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Racconti Erotici Etero

Imprevista avventura

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Se alla fine ‘posto che abbiate l’amabilità e la indulgenza di giungervi- sorriderete e non crederete che io abbia effettivamente vissuto una tale avventura, vi comprenderò benissimo. Se me la raccontaste voi, non vi presterei fede. Direi che vi siete ispirati alle Mille e una notte, anche se a volte la realtà supera ogni fantasia.

Devo premettere che, comprensibilmente, l’unico nome effettivo sarà il mio. Cambierò quello degli altri e dei luoghi, nulla mutando, però, del come si siano svolti gli avvenimenti.

Quella volta il compito affidatomi non era dei più semplici.

Far rimuovere, dalla competente autorità, certi ostacoli che avevano fatto sorgere, improvvisamente, e di certo pretestuosamente.

Come agire?

La cosa più semplice e più sbrigativa sarebbe stato chiedere, con le dovute cautele e metafore: ‘quanto?’ Ma poteva significare l’inizio di sempre maggiori pretese.

Avrei dovuto cercare di capire qualcosa chiedendo un colloquio al responsabile del dicastero competente, usando la sua stessa cortesia formale, e il suo tono ipocritamente confidenziale. Era un maestro per non esprimere nulla, col volto, salvo l’eterno sorriso impersonale e convenzionale che, almeno in pubblico, non abbandonava mai.

Mi arrovellavo la mente, seduto al tavolino del bar, quasi di fronte all’ingresso principale del porto, nel via vai caotico di persone e veicoli. Erano due giorni che non mi decidevo sul cosa fare. Ormai quel tavolino, e quella bibita, stavano divenendo i compagni e i sostenitori dei miei pensieri.

Il giovane che si avvicinò era quasi elegante.

‘Monsieur Martini?’

‘Si.’

‘Piero Martini?’

‘Si’ perché?’

‘Mi scusi, signore, ma devo consegnarle una lettera.’

‘Da parte di chi?’

‘Non lo so, signore, ho solo avuto l’incarico di consegnarla. Au revoir.’

Mi porse una busta color avorio, fece un inchino, si voltò e sparì nella folla.

‘Ma chi cavolo mi conosceva, chi mi scriveva, e perché non inviarla all’albergo dove alloggiavo, certamente a conoscenza anche del ministero presso il quale dovevo recarmi?

Era inutile stare a porsi tante domanda. Bastava aprire la busta.

Carta elegante, raffinata, una scrittura fine, chiara, aggraziata. Mi ricordava qualcosa. Forse, molte grafie si somigliano.

Si, la ricordavo benissimo, Aisha, una splendida Araba, certamente di ottima famiglia, interessata alle conversazioni, a tutti gli argomenti. Occhi di cerbiatta, corpo splendido. Non ricordavo che provenisse da questa terra. Certo che mi sarebbe piaciuto incontrarla. Non fosse altro che per la delizia della vista. E poi, non nascondiamolo, quando si parla di una donna delle sue fattezze c’&egrave sempre una forte attrattiva sessuale. Età e razza non contano.

Arrivato in albergo, formai il numero telefonico indicatomi.

Rispose una dolce voce femminile, in arabo e, poi, in francese.

‘Sono Piero Martini.’

‘Ne quittez pas’ attenda.’

Ed ecco la voce di Aisha, la riconobbi subito.

‘Che piacere, professore, e benvenuto nel mio Paese.’

‘Piacere mio, cara Aisha, posso sempre chiamarla così?’

‘Ma certo, anzi deve, mi farà sentire meno vecchia e ancora in Italia, la mia seconda terra.’

‘Sempre brillante, Aisha. Lei che parla di vecchiaia.’

‘Il tempo passa, professore, sono alla vigilia di trenta!’

‘Un’adolescente.’

‘Galante, professore, grazie. Mi piacerebbe incontrarla.’

‘Non chiedo altro. Mi dica quando, dove”

‘Devo pregarla di una certa riservatezza’ poi comprenderà’ ‘

‘Sono disposto a tutto, pur di rivederla, dopo”

‘Quasi otto anni!’

‘La sua voce &egrave sempre la stessa.’

‘Molto gentile, grazie. Ascolti, va bene domani nel tardo pomeriggio?’

‘Perfettamente, dove?’

‘Attenda in albergo, verrà a rilevarla un’auto e la condurrà da me.’

‘Come?’

‘La prego, non mi chieda nulla. Comprenderà tutto.’

‘D’accordo, grazie.’

‘A domani.’

‘A domani.’

Ero seduto in un angolo della hall.

Un addetto dell’albergo si avvicinò, si chinò e, molto sommessamente, mi informò che nel garage mi attendeva un’auto.

‘Nel garage?’

‘Oui monsieur, credo sia un’auto della Casa Reale.’

‘Della Casa Reale?’

‘Non reca nessun contrassegno, ma le riconosco a distanza, ho lavorato come security guard.’

Alzai le spalle e mi avviai al garage.

Vicino all’ingresso, pronta ad uscire, una grossa auto scura, con un uomo alla guida e un altro che aspettava vicino allo sportello. Avevo notato un agente motociclista che, credo, era pronto ad impedire ad altre macchine di fermarsi o uscire.

Un inchino, un ‘msieur’ appena mormorato, mi aprì lo sportello, attese che entrassi, lo richiuse, andò a sedere davanti. L’auto uscì lentamente. E lentamente scesero delle tendine: sui vetri che mi separavano dall’autista, lateralmente. Se avessi sofferto di claustrofobia sarebbe stato impossibile sopportarlo. Aria ce n’era in abbondanza, e la luce soffusa avrebbe consentito anche di leggere.

L’auto scorreva abbastanza veloce e silenziosa, sembrava corresse su una strada perfettamente levigata. Era molto stabile.

Il luogo di destinazione non doveva essere molto vicino perché trascorse quasi mezz’ora. Rallentò, ebbe un piccolo sobbalzo, come se superasse un cordolo, seguitò per qualche secondo, si alzarono le tendine. Eravamo in un parco, dinanzi a una villa. Intorno tutto verde, aiuole fiorite, alti alberi, molte palme perfettamente curate, un intenso odore di gelsomino, jasmine. L’uomo venne ad aprire lo sportello, all’ingresso della villa una graziosa figliola, nel costume del suo Paese, sorridente.

‘Monsieur, madame vous attende. Suivez mois s’il vous plait.’

La seguii. Intorno era tutto splendore, eleganza, buon gusto.

Mi fece entrare in un salotto dove, in piedi, Aisha mi tendeva le mani, radiosa, splendida come non l’avevo mai vista. In Italia era un bocciolo, qui un fiore carnoso e conturbante, sensuale, eccitante. Fasciata in una morbida lunga tunica, rosa scuro, con ricami in oro.

‘Non mi riconosce, professore?’

‘Devo essere vittima d’un incantesimo, una visione che affascina.’

Non esageri, caro professore. Posso abbracciarla?’

‘E’ una grazia insperata e immeritata.’

‘Lei non immagina quante volte, in Italia, avrei voluto rifugiarmi tra le sue braccia, sentirmi protetta da lei, fisicamente, non solamente intellettualmente e culturalmente.’

Fu un lungo, più che tenero abbraccio che mi fece sentire la soda pienezza del suo petto, e almeno immaginare il prepotente turgore dei suo capezzoli. Le mie mani le cingevano le spalle, non riuscii a controllare la tentazione di andare giù, stringerla a me con le palme aperte sui suoi glutei che sentii sodi e statuari, e mi parve che il suo grembo aderisse al mio’

‘Sediamo, professore’ Che bello’ averla qui’ con me”

Sedemmo sul divano, vicini, con le mie mani tra le sue, come due vecchi compagni di scuola che si ritrovano, dolcemente, dopo tanti anni.

‘Dove sono, Aisha?’

‘Nella mia residenza. Ora le spiego. Ma prima voglio confessarle una cosa’ Lo sa che dalla prima lezione sono rimasta affascinata da lei’ innamorata e’ non platonicamente’ la sognavo in modo che mi sento a disagio a dirlo”

‘Tutto passato, vero?’

Mi guardò con certi occhi che mandavano lampi di passionalità.

‘Il tempo può cancellare, ma può anche trasformare il fiamma le faville. Lei non può intuire cosa sia significato, per me, vederla al tavolino del bar del Porto. Mi sono sentita sconvolta. Ho capito che ero ad un bivio decisivo: fingere di non vedere o’..? Ho scelto ‘o’, ed ho fatto bene, eccola qui, vicino a me. Posso vederla, ammirarla, toccarla, più attraente che mai.’

‘Sto divenendo rosso, Aisha”

‘Non parli, ora, mi ascolti.

Sono la sorella del capo dello stato. In Italia, l’ho sempre tenuto nascosto, per essere libera, in parte, di girare a modo mio. Ora, però, sono schiava della mia condizione. Questa la ragione dei sotterfugi e delle precauzioni che &egrave stato indispensabile adottare per poterla rivedere. Che bello, però, ci sono riuscita.’

Batté le mani, come una bambina, e mi abbracciò.

‘Oh, piccola Aisha, lei &egrave rimasta una bambina, pur nello splendore della sua persona.’

‘Come mai a Elbaid?’

Le raccontai sommariamente le ragioni. Mi ascoltò con attenzione, senza nulla dire.

‘Scusi se l’ho annoiata con queste storie.’

‘Sono cose interessanti. Che dice, può restare a cena qui?’

‘Ne sono lusingato. Ma, mi dica, sono troppo vecchio per essere chiamato Piero, o una donna del sua status non può rivolgersi in tal modo a un plebeo?

Mi dette una pacca sulla coscia.

‘Sempre ironico, il professor Martini’ cio&egrave Piero. Va bene?’

‘Benissimo, grazie.’

Mi schioccò un forte bacio sulla guancia. Allungò una mano cercando qualcosa che era tra i cuscini. S’aprì la porta e apparve la fanciulla che m’aveva ricevuto. Aisha disse qualcosa, in arabo. La ragazza s’inchinò e scomparve.

‘Le ho comunicato che rimani a cena.’

‘Saremo in molti?’

‘Quanto basta.’

‘Non vorrei recarle fastidio.’

‘Mi avresti disillusa’ come stai facendo adesso’ dandomi del lei. E dire che hai voluto che ti chiamassi Piero!’

Sembrava imbronciata, era bellissima.

Le presi la mano, le baciai la palma. Con una certa insistenza, lasciando che la lingua la lambisse appena.

Aisha mi accarezzò il volto, vi posò un altro bacio. Questa volta non con lo schiocco, ma con le labbra un poco dischiuse e la lingua che mi sfiorò la guancia. Mormorò qualcosa in arabo.

‘Cosa?’

‘Niente, Piero, meglio tu non abbia inteso.’

La tensione che c’era nell’aria andava aumentando. La sentivo assolutamente femmina, nella voce, nei gesti, negli sguardi, nelle movenze. Era femminile il profumo che emanava da lei, come l’usta che attira il maschio. Non m’era mai accaduto di provare una simile sensazione. Andavo sempre più eccitandomi.

Aisha era seducente, affascinante, attraente, per dirla goliardicamente, o meno, arrapate e mi dava la sensazione che anche lei fosse più che allupata. Si, proprio una bella situazione. In quella casa, con quella donna!

Quando le posi la mano sulla coscia, mi guardò come implorante. Cosa? Che la smettessi o proseguissi? L’avvicinarsi a me mi indicò la seconda via. Si, ma come? E se si aprisse improvvisamente la posta? Sembrò intuire la mia titubanza.

‘Non ci disturberà nessuno. Non verrà nessuno se non chiamo io.’

‘Ti voglio cullare, bambina.’

Si mise sulle mie ginocchia. Sentivo le sue natiche accogliere il turgore della mia eccitazione. Le nostre bocche s’unirono, naturalmente, avide l’una dell’altra, e la mia mano, entrata nella sua lunga tunica, cercava ingorda di salire sempre più. Ecco, il soffice vello del suo pube nudo, la carnosità delle sue grandi labbra che si dischiudevano lasciando che frugassi ancora, che incontrassi il piccolo clitoride fremente. Fu una lunga carezza, fin quando non giunse, sussultante, al bramato orgasmo liberatorio.

La sua bocca era sul mio orecchio.

Aveva mormorato roche parole incomprensibili, Aveva morso il mio lobo.

‘Finalmente, Piero. L’ho sempre sognato. Sei ancor più delizioso nella realtà’

La mia mente fu attraversata da un pensiero beffardo. Non sapevo se avrei risolto il problema per cui era in quella terra, ma certo una piccola storia la stavo avendo con una splendida donna, la sorella del capo e, forse, non sarebbe finita lì.

La cena, servita mentre eravamo su comodi cuscini, consisté, come mi spiegò Aisha, in un caratteristico piatto locale, ksaksu bel rumman, gustoso, a base di cuscus non eccessivamente piccante, in un dolce di datteri e nocciole, il tutto annaffiato da un mix di lampone e arancio.

‘Sai, la mia religione non consente alcolici. E, a casa, devo rispettarla.’

La mia complicata mente mordace si chiedeva se, però, consentiva quello che avevamo fatto.

Comunque non aveva importanza.

‘Devi tornare subito in albergo?’

‘Non mi attende nessuno.’

‘Puoi dormire qui?’

‘Certo.’

”. Con’ me?’

‘Dormire?’

Mi guardò provocante.

”dopo”

Andammo nella sala adiacente. Un enorme schermo televisivo mostrava uno spettacolo folcloristico del luogo. Sedemmo di fronte. Venne direttamente a rifugiarsi tra le mie braccia.

Una danzatrice si muoveva, con grazie ed eleganza.

‘Vedi, sta comunicando a lui che lo desidera. Devo farti la stessa danza?’

La strinsi forte a me.

Non lasciò trascorrere molto.

‘Vieni, ti mostro dove staremo.’

Una camera sontuosa, con un’immensa alcova, ricca di cuscini e di sete.

‘Di là troverai come rinfrescarti e una comoda vestaglia.’

Mi indicò una porta.

‘Io torno subito.’

Andò verso l’uscio, sulla parete opposta.

Era un locale vasto, con tutto il necessario, in alabastro. E, al piolo dell’attaccapanni, una larga vestaglia, azzurro chiaro.

Si, avevo bisogno di schiarirmi le idee. La doccia era quello che vi voleva.

Non ci misi molto a rientrare, paludato in quella specie di gellaba.

Il letto era ancora vuoto. Mi ci sdraiai. Già sufficientemente eccitato e agitato.

Aisha apparve come se uscisse dalla schiuma del mare, come Venere, ma più bella di venere. I lunghissimi capelli le carezzano il seno, i glutei, e si confondevano coi riccioli del pube. Procedeva come se sfiorasse il suolo, sorridente e splendida. Tutto quello che indossava era la sua pelle ambrata, serica, e la precedeva un profumo inebriante, stimolante.

Si chinò su di me, aprì la mia tunica, mi aiutò a toglierla. Carezzò il fallo che s’ergeva prepotente. Nel mentre si poneva su me le presi un capezzolo tra le labbra e lo succhiai avidamente. Lei, intanto, si sorreggeva sulle ginocchia, e, divaricate le gambe, stava indirizzando il mio glande violaceo verso il rosa che s’apriva tra le sue grandi labbra. Sentii l’umido tepore del suo sesso, e poi, mi parve di salire al settimo cielo, mentre Aisha, con maestria, si faceva penetrare, avvolgendomi, suggendomi, fin quando non sentii che avevo raggiunto il suo utero fremente.

Anche la suggestione ha la sua parte, in ogni cosa. Ma quello che provavo era vero e reale. Nessuna descrizione delle Mille e una notte ha mai potuto rappresentare la voluttà che sapeva donarmi questa novella Sheherazade, questa meravigliosa e instancabile Walkiria araba, raffinata e sensuale, prodiga nel dare piacere, avida nel pretenderlo. Non avevo mai avuto, né ebbi mai in seguito, una simile visione incantevole. La danza del ventre doveva averle insegnato tutto, perché mi sentivo travolto in lei, completamente in suo potere, oggetto e soggetto di piacere, di voluttà. E mai più simultaneo fu il piacere che donammo. Le nostre linfe si fusero, e sentii che la sua vagina si adoperava abilmente per spargere dovunque, in sé, il balsamo che mi aveva munto.

Aisha, certamente, non voleva limitarsi a quello che, credo, considerava un primo contributo alla sua passione, ma aveva il garbo di saper attendere le reazioni del suo non giovanissimo partner. Contava sulle sue arti erotiche, e ne aveva ben ragione, erano infallibili. Per cui ne profittò, ondeggiando voluttuosamente sotto di me mentre cercavo il mio e suo piacere, ancora una volta.

‘C’&egrave un invito, nella mia lingua’ ‘mi sussurrava nell’orecchio- ‘riponi il tuo brando nella mia guaina. E mai brando mi fu più confacente, più appagante’ inebriante’ si’ siiii’ così’..aaaah!’

L’alba ci colse, spossati ma non domi.’

Eravamo intesi che avrebbe mandato a prendermi con la solita auto, quella stessa che mi aveva riportato in albergo.

Salii in camera, dovevo riordinare le idee, rendermi conto se avevo sognato o meno. Una certa stanchezza mi diceva che qualcosa era accaduto, e il solo ricordo faceva passare ogni affaticamento e mi ridava vigore. Potenza della femmina: avrebbe resuscitato anche i morti, ed io non lo ero ancora.

Una doccia ristoratrice era quello che ci voleva. Ed anche un riposino.

Fui svegliato dall’insistente trillo del telefono. Era da poco passato mezzogiorno. Non mi ero accorto di aver dormito tanto.

Il centralinista mi avvertì che il ministro’. voleva parlare con me.

Era il ministro in persona, Cordiale come sempre, gentile più che mai.

‘Caro Monsieur Martini, volevo essere il primo a informarla che vi &egrave stata una serie di strane coincidenze che ha fatto credere siano sorti ostacoli’ lei mi capisce. Tutto un malinteso, &egrave già tutto sistemato. Lei può rassicurare il suo Ente. Non parta, però, senza venirmi a salutare. O vuole che venga io?’

‘Certamente no, signor ministro, quando posso venire?’

‘Quando vuole, si assicuri solo che sono in sede. L’attendo. A’ bientot”

L’auto mi ripercorse lo stesso itinerario, non sapendo cosa portarle, avevo comperato la più grande scatola che avevo trovato di ‘Baci’, tipico prodotto di Perugina. Sapevo che avrei fatto una figura meschina’

Infrangendo etichetta e prudenza, Aisha, seducente, attendeva al limitare della villa, sulla grande vetrata d’ingresso. Questa volta la tunica era del colore della giada. Andammo nel salotto nel quale m’aveva ricevuto il giorno prima. Le chiesi scusa per la modestia della cosa, pregandola solo di considerare il mio devoto, soprattutto ardente. Sentimento che mi aveva fatto osare.

Scartò con la curiosità della bambina.

‘Oh, mon cheri,, baci e per di più di Perugina, dove ti ho incontrato la prima volta, dove ho desiderato un tuo bacio. Embrasse moi, je t’en prie.’

Si buttò tra le mie braccia. Un bacio lungo, appassionato e tenero.

Le carezzavo i lunghi capelli, fino in fondo, sul suo sederino splendido e provocante.

‘Ti ringrazio per il tuo determinante intervento.’

Fece finta di meravigliarsi.

‘Quale?’

‘Sai come diciamo noi? Non fare la finta tonta”

‘Finta tonta?’

‘Oui, faire le Jacques.’

Ma io, mon cherie, non sono Jacques, e nemmeno Jacqueline..’

Le chiusi la bocca con un bacio.

‘Grazie, tesoro mio.’

‘Tutto qui ton merci?’

La guardai interrogandola con gli occhi.

‘Voglio fare l’amore con te’faire l’amour’villico. Tu comprend villico, significa adesso! Je te désire’ te veux”

Mi spinse sui soffici cuscini, con gesti rapidi ma precisi, mi liberò della giacca, dei pantaloni, del resto, lasciò cadere la tunica e s’impalò freneticamente, col grembo che sembrava delirante, sconvolto, avido, insaziabile, e così, fin quando un lungo gemito soffocato non mi stimolò a lasciarmi andare, a invaderla col mio seme infuocato che accolse con ancor più foga, senza soffocare, questa volta il grido che le usciva dalle labbra socchiuse.

Non glielo dissi, ma lo pensai: quel coup! Che scopata!

Sicuramente lei pensava la stessa cosa.

Ci riordinammo alla meglio, e venne a sedere sulle mie ginocchia fino a quando non avvertì che lei era pronta per la cena.

Cibi leggeri e raffinati: ostriche, saporose erbette, datteri freschi’

Questa volta non attese nemmeno lo spettacolo folcloristico.

Mentre ci recavamo nella camera col largo letto, mi chiese se, per farmi tornare, doveva far sollevare nuovi ostacoli alla mia società

Le dissi che sarei tornato più spesso di quanto avrebbe potuto desiderare.

Divenne pensosa, quasi triste.

‘Dovremo anche fare i conti con la presenza di mio marito.’

‘Sei sposata Aisha?’

‘Certo, &egrave un diplomatico viaggiante, spesso all’estero, per fortuna. Torna domani. Ma quando saprò che deve andare in missione ti avviserò, ti telefonerò, e tu verrai da me. Promesso?’

‘Non attenderò che il tuo segnale. Ma perché non vieni in Italia? Non &egrave possibile in visita privata, privatissima, in un cottage in riva al mare?’

‘E’ quasi impossibile, fuori della mia terra sarei sorvegliatissima e non avrei, come ora, persone delle quali posso fidarmi ciecamente. Sarebbero disposte a morire ma non a dire quello che io desidero che si taccia.’

‘Domani, quindi, torna tuo marito?’

Annuì senza rispondere.

Si spogliò e andò a sdraiarsi sul letto.

‘Vieni, mon cheri, non &egrave ancora domani, almeno fino all’alba. Voglio sentirti mio.’

E mi volse le spalle, allungando la mano per guidare il mio imperioso fallo tra le sue natiche, fino alla sua palpitante vagina. Con una mano le titillavo il clitoride fremente e con l’altra le tormentavo i capezzoli.

E non fu che l’inizio d’una notte indimenticabile.

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