disorientata più che mai, mi sono alzata e, tentando un’ultima disperata difesa ti ho detto che forse per te era meglio se ti fossi cercato una ragazza della tua età. Con calma ti sei avvicinato al mio orecchio, come mai era successo fino ad allora, e mi hai sussurrato a voce bassa “Io non voglio na mia coetanea, nè nessun’altra donna: io voglio te”. Anche ripensandoci adesso provo lo stesso brivido che ho provato in quell’istante: mi sono sentita tramortita come un pugile colpito da un diretto. E tu, come se non bastasse, ti sei avvicinato all’altro orecchio e mi hai sferrato il colpo definitivo sussurrandomi “Ricordati che non è mai troppo tardi per riprendersi la vita”, le stesse parole che da mezz’ora mi rimbalzano tra le pareti del cervello. Mi hai salutata con un bacio sulla guancia e con un “A presto e fatti sentire” che lasciava intendere che per te non era finita lì. Sono rimasta come un allocco, lì in mezzo al bar con lo stomaco in subbuglio e il respiro sospeso e la verità è che, se ci fossimo trovati soli in qualche angolo appartato, mi sarei lasciata volentieri stringere e baciare da te e chissà cos’altro.

Nella sala del cinema, il mio sguardo era perso nel vuoto senza capire nulla delle immagini che si rincorrevano frenetiche sullo schermo. Anche dopo a casa, non io, ma una specie di pilota automatico compiva le mie solite azioni serali (svestirmi, struccarmi, farmi la doccia, preparare la cena), io ero concentrata esclusivamente sulle tue parole e sulle sensazioni che provavo quando stavo vicina a te. E più tardi, nella solitudine del mio letto, l’immagine del tuo corpo nudo e forte spingeva la mia mano ad accarezzarmi prima delicata sul ventre, poi più decisa sulle coscie e infine frenetica sul sesso, caldo e umido, fino a farmi esplodere il piacere, mentre con l’altra mano mi palpavo i seni come l’avresti fatto tu. Il respiro affannoso lentamente mi abbandonava a un sonno riposato e profondo.

Al risveglio ero fresca, leggera. E soprattutto decisa a riprendermi in mano la vita. Avrei voluto chiamarti immediatamente per sentire la tua voce e farti sentire la mia urgenza di vederti subito, ma poi ho pensato che era più eccitante giocare qualche giorno con la tua attesa, così ho trattenuto a fatica la mia nuova esuberanza e ho aspettato fino a mercoledì scorso. Ti ho telefonato quando sapevo che eri in pausa pranzo, per non crearti imbarazzo con i tuoi colleghi e il tuo capo. In mezzo a tante stupidaggini ti ho accennato in modo finto casuale che nel pomeriggio sarei passata in centro città per curiosare in un negozio d’abbigliamento aperto da poco tempo, che, guarda caso, si trova vicino al tuo ufficio. Come desideravo, hai colto subito la palla al balzo per invitarmi al nostro solito aperitivo e ho sperato di non aver detto un sì troppo frettoloso. Dire che mi sentivo come un’adolescente al primo appuntamento sembrerà banale, ma era esattamente il mio stato d’animo in quel pomeriggio fino a quando non ci siamo trovati, una di fronte all’altro, accanto al bancone del nostro bar preferito. A stento mi sono trattenuta dal saltarti al collo e dirti subito di sì, quando hai insistito con la tua proposta: perdonami caro, ma l’apparente distacco della mia risposta “Ne sei proprio sicuro? Guarda che poi non ti potrai tirare indietro!” era solo per assaporare meglio la tua sorpresa al mio indiretto sì. Sorpresa che si è poi trasformata in stupore quando, di fronte alla tua idea di provare quel nuovo ristorante giapponese, ti ho risposto con finta indifferenza “Guarda che io cucino bene: perchè non facciamo a casa mia?”. A essere sincera, in quel momento avrei voluto trascinarti subito da me per mettere in pratica tutte le fantasie che mi avevano allietato quegli ultimi giorni, ma avevo anche deciso che il mio ritorno alla vita meritava una preparazione adeguata. Così, mi sono inventata dei fantomatici impegni inderogabili per i giorni successivi e ci siamo dati appuntamento per le otto di venerdì sera. Stavolta, mio caro, sono stata io a sorprenderti e ancora adesso mi stupisco della mia sfrontatezza. Ti ho salutato ancora attonito lì dentro il bar e mi sono affrettata al mio negozio di intimo preferito prima che chiudesse.

Appena entrata ho chiesto alla commessa di tirarmi fuori qualcosa di carino per una serata speciale, ma a giudicare dai capi che mi mostrava, più adatti a un funerale, lei, giovane e fresca ventenne, evidentemente non mi aveva preso abbastanza sul serio. Così, dopo averle ribadito, guardandola dritta negli occhi, che si trattava di una serata VERAMENTE speciale, finalmente si è decisa a mostrarmi mutandine, reggiseni e calze degni di questo nome. Dopo aver visto una quarantina di capi e non sapendo decidermi tra un completino nero con perizoma, reggiseno, autoreggenti, uno rosso con mutandine, reggiseno, reggicalze, calze e uno bianco con body, guepiere e calze, alla fine mi sono presa tutti e tre per decidere poi all’ultimo momento che cosa indossare. Il giorno dopo sono uscita presto perchè avevo un sacco di cose da fare prima di venerdì sera: prima sono andata in profumeria per rinfrescare il mio vecchio make-up, poi mi sono comprata un paio di vestiti nuovi e infine una puntata in pescheria per la cena. Il pomeriggio l’ho passato su Internet per scovare qualche ricetta originale e la sera sono andata a dormire eccitata e felice per quello che mi aspettava. Forse troppo per il mio corpo non più abituato a queste emozioni, in pratica la scorsa notte avrò dormito sì e no un paio d’ore. Così ieri mattina mi sono servite una ventina di vasche filate in piscina per calmare i miei sensi: una fatica, ma in compenso sono riuscita a riprendere un po’ il controllo dei miei nervi che rischiavano veramente di scoppiare. E finalmente è arrivato il pomeriggio.

E’ stato un pomeriggio di preparativi lenti e pensati con cura. Farmi un bagno caldo con olii profumati per ammorbidire la pelle è stata la parte più facile. Il difficile è stato scegliere come vestirmi: dopo mille ripensamenti ho prima deciso per il completino intimo nero, classico e sempre efficace. E dopo infiniti prova e riprova ho scelto un vestito con le spalline, ma non troppo sottili, con la scollatura, ma non troppo ampia e che mostrasse le gambe, ma non troppo. Insomma, qualcosa di attraente, ma non troppo volgare. Così come per il trucco ho evitato toni pesanti e colori accesi, ad eccezione del rossetto: volevo assolutamente mettermi quello nuovo comprato il giorno prima, un bel rosso marcato e sensuale, ma non eccessivo, da puttana, insomma. Quando è arrivato il turno della cena ho cucinato qualcosa a base di pesce, stuzzicante, gustoso e soprattutto leggero per non compromettere il dopo-cena. L’ultimo tocco: la musica di “A love supreme” di John Coltrane, l’ideale per creare quell’atmosfera cool e intima per farci avvolgere lentamente dai sensi.

Quei cinque minuti passati tra le otto e il suono del campanello sono stati i più lunghi della mia vita: ho pensato di tutto, che ci avevi ripensato, che avevi avuto un incidente, che ti avevano trattenuto in ufficio, che non ti piacevo più…ma quando ho aperto la porta, il tuo sorriso ha cancellato tutti i miei cattivi pensieri. E quando ho avvicinato le mie labbra alla tua guancia per ringraziarti del bel mazzo di fiori, la tua mano appoggiata con delicatezza sul mio fianco mi ha dato un piccolo brivido. Dopo qualche sciocco convenevolo, ci siamo messi a tavola, ma più che riempire lo stomaco, abbiamo nutrito i nostri sensi. Io ti fissavo i riccioli biondi che cadevano sulla fronte, sulle tempie, sul collo e poi vagavo sulle tue spalle e sulle tue mani, grandi e decise, che già pregustavo sul mio corpo. Tu, invece, non staccavi gli occhi dalla mia bocca e dalla scollatura: devo ammettere che non ho un seno molto grande, ma per il resto madre-natura mi ha donato un bel fisico longilineo, che ho ben mantenuto in tanti anni di palestra e piscina. Eppoi ieri sera mi sentivo veramente bella e sensuale. Le nostre ginocchia si sfioravano casualmente sotto il tavolo e, come per un tacito accordo, tenevamo il contatto per qualche secondo, per poi staccarci e riprendere il gioco qualche minuto dopo. La musica in sottofondo ci avvolgeva e ci faceva sentire sempre più rapiti l’uno dell’altra. Finita la cena, ancora un paio di bicchieri di vino bianco frizzante e il tuo sorriso ammiccante mi ha convinta che era ora di cambiare marcia alla serata. Mi sono diretta verso lo stereo e stavolta ho messo un boogie orchestrale, dal ritmo caldo e incalzante.

Non ti ci è voluto molto per capire. Mentre sentivo i tuoi passi verso di me, ti sono rimasta volutamente di spalle. E con il fiato sospeso. Con le mani mi hai stretto i fianchi e mi hai sussurrato all’orecchio “Ti ho già detto quanto sei bella stasera?”. Ho chiuso gli occhi per godermi la scossa che il tuo caldo alito ha trasmesso a tutto il corpo. Mi hai stretta più forte a te e baciata dietro all’orecchio e sempre più giù sul collo e sulle spalle. Mi hai girata di fronte a te e mi hai baciata all’inizio quasi timidamente, ma poi mi sono lasciata invadere dalla tua lingua impaziente e ho risposto al tuo bacio nel modo più sensuale possibile. Non saprei dire quanto siamo rimasti lì, le tue mani strette intorno alla mia vita e le mie braccia attorno al tuo collo, il tuo corpo che premeva deciso sul mio e il mio sangue che si riscaldava al ritmo forsennato del boogie. A volte mi succhiavi il labbro per poi rituffarti dentro la mia bocca e io cercavo di stringermi sempre più a te per trasmetterti tutta la mia passione. Improvvisamente ti sei fermato, mi hai portata nel centro della stanza e hai accennato a qualche passo di ballo. Onestamente devo dire che non sei un gran ballerino, ma la situazione mi divertiva, in particolare i passi che dovevamo stare stretti perchè sentivo la tua eccitazione sul mio ventre. E mi piaceva da matti sapere di esserne la causa.

Danzando, pian piano mi hai spinta verso il muro come a farmi capire che ero in trappola e, dopo avermi baciata con ancora più passione di prima, mi hai detto all’orecchio “Andiamo in camera da letto”. Non aspettavo altro: ti ho preso per mano e accompagnato ai piedi del mio grande letto matrimoniale che finora aveva tristemente ospitato un solo inquilino. Senza smettere un attimo di baciarmi e farmi sentire le tue mani addosso, mi hai sfilato il vestito e sei rimasto a bocca aperta a guardarmi dicendo che stavo così bene col mio intimo sexy che era un peccato togliermelo. Ti ho sorriso e in modo malizioso mi sono slacciata il reggiseno e l’ho buttato ai tuoi piedi. Allora tu ti sei liberato velocemente di scarpe, pantaloni e camicia, ti sei buttato su di me spingendomi sul letto e i nostri corpi sono diventati un unico groviglio di baci, carezze e sospiri. Appena mi hai tolto il perizoma nero che per la verità lasciava ben poco spazio alla fantasia, io ti ho subito imitato liberando il tuo pene già bello eretto dai boxer aderenti. E anche se da quindici anni la mia esperienza di uomini si era limitata a mio marito, devo dire che hai proprio un bell’arnese, dritto e grosso, con la cappella un po’ stretta. Mi sono buttata sul tuo corpo e mi sono goduta i tuoi sospiri di piacere mentre ti baciavo con foga il collo, le spalle, il petto. E il mio ventre strisciava oscenamente contro il tuo uccello già durissimo. Le mie labbra sono scese giù sull’addome, le anche e le coscie: ormai ero tua, ma sapevi che dopo tanti mesi d’astinenza avevo bisogno di prendere confidenza un po’ alla volta con certe cose e mi hai lasciata fare. Con la punta delle dita ti ho sfiorato l’uccello, l’ho impugnato alla base, lentamente ho tirato giù la pelle più che potevo e l’ho leccato lungo tutta la sua lunghezza, a occhi chiusi. Sì, a occhi chiusi perche avevo paura che il riflesso della mia lussuria sul tuo sguardo mi avrebbe fermata. Un calore fortissimo mi ha infiammato le guancie, ho allargato le fauci la bocca, l’ho ingoiato fino in fondo alla gola, ho stretto le labbra e l’ho fatto scorrere sù e giù, riscoprendo la sensazione sconvolgente di sentire un cazzo duro che si fa largo in bocca alla ricerca del piacere. A dir la verità, al’inizio mi sentivo un po’ goffa e non ti sarà sembrato un granchè, ma quando ho preso la giusta confidenza mi sono scatenata rispolverando la mia migliore arte di sesso orale. Volevo farti dimenticare tutte quelle ragazze con cui eri stato prima di me, dimostrarti che anch’io, noiosa quarantenne borghese conformista, ero capace di darti piacere. E cavoli se ci sono riuscita: improvvisamente mi hai presa per i capelli e mi hai detto “Ehi, fermati chè se continui così mi fai venire!”. Con un sorriso mi sono goduta la mia soddisfazione e tu ne hai approffittato per prendermi le spalle e rovesciarmi supina sul letto; con la mano mi hai aperto le coscie, sei scivolato in mezzo alle mie gambe, hai indugiato con un dito tra le mie grandi labbra e poi te lo sei succhiato con gusto, un modo plateale per farmi notare quanto ero già eccitata. Di nuovo eccitazione e imbarazzo mi hanno infiammato le guancie e ho piegato la testa indietro per godermi la tua lingua che si faceva largo tra le pieghe della mia vagina: prima me l’hai fatta sentire tra le labbra e quando poi ti sei diretto sul clitoride, una scarica elettrica ha scosso tutto il mio corpo. Devo ammettere che ci sapevi fare: un po’ lo succhiavi con le tue labbra come un piccolo cazzo, un po’ lo solleticavi con piccoli colpi di lingua, a volte mi infilavi per pochi secondi un dito nel buchino per farmi pregustare quello che sarebbe accaduto fra poco. E io, senza rendermene, conto ansimavo, ansimavo, ansimavo e stringevo forte i tuoi ricci come per impedire di toglierti da lì. Ho chiuso gli occhi per lasciare la marea del piacere invadere millimetro dopo millimetro tutto il corpo: sentivo le ondate sbattere sul ventre, ritirarsi e tornare sempre più alte. Finchè l’orgasmo non mi ha tutta sconquassata come mai mi era successo in passato. In confronto, tutte i ditalini che mi ero fatta su di te nei giorni precedenti erano scherzetti innocenti.

Ti volevo dentro di me, subito, così ti sarà sembrata strana la mia sorpresa quando ti sei messo in piedi sul pavimento e con apparente calma hai tolto un preservativo dalla tasca dei tuoi calzoni. Ecco, non ci avevo pensato minimamente, ma tu, più abituato di me a incontri occasionali ti eri portato le precauzioni. E il pensiero di essere un incontro occasionale ha aumentato la mia eccitazione tanto che ho aperto oscenamente le cosce come per dimostrarti la mia impazienza, mentre srotolavi il preservativo sul tuo bel cazzo eretto. Ti sei gettato su di me e me lo hai infilato subito con una sola spinta. Avevi ragione: basta preamboli, basta seduzione, basta preliminari, era per quello che ti volevo lì e tu me lo stavi dando senza risparmio. Sentire un bel cazzo duro dentro che spinge con forza non vale il miglior ditalino al mondo, perciò non ho fatto caso al piccolo dolore provato ai primi affondi dati con foga, quasi con violenza. Pian piano hai però trovato il giusto ritmo: il tuo ariete si faceva strada dentro di me con colpi regolari, profondi, dati con vigore. Ero completamente in tua balìa, ho stretto le gambe attorno alla tua schiena e improvvisamente ti sei fermato: di fronte al mio sguardo interrrogativo, col tuo solito sorriso sardonico mi hai detto “Qualcosa che non va?”. “Perchè ti sei fermato?”. “Lo vuoi ancora?”.”Certo, che lo voglio, che domande!”.”Allora, dimmelo, voglio sentirlo dalla tua bocca”. Ancora adesso arrossisco ripensando alle mie parole, ma in quel momento la mia esuberanza aveva rotto tutti i miei limiti :”Dai prendimi cha aspetti. Uffa, mettimi il cazzo dentro, subito, lo voglioooo!”. E mi hai di nuovo infilzata, senza pietà. Mi sono goduta le tue spinte per un tempo che mi è sembrato infinito finchè non hai deciso che era ora di cambiare: ti sei steso supino, mi hai presa ai fianchi e tirata verso di te. E io ho ubbidito impalandomi lentamente, sì volevo assaporare il tuo uccello duro che si faceva largo in me. Appena ho iniziato a muovermi, con una mano ti sei impossessato del mio seno e con l’altra del clitoride: io non volevo perchè me lo sentivo ancora infiammato dall’orgasmo, ma a nulla sono servite le mie parole e la tua insistenza ha avuto ancora una volta la meglio. Solo ora mi rendo conto di quanto forte ansimavo mentre mi sottoponevi a quel trattamento, finchè non sono venuta di nuovo, a pieni polmoni; é stato un orgasmo più rapido e improvviso del primo, che mi ha lasciata con la sensazione di non essere mai stata scopata così bene. Ma non era ancora finita.

Mi hai rovesciata su un fianco e hai ricominciato a spingermelo dentro con foga, quasi con rabbia: ho capito che avevi voglia di venire e ho contratto i muscoli della vagina per rendertelo più facile. E difatti non c’è voluto molto prima che esplodessi il tuo godimento lasciandomi esausta e soddisfatta, con il solo cruccio di non essermi sentita inondata dal tuo seme. Ho sentito il tuoi calore mentre, ancora dentro di me, mi stringevi forte tra le tue braccia e mi sussurravi che era da tanto che mi volevi, ma che non avresti mai immaginato che sarebbe stato così bello. E io ho sorriso e mi sono goduta in silenzio i tuoi complimenti: sì devo ammettere di essere stata brava per una reduce da alcuni mesi d’astinenza e diversi anni di freddezza da parte del proprio uomo. Con espressione ancora stravolta ti sei alzato e, mentre ti osservavo uscire dalla camera per andare in bagno, mi sono guardata al grande specchio di fronte al letto e ho visto un altra donna: sì, ero sempre io, ma faticavo a riconoscere la persona con il volto segnato dalle lacrime e dalla disperazione di qualche giorno fa. Ora avevo davanti un volto disteso, rilassato, rinato. E il merito era tutto tuo che mi hai fatta sentire corteggiata, desiderata, tua: in una parola mi hai fatta sentire di nuovo DONNA.

Sei tornato sul letto e mi sono accucciata sul tuo petto. Mentre mi carezzavi i capelli, io ti sfioravo delicatamente il ventre. Avrei voluto toccarti l’uccello, che ora se ne stava rifugiato timido in mezzo ai peli del pube, ma tutta la mia esuberanza di poco fa se n’era andata ed ero tornata preda delle mie vecchie inibizioni. Saremo rimasti fermi lì per un’ora a coccolarci, mormorando di tanto in tanto delle frasi lasciate a metà, ma d’altra parte in quella situazione non servivano tanti discorsi. E tutte le parole che conoscevo non bastavano a esprimere i pensieri che mi ronzavano in testa.

Avevo bisogno di andare al bagno per rinfrescarmi un po’. Ma non ho fatto neppure in tempo a uscire dal letto che la tua mano rapace si è infilata in mezzo alle mie cosce e mi ha costretta a stendermi su un fianco. Le tue dita frettolose hanno cercato il clitoride per solleticarlo e in pochi secondi già non capivo più niente. Con voce decisa mi hai detto: “Dove credi di andare, eh?”. Ho deglutito pesantemente prima di risponderti: “Veramente, volevo, volevo…andare in…bagno…”. “Ci vai dopo, ora io ti voglio”. Le mie mani affannose sono andate alla ricerca del tuo cazzo che con mia sorpresa era tornato duro e vigoroso come prima: avevo sottovalutato la tua esuberanza giovanile! Sono bastati in pochi istanti lì, ognuno con le mani sul sesso dell’altro, per infiammarmi e sentire il ventre sciogliere caldi umori. Hai insinuato le dita più a fondo per raccogliere il mio miele e me le hai fatte succhiare. Con il viso stravolto, ti sei girato verso i tuoi calzoni, hai preso un preservativo, hai strappato la bustina e ti ho detto: “Lascia fare a me stavolta”: tu l’hai appoggiato sulla cappella violacea dall’eccitazione e io l’ho srotolato lungo la tua bella asta dura e grossa. Ti sei messo tra le mie gambe, lo hai strofinato sul clitoride, ma per poco perchè avevi fretta di prendermi: me l’hai infilato in un sol colpo e mi hai scopato con più energia di prima. E mi piaceva da matti la tua foga, la tua fretta di venire dentro me subito, come se stessi rispondendo a un istinto primordiale. Mi piaceva da matti essere l’oggetto del tuo desiderio e… del tuo cazzo. Ho inarcato la schiena per accoglierlo tutto, per sentire tutti i tuoi affondi, per accellerare il tuo godimento. Che è arrivato con i grugniti animaleschi. E anche stavolta sono rimasta un po’ male per non eseer stata riempita dal tuo sperma.

Stanco e svuotato sei andato in bagno lasciandomi sul letto stravolta e ansante dalla seconda grande scopata nel giro di un’ora. Quando sei rientrato in camera, ti sei ributtato pesantemente sul letto e, nel giro di pochi minuti ti sei addormentato esattamente nella stessa posizione in cui ti trovi adesso. Nel frattempo io mi sono addormentata e svegliata almeno quattro volte. Ora sono qui, che ti osservo nudo nel mio letto, il tuo cazzo è là, piccolo e indifeso in mezzo ai tuoi peli. E io ho la tentazione fortissima di prenderlo tra le mie mani per risvegliarlo, ma poi ci ripenso: ha bisogno di riposare perchè domani ci aspetta una giornata molto faticosa!

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