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Racconti Erotici Etero

Il salvaslip

By 20 Dicembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

 

Il salvaslip di Poly

 

Silvia quando salì in macchina, dopo il ristorante, lasciò che la gonna, già corta, risalisse abbondantemente sulle gambe.

Era ancora caldo e sapeva che il compagno adorava questa parte del suo corpo. A dir la verità il compagno adorava qualsiasi parte di qualsiasi corpo femminile (suo di lei e di altre; quest’ultime virtuali, nella maggioranza dei casi).

A casa, appena Silvia lo sfiorava senza malizia o si sedeva sul divano, lui, pronto, le metteva la mano tra le cosce, cominciava a sudare, a volte rideva – più che altro gli prendevano le convulsioni – e quasi sempre la spogliava, non del tutto, anzi le scostava appena gli slip… Silvia non negava a sé stessa di desiderare un po’ di poesia, ma per l’uomo che le era accanto la poesia erano le barzellette di Totti!

 

Con mossa decisa Silvia si tolse le scarpe e posò i piedi sul cruscotto, lasciando esposti i fianchi e le mutandine di pizzo. Maurizio pretendeva che le indossasse ogni volta che…

– Ma che fai? Hai bevuto? Metti giù i piedi che mi distrai – sbottò Maurizio.

Silvia pensò che il marito ce l’aveva duro. Sbirciò i pantaloni e vide il caratteristico rigonfiamento.

– Voi uomini… – disse.

– Voi uomini cosa?

– Niente, niente – concluse Silvia.

Però a letto ce lo mettete in tutti i buchi, – pensò tra sé e sé – ma cosa sto dicendo?

Era stata un bella serata anche se non le riusciva di capire se i Cospesi, con i quali avevano cenato, erano del tutto sinceri tra di loro. Aveva un sacco d’esperienza in fatto di uomini, la Ludovica Cospesi! Quando si trovavano da sole Ludovica amava raccontarle le sue storie: che aveva senza dubbio provocato un’erezione al tabaccaio sotto casa illustrandogli come si slaccia un reggiseno, o che in ufficio dove lavorava un collega aveva piazzato una webcam sotto la scrivania per vederle meglio fra le gambe o ancora che il marito la sera prima l’aveva scopata – testuali parole – come una bestia… E chiedeva sempre:

– E il tuo Maurizio? Ma non vuole che tu… perché il mio…

Certo Silvia, introversa per natura, non raccontava all’amica che anche a Maurizio, il compagno, piaceva far sesso – come dicono negli States – e spesso, sì, ma a modo suo, tanto che aveva pensato di farlo visitare da uno psicologo. A volte mentre guardavano la tv, senza pretesto, la sistemava sulla poltrona colle natiche all’insù accarezzandole, tra una velina e l’altra, il sesso come fosse un batuffolo di cotone oppure quand’erano in divano capitava, soprattutto se lui stava leggendo La Gazzetta dello Sport – vai a capire gli uomini! – che le chiedesse di arrotolarsi la gonna, togliersi le mutandine e di sederglisi di fronte, gambe divaricate. Silvia avrebbe voluto, a quel punto, che le chiedesse anche d’accarezzarsi (atto tremendamente progressista e di sinistra) perché così avrebbe finalmente potuto mostrargli che cosa a lei piaceva (pensiero, questo, da extraparlamentare di sinistra anni ’70). Un giorno, si vede che aveva bevuto, Maurizio le aveva scattato delle foto con la digitale mentre lei dormiva (così lui pensava): primo piano delle labbra del suo sesso appena dischiuse, primo piano del capezzolo sinistro, natiche con accenno di peluria. S’era pure eccitata nella finzione fino a bagnarsi ma lui, preso dall’ossessione fotografico-digitale, non s’era accorto di niente! Silvia, dal canto suo, non aveva mai osato fotografare il marito nudo e meno che mai dormiente, la cui verga, soprattutto in posizione di riposo, con testicoli annessi, non presentava caratteristiche particolarmente fotogeniche.

 

Al semaforo si fermarono. Maurizio la guardò. A Silvia, amante delle storie d’amore, seppure a lieto fine con fecondazione, sarebbe piaciuto sussurrare qualche parola dolce all’orecchio del compagno ma Ludovica – che il giorno prima al bar di Porta Vecchia aveva dichiarato agli astanti che di solito non porta mai le mutandine col salvaslip – le aveva spiegato che era mille volte meglio mettere direttamente una mano tra le gambe dell’uomo.

– L’orgasmo non ama la poesia – aveva sentenziato soddisfatta Ludovica. Poi aveva aggiunto:

– Se proprio vuoi dirgli qualcosa, se proprio non puoi far a meno della tua poesia, devi sussurrare qualche parola… come dire… sconcia; sai agli uomini gli piace, s’eccitano, devi dirgli di farti delle cose – aveva aggiunto Ludovica.

Quel farti delle cose aveva attecchito nella sua mente come lo spematozoo testardo nell’ovulo ed erano giorni che la frase continuamente rielaborata dalla mente di Silvia guidava i suoi pensieri verso soluzioni decisamente inaspettate.

Dai fermati, fermati, pensò Silvia. Dimmi qualcosa, parlami. Toccami, baciami, parcheggia questa cazzo di macchina e spogliami, baciami, fai qualcosa, ti scongiuro.

Arrestò di netto le sue speculazioni, serrò le cosce: sentì qualcosa in grembo. Pensò: Oddio mi sto eccitando. E subito dopo pensò anche: Ti prego mettimi una mano tra le gambe.

– Ma cosa fanno questi scopano al semaforo? – Maurizio diede di clacson alla coppia davanti a loro che al semaforo s’erano scambiati qualche carezza un po’intima; effettivamente anche Silvia aveva visto la testa riccioluta della donna ergersi dalle intimità del conducente e aveva notato il gesto della mano – sempre poco elegante, ma interclassista – di togliersi dalle labbra il filino bianco trasparente-luccicante che aveva poche probabilità d’essere un residuo di mozzarella.

Maurizio la guardò di nuovo.

Ci sei bastardo. Sei eccitato scommetto che se ti metto una mano nella patta vieni all’istante. Ma cosa sto dicendo? rifletté Silvia. Ludovica non si sarebbe fatta tanti problemi: si sarebbe già tolta le mutandine chiunque fosse il guidatore. Una volta – le raccontò – in un autobus deserto, ma era ancora una ragazzina imbranata, aveva lasciato che l’autista, del quale era perdutamente innamorata, le togliesse un indumento a ogni fermata prima d’arrivare nuda ed eccitata al capolinea.

Maurizio la fissò di nuovo.

– Perché mi guardi così? – chiese Silvia con la faccia da santarellina.

– Non è che la gonna è un po’ troppo corta?

– Trovi?

– Serviva mettere quelle scarpe?

– Perché non mi stanno bene?

Il cameriere mi guardava i seni come se dovesse farmi un tatuaggio e anche il marito di Ludovica l’ho sorpreso a guardarmi tra le gambe quando ho raccolto il tovagliolo che m’era scivolato, avrebbe voluto dirgli, ma tacque.

L’amica Ludovica a quest’ora starebbe già succhiando il membro del marito o di chiunque in qualunque posto, probabilmente coi capezzoli già eretti e senza reggiseno. Qualche uomo se l’è portato a letto di sicuro, la Ludovica, pensò Silvia.

Parcheggiarono. Erano arrivati. Scese per prima e s’avviò verso la porta di casa. Sentiva lo sguardo del compagno appiccicato ai fianchi, insinuarsi sotto ai vestiti e tra le gambe avvertiva una lingua di fuoco che si faceva largo fra le pieghe della sua carne. L’aspettò e l’abbracciò strusciandosi i seni sul petto di lui.

Senti un po’ questi, amore, si disse. Per Silvia era il massimo dell’ardire mentre si sa che l’amica Ludovica – più scafata – avrebbe allungato quasi sicuramente la mano e avrebbe preso in mano la verga al marito, suo di lei o a chiunque altro le si trovasse vicino in quel momento.

Maurizio, invece, non amava questi esibizionismi in strada. Silvia non ricordava che l’avesse mai toccata di fronte a qualcuno anche se qualche anno fa, a dir il vero, sul divano, televisore acceso e verga eretta, le era venuto in bocca, pacificamente, mentre Pippo Baudo annunciava il vincitore di Sanremo.

Ludovica minimo due volte la settimana si scopava il marito o chiunque altro in qualche strada poco frequentata, “per fortificare il desiderio” così diceva. Ultimamente era successo al supermercato. Aveva spiegato a Silvia l’episodio nei dettagli: il marito aveva eiaculato sopra uno scatolone di Pavesini, mentre lei all’apice del piacere aveva quasi distrutto una confezione di Mastro Lindo. Più tardi era ritornata a prendersi gli slip che aveva dimenticato vicino a una bottiglia di lambrusco.

Ecco, sì, però, a volte Silvia, confessava a sé stessa che avrebbe voluto essere come Ludovica e avere un marito un po’ più – come dire – vivace, esuberante, dalla mente meno impiegatizia per quanto ogni volta che andava in banca il cassiere, fiero del proprio fisico da uomo Michelin, le proponeva aperitivi e superalcolici nel tentativo di rimorchiarla. Più volte l’aveva beccato in punta di piedi, dietro allo sportello, nel tentativo di meglio posizionarsi per sbirciare l’aureola dei capezzoli che a volte, maliziosamente, faceva capolino dal suo reggiseno.

– Perché non ti porti a letto Luca? – le chiese un giorno Ludovica.

Luca giocava spesso a tennis con Maurizio.

– Vorresti dire che mi desidera? – chiese Silvia.

– No: volevo dire che secondo me ce l’ha sempre duro quando ti vede – aggiunse Ludovica.

– Come se una si dovesse scopare tutti quelli che ce l’hanno duro quando passi – aveva risposto Silvia.

– Ehi, stai imparando – disse Ludovica e le stampò, con soddisfazione, un bacio sulla guancia.

 

Finalmente a casa, pensò.

Si lasciò sprofondare sulla poltrona.

– Mi aiuti a sfilare le scarpe, tesoro – disse con dolcezza Silvia.

– Ma sei scema. È una novità? Non sono mica il tuo servo – sbottò Maurizio.

Silvia fece da sola.

– Amore dove sei?

Sentì un grugnito.

– Sono in bagno.

Sta indossando l’accappatoio, rifletté Silvia che intanto si distese sul divano con le gambe divaricate: erano un po’ come le anatre finte che il cacciatore usa per attirare le prede.

Maurizio, quando arrivò si sedette accanto a lei, sorridendo come solo l’uomo sa fare quando ha davanti una donna con le cosce spalancate.

Adesso m’accarezza il collo e mi tocca i seni, si disse Silvia.

Maurizio l’accarezzò il collo e subito toccò i seni, liberandoli dal reggiseno.

Ecco, pensò Silvia, adesso si slaccia l’accappatoio.

Maurizio si slacciò l’accappatoio.

Mi prende in bocca i capezzoli, prima il destro poi il sinistro, pensò Silvia.

Maurizio prese in bocca i capezzoli, prima il destro poi il sinistro.

Ora si sistema più comodamente e me lo mette in bocca, disse tra sé e sé Silvia.

Maurizio si sistemò più comodamente e glielo mise in bocca, ma se ne uscì subito.

Strabiliante, siamo in vena di fantasia. Cosa succede? si preoccupò subito Silvia, senza dirlo.

Maurizio alzò la gonna di Silvia e le sfilò le mutandine.

Il famoso “piano B”, me n’ero scordata; pensavo che si fosse accorto che esisto, che anch’io ogni tanto… pensò Silvia. Sentì un groppo in gola. Adesso s’abbassa e mi lecca frettolosamente la fica e poi me lo rimette in bocca – concluse tra sé.

Maurizio s’abbassò, diede una rapida leccata alla fica, poi glielo rimise in bocca.

Ecco sta svolgendo accuratamente il compitino. Non s’è neanche accorto che mi sono depilata quasi completamente, me l’ha suggerito Ludovica. Lei dice che la donna senza pelo è più vergine, boh. A quest’ora lei se lo farebbe sbattere nel culo dal marito o da chiunque altro, rifletté Silvia. Ma cosa sto pensando? Serata strana! aggiunse Silvia tra sé.

Si tolse il membro del marito dalla bocca.

Maurizio la guardò sconvolto. La verga s’ammosciò, limacciosa come una lumaca.

– Amore?

– S-si. Che c-c’è?

Maurizio era visibilmente scosso.

– Non ti sei accorto?

– Di cosa?

– Guarda.

Silvia allargò le cosce e inarcò le reni.

– Sono stata dall’estetista. Ti piace? – disse.

– Ah! Era necessario?

La verga, però, istantaneamente gli divenne dura. Silvia sorrise soddisfatta. Adesso me lo rimette in bocca, disse tra sé e sé.

Maurizio, soddisfatto, glielo rimise in bocca. L’amica Ludovica a questo punto, per protesta, sarebbe uscita in strada a scoparsi chiunque altro.

Sentì Maurizio irrigidirsi e ansimare.

Adesso viene, pensò Silvia, e poi mi mette un dito nella fica.

Maurizio le venne in bocca, diligentemente, poi si sistemò un po’ meglio sul divano e le mise un dito nella fica.

Piuttosto che niente, pensò Silvia, è il mio momento; adesso o mai più.

Quando sentì il dito completamente dentro ne accompagnò il ritmo emettendo qualche gemito. A Maurizio i gemiti, sobri e non esagerati, piacevano.

Stavolta faccio come dico io, pensò Silvia, è da troppo tempo che ci penso. Devo farmi fare cose, come dice la mia amica. Ah sì, dimenticavo, m’infila anche l’altro dito.

Maurizio le infilò anche l’altro dito.

Mentre Maurizio colle due dita la penetrava, Silvia lo stuzzicava dove poteva sfregando a ogni passaggio il membro che cominciava a indurirsi di nuovo e prendere la tipica forma d’un imprecisato giocattolo cinese.

Adesso glielo dico, non subito… fra poco – pensò Silvia – lo lascio lessare ancora un poco.

Allargò le cosce, le strinse, le allargò di nuovo smaniando, gemette in maniera sobria e non esagerata, invocando il nome di dio invano.

– Amor mio, amor mio, oh dio – bisbigliò. Strinse il membro del compagno e lo sentì duro, pronto a scoppiare.

Silvia prese coraggio, fece un lungo sospiro. Le uscì un gemito. Riprovò: il gemito diventava un lamento scomposto. Assomigliava vagamente a un orgasmo in fieri. Maurizio aveva cominciato a sudare. Così non andava. Ritentò: fece un lungo sospiro, ancora. Profondo, questa volta.

Allargò di più le cosce, socchiuse gli occhi e sospirando, con un filo di voce sussurrò:

– Scopami tesoro, scopami. Ora!

Lo schiaffo partì prima che se ne rendesse conto e col senno di poi decise che Maurizio non poteva aver usato la stessa mano le cui dita era dentro la sua fica.

– Ma sei scema.

– Tesoro…

– Ma sei scema. No: sei puttana, sei una gran puttana.

– Anche prima…

– Anche prima un cazzo, puttana! Non t’azz…

– Ma…

– Puttana!

– Ma guardati ce l’hai ancora più duro.

Partì un altro schiaffo.

– È vero, cazzo hai ragione – confermò Maurizio.

A quest’ora Ludovica sarebbe uscita in strada nuda e si sarebbe fatta scopare dal primo passante ignaro, pensò Silvia.

S’alzò, s’infilò solo le scarpe e uscì.

 

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