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Improvvisamente sua

By 18 Agosto 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Il mio cuore batte talmente forte che quasi lo sento esplodere nel petto, mentre percorro a passo spedito il parcheggio del ristorante, quasi completamente immerso nel buio, se non fosse per qualche lampione la cui luce fioca illumina i contorni delle aiuole fiorite.
Vedo lui comodamente seduto in auto, voltato nella mia direzione. Lo raggiungo, mi guardo intorno furtiva, entro e richiudo rapidamente lo sportello.
Ora ci siamo solo io e lui. Non conosco il suo nome. Non so chi sia. Ho, a stento, avuto modo di udire il suono della sua voce, eppure mi sento come se fossi sua. Come se lo fossi sempre stata, anche prima di stasera, anche quando non sapevo della sua esistenza.
Solo un paio d’ore fa entravo in quel locale ignara della piega che avrebbe preso la mia vita. Mi aspettava una tranquilla cena in famiglia. Io, il mio fidanzato e i nostri genitori, fratelli e sorelle.
La telefonata della mia migliore amica mi colse nella pausa tra gli antipasti e il primo, costringendomi ad alzarmi e congedarmi per qualche minuto dagli altri commensali. A testa bassa per non inciampare in borse e sedie mi diressi verso l’uscita, dove la ricezione sarebbe stata migliore e la musica non avrebbe disturbato la conversazione.
Fu proprio sulla soglia che lo incontrai. O, per meglio dire, mi scontrai con lui. Gli andai letteralmente addosso mentre apriva la porta del ristorante. Era molto più alto e pesante di me, la mia testa batté con decisione contro il suo torace, ma lui non ne risentì affatto. Io, invece, venni spinta appena all’indietro. D’istinto, mi afferrò dalle spalle per non farmi cadere. Alzai gli occhi, perdendomi subito nei suoi. E nel suo sorriso, cordiale e diabolico al tempo stesso.
‘Dovresti fare più attenzione’ mi disse mentre le sue mani grandi e forti mi tenevano le spalle.
Arrossii violentemente. ‘Mi scusi’ balbettai, senza far nulla per sottrarmi alla sua presa. Quando mi lasciò, avrei voluto non lo facesse. Rimasi impalata a guardarlo mentre prendeva posto al tavolo accanto al nostro. Solo quando si sedette e mi lanciò un’occhiata, mi sforzai di distogliere l’attenzione da lui e, rossa come un peperone, quasi corsi fuori premendo il tasto verde sul telefono che ancora non smetteva di squillare. Quei pochi secondi mi sembrarono durare un’eternità. Misi in fretta fine alla telefonata e tornai dentro, ansiosa di rivederlo. Era seduto da solo, proprio di fronte a me.
Il resto della cena fu un tormento. Sentivo i suoi occhi su di me. Ero imbarazzata. Eppure non riuscivo a fare a meno di cercarlo con lo sguardo. Quasi mi innervosivano le sue distrazioni. Le volte in cui i suoi occhi si posavano sullo schermo del cellulare, o sulla tv appesa al muro, o su quella smorfiosetta di cameriera che civettava con lui ad ogni occasione. Volevo le sue attenzioni solo per me. Come le mie erano solo per lui. Di tanto in tanto i nostri occhi si incrociavano, e allora sentivo un’ondata di calore investirmi il basso ventre e risalire fino ad incendiarmi il cervello. Un paio di volte provai ad ingelosirlo. Soprattutto quando quella dannatissima cameriera perdeva tempo al suo tavolo ridacchiando come un’oca alle sue battute. Allora io mi stringevo al mio ragazzo, lo accarezzavo, lo baciavo. Guardando lui con la coda dell’occhio. E ottenendo di rimando solo un’espressione che sembrava quasi un ghigno sarcastico. Dannazione! Volevo farlo ingelosire e invece così facendo gli davo solo più certezze circa le mie condizioni.
In breve, la situazione degenerò. In uno dei nostri incroci di sguardi, i suoi occhi scorsero dal mio volto al mio collo, fino al petto. In maniera talmente intensa che sembrava quasi mi stesse accarezzando. Mentre tenevo le labbra schiuse, col respiro che quasi si faceva pesante, tornò a fissarmi negli occhi. E lì capii. Voleva vedere di più. Senza smettere di fissarlo, slacciai un bottone della camicetta, mostrando una scollatura generosa e dal contenuto decisamente abbondante. Un suo cenno d’assenso mi fece capire che avevo intuito in modo corretto la sua tacita richiesta. E che ciò che vedeva era molto apprezzato. Lo stesso accadde quando i suoi occhi si posarono sulle mie gambe. E io non mi feci pregare per aprirle appena sperando, in cuor mio, che in qualche modo riuscisse a scorgere la macchia d’umido che sentivo spandersi sulle mutandine. Lo stavo assecondando in tutto senza sapere neppure perché. E la cosa mi gratificava ed eccitava da impazzire.
Quando andò in bagno, aspettai qualche istante e lo seguii. Fingendo di rassettarmi allo specchio della sala comune ai due sessi, aspettai che finisse ed uscisse per lavarsi le mani proprio accanto a me. ‘Sei stata brava’, mi disse, mentre si insaponava, senza neppure guardarmi. Mi sentii come una bambina che prende la sua prima lode a scuola. Ma diedi fondo a tutta la mia buona volontà per mascherarlo. ‘E’ stato uno sbaglio, mi sono lasciata prendere la mano’ gli dissi, con aria seria, ma con le farfalle nello stomaco.
Lui non fece una piega. Si voltò verso di me: ‘Si. Infatti. Ti sei comportata proprio da puttana’. Non feci in tempo a replicare. E non avrei saputo come farlo, aveva ragione. ‘E’ intrigante vedere le reazioni di una brava ragazza che si accorge di non essere tale’. Mi sentii quasi mancare. Avrei dovuto essere offesa, ma provavo tutt’altro. Tentai di dissimularlo. ‘Ma come ti permetti!’. Lui non sembrò toccato dalla mia messinscena. ‘Innanzitutto, dammi del lei, mocciosa. Quanto hai, 25 anni? Io 15 di più, quindi cerca di portare rispetto’. Frastornata, restai in silenzio, e non riuscii a muovermi neppure quando fece scorrere una mano lungo tutto il mio corpo, sfiorando i miei capezzoli talmente turgidi da bucare quasi il tessuto e scendendo per poi risalire al di sotto della gonna. Chiusi gli occhi e sospirai, pregustando il contatto della sua mano calda con la mia figa ormai ridotta a un lago, ma lui si interruppe qualche istante prima di arrivarci, lasciandomi carica come una molla. ‘Io qui ho finito’ mi disse ‘Ti aspetto in auto per un saluto veloce’. Non feci in tempo a controbattere, ma lui concluse come se l’avessi fatto, anticipando la mia obiezione: ‘Trova una scusa credibile per assentarti una decina di minuti’. Uscì lasciandomi immobile a fissarlo, con un lago tra le gambe e portandosi via la mia convinzione di essere una brava ragazza.
E ora, sono qui, china su di lui per compiacerlo nei pochi minuti che ha a disposizione e senza che neppure me l’abbia chiesto. Anzi, senza che neanche abbia aperto bocca, limitandosi a rivolgermi quel suo maledetto, irresistibile, diabolico sorriso.

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