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Racconti Erotici Etero

IL VECCHIO OTTOCENTO

By 27 Maggio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Il vecchio Ottocento &egrave sfumato davanti ai nostri occhi, due cavalli bianchi lo accompagnano verso l’oblio.

Le sue colombe sono morte nel grigio del cielo lontano, i suoi violini e le sue musiche tacciono nel silenzio dei ricordi.

Oh, quanti sogni!

Una finestra bianca, un bosco di tigli spogli, bianchi di neve… Tutto questo non c’&egrave più.

Tutto questo abita i nostri volti, che ora vivono dei lampi grigi dei grattacieli e delle fumose città. Passano le automobili veloci, corrono i tram sulle rotaie d’acciaio, folle di passanti si affrettano, passeggere della vita.

Inverno, autunno, primavera, oblio… “Fall, winter, spring, summer…” Che cosa sono mai questi nomi, appartenuti ai cavalieri del tempo, che cavalcarono i pianti, i ricordi e le promesse di passione?

Sì, accompagnarono i baci sulle labbra, date dalle giovani ai loro promessi, il giorno dell’addio, allorché le belle salivano sul predellino della carrozza in partenza, per un ultimo abbraccio, prima della fine! Portavano i loro sposi alla guerra, alla guerra, alla guerra!

La voce di un violino errava tra le fronde dei faggi, rapita dal vento, come un presagio del destino.

Il vecchio Ottocento &egrave sfumato davanti ai nostri occhi, insieme a tanti, tanti volti.

“Fall, winter, spring, summer…”

Vecchio Ottocento, dalla barba bianca, gli occhi pieni di silenzi infranti, gli occhi pieni di Parigi, o di momenti infelici e di cavalli bianchi, pieni di castelli, di velieri, di spiagge fredde solcate dai venti di bufera, di vecchie crudeli, che si scaldavano davanti al fuoco, di leggende…

Oh, caro, vecchio Ottocento, morto per sempre!

Campane che suonavano a festa, per annunziare un celebrato matrimonio, due sposi scendevano correndo per la scalinata bianca, tenendosi per mano, le colombe volavano nel cielo, una carrozza dorata li attendeva sotto la gradinata, per condurli verso la felicità.

Un ultimo sorriso, un abbraccio, le labbra, e poi, il sogno, fugace, immenso, quanto un’eternità.

Sì, un’eternità di perla, fatta per due mani bianche, e carezze di fuoco, regalate per un bacio.

Oggi sono felice e quasi vorrei rinascere. Gli occhi di fantasma, la bella dai capelli biondi guardava fuori della finestra appannata, mentre, uno ad uno, passavano i cavalieri dell’oblio.

E li guardava, mentre fuggivano sui loro destrieri bianchi, assisi su selle d’oro puro.

Oh, sì, sì, sì, fu allora che si affacciò alla finestra, fu allora che gridò loro di portarla via con sé per sempre. Aveva riconosciuto tra di essi il suo amato, il suo amore perduto!

Con il suo fazzoletto ricamato, fece dei cenni appassionati, gridò, pianse, chiamò, con tutta la forza della sua voce, si posò il dito sulle labbra, come per tirare dei baci.

Ma i cavalieri dell’oblio passavano, in marcia, andavano lontano, lontano, dove nessuno poteva arrivare, e nessuno di essi la ascoltò. Questa che vi narro &egrave una leggenda del vecchio Ottocento, addormentata nel blu dei miei ricordi.

La bella allora fece un sogno. Era tra le braccia del suo soldato, e gli toccava le medaglie. Sentiva la mano di lui insidiarle le giarrettiere bianche, vagando appassionata tra le sue cosce di velluto, si sentì morire in quel fuoco, la mano perduta sulla sua femminilità.

Gridò e pianse di piacere, insieme…

Le fiamme bruciavano i due amanti, forse, erano le stesse che ardevano nel vecchio focolare, divorando bramosamente i grandi ceppi di legno di betulla.

Oh, vecchio Ottocento, addormentato per sempre! Per sempre, sì, per sempre, per sempre, per sempre… Come una goccia di pioggia cade e si spegne nel sogno blu del fiume, e così, si perde… per sempre!

* Ho trovato questa lettera chiusa in un piccolo scrigno di legno, decorato d’oro e di diamanti. All’interno, oltre a questo scritto, vi erano delle medagliette datate 1827, e un anello con zaffiri, forse risalente all’epoca di Napoleone. Faceva parte di un’antica collezione di famiglia. Accanto allo scrigno, sulla console, c’era anche un vecchio dagherrotipo raffigurante una famiglia inglese dell’Ottocento, l’uomo portava in testa un gran cappello a cilindro, e s’appoggiava a un bastone, col pomolo d’avorio.

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