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Il sole greco

By 3 Gennaio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

Il respiro del mare prese possesso dei suoi polmoni. A occhi chiusi, percepiva il vicino suono delle onde riversarsi sul bagnasciuga umido e compatto, dove sostava in piedi. La brezza di quella mattina era tenue, e le accarezzava la pelle liscia e pallida, nel fragore della salsedine. La spuma dell’acqua le lambì i piedi, sfiorandoli suadente ed invitante. Era giugno, un giugno caldo, secco, ma reso piacevole dalla presenza dell’Egeo. Aveva seguito sua madre, amministratore di una società finanziaria, in quell’isoletta sperduta, dimenticata da Dio, per una vacanza rilassante lunga tutta l’estate. A Chamili, al largo di Creta, vi era poco e nulla: il posto perfetto, secondo la sua genitrice, dove ritrovare se stessi. Sassi, sabbia, casupole bianche e blu, il mare. Null’altro colmava l’orizzonte agli occhi di Clara quando vi era giunta pochi giorni prima, dal balcone dell’ampio residence presso il quale avrebbero alloggiato. Era stato costruito secondo lo stile architettonico tipico del luogo: la sua camera, rigorosamente personale, era molto ampia, caratterizzata dal vimini e dai colori chiari; la balconata, ricoperta da un pergolato al quale si arrampicava una timida edera, possedeva una splendida vista sulla costa e sul sottostante villaggio di pescatori. Vi era un tavolino rotondo, con sopra una caraffa di succo e una ciotola di frutta per il benvenuto: aveva spiluccato un acino d’uva, addentandolo dolce, mentre con occhio indagatore osservava quello che sarebbe stato il suo rifugio privato, lontano da tutti e da tutto. Non aveva mai avuto un gran rapporto con sua madre, separatasi dall’altro genitore ormai da anni; eppure suo padre aveva insistito per questo viaggio, sperando che le due donne della sua vita avrebbero potuto riavvicinarsi. Speranza vana, in verità: Clara sapeva già come sarebbe trascorsa quella lunga vacanza, ovvero con sua madre lontana e sempre al telefono a vendere e comprare sui mercati finanziari, mentre la noia avrebbe regnato sovrana. La ragazza scacciò questi pensieri. Meglio essere positive e sfruttare il lungo tempo a disposizione per ricaricare le batterie in vista del secondo anno di università. Tornò in camera, si mise costume e pareo sciogliendo la matassa di capelli castano rossicci che componevano la sua fulgida chioma e scese in spiaggia.
Ora era là, a occhi chiusi, nel bel mezzo del nulla, dell’Egeo, a respirare la forza del vento. Aprì gli occhi, sfilandosi il pareo per entrare in acqua; avanzò un poco, finché il livello del mare non le lambì le ginocchia. Osservò il mondo che la circondava. Vi erano alcuni gabbiani a sinistra, adagiati fra le onde, a riposo, mentre a destra rumore di voci maschili proveniva da alcune barchette malandate. Non erano molto lontane: vide i pescatori a torso nudo darsi da fare con le reti. Pochi uomini faticavano ogni giorno su una manciata di scogli e sale per guadagnarsi il pane con cui sfamarsi, mentre sua madre, ogni giorno, distruggeva i risparmi di cento piccoli risparmiatori, come uno squalo vorace. Clara guardò con interesse quello spaccato di vita isolana, che le parve distante migliaia di anni dal mondo che aveva appena lasciato, Milano e suoi grattacieli, lo smog e le automobili. Quando riemerse dalle sue riflessioni, notò che un uomo sulla barca più vicina la stava fissando. Il torace era scolpito, bruno per il sole, nonostante non fosse proprio giovane; i capelli mori ricci erano diventati brizzolati, come il pizzetto; un anellino all’orecchio destro completava il ritratto di quel lupo di mare. All’inizio non ci fece caso, poi gli occhi di lei incontrarono quelli di lui, su una linea retta che la colpì come una fitta al cuore. Lo sguardo era possente, un turbinio di mille tempeste, carico di senso di dominio.
Clara avvampò, sgranando gli occhi come colpita da una fitta improvvisa. Si sentì completamente nuda sotto quegli occhi, come se la marea si fosse appropriata del suo costume, strappandoglielo dal corpo con impeto famelico; quel tritone greco le fece provare un profondo senso d’ansia nel petto, il cuore prese a battere forte che la ragazza cominciò a temere che scoppiasse da un momento all’altro. Si voltò di scatto offrendo la schiena, cercando di non dare a vedere il suo imbarazzo e di coprirsi con le mani, senza sapere bene che fare, l’improvviso rossore in volto. Ma che le prendeva? Era uno sguardo di desiderio diverso da quelle che i ragazzi di solito le gettavano, e che abitualmente lei stroncava con aria gelida, ritenendoli non alla sua altezza. Ora invece un uomo greco le stava facendo pagare il fio, facendola sentire in soggezione, in un solo momento. Gettò un’occhiata furtiva alle spalle, ma si accorse che il pescatore non aveva cambiato obbiettivo, concentrandosi sulla schiena nuda esposta, i capelli parzialmente bagnati. Uscire non poteva, si sarebbe mostrata interamente, e gli occhi di lui avrebbero corso dove non avrebbero dovuto, lungo tutto il suo corpo. Clara, allora, fece un bel respiro e si immerse nel mare, in cerca di oblio. L’acqua cristallina le ottuse i sensi, facendola sentire come racchiusa in una bolla protettiva. Riemerse dopo quella che le era parsa un’eternità, annaspando in cerca di ossigeno, ma quando aprì gli occhi l’uomo era sparito, mentre le barche venivano tirate in secca. La ragazza rabbrividì, bisognosa di coprirsi: quello sguardo l’aveva ferita nel petto. – Clara, mi stai ascoltando? –
Sua madre cercò di catturarne l’attenzione con quella domanda, mentre mangiavano un piatto di frutta sulla veranda di un ristorante elegante e caratteristico, avvolto in un manto di bianco e azzurro intenso. Era uno dei rari momenti in cui le due sarebbero state insieme, la ragazza lo sapeva bene: probabilmente, dopo quel pasto, la donna si sarebbe ritirata nelle sue stanze, parlottando tutto il giorno di azioni con i colleghi grazie al telefono, oppure girovagando da sola per l’isoletta, senza alcun interesse per la figlia, rea di non dimostrare alcuna propensione per le materie economiche e il denaro. Quel pranzo, poi, fu particolarmente difficile per Clara: annoiata dai discorsi della sua genitrice, la mente di lei vagò in angoli remoti, al terribile e ardente sogno di quella notte, che l’aveva fatta risvegliare tutta ricoperta di un velo di sudore fra le lenzuola.
Quel lupo di mare aveva scolpito la sua immagine nell’anima della ragazza, un tormento che la colpiva in ogni momento di debolezza. Dopo l’incontro casuale sulla spiaggia, Clara lo aveva sognato per la prima volta. Nell’evocazione onirica, l’uomo sostava ai piedi del suo letto, a torso nudo, scrutandola come aveva fatto durante il giorno: due occhi tempestosi sotto le folte sopracciglia grigie, il sorriso tirato sulle labbra screpolate, avvolte dalla barba cinerea e ispida. Lei era distesa supina sul letto, indossando solo una maglietta lunga che le arrivava a malapena alle cosce e nient’altro, se non un lembo di lenzuolo sulle caviglie. Aveva aperto gli occhi e, dopo aver levato il capo, l’aveva visto, imperioso e possente. Le vennero in mente particolari che, all’ incontro di poche ore prima, non aveva colto: i peli sul petto, una cicatrice sul fianco sinistro, gli addominali pronunciati. Ci fu un momento solo in cui gli sguardi si scambiarono, una tensione fragile che si spezzò quando l’uomo si avvicinò a lei in modo deciso, scostando il lenzuolo. Istintivamente Clara alzò un poco il busto, tirando la maglia con le mani fra le cosce, arrossendo per la sua completa nudità; nel farlo, aveva messo in risalto il suo seno, i capezzoli che, nonostante il timore, si andavano irrigidendo.
L’uomo si fermò ai piedi del letto e, con un gesto secco, la prese per le caviglie tirandola verso di sé. Clara emise un ansito leggero, quasi sordo, incapace di articolare alcunché in quella situazione. Il marinaio allora la prese per il piede destro, alzandolo alla sua bocca: baciò la pianta, le dita, il tallone, esaminando la superficie di quell’arto con estrema cura; poi inghiottì nella bocca l’alluce. Lo succhiò avidamente, fissando Clara negli occhi, trasmettendole con quel gesto una scarica di adrenalina che le donò un brivido paralizzante di languore. Leccò la pianta, girò sulla caviglia con un sentiero di baci, scese sul polpaccio liscio e bianco, scivolando giù per la coscia. Baciò l’interno del ginocchio, poi si staccò e si avvicinò al viso di lei, chiuso in un’espressione di attesa ineluttabile. Gli occhi di lui arrivarono vicinissimi a quelli della ragazza, ma quando lei pensò a un bacio ormai prossimo, l’uomo scese sulla sua maglietta: la afferrò per i bordi che lambivano l’inizio delle cosce, e tirò verso l’alto senza esitare.
– No, sono nud.. – sussurò flebile Clara senza finire la frase. La maglietta fu arrotolata sotto il suo seno, lasciando il suo corpo del tutto scoperto ad eccezione di quel punto. L’uomo si chinò sulla sua cassa toracica, baciando e percorrendo con la lingua le costole una a una, sempre più giù ogni volta che le labbra si appoggiavano sulla pelle scossa da fremiti. Arrivò all’addome, infilò la lingua nell’ombelico e, con un gesto secco, divaricò le cosce. La ragazza sospirò, intorpidita dal senso di impotenza: ne era certa, l’uomo le stava fissando il sesso, senza alcun pudore. Avvampò. Il marinaio fece scivolare le mani sulle natiche, sollevando leggermente il bacino, come una coppa. La lingua di lui percorse tracotante l’interno coscia, giungendo a sfiorare l’inguine, poi, si posò sul sesso, mentre le dita stringevano forte le natiche.
La sveglia a quel punto aveva suonato e Clara si era risvegliata in quello stesso letto ansimante. Un tremito le percorse la schiena: poi sua madre la riportò alla realtà.
– A che stavi pensando, signorina? – chiese la donna
– Nulla, mamma – mentì Clara, – ti chiedo scusa -. Il sogno l’aveva tormentata tutta la settimana, accompagnandola in ogni luogo in cui si trovasse. Era sulla spiaggia, dove temeva di rivederlo ancora, era in ogni singolo pasto, riflesso nella ceramica dei piatti, era con lei quando si faceva la doccia, oltre i vetri appannati, che la scrutava attentamente. La solitudine aumentava quei pensieri terribili e impuri: Clara non aveva nessuno con cui condividere le sue preoccupazioni, parlarne, sfogarsi; sua madre, come previsto, era sparita da giorni, chiusa nel suo mondo.
Camminava all’alba sulla costa battuta dal vento e dal mare, immersa nelle sue riflessioni; mangiava sola, attorniata solo da camerieri cortesi ma non amichevoli. Aveva spazi immensi attorno a sé, eppure era più isolata che mai, pur circondata da persone di tutti i tipi.
Basta, doveva chiudere con quella situazione: doveva distrarsi ad ogni costo e forse sarebbe riuscita a dimenticare quell’uomo. Si recò alla reception e chiese alla donna che sedeva alla scrivania se vi fossero feste o luoghi di ritrovi lì vicino. Quella, con la consueta gentilezza, rispose che proprio quella sera si sarebbe tenuta una balera con musica di vario tipo in riva al mare, a poche centinaia di metri dalla spiaggia dell’albergo: ci sarebbe stata certo musica tradizionale greca, ma dopo una certa ora anche disco internazionale, pensata per i più giovani.
Congedatasi, Clara attese trepidante l’evento per tutto il pomeriggio, interrogandosi su cosa vestire per l’occasione e come acconciarsi. Finalmente un po’ di movimento in quel luogo dimenticato nel profondo Egeo.
Venne la sera. La ragazza, dopo aver gustato della frutta fresca locale, si racchiuse nelle sue stanze, preparandosi con estrema cura. Optò per lasciare i folti capelli ricci all’aria, resi vaporosi dal vapore emanato dal bagno che si era concessa. Faceva molto caldo, quindi scelse un paio di shorts di jeans, ma molto eleganti, di un colore scuro, che risaltassero le gambe toniche e lattee, accompagnati da un intimo nero semplice ma con un piccolo bordo ricamato, un fine tocco d’eleganza; il torace fu coperto da una canotta larga che esponeva la spalla sinistra e l’ombelico, color grigio-verde, alcune scritte nere. Cinse i piedi con sandali da schiava romana e uscì dalla camera.
La balera fu raggiunta in pochi minuti, passando sulla sabbia, in cui la ragazza affondava ad ogni passo con un rumore sordo e attenuato. Clara ne vide le luci fin da lontano: c’erano alcuni pali piantati sulla spiaggia, fra cui erano stati tirati dei fili a cui erano appese lanterne colorate; poi, sul mare, vi era un piccolo palco, una specie di pista da ballo con il mixer e le casse, che rendevano il tutto molto suggestivo. La ragazza entrò nella mischia: prese un cocktail e bevve piccoli sorsi con la cannuccia, ammirando balli tradizionali in cui i danzatori indossavano vestiti tipici della cultura greca.
Poi si scatenò il momento atteso: il DJ prese la parola e la musica pulsò nella testa dei presenti. Clara, posato il bicchiere, si lanciò in pista, danzando fra i corpi di giovani e meno giovani, in quella piazzetta sul mare. Si lasciò trasportare a occhi chiusi dalle melodie ritmate, elettroniche, ben note alle sue orecchie; danzò lasciandosi portare dal movimento della folla, come un’onda fra le altre, in balia delle correnti calde.
Finì la canzone: si sistemò un ciuffo di capelli caduto sul viso, togliendo con il dorso della mano una goccia di sudore che colava sulla fronte, e riprese a ballare. Stava già dimenando mani e bacino quando il suo sguardo si posò su un individuo che sostava appoggiato al parapetto della balera, e la guardava con estrema analisi.
– No, non lui – tremò la ragazza fissandolo stupita.
Il pescatore avanzò nella sua direzione, scivolando serpentinamente fra la folla, tenendo le perle grigio scuro fisse su di lei. Clara, quando lo vide a pochi metri, si girò di scatto di spalle arrossendo, rimanendo paralizzata in mezzo alle assi di legno. Lo avvertì dietro la propria schiena: il profumo di salsedine le invase le narici e le persone attorno scomparvero all’improvviso. Sentì il suo calore, il respiro di lui sul collo, sui capelli. Con gli occhi fissi in avanti, vide che l’uomo aveva portato le mani ruvide e abbronzate vicino ai suoi avambracci, senza però toccarla.
– Danza – disse l’uomo con voce grave, un verbo che parve un ordine perentorio.
Clara non riuscì a resistere. Il torpore si levò dal corpo e cominciò a muovere i fianchi a ritmo di musica, ondeggiando e alzando le braccia. Lui la cinse con le sue, ma senza concederle un contatto, mantenendo una millimetrica distanza. Poi, pian piano, i due corpi si avvicinarono sempre di più, fino all’inevitabile contatto. Clara rabbrividì sentendosi appoggiata a quell’uomo solido e non più giovane; le mani di lui accarezzarono con un solo dito le braccia di lei, poi egli poggiò il palmo aperto della destra sulla pancia scoperta della ragazza, infilandosi solo di poco sotto la canotta larga. Ballarono così, con lui che teneva lei per l’addome, che seguiva il respiro affannoso che si produceva nel petto. Infine il pescatore pose le sue labbra vicino al suo orecchio.
– Conducimi da te – .
Clara tremò, chiudendo gli occhi. Le braccia di lui la portarono fuori dalla pista, spingendola un poco in avanti. Si trovò nella notte, con solo la luna a rischiarare la via: si guardarono per la prima volta dopo quel contatto letale, ma a distanza di qualche metro. L’uomo la scrutava con aria indecifrabile. Alzò la mano e indicò oltre Clara, verso l’altura. La ragazza si girò e procedette in quella direzione. Clara camminava nel corridoio stringendo nervosamente le chiavi nella tasca degli shorts. Che stava facendo? Aveva condotto il pescatore nel suo albergo, e sapeva cosa stava per accadere. Perché l’aveva fatto? Non sapeva trovare risposta a questa domanda: era stata come soggiogata dallo sguardo prima e dalla voce poi di quell’uomo misterioso, che ora camminava a due passi da lei. La mente si svuotò completamente e la ragazza compì gli ultimi passi verso un ineluttabile destino.

Arrivarono alla porta della sua camera.
Clara deglutì forte e infilò le chiavi nella toppa, facendo scattare la serratura; spinse il battente e questo si schiuse rivelando l’interno tutto in penombra, nella semi-oscurità, con solo i lampioni esterni sul lungomare a illuminare in modo tenue l’interno. Entrò di poco, quando l’uomo la prese di forza alle spalle, gettandola contro la porta, schiacciandola su di essa con il suo corpo. I due si guardarono negli occhi per un momento, lui che dominava lei, di statura più bassa e esile; poi la ragazza distolse lo sguardo, intimorita. Il pescatore le prese dal pugno chiuso il mazzo di chiavi, diede due mandate all’ingresso gettò via le chiavi, che caddero sonoramente qualche metro più avanti sul pavimento.
Il respiro dei due si mescolò, così a stretto contatto: la tensione era palpabile e Clara tremava impercettibilmente.
– Non dir nulla e non fare domande – ordinò il pescatore – hai capito? –
La ragazza annuì con il capo. L’uomo le strinse le braccia, gustandosi il caldo e dolce fiato della sua preda.
– Hai esperienza? – Chiese secco.
Clara annuì nuovamente, senza distogliere lo sguardo dal petto di lui, su cui si era fissato per la vergogna.
– Ottimo – commentò l’uomo alzandole il viso per il mento, scrutandolo con cura a destra e sinistra. – Sappi che stanotte non dormirai – aggiunse con una strana luce negli occhi – &egrave una promessa.
La baciò con impeto, schiudendole le labbra con la lingua e penetrando all’interno per prendere possesso della bocca di lei.
Dicono che il primo bacio non si scorda mai: Clara non l’avrebbe mai fatto, né per questo né per i mille seguenti. La baciava come se volesse farla sua solo così, dimostrando che non poteva fuggire alle sue brame, schiacciata fra lui e la porta. La ragazza, dopo l’impeto iniziale inaspettato, cominciò a rispondere a quei baci, ricambiando come poteva, sentendo che era lui a decidere il come e il quando, e lei poteva solo acconsentire.
Le mani dell’uomo corsero ai bordi inferiori della sua maglietta, strappandola verso l’alto, lanciandola sul pavimento della stanza, oltre la finestra. La premeva con il suo corpo senza concederle tregua né spazio, quasi a volersi fondere con la sua carne.
Le fece piegare il collo, lo leccò avidamente con la lingua fino al lobo dell’orecchio, che titillò con la punta, mentre Clara sospirava in preda ad emozioni contrastanti.
– Contro l’armadio – ordinò lui
La ragazza aprì gli occhi: il pescatore le indicava il mobile alto di fronte al letto, ai cui piedi lui era seduto. Si avvicinò al punto stabilito, a due metri buoni da quegli occhi tempestosi e quel corpo provato dal sole e respirò a fondo.
– Ora, abbassati il reggiseno tirandolo verso il basso con entrambe le mani, prendendolo per le coppe. E, mentre lo fai, guardami invitante -.
Clara sussultò ma, senza sapere come, non riuscì a opporsi a quella stanza richiesta. Lo guardò con gli occhi più carichi d’eros e malizia che aveva, aprendo un poco la bocca, porgendo le labbra e un poco il busto in avanti, e tirò. I suoi seni, una soda seconda dai piccolissimi capezzoli rosati, sgusciarono fuori, mostrandosi a lui. Il cuore batté più forte nel petto.
Il marinaio, senza dire una parola, si avvicinò al corpo tremante di lei. La scrutò dall’alto in basso, sentendo il suo respirò teso; poi, con la mano, impugnò il seno destro, con fare di chi sa valutare della merce, tenendolo saldamente in mano, palpandolo per saggiarne la consistenza, per poi salire a uncino sul capezzolo, che tenne schiacciato per qualche secondo tra pollice e indice.
Le afferrò di colpo entrambi i polsi, portandoli contro il legno; poi si chinò e addentò la mammella con decisione, suggendo la pelle di Clara e addentando delicatamente la punta.
La ragazza, costretta in quella posizione, quasi sentì l’uomo inghiottire il suo seno in bocca, da tanta era la voracità e la carica erotica di quel gesto. Stava offrendo un piatto di frutta fresca a chi non conosceva da tempo un tale piacere.
Il pescatore trattò allo stesso modo l’altra mammella, per poi leccare lo spazio tra di esse, risalendo fino al collo.
– Togliti gli shorts, disse senza gentilezza -.
Le mani di lei corsero frenetiche al bottone che li reggevano, armeggiandoci nervosamente, quasi che quel pezzo di stoffa ruvida fosse diventato un improvviso impiccio per il suo corpo. Finalmente libera, l’uomo la prese per le cosce, aprendogliele e alzandola alla sua altezza, con le mani sui suoi glutei, per poterla baciare contro l’anta dell’armadio. La strinse a sé, facendole percepire il calore del suo corpo; poi la gettò sul letto di lato, spingendola in avanti.
Clara aveva la testa a penzoloni e il mondo fu sottosopra, ma non era stato un caso. Guardò in avanti, e vide lo specchio stretto a figura intera davanti a sé, il suo corpo disteso, i seni svettanti verso l’alto, il pescatore ai suoi piedi. Questi glieli sollevò, li baciò e, con fare brutale, le divaricò di colpo le gambe, arpionando sicuro il bordo delle mutandine.
– Oddio oddio, pensò la ragazza, ora mi vedrà -.
L’uomo tirò la piccola stoffa verso di sé e il cuore esplose nel petto di Clara. Sentiva il sesso trafitto dagli occhi tempestosi del lupo di mare, la sua leggera peluria madida di sudore e piacere esposta a quello sconosciuto, dove pochi avevano potuto avventurarsi. Come nei suoi sogni più reconditi, il marinaio prese il bacino della ragazza come un calice da cui abbeverarsi, alzandolo un poco per mostrarle, attraverso lo specchio, ciò che intendeva fare.
Clara si fece rossa in viso, gli occhi sgranati per lo stupore, la bocca aperta a cerchio mentre il suo partner le scavava il sesso con la lingua, introducendosi in anfratti poco esplorati; afferrò le lenzuola con le mani, stringendole e agganciandosi ad esse per resistere alla tempesta erotica a cui era sottoposta. Un dito si insinuò in lei, procurandole un gemito più acuto che compiacque il pescatore; l’uomo lo usava come un arpione, un gancio per non far scivolar via la sua preda che penetrava le carni tenere della giovane.
Ad un tratto la bocca e il dito si staccarono da lei, donandole un senso di vuoto: Clara fece per alzare la testa sforzandosi con gli addominali ma il marinaio si oppose.
– Non guardarmi, osserva lo specchio -.
Clara obbedì e, a rovescio, lo vide armeggiare con i propri pantaloni, denudandosi completamente davanti alle sue cosce spalancate. La ragazza deglutì forte, stava per unirsi a quell’uomo, superando un punto di non ritorno. Lui lo prese in una mano, già eretto, facendolo scorrere dai seni fino al monte di venere, per stuzzicarla: era abbastanza lungo, con un glande violaceo e tozzo, molto largo, un poco peloso; Clara rabbrividì, sussultando all’idea dei colpi che avrebbe ricevuto da quel martello. Il pescatore, tenendole le cosce aperte a V, appoggiò la punta del suo membro sulle labbra e chiudendo gli occhi con aria compiaciuta, cominciò a spingere col bacino. La ragazza prese fiato e cercò di rilassare i muscoli, ma il pene già si mostrava piuttosto ostico per lei. Clara capì che l’uomo le stava aprendo forzosamente la vagina: la punta sfondava le pareti ancora chiuse del sesso di lei con la sua massa, permettendo al resto del membro di entrare agevolmente. Si inarcò, spingendo in alto i seni, contraendosi tutta per la fatica di quell’atto sessuale, sentendosi dischiusa sotto quella pressione inarrestabile; un gemito roco e basso nacque dalla sua gola, prolungato ma costante.
L’uomo era arrivato nel mezzo della vagina: stette così per un attimo, fermo nel centro pulsante di piacere femminile, poi decise di dare maggior ritmo. Come leone su gazzella, la morse piano alla gola e, dopo aver preso la carica, affondò fino all’inizio dell’utero.
Clara urlò.

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