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Racconti Erotici Etero

Io e Martina.

By 23 Ottobre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Io e Martina siamo una coppia molto affiatata. Con gli anni abbiamo avuto molte occasioni per realizzare molte delle nostre fantasie più nascoste, anche se nella maggior parte dei casi ero io ad avere le fantasie più porche. Martina sotto questo aspetto &egrave una ragazza molto tranquilla. Io invece, di fantasie porche su di lei ne avevo sempre avute. Ricordo che quando stavo al primo anno dell’università ebbi la prima fantasia cuckold. A quel tempo io e Martina stavamo insieme da tre anni. Ebbene, ricordo che scrissi sulla parete del bagno dei maschi, a matita, la frase seguente: “alla mia fidanzata piacciono i grossi cazzi neri”. Mentre scrivevo mi venne un erezione fantastica, e così continuai la frase: “mentre si fa scopare da un enorme cazzo nero a me piace guardare”. Era la prima volta che avevo una fantasia del genere. Poi tornai a casa e ripensando a quello che avevo scritto, e soprattutto immaginandomi Martina che scopava con un ragazzo di colore, mi masturbai fino a sborrare. Cazzo, quanto sborrai!
Passato il momento della foga ebbi un attacco di rimorso. Come avevo potuto scrivere una cosa del genere sulle pareti di un cesso? E se qualcuno avesse riconosciuto la mia calligrafia? Cosa avrebbero pensato di me, e soprattutto di Martina? Magari avrebbero potuto pensare che Martina fosse una puttanella. Questa cosa mi fece andare nel panico, e non riuscii a dormire. Dovevo assolutamente cancellare quella scritta. Per fortuna l’avevo scritta con la matita, quindi sarebbe bastata una gomma a cancellare tutto. Così il giorno dopo mi svegliai presto e andai a riparare al mio sbaglio. Ma l’idea, la fantasia cuckold, da quel giorno, ritornò altre volte, anche mentre facevo l’amore con Martina; lei mi stava sopra e io le allargavo le natiche con le mani, e immaginavo che ci fosse un altro uomo dietro di lei, con un cazzo mostruoso puntato contro il suo orifizio anale, pronto a incularla. L’idea mi faceva impazzire.
Io credo che ogni uomo dovrebbe confessare le proprie fantasie alla propria donna. Certo, mi rendo conto che non &egrave così facile come sembra. Però sono dell’idea che fare porcate insieme aiuta la coppia a solidificarsi. Cos’&egrave che ci frena? La vergogna forse. Perch&egrave dovremmo vergognarci di fronte alla donna con cui abbiamo deciso di trascorrere la nostra vita?
La prima porcata che avevo confessato a Martina, se di porcata possiamo parlare, fu il mio desiderio di praticare il nudismo con lei. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che il nudismo non &egrave una porcata. Infatti non lo &egrave se lo si fa senza malizia. E invece io lo facevo con malizia. In parte per esibizionismo, lo ammetto, e in parte perch&egrave mi piaceva l’idea che altri uomini potessero vedere la mia Martina nuda. Devo dire che in principio lei era un pò scettica. Mi disse che si sarebbe vergognata da morire. E allora io cercai di farle capire che non c’era niente da vergognarsi dal momento che anche gli altri sarebbero stati nudi. Ci volle un pò di tempo, e non mi disse subito di sì. Ma poi, per puro caso, un estate ci trovammo nei pressi di una spiaggia nudista e le proposi di fermarci lì. Il posto era frequentato prevalentemente da uomini, e devo dire che mi venne subito un pò di ansia. E se qualcuno avesse tentato di molestare Martina? Cercai di non pensarci e mi tolsi i vestiti di dosso, e poi tirai giù anche il costume. Martina mi fece un sorrisetto imbarazzato e poi cominciò a spogliarsi anche lei. Gli occhi di molti uomini erano puntati su Martina, mentre eseguiva quel lento spogliarello. Liberò le sue tette dal pezzo di sopra e infine tolse anche il pezzo di sotto. Notai che alcuni degli uomini che la guardavano stavano avendo delle discrete erezioni, e la cosa mi fece arrapare un casino.
Ricordo che c’erano diversi guardoni a cui piaceva segarsi. Uno in particolare non faceva che girarci attorno. Essendo una coppia fresca di ventincinque anni forse si aspettava che avremmo ceduto a qualche tentazione della carne. Il guardone era un uomo di mezza età, una pancia che sembrava un cocomero e un cazzetto minuscolo. Mi venne voglia di accontentarlo, di dargli un pò di quello che si aspettava da noi. Ero molto eccitato, ma avevo anche un pò paura. Più che altro per Martina. E se quell’uomo fosse stato un malintenzionato? Ma pur volendo, pensai, non sarebbe mai stato in grado di infilare il suo piccolo cazzetto moscio nel corpo di Martina. Non avevo nulla da temere, era solo un guardone e voleva soltanto uno spettacolo. E io volevo darglielo. Martina era distesa sul telo a pancia in giù, e così cominciai a spalmarle la crema protettiva sulle cosce, e man mano salii fino al culo su cui mi dedicai con più energia, premendoglielo e accarezzandolo. Poi guardai l’uomo per accertarmi che fosse ancora lì a guardarci. Era ancora lì, e ci fissava e si toccava con due dita il piccolo cazzetto. E così allargai le natiche di Martina, affinch&egrave l’uomo ne vedesse bene l’orifizio anale stretto, ancora vergine. Le tenni aperte per un pò, volevo offrire al guardone lo spettacolo del buchetto di dietro di Martina, e lui lo vide, lo desiderò, era in estasi, glielo leggevo in faccia che gli sarebbe piaciuto leccarglielo, succhiarglielo. Con il dito medio glielo accarezzai e lei ebbe un sussulto.
“Che fai?” mi domandò.
“Niente. Avevi un pò di sabbia. Te la stavo togliendo”.
Poi l’uomo capì che non saremmo andati oltre, e se ne andò. Perch&egrave in effetti non saremmo andati oltre. Martina non si sarebbe mai messa a fare porcate in luogo pubblico. O perlomeno, era quello che credevo allora.
Il sesso anale era per Martina un tabù. Ricordo che una volta ne parlammo con alcuni amici. Eravamo a cena e qualcuno se ne uscì con quell’argomento, e Martina disse che trovava quella pratica piuttosto animalesca, e lo disse in maniera negativa. Non ci si poteva sbagliare nell’interpretare il suo parere: per Martina il sesso anale era una pratica fuori discussione. E allora uno dei nostri amici, quello che aveva intavolato quella discussione anomala, disse che sì, era una pratica animalesca, perch&egrave infondo l’uomo &egrave un pò animale.
“Molto animale” aggiunse Martina. “Anzi, proprio porco”.
La discussione terminò in una risata collettiva. Ma l’argomento per me non era chiuso, e così provai a stuzzicare Martina in questo senso, ma non con le parole, bensì con i fatti. Ovvero, quando facevamo l’amore io di tanto in tanto le stuzzicavo l’orifizio anale con un dito, ma lei si ritraeva sempre, facendomi capire che la cosa non era di suo gusto. Qualcosa cambiò quando un giorno mi trovai a leccarle la vagina, e allora decisi di osare e con la lingua raggiunsi il buchetto casto del culo. Questa volta non si negò, anzi sembrò apprezzare. E ancora, la volta successiva che mi ritrovai a leccarle la vagina ci andai più pesante. Lei stava col culo verso l’alto, le natiche oscenamente aperte e il suo buchetto anale indecentemente in vista. Praticamente me lo stava sbattendo in faccia. E così mi ci avventai contro, e lo leccai come se fosse il frutto più saporito del mondo. E lo era davvero. E nel frattempo con le dita la sgrillettavo, e con la lingia le davo delle intense pennellate al buchetto immacolato che c’aveva tra le natiche. E lei non protestò, anzi sembrava volermene offrire di più, inarcando maggiormente la schiena. Sentivo il buchetto strettissimo contro la lingua, il suo sapore era meraviglioso. Poi lei raggiunse un intenso orgasmo.
Se dovessi dirvi uno dei difetti di Martina, vi direi subito che &egrave il suo modo di vestire. Anzi, era. Perch&egrave per fortuna con il tempo i suoi gusti sono molto cambiati. Forse anche grazie ai miei consigli. Quando ci siamo conosciuti vestiva in modo piuttosto maschile, in modo sgraziato direi, mai una minigonna, mai un paio di tacchi a spillo, insomma poco femminile. In principio non lo vedevo come un difetto, ma col passare del tempo mi resi conto di volerla vedere in un altro modo, un pò più porca tanto per intenderci. Martina ha davvero un bel corpo, eppure non faceva niente per valorizzarlo. Per questo motivo ho sempre avuto molto piacere nell’accompagnarla a comprare vestiti. Molti uomini odiano questa cosa, cio&egrave girare per negozi insieme alle proprie donne. Io no. Il motivo che mi spinge a farlo &egrave spingerla a comprare vestiti che altrimenti non comprerebbe mai. E parlo di quel genere di vestiti in grado di valorizzare il suo corpo. Una volta le consigliai un vestitino nero, molto corto, ma così corto che quasi le si poteva vedere il sorriso delle natiche. Lei ebbe da ridire, ma poi decise di prenderlo.
“Non sarà un pò eccessivo?” mi chiese.
In effetti lo era. La prima volta che lo indossò eravamo in una località balneare. Era sera, e uscimmo a fare due passi al centro. Gli uomini se la mangiavano con gli occhi. Con quel vestito sembrava una pornodiva, e questo mi speventò e mi eccitò allo stesso tempo. Si giravano tutti a guardarla, e qualcuno commentava. Per esempio quando passavamo due uomini soli, li vedevo che si giravano a guardarla, poi si dicevano qualcosa tra loro e ridevano. Potevo solo immaginare cosa dicessero.
“Guarda che maiala”.
“Sì, una vera porca”.
Eppure la porca in questione era la mia fidanzata, e quegli ipotetici commenti un pò mi ferivano, ma mi eccitavano tantissimo allo stesso tempo.
“Quella &egrave una che c’ha fame di cazzo”.
“Sì, &egrave una troia DOC” e così via.
Abbiamo conosciuto Sabrina al suo negozio di lingerie. In verità ero stato io a conoscerla, nel senso che ci andavo da solo. Ero un cliente abituale. Mi piaceva comprare a Martina della lingerie particolare, e Sabrina in negozio aveva il meglio del meglio della lingerie più porca sul mercato. Andavo al negozio sempre da solo, e Sabrina mi vedeva spesso, così un giorno mi disse:
“Di’ un pò, ma per chi &egrave tutta questa lingerie che compri?”.
“Per la mia fidanzata, si chiama Martina”.
“Sei molto dolce. E lei dev’essere una ragazza molto fortunata. Perch&egrave non la porti qui, qualche volta? Mi farebbe molto piacere conoscerla. E magari, se la vedo di persona, potrei consigliarle anche qualcosa di più particolare da indossare. Non credi?”.
“Sì certo”.
E così la volta dopo ci andai con Martina. Sabrina l’accolse come una vecchia amica che non vedeva da anni. La portò in uno dei camerini e la fece spogliare, e gli fece indossare centinai di completini porchissimi. Alla fine Martina ne scelse cinque e, colpo di scena, Sabrina decise di non farceli pagare. Ce li regalò e ci disse:
“E ora filate a casa e divertitevi. Però poi voglio il reseconto nei minimi particolari. Anche quelli più sporcacciosi”.

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/03/io-e-martina.html Quando non ero con Angelo ero all’università. Dovevo portare a termine il mio percorso formativo, e dovevo farlo al più presto. Ero già fuori corso di un anno, e non volevo attardarmi ancora di più. Tra i miei esami universitari finali ne avrei dovuto scegliere uno facoltativo; ebbene, mi guardai intorno, mi feci consigliare dalle mie amiche, e tutte mi sconsigliarono semiotica dell’erotismo. Ma io non ascoltai quei consigli e mi ci iscrissi, più per curiosità che per altro. La prima volta che entrai in aula, ricordo che avevo una minigonna, così corta che di tanto in tanto ero costretta a tirarmela giù, per non rischiare che mi si vedesse il perizoma. Mi guardai intorno e c’erano soltanto maschi che mi guardavano come degli allupati. Mi feci avanti tra i banchi per raggiungere la prima fila; si era fatto un gran silenzio, poi qualcuno bisbigliò qualcosa: ‘che topa!’.
Mi misi a sedere e accavallai le gambe. Presi il mio quaderno degli appunti e feci finta di leggere qualcosa. Ero davvero in imbarazzo; mi fissavano tutti. Ad un certo punto sentii il rumore che fa la zip dei pantaloni; quello che stava di fianco a me aveva tirato fuori il cazzo e aveva un erezione da paura.
– Che ne dici se ci divertiamo un po’?
– No grazie ‘ gli risposi cercando di non guardargli il membro.
Per fortuna arrivò il professore, e il mio vicino di banco si rimise l’attrezzo nei pantaloni. Il professore si chiamava Oscar. Era un uomo sulla cinquantina, distinto, che quando mi vide mi fece un sorriso e poi prese posto dietro la cattedra.
– Vedo che oggi abbiamo una nuova iscritta ‘ disse. ‘ Davvero lodevole da parte di una ragazza. Beh, se le cose di cui parleremo le potranno sembrare un po’ scabrose, la prego di tapparsi le orecchie.
Il professore cominciò a parlare di esempi di erotismo nella storia della letteratura; confesso che ci capivo poco e niente, anche perché mi ero persa le prime due lezioni. Però mi piaceva quello che diceva. E poi non so perché, ma c’era qualcosa nel suo modo di guardarmi (e mi guardava in continuazione) che mi ipnotizzò. Vedevo i suoi occhi concentrarsi soprattutto sulle mie cosce, e più mi guardava e più mi veniva voglia di fargli un pompino e di farmi schizzare in faccia. Cercai di capire cos’era quella strana attrazione; non me lo spiegavo, ancora una volta subii il fascino di un uomo maturo, e mi vennero un sacco di idee porche. E non so perché lo feci, ma mentre per l’ennesima volta mi guardò le cosce, io le allargai, affinch&egrave potesse vedere la lingerie che portavo sotto la gonna, cio&egrave un perizoma rosso. Ma fu per un breve attimo, poi ritornai ad accavallare le gambe, e lui mi sorrise.
Non ero conscia di quello che mi stava succedendo, eppure ero nelle sue mani. Sognai ad occhi aperti di essere la sua schiava del sesso, di servirlo e riverirlo, e di essere usata come un oggetto del piacere ogni volta che lui ne avesse voglia. C’era qualcosa nei suoi occhi che mi faceva pensare quelle cose, e all’improvviso feci una cosa che mi lasciò piuttosto perplessa. Sillabai qualcosa verso di lui, muovendo le labbra senza emettere alcun suono, affinch&egrave fosse solo lui a capirmi. S-c-o-p-a-m-i. Questo dissero le mie labbra, e lui mi sorrise ancora.
Alla fine della lezione ripresi le mie cose con l’intenzione di sgattaiolare fuori dall’aula per non tornarci mai più, ma il professore fu più veloce e mi chiese di andare verso di lui.
– Venga signorina, non abbia paura.
A piccoli passi mi avviai verso di lui, con la fronte bassa perché ero molto imbarazzata per come mi ero comportata prima. Gli altri studenti erano andati via tutti, e io avevo paura di guardare l’insegnante negli occhi. Se i suoi occhi avevano fatto quell’effetto su di me, cosa avrebbero fatto adesso che eravamo soli, io e lui?
– Ho notato, con molto piacere, che la lezione &egrave stata di suo gradimento. Me ne compiaccio. Lo so che questa &egrave una materia un po’ difficile da accettare per voi ragazze, e infatti lo dimostrano i numeri. Lei &egrave la prima ragazza a frequentare questo corso da almeno cinque anni a questa parte. Cosa l’ha spinta a iscriversi?
– Ma io’ veramente’ – non avevo la più pallida idea di cosa dire. ‘ In verità non lo so.
– Si calmi, signorina ‘ continuò. ‘ Lei come si chiama?
– Martina, professore.
– Martina, sarei molto felice se lei rispondesse alla mia domanda stasera, a cena. A casa mia. Cosa ne dice?
Stavo per dirgli che mi sembrava una follia, che avevamo circa venticinque anni di differenza, e che sinceramente gli insegnanti che fanno i maiali con le proprie alunne non mi andavano a genio. Però poi i suoi occhi fecero di nuovo lo stesso gioco di prima, mi accecarono, e allora mi vidi tutta la scena davanti agli occhi, noi due su un comodo divano, e io che gli stringevo il membro eretto in mano e che lo facevo godere. Fui fulminata da quell’immagine.
– Sì ‘ sussurrai, – va bene.
– Allora siamo d’accordo ‘ poi mi scrisse su di un pezzo di carta il suo indirizzo. ‘ Ecco, l’aspetterò con ansia. Ma prima passi dal mio ufficio, dove la mia segretaria le darà un vestitino che mi piacerebbe che lei indossasse questa sera.
– Va bene professore.

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/04/semiotica-dellerotismo.html Passai dall’ufficio del professor Oscar, e la segretaria, una racchia brutta e scorbutica, mi diede un pacchetto rosso chiuso con un nastro di satin nero. Quando ritornai a casa (vivevo ancora con i miei genitori, i quali erano sempre via per lavoro) e fui da sola nella mia cameretta, lo aprii, e dentro c’era un vestitino nero molto corto e stretto, e quando lo indossai mi resi conto che non riusciva a coprire del tutto le natiche, e se cercavo di tirarlo giù mi uscivano fuori le tette. Era imbarazzante, come se fossi nuda. E tentavo e ritentavo, ma il risultato era sempre lo stesso; assomigliavo ad una pornodiva. Guardai l’orologio e capii che era ora di andare, così raccolsi la borsetta e mi avviai verso la porta.
Fuori al portone di casa era parcheggiata una lussuosa limousine. Mi domandai di chi fosse; nel nostro isolato abitavano certamente un sacco di professionisti, di quelli che non badavano a spese. In realtà non ci feci neanche tanto caso, perché auto di quel genere ne vedevo spesso lì nei paraggi, così me ne andai per la mia strada quando ad un certo punto sentii qualcuno che mi chiamava.
– Signorina ‘ mi girai verso la limousine e vidi un’autista in uniforme che si sbracciava per attirare la mia attenzione. ‘ Signorina, venga. Sono l’autista del professor Oscar, mi ha incaricato di venirla a prendere.
L’autista era un elegante signore di mezza età, con modi di fare da lord inglese, e quando mi avvicinai alla macchina lui mi aprì la portiera con un gesto delicato, togliendosi prima il cappello con la visiera, e allora io mi accomodai sul morbido sedile e lui richiuse lo sportello e fece il giro della macchina per mettersi al posto di guida. Non dissi una parola per almeno dieci minuti, perché mi domandavo in continuazione come facesse a sapere dove abitavo. Poi però mi resi conto che per lui non doveva essere tanto difficile rovistare tra i documenti dell’università; da qualche parte infatti doveva esserci anche una mia scheda con i dati personali. Ma sì, mi dissi, un giochetto da ragazzi.
– Il professore &egrave davvero fortunato ‘ disse ad un certo punto l’autista, il quale nonostante il caos di macchine che c’erano in giro, riusciva a mantenere sempre una pazienza spropositata.
– Perché?
– Cenare con una creatura delicata e raffinata come lei, se questa non &egrave fortuna, mi dica signorina, lei come la chiama?
– Lei come si chiama?
– Oh beh, io mi chiamo Armando, signorina. Armando.
– Armando, immagino che il professore abbia più denaro di quanto si possa immaginare, se ha mandato una limousine a prendermi.
– Beh, il professore non può lamentarsi di questo ‘ rispose. ‘ Con il tempo, &egrave riuscito a mettere via una discreta somma di denaro per vivere nell’agiatezza. A proposito, quasi dimenticavo di dirle che il professore ha registrato un messaggio vocale per lei. &egrave pronta ad ascoltarlo?
– Va bene Armando, me lo faccia sentire.
Con una mano l’autista cercò un cd all’interno del cruscotto, e lo inserì nello stereo della limousine. A quel punto la voce calda di Oscar mi fece venire i brividi, tormentandomi come un mare burrascoso, ed io ero come su di una barchetta instabile, ed ero nelle sue mani. Tutto dipendeva da come avrebbe usato l’energia delle sue onde. Le sue onde. Le onde vocali. Tornai ad essere come uno zombie sotto l’incantesimo di un rito voodoo.
‘Buonasera Martina. Sono davvero orgoglioso di averla a cena, e non ci sono parole per dimostrarle tutta la mia riconoscenza. A questo proposito troverà accanto a lei un oggetto molto prezioso che mi piacerebbe che lei indossasse’.
Mi guardai accanto e notai un cofanetto a cui prima non avevo fatto caso. Lo presi tra le mani e lo aprii e dentro c’era un meraviglioso collier di diamanti luminosi che poteva valere una fortuna. Rimasi a bocca aperta per qualche secondo, non avevo mai visto niente di più bello, ma riconobbi che stava diventando tutto troppo eccessivo; prima la limousine e adesso quel piccolo tesoro.
– Non posso accettare ‘ bofonchiai.
‘Può accettarlo eccome’ disse la voce registrata, quasi come se avesse previsto quello che avrei detto. ‘Oggi, in aula, ho notato che la natura le ha donato un qualcosa di ancora più prezioso. Le sto parlando del suo seno delicato. Quello sì che non ha prezzo, Martina’.
A quel punto guardai Armando, che però, come un vero professionista, faceva finta di non prestare attenzione a quanto veniva detto, come se all’improvviso fosse diventato un’androide, o qualcosa del genere, un essere senza sentimenti.
‘Ebbene, mi piacerebbe molto vedere quel collier sul suo seno. Lo indossi’ disse la voce di Oscar.
Misi quel piccolo tesoro sul petto e lo allacciai dietro il collo, consapevole che stavo toccando un qualcosa di eccessivamente dispendioso. Poi notai che nella confezione c’era qualcos’altro, sul fondo. Lo tirai fuori ma mi fu piuttosto difficile capirne la sua funzione. Erano quattro palline di plastica fucsia legate da una cordicella, e alla fine di questa c’era un anello dello stesso materiale. Tenni l’oggetto a mezz’aria esaminandolo e chiedendomi quale fosse la sua mansione.
‘A questo punto avrà scoperto che sul fondo della custodia del collier c’&egrave un altro oggetto. &egrave un giocattolo, Martina. Un giocattolo per adulti. Vorrei che lo infilasse nel suo corpo’.
– Cosa?! ‘ esclamai. ‘ Non se ne parla.
A che gioco stava giocando Oscar? Non potevo mica infilarmi quell’oggetto nella vagina, proprio davanti ad uno sconosciuto? Era una follia bella e buona. Così mi impuntai e incrociai le braccia, dicendogli che poteva scordarselo, pure essendo ben consapevole che non poteva sentirmi. Armando mi guardò con la coda dell’occhio, ma soltanto per un istante, per debolezza quasi, e poi ritornò a prestare attenzione esclusivamente alla strada.
‘Mi rendo conto che l’idea potrebbe metterla a disagio, ma le assicuro che Armando non guarderà, e riuscirà a mantenere il segreto in modo impeccabile’.
– Ma che diavolo! E va bene ‘ decisi di accontentarlo, così allargai le cosce e spostai verso sinistra il tessuto del perizoma e avvicinai la prima pallina alle labbra della vagina.
‘Martina, quello non &egrave l’orifizio adatto. Provi con l’altro’ non so come faceva a prevedere le mie mosse, ma mi fece andare su tutte le furie. Stava cercando di dirmi che avrei dovuto infilarmi tutte e quattro le palline su per il retto.
– Ma non se ne parla proprio ‘ dissi tirando le palline sul sedile accanto a me. ‘ Questa &egrave una follia.
‘Martina, le assicuro che dopo questo ulteriore capriccio, non le chiederò nient’altro. La prego’.
– E va bene. Basta che la facciamo finita ‘ poi mi rivolsi ad Armando. ‘ Mi raccomando, lei si trattenga. Continui a guardare la strada, per carità.
– Certo, d’altronde &egrave il mio lavoro.
– Sì sì, tutti uguali voi uomini. Tutti maiali.
A quel punto mi afflosciai sul sedile e alzai le gambe verso il tettuccio e cercai di dilatare quanto più possibile l’orifizio anale. Ripresi le palline e avvicinai la prima in mezzo alle natiche. Ma per quanto mi sforzassi, non c’era verso di farla entrare. Il buco era troppo stretto e troppo asciutto per permetterne l’ingresso.
‘Se ha difficoltà con la penetrazione le consiglio di usare una lozione che troverà sotto il sedile’.
– Ecco, grazie ‘ dissi piuttosto amareggiata. ‘ Poi però, quando saremo faccia a faccia, mi spiega come fa a prevedere le mie azioni.
Presi la lozione, una specie di olio per il corpo, e me ne misi in modo abbondante sulle dita. Iniziai così a massaggiarmi il buco, affinch&egrave si aprisse un po’, e penetrai prima con un dito, poi con due, e quando fu abbastanza largo feci scivolare dentro la prima pallina, che venne letteralmente risucchiata, e mi diede una piacevole sensazione quando si scontrò contro i nervi del condotto. Chiusi gli occhi per l’intenso piacere e quando entrò anche la seconda pallina spalancai la bocca. Stava iniziando a piacermi sul serio. Alla terza pallina mi lasciai andare con un gemito di piacere, e poi toccò alla quarta, e venne risucchiata anche quella. A quel punto restò fuori solo l’anello che c’era alla fine della cordicella.
– E adesso cosa dovrei fare?
‘Si comporti come se non fosse accaduto nulla. La prego di risistemarsi le mutandine e di tirarsi giù il vestito. Lasci il giocattolo lì dov’&egrave, nel suo corpo. A questo punto dovrebbe essere a meno di dieci minuti dal mio appartamento, e questo messaggio sta per terminare. Le auguro un buon proseguimento e spero di vederla presto’.
Mi ricomposi sul sedile e avevo una sensazione di pienezza. Il condotto anale completamente tappato, e ogni movimento e ogni sussulto della macchina faceva scuotere il mio corpo, e così anche le palline fucsia che avevo dentro, e per ogni movimento era una specie di scossa di piacere. Ero quasi sul punto di avere un orgasmo anale. Ed ero così imbarazzata che non rivolsi più la parola ad Armando per il resto del tragitto che ci separava dalla casa di Oscar. E lui dovette capire il mio disagio, dal momento che non cercò in alcun modo di farmi parlare.

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/04/collier-di-diamanti-e-palline-rettali.html Oscar abitava nei pressi di Piazza degli Artisti; quando scesi della limousine ebbi non poche difficoltà a raggiungere il portone dell’edificio. Quelle palline mi davano un piacevole tormento; un passo più lungo e le sentivo scatenarsi nel retto. Mi girai verso Armando e lo salutai con il cenno di una mano e lui fece lo stesso.
Una volta dentro chiamai l’ascensore; Armando mi aveva detto che Oscar abitava all’ultimo piano. Quando la cabina partì le palline mi diedero l’ennesimo colpo e mi fecero raggiungere un sensazionale orgasmo anale, così intenso che mi accasciai a terra a godermi quella sensazione, ma invece di sentirmi sessualmente appagata ebbi l’impressione di essere ancora più eccitata. Ero fuori di me, incosciente, e farneticavo cose, ridendo come una stupida.
– Sono una vacca ‘ e ridevo. ‘ Una vacca in calore.
E allora premetti le natiche contro il fondo dell’ascensore, affinch&egrave le palline ripetessero di nuovo quella magia che mi aveva appena trafitto il cuore. Chiusi gli occhi e ansimai, senza neanche accorgermi che le porte della cabina si erano aperte; e Oscar era lì che mi guardava, mentre premevo il culo contro il pavimento di legno dell’ascensore. Mi accorsi della sua presenza e lo guardai; indossava una vestaglia da notte rossa. Molto probabilmente sotto non aveva altro.
– Tutto bene, signorina Martina?
Ero come incapace di intendere e di volere, quasi sopraffatta dall’effetto di una droga molto potente. E allora lui mi offrì il suo braccio, e io mi ci aggrappai e feci forza per rialzarmi. Oscar mi fece strada verso il suo appartamento, un vero paradiso di cose preziose, e soprattutto c’erano cazzi dappertutto, nei quadri, nelle stampe, sui libri. Ovunque mi girassi c’era la rappresentazione di un grosso cazzo in erezione.
Oscar mi portò verso il soggiorno, e mi fece mettere con le ginocchia sul divano, e con una mano mi piegò il busto verso il poggiatesta. In quel modo era come se gli stessi offrendo il culo; il vestito mi era salito ai fianchi, e sentii le sue dita aggrapparsi al mio perizoma, e lentamente me lo tirò via. Poi prese l’anello legato all’estremità del cordino delle palline e cominciò a tirare. Socchiusi gli occhi e cominciai a mugolare di piacere mentre le palline cominciavano a venire fuori dal mio retto.
Plop! La prima pallina venne fuori. Oscar tirò l’anello ed ecco anche la seconda: plop! E dopo qualche secondo ecco che le altre due: plop! Ppplop! Il giocattolo era ormai fuori dal mio corpo. Guardai Oscar con la coda dell’occhio; si era allentato la cintola della vestaglia, e vidi il suo cazzo indecentemente eretto e svettante verso l’alto. Chiusi gli occhi e mi preparai ad accoglierlo. Era inevitabile. Oscar mi mise le mani sui fianchi e avvicinò la punta del suo cazzo al mio orifizio anale. Il suo attrezzo mi entrò dentro in pochi attimi e iniziò a pomparmi. Cazzo, se era bravo. Ci sapeva fare. Fece su e giù per il mio retto per circa dieci minuti, poi lo sentii uscire e appoggiarsi in mezzo alle natiche. A quel punto il primo schizzo balzò fuori poggiandosi sulla mia pelle. E poi un altro, e un altro ancora. Solo allora ebbi l’impressione di sentirmi appagata sessualmente, e allora mi acquietai sul poggia testa del divano e sonnecchiai per una manciata di minuti.
Al mio risveglio Oscar si era ricomposto, e mi invitò a sedermi al tavolo da pranzo, il quale era stato imbandito con ogni ben di Dio; vini pregiati, arrosto, tartine con salsa tartara e dolcetti farciti. Scesi dal divano e senza neanche rimettermi il perizoma mi avviai verso la tavola; ero così affamata che non aspettai neppure che lui si sedesse, ma agguantai l’arrosto con entrambe le mani e me lo portai alla bocca, e il sugo mi schizzò sulle guance, e allora Oscar mi riempì un bicchiere di vino, e io lo ingurgitai tutto d’un fiato. Dovetti sembrare ai suoi occhi una specie di animale selvatico. Lui mangiò appena appena, piuttosto mi guardò per tutto il tempo, e nei suoi occhi c’era un qualcosa di tenero; ebbi l’impressione di trovarmi di fronte a mio padre. Mi guardò con la stessa tenerezza con cui m’avrebbe guardato lui; voglio dire, non c’era alcun desiderio sessuale nei suoi occhi, come se quello che c’era appena stato non fosse mai accaduto. Eppure m’aveva appena inculata, non potevo essermelo sognata. Avevo ancora il suo sperma appiccicato alle natiche, quindi era stato tutto reale. Nessuno poteva metterlo in dubbio. Il suo seme sulla mia pelle ne era la prova evidente.
– Professore, perché mi guarda in quel modo?
– Mi piacerebbe vederla nuda.
A quel punto smisi di mangiare, fermai addirittura le mie mascelle intente a tritare l’ultimo boccone di carne, e lo guardai dritto negli occhi. Dopo la deflorazione del mio culo, i suoi occhi magnetici non avevano più lo stesso effetto di quella mattina. Era come se l’incantesimo si fosse rotto, e con lui anche il mio condotto anale, il quale cominciava a bruciarmi in modo assai preoccupante. Misi via il piatto e mi alzai dalla sedia e andai verso il centro della sala da pranzo; a quel punto tirai giù il vestito e lasciai che il professore mi ammirasse così, com’ero, il mio corpo senza segreti, la mia vagina depilata, le mie tette, tutto per lui.
– Signorina, lei &egrave bellissima ‘ mi disse. ‘ Bellissima. Ora, per cortesia, si giri.
Mi girai di spalle offrendogli il culo ancora imbrattato del suo seme. Gli permisi di guardarmelo per almeno un quarto d’ora, poi mi girai di nuovo e tornai a guardarlo dritto negli occhi.
– Complimenti davvero. Lei &egrave sorprendentemente disinibita.
– Non mi vergogno del mio corpo.
– Ho in mente grandi cose per lei, signorina ‘ disse. ‘ Davvero grandi cose. Ma dipende tutto da lei.
A quel punto i suoi occhi ritornarono a fare quello strano effetto su di me, e quasi mi comandarono di avvicinarmi, come una gatta, e mi inginocchiai davanti a lui, come se fosse il mio padrone, e gli allentai la cintola della sua vestaglia da notte, aprendogliela, e il suo cazzo, nuovamente in erezione, mi si presentò davanti alla faccia come un totem magico. E io avrei dovuto venerarlo, fedelmente, come un idolo sacro, e allora lo guardai ancora negli occhi, e quasi mi ordinò, senza neppure parlare, di tirare fuori la lingua e laccarglielo da cima a fondo. Presto fatto, spalancai la bocca e feci uscire la lingua, e partendo dai suoi testicoli salii fin sopra, fino al frenulo, e poi accolsi tra le labbra il suo glande pulsante e succhiai, succhiai avidamente, e per quasi mezz’ora, senza mai stancarmi, fino a farlo erompere in una sborrata colossale. Il suo seme schizzò in aria e poi ricadde come il getto di una fontana, finendomi tra i miei capelli. E poi ecco un altro schizzo, e un altro ancora, ma quest’ultimo più debole degli altri, e io lo raccolsi con la punta della lingua, mentre scorreva giù lungo l’asta, e lo ingoiai, gustandomelo come se fosse il succo di un frutto tropicale.
Ero ancora inginocchiata davanti a lui e gli accarezzavo dolcemente le gambe, e lui stappò una bottiglia di spumante offrendomene un bicchiere, e quindi brindammo.
– Brindo alla più grande pompinara che abbia mai conosciuto ‘ quel brindisi mi fece ridere, e dopo aver bevuto ne chiesi dell’altro e lui me ne versò ancora. ‘ Queste belle labbra che ha, d’altronde, sembrano fatte apposta. Il suo corpo parla chiaro, signorina. Lei &egrave una macchina per far godere gli uomini. Ora, mi dica, ho dato un’occhiata al suo curriculum universitario, e ho notato che ha quasi terminato. Ha già chiesto la tesi?
– No, veramente io…
– Cosa ne direbbe di una tesi in semiotica dell’erotismo?
– Cio&egrave, la sua materia?
– Certo. Vedrà, faremo grandi cose insieme. E chissà che magari lei non possa diventare in seguito la mia assistente.
Ero così felice di quella idea che presi un’altra volta in bocca il cazzo del professore, che però era moscio avendo già schizzato ben due volte. Ad un certo punto lui mi fermò, e mi disse che era meglio se ritornavo a casa, a pensare all’argomento della tesi che avremo affrontato. E così mi rivestii e giù al portone c’era Armando, l’autista del professore, che mi riaccompagnò a casa.

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/04/un-brindisi.html L’università procedeva bene, e molto spesso mi incontravo con il professor Oscar per definire i dettagli della tesi che mi apprestavo a scrivere. Il titolo della tesi era: “Il sesso interraziale nel cinema porno contemporanea”. Questo mi avrebbe portato via un bel pò di tempo, perch&egrave mi sarei dovuta documentare molto e poi avrei dovuto fare al più presto una full immersion di film hard interraziali, di cui non ero molto esperta. Mi sarei fatta aiutare di certo dal mio fidanzato. Ero sicura che quel porco ne avesse visti tanti di film porno, del resto come tutti i maschi. Forse avrei potuto chiedere anche a Stefano. In ogni modo, in quei giorni di grande studio, c’era un certo Peo che mi veniva dietro. Peo era un collega che avevo conosciuto al corso di storia dello spettacolo musicale. Era un pò stupidotto, però era carino. Era un musicista fallito, nel senso che aveva studiato pianoforte al conservatorio, da cui era stato cacciato a calci. Lui mi disse che era stato cacciato perché non si atteneva ai dettami accademici, perché la sua creatività cozzava contro le rigide regole imposte dai professoroni. Ma la verità era che Peo non aveva voglia di studiare.
E spesso e volentieri faceva lo sfacciato con me; ovvero, mi offriva il pranzo, e poi mi faceva sempre un sacco di apprezzamenti, diceva che i miei occhi erano la rappresentazione della purezza della mia anima, e altre sviolinate romantiche di quel genere. Insomma, le stava provando tutte pur di portarmi a letto. Ma io gliel’avevo detto e ridetto che era già fidanzata, ma lui non ne voleva sapere di arrendersi. Un giorno come tanti ci incontrammo (per puro caso, come succedeva nella maggior parte dei casi) nei giardini della facoltà. Peo mi chiese di Angelo.
– Come sta il tuo fidanzato?
– Sta bene, ma a te che te ne frega? – domandai, ma col sorriso sulle labbra.
– Me ne frega perch&egrave come avrai intuito, io ho una cotta per te.
– Uuuuhh! Ci risiamo.
– &egrave stato un colpo di fulmine, capisci? Quando ti ho vista per la prima volta ho pensato da subito che tu saresti stata per me una moglie fedele.
– Una moglie fedele? Addirittura! E magari madre dei tuoi figli.
– Sì, esatto. Perché no? Ti prego, dammi almeno una possibilità. Vedrai che non ti deluderò. Usciamo insieme, stasera. Cos’&egrave che ti piace fare? Chiedimi tutto. Vuoi andare al cinema? Ti ci porto. Io esaudirò ogni tuo desiderio, a meno che non si tratti di andare a ballare. Non lo sopporto. Sono impacciato.
– E in realtà &egrave proprio quello di cui avrei voglia.
– Ballare? Accidenti. E va bene. Ti porto a ballare.
– Allora passami a prendere alle dieci. Ma ti avverto, se provi a baciarmi ti do uno schiaffo bello forte.
– No, no! ‘ Peo ebbe un cambiamento repentino di umore, e fu immediatamente su di giri. ‘ Ti giuro che non ti toccherò nemmeno con un dito.
Peo passò a prendermi con la Vespa alle dieci, puntualissimo, anche se poi mi confessò che era sotto al mio portone già da un’ora. Quando suonò il citofono io non ero ancora pronta, così lo feci salire. In casa c’erano mio padre e mia madre, i quali si apprestavano a uscire anche loro per vedersi con degli amici. Peo bussò alla porta della mia cameretta e io gli dissi di entrare; stavo mettendo degli orecchini che mi aveva regalato mio padre all’ultimo compleanno, e quando Peo mi vide se ne restò a bocca aperta come un pesce appena finito nella rete dei pescatori.
– Che c’&egrave? Hai perso la parola?
– Sei’ sei bellissima.
Avevo messo su un vestitino rosso molto corto, forse troppo dal momento che ogni tanto dovevo tirarlo giù per evitare che le mie natiche uscissero fuori. Un po’ di brillantini sulle guance e sul seno e ai piedi dei tacchi a spillo che, chiaramente, mi avrebbero dato non poche difficoltà a ballare. Ma volevo essere bella. Volevo essere la più desiderata.
Quel giorno dissi ad Angelo che sarei uscito con delle amiche. Non lo so perch&egrave avevo raccontato quella balla; non stavo facendo niente di male, lo sapevo, eppure ero quasi sicura che era una cosa poco corretta nei confronti di Angelo. Ma d’altronde era stato poco corretto anche quello che c’era stato tra me e il professore di semiotica. E infatti ad Angelo non avevo raccontato niente.
La discoteca si chiamava Disco Inferno. Era un puttanaio; le ragazze erano vestite come delle mignotte, e del resto io non ero da meno. I ragazzi invece erano tutti belli e infighettiti e facevano la corte alle ragazze sole. Odori di spiriti adolescenziali inondavano la sala, e luci e raggi laser annebbiavano la mente dei nostri cervelli spappolati dal forte frastuono di musica elettronica e dagli alcolici colorati che sfilavano sul bancone del bar, con magici ombrellini e cannucce sbirule ficcate dentro.
Peo era molto in imbarazzo e si muoveva come un demente. Non aveva toccato altro che analcolici, perché era astemio ed era contro le droghe. Un pezzo di pane come lui era difficile trovarlo. Io invece ero già su di giri perché ero al terzo bicchiere di rum e pera, e allora mi divertivo a stuzzicarlo, strofinando il sedere contro il suo pacco. La prima volta che lo feci notai che ce l’aveva moscio, ma dopo aver ripetuto un paio di volte quella cosa mi resi conto che gli era diventato di marmo, e infatti gli sorrisi. Strofinai ancora un po’ e non ebbi più dubbi. Aveva un erezione titanica. Al quarto bicchiere di rum e pera mi avvinghiai al suo corpo e con una mano gli accarezzai l’attrezzo.
– Accidenti, ti &egrave diventato di pietra!
– Scusami, non volevo’ io’
– Vieni, andiamo nel parcheggio.
Presi la mano di Peo e lo guidai verso l’uscita e lui non faceva altro che chiedermi cosa avevo in mente. Uscimmo fuori facendoci strada tra la folla. Avevo una gran voglia di prenderglielo in bocca. Lo portai nel parcheggio della discoteca, in mezzo a due auto nere, in un punto dove nessuno poteva vederci. A quel punto gli tirai giù la cerniera dei jeans e gli tirai fuori il cazzo duro.
– Martina, cosa fai?
– Sta’ zitto Peo, e godi.
Ne feci un sol boccone e iniziai a succhiare gustandomelo tutto, con voracità, facendomelo arrivare fino in gola e risucchiando. Dalle labbra colò la mia abbondante saliva che mi si posò sul seno.
– Quello che stai facendo non &egrave bello ‘ mi disse. ‘ Io ho rispetto per te, e non voglio che tu faccia certe cose nel parcheggio di una discoteca.
– Ma vuoi smetterla di chiacchierare? ‘ a quel punto gli sputai sull’asta e iniziai a masturbarlo per qualche minuto, poi lo ripresi tra le labbra fino a farlo eiaculare. Il suo seme mi inondò la bocca e lo lasciai scorrere nel mio corpo. Alla fine glielo rimisi dentro, e rialzai la cerniera dei jeans.
Dopo il pompino l’atteggiamento di Peo cambiò radicalmente, e insistette affinch&egrave ce ne tornassimo a casa. Quando arrivammo sotto il mio portone mi disse che forse si era sbagliato sul mio conto. Una ragazza che sbocchina un uomo nel parcheggio di una discoteca, non rientrava nelle cose che lui cercava nella donna della sua vita. Mi disse proprio così, e allora a quel punto mi infuriai e persi il controllo, cominciando a gridargli che era un finocchio.
– Hai capito cosa sei tu? ‘ urlai. ‘ Un finocchio! Tutto quello che sai dire dopo quello che ho fatto per te &egrave che sono una puttana. &egrave questo che vuoi dire, non &egrave vero? Stronzo che non sei altro!
– No, ti prego Martina, non dire così. Non era quello che volevo dire. Non ho mai pensato questo, &egrave solo che ti facevo diversa.
– Vaffanculo Peo! ‘ urlai. ‘ Non voglio più vederti!

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/05/disco-inferno.html Il giorno dopo avrei dovuto incontrare il professor Oscar. Mi aspettava nel suo studio alle dieci. Feci colazione da sola, dal momento che i miei non c’erano. Erano già andati a lavoro, e quindi mi dovetti preparare la colazione da sola. Riempii una tazza di latte affondandoci sette frollini dentro, i quali nel giro di qualche manciata di secondi si spappolarono e diventarono una poltiglia che raccolsi col cucchiaio.
E lungo la strada li sentivo salirmi su in continuazione, come se non li avessi digeriti. E quel saporaccio non andava via in nessun modo, neppure dopo che mi ero lavata i denti. Nel tram ebbi l’impressione di essere spiata e allora mi guardai intorno, ed era come se ce l’avessero tutti con me. Come se sapessero che cosa avrei fatto alle dieci. Era inequivocabile. Ce l’avevo scritto in fronte. Era scritto pure sui giornali che quella mattina, la sottoscritta Martina, avrebbe eseguito un magistrale pompino al suo professore di semiotica dell’erotismo. Lo sapevano tutti. Perché Martina era una puttana. Nient’altro che una puttana. Lo sapevano pure i muri.
Quei pensieri mi perseguitarono, e fui costretta a scendere dal mezzo pubblico per prendere un po’ d’aria fresca e scacciare quei demoni dalla mia testa. E così raggiunsi la facoltà a piedi e all’ingresso ci trovai Peo con una faccia da appestato, come se fosse rimasto sveglio per tutta la notte, e quando mi vide scattò sull’attenti e mi disse di essere molto arrabbiato per l’atteggiamento che Angelo aveva nei miei confronti, e che meritavo di meglio, ma io lo ignorai e andai per la mia strada. Peo mi venne dietro, pregandomi di ascoltarlo, ma per me era come se non ci fosse. Alla fine mi prese un braccio con una certa rabbia, come se io fossi sua di diritto, e allora mi girai verso di lui e gliene dissi quattro.
– Ascoltami Peo, io e Angelo stiamo insieme. E a me va bene così. Mettitelo bene in testa. Ora se non ti dispiace, avrei un appuntamento.
– Con chi?
– Questi non sono affari che ti riguardano.
– Tu non vai proprio da nessuna parte ‘ urlò e mi colpì una guancia con uno schiaffo.
Mi accarezzai la parte lesa e mi si arrossarono gli occhi, poi iniziai a piangere e a singhiozzare, e lui mi guardava come un rincoglionito, come se non capisse quello che aveva appena fatto.
– Sei uno stronzo ‘ dissi con un filo di voce. ‘ Hai capito cosa sei? Sei uno stronzo.
E così mi misi a correre in parte perché avevo paura che me ne desse altri di schiaffi, e in parte perché non volevo che mi vedesse piangere. Ma continuai a singhiozzare per tutto il tragitto che dovevo ancora percorrere per arrivare da Oscar. Entrai nel suo studio senza neppure bussare; spalancai la porta, e lui vide il mio viso rigato dall’eyeliner che intanto si era sciolto per via del pianto. Se ne stava dietro la sua scrivania a leggere un libro sull’arte del fare l’amore, e quando mi vide in quello stato si alzò dalla sedia e mi venne incontro.
– Signorina, cosa le &egrave successo? ‘ poi chiuse la porta dell’ufficio a chiave e mi accarezzò il viso con una mano.
– Niente, non si preoccupi. Ho appena ricevuto uno schiaffo ‘ risposi e nel frattempo gli tirai giù la lampo dei pantaloni e infilai dentro la mano destra, alla ricerca del suo cazzo che trovai ancora piuttosto moscio.
– Chi mai farebbe una cosa simile ad una creatura meravigliosa come lei? ‘ mentre glielo tiravo fuori lui mi prese il viso con entrambe le mani e mi baciò, e per la prima volta le nostre lingue si incontrarono, e la sua vorace bocca mi divorò, e diventai sua in pochi attimi. Intanto, mentre mi baciava, il cazzo gli era diventato di marmo e io lo tenevo stretto in una mano, dandogli qualche colpetto di tanto in tanto.
– Mi ami, almeno lei professore ‘ sussurrai con un tono di voce piuttosto malinconico. ‘ Faccia di me ciò che vuole, ma la prego in ginocchio, mi ami per ciò che sono.
– Ma certo porcellina mia ‘ rispose lui. ‘ Come si può non amare il suo corpo e le sue sorprendenti capacità? Quello che ha lei &egrave un vero tesoro ‘ a quel punto mi aprì la camicetta strappandomi via tutti i bottoni e le mie tette nude uscirono fuori, libere e felici. Tirò su la minigonna scoprendomi le natiche e quindi il perizoma viola che avevo messo su quella mattina. Poi mi fece piegare col busto sulla sua scrivania, con i seni schiacciati contro i suoi libri e il culo ad altezza cazzo.
Mi tirò giù le mutandine e sentii la punta del suo membro premere contro le labbra della vagina, prima accarezzandole gentilmente, e poi facendosi strada dentro, lentamente. Dopo un paio di secondi era dentro in tutta la sua interezza. Mi prese per i fianchi e iniziò a scoparmi e io chiusi gli occhi e in me ritornò la gioia. Oscar mi amava, lo sentivo. O forse amava il mio corpo, ma questo mi bastava. Almeno mi accettava per quello che ero, una zoccola. Con lui non dovevo nascondermi, non dovevo fingere, lui sapeva quello che ero.
– Questo &egrave il paradiso ‘ sussurrò mentre mi penetrava. ‘ E io lo voglio conquistare.
– Lei lo ha già conquistato, professore.
– No, questo non &egrave abbastanza ‘ continuò, e a quel punto spalancai gli occhi dallo stupore. D’altronde gli avevo dato tutto: gli avevo dato il culo, la bocca e la vagina. Cos’altro poteva volere?
– Non capisco, professore ‘ dissi, e nel mentre il suo duro membro entrava e usciva dal mio corpo, e la mente mi si annebbiava lentamente, perché ero sull’orlo di un orgasmo. Me lo sentivo, stava arrivando e io lo avrei accolto, come un dono mandato dal cielo.
– Io voglio immortalarti ‘ disse. ‘ Voglio trasformarti in un’icona della storia. Voglio che nei futuri libri di storia dell’arte si parli di te. Perché creature come te ne nascono una ogni cento anni.
Sarà stata la sua voce, il suo timbro caldo, lo scorrere delle sue parole, ma arrivò l’orgasmo e il mio corpo ebbe un sussulto, e mi afflosciai sulla scrivania, semi addormentata, mentre lui seguitò nel penetrarmi per almeno altri dieci minuti, parlando del mio futuro, dell’immortalità della mia anima, della sublimazione del mio corpo. Ma riuscivo a sentirlo appena, perché ero come svenuta. Oscar stava scopando un corpo esanime e io ero sua. Poi fece uscire il suo cazzo e iniziò a fiottare, e gli schizzi si adagiarono garbatamente sulle mie natiche, senza svegliarmi. E me ne restai in quella posizione per un’altra manciata di minuti; poi facendo forza su entrambe le braccia mi sollevai dalla scrivania. Avevo la mente ovattata, le tette al vento, il sedere sporco. Ero rinata. Oscar ritornò a sedere dietro la scrivania e mi fece segno di sedermi davanti a lui. Mi parlò di lui, cosa che non aveva ancora fatto. In effetti sapevo così poco sul suo conto, che quando mi disse che il suo nome era conosciuto in tutto il mondo, tranne che in Italia, mi stupì molto.
– In Italia la materia dei miei studi &egrave fonte di forte imbarazzo. La nostra forma mentis &egrave troppo ristretta per accogliere il fatto che l’erotismo &egrave un qualcosa che &egrave al di sopra delle nostre capacità. Una specie di energia universale che ci accomuna tutti, ma che però aborriamo a causa del perbenismo collettivo. L’Italia non &egrave pronta per accogliere questa filosofia. In questo paese l’erotismo &egrave una beffa, una materia paurosa che bisogna denigrare e trasformare in barzelletta. Ma non per lei, signorina Martina. Lei &egrave diversa. Ed &egrave proprio per questo motivo che ho deciso di prenderla sotto la mia custodia. D’ora in poi, lei non dovrà più preoccuparsi di nulla. Finch&egrave ci sarò io, lei sarà sotto la mia protezione. Lei &egrave un elemento raro in questa società di fantocci. A questo proposito, presto dovrò realizzare una mostra fotografica a Berlino, e lei sarà la punta di diamante della rassegna. Adesso si rivesta. Avrà senz’altro da fare stamattina, e io non voglio rubarle altro tempo.
Pur volendo, non potevo uscire da quello studio, perché i bottoni della camicetta erano tutti strappati. Oscar se ne rese conto e sorrise, così rovistò in un cassetto, e per fortuna ne aveva una delle sue. Un po’ mascolina, certo, ma meglio che andare per strada nuda. E così me ne andai, ma mi stupì il fatto che non avevamo per niente parlato della mia tesi. Era forse il suo modo per dirmi che potevo muovermi come meglio credevo?

Link al racconto:
http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/05/lanima-immortale.html Mi rividi con Oscar una settimana dopo il nostro ultimo incontro. Ricordo che aveva fatto recapitare un grosso mazzo di fiori presso il mio domicilio, con un bigliettino in cui diceva che mi aspettava da lui alle otto di sera, per cominciare a ridisegnare la storia dell’arte contemporanea. E così quella sera misi al petto il collier di diamanti che mi aveva regalato lui, una camicetta bianca, pantaloni neri di satin e i tacchi a spillo. Mi avviai in strada e fuori dal portone ci trovai il solito Armando, l’autista personale di Oscar, con la limousine che pareva un astronave. Armando si tolse il suo berretto in segno di rispetto nei miei confronti, e non so perché, ma fui felice di rivederlo. Quasi come se fosse un vecchio amico che non vedevo da anni, tanto che lo abbracciai e gli baciai una guancia, e lui arrossì come un peperone.
– Armando! ‘ esultai. ‘ Vecchia volpe! Come stai?
– Io benissimo, signorina Martina ‘ disse aprendomi la portiera anteriore della macchina. ‘ E devo riconoscere che stasera lei &egrave più elegante del solito.
– Grazie Armando, sei sempre un galantuomo.
Entrai in macchina e mi aspettai di trovare altri pacchetti e strani giochi da dover fare lungo il tragitto, e invece non ci trovai niente. La cosa mi deluse un pochetto. Guardai perfino sotto i sedili, ma non trovai nessun giocattolo per adulti.
Arrivai davanti alla porta di casa di Oscar e mi accorsi che era socchiusa, così la spinsi e mi feci strada nel corridoio buio, e a quel punto sentii una voce. Era lui, ma come se stesse parlando da un interpone. Forse c’era la filodiffusione e mi stava quindi parlando da qualche posto segreto, e tutta la faccenda assunse un aspetto tetro ma eccitante.
‘Buonasera signorina Martina’ disse la voce. ‘Immagino lei voglia raggiungere la sala da pranzo, ebbene lo faccia pure. Conosce già la strada. Ma prima vorrei esortarla a spogliarsi’.
– Cosa? Devo’ devo spogliarmi?
‘Sì, tolga i vestiti, signorina Martina. Tenga soltanto il suo collier di diamanti e le scarpe, la prego. Per quanto riguarda il resto, tolga tutto’.
Mi sbottonai la camicia liberando i seni, e poi abbassai i pantaloni e il perizoma. Adesso ero nuda, ed ero sicura che lui, anche se non era fisicamente presente, in qualche modo riusciva a vedermi.
‘Benissimo. Ora, signorina Martina, se vuole, può raggiungere la sala da pranzo. Troverà una sorpresa che sono sicuro sarà di suo gradimento’.
Mi avviai verso la fine del corridoio, guardandomi attorno con un po’ di perplessità, cercando di capire a che gioco stesse giocando. Mi ritrovai in sala da pranzo, dove c’era la tavola tutta imbandita, come l’ultima volta, con i vini pregiati, con le candele accese al centro tavolo, con i suppellettili strambi dalle evidenti forme falliche. D’improvviso un lampo mi accecò e per qualche attimo non vidi altro che una luce bianca, come se fossi diventata d’improvviso cieca come una talpa. Ma a poco alla volta i miei occhi tornarono a vederci, e mi avviai verso la porta finestra del balcone per vedere che tempo facesse. Il cielo era limpido come non mai; era buio pesto, ma riuscivo a vedere che era piuttosto sereno. Quindi quello che avevo appena visto, non era un lampo, bensì qualcos’altro. Allora mi guardai attorno, muovendomi con circospezione, e all’improvviso ne vidi un altro, e poi un altro ancora, e quella faccenda iniziò a spaventarmi davvero, tanto che ebbi un forte batticuore.
– Va bene, professore ‘ dissi. ‘ Cos’&egrave questa storia? Sta cercando di spaventarmi forse?
‘Non era assolutamente nelle mie intenzioni farlo’ la sua voce ritornò come prima, dagli interpone collocati in tutta la casa. ‘Quello che vorrei &egrave che lei si mettesse a suo agio, signorina Martina. La prego’.
Girai su me stessa, alla ricerca di lui, ma quello che vidi non fu altro che un appartamento riccamente arredato, e notai cinque specchi. Cinque specchi sulle pareti, dentro eleganti cornici barocche, che non ricordavo di aver notato l’ultima volta che ero stata lì. Eppure adesso c’erano, e ebbi l’impressione che Oscar si trovasse dietro uno di quelli. Doveva esserci una stanza segreta, da cui poteva spiarmi a suo piacimento.
– Cos’erano quei bagliori, professore?
‘In questo momento sto immortalando il suo corpo con delle fotografie, non abbia paura’.
Allora decisi di stare al suo gioco, e così mi avviai verso il divano, e mi ci misi sopra con le ginocchia, tenendomi con le mani al poggiatesta, la schiena leggermente piegata in avanti, e così le natiche leggermente aperte rivolte verso uno specchio, e allora un altro lampo illuminò la stanza, e io mi piegai ancora, fino a raggiungere il poggiatesta coi seni. Ora le mie natiche erano completamente divaricate, e il mio orifizio anale era offerto in tutta la sua indecenza all’obiettivo della macchina fotografica, e quindi un altro flash, e poi partì tramite la filodiffusione una musica leggera, e mi misi a sedere spalanco le cosce e lasciandomi fotografare ancora, per circa mezz’ora, offrendo tutta me stessa alla fonte dei bagliori. Poi ad un tratto, questi terminarono, e vidi Oscar uscire dal buio, come uno spettro. Indossava la sua solita vestaglia da notte rosso mattone e venne verso di me, dicendomi che ero stata davvero brava. Non so perché, ma tutto d’un tratto provai imbarazzo. Forse per essermi lasciata fotografare nuda senza fare obiezioni. Io e Oscar ci guardammo negli occhi per alcuni minuti, in religioso silenzio, e fui riconquistata da quella sua energia, la stessa che mi prendeva ogni volta che ero in sua presenza. Una forza così intensa che mi sentii costretta a rimettermi in ginocchio sul divano, con la schiena piegata e con le natiche oscenamente aperte, e il buco del culo rivolto verso di lui, nell’attesa che se ne impossessasse. Così Oscar aprì la sua vestaglia da notte facendo venire fuori il suo cazzo eretto, e me lo appoggiò sull’orifizio. Con entrambe le mani si aggrappò ai miei fianchi e mi penetrò con decisione, e spalancai la bocca dal dolore, senza emettere alcun suono. Un altro bagliore mi illuminò il viso, e allora mi resi conto che c’era qualcun altro nascosto dietro quegli specchi. Forse un fotografo di professione; forse Oscar aveva un collaboratore. Chiunque fosse, ci spiò per tutto il tempo, fino a quando il professore eiaculò sulle mie natiche. A quel punto si rimise a posto la vestaglia e ritornò nel buio dal quale era venuto, e non lo vidi più. Ma la sua voce ritornò dall’interpone.
‘Le mie congratulazioni, signorina Martina. La sua professionalità &egrave stata encomiabile. Ora, se vuole, può ritornare a casa. Come al solito, sarà Armando a riaccompagnarla’.

http://paradisodisteesabri.blogspot.it/2015/05/bagliori-nel-buio.html Una settimana dopo mi ritrovai con il trolley pieno di vestiti, pronta per andare a Barcellona, dove Oscar aveva programmato la sua personale rappresentazione, in cui io sarei stata, come mi aveva detto, la punta di diamante di tutto l’evento. Ci incontrammo all’università, e devo dire che questo particolare mi diede non poche noie. Praticamente tutte le persone che avevo conosciuto nel corso del tempo mi videro insieme ad Oscar, entrambi avevamo le valigie pronte per partire, quindi era inequivocabile: io e il professore di semiotica dell’erotismo saremmo partiti per un lungo viaggio. E chissà, forse avremo dormito insieme, e chissà, forse Martina avrebbe lasciato che il professore approfittasse di lei, e chissà, un giorno la cattedra diventerà sua. Insomma, leggevo tutte queste cose negli occhi dei miei colleghi che ci guardavano. Era chiaro che da quel giorno tutto sarebbe stato diverso. Gli amici con cui avevo legato, avrebbero parlato male di me. Avrebbero detto che ero una zoccola arrivista, che si faceva sbattere dai professori pur di ottenere qualcosa, magari un dottorato di ricerca o chissà che.
Oscar aveva chiamato un tassì che ci stava aspettando all’esterno dell’università. Quando gli domandai del suo autista, Armando, mi disse che si era preso un giorno di permesso, per andare a trovare sua figlia che viveva a Prato. Per tutto il tragitto non riuscii a pensare ad altro che alle cose cattive che si sarebbero dette in facoltà. Sentivo tutte le voci di quelli che mi avevano vista insieme a lui, in un coro, e dicevano cose pessime, dicevano che ero una pompinara. Forse stavo sbagliando tutto. Forse avremmo dovuto incontrarci direttamente all’aeroporto.
– C’&egrave qualcosa che la turba, mia cara? ‘ mi domandò Oscar.
– Beh, in realtà sì professore ‘ risposi. ‘ Sa, forse era meglio darci appuntamento da qualche altra parte. Adesso tutti penseranno che tra me e lei c’&egrave qualcosa, capisce? Insomma, io passerò come un’arrivista, e lei come ‘il professore di semiotica che si porta a letto le sue studentesse’.
Il tassista ci squadrò fulmineamente dallo specchietto retrovisore.
– Non deve avere paura di questo, signorina Martina. Le questioni private rimangono tali. Queste diventano imbarazzanti solo quando interferiscono con il pubblico. Solo nel caso in cui, ad esempio, tra qualche anno lei avesse un ruolo attivo all’interno dell’università, con un lavoro di ricerca o addirittura con una cattedra tutta sua, allora in quel caso sì che la faccenda sarebbe imbarazzante. Ma ho i miei dubbi che possa accadere.
Sì, ma rimaneva la questione che io sarei rimasta per i miei colleghi una succhiacazzi che si fa portare a letto dai professori. Per di più gratis.
– Ma parliamo di altre cose ‘ mi disse. ‘ Ha parlato ai suoi genitori del motivo di questa sua partenza?
– No, non sanno niente.
– E ha parlato a qualcuno di questa sua esperienza?
– Sì.
Ne avevo parlato con Sabrina e Stefano, i quali si erano mostrati molto contenti di questa cosa, e mi avevano detto che mi avrebbero raggiunto, perch&egrave non potevano perdersi la mostra con i miei scatti fotografici per nulla al mondo.
Il volo fu piuttosto tranquillo, e Oscar aveva prenotato una camera in un lussuoso albergo a cinque stelle. Mezz’ora dopo aver fatto il check-in, eravamo sul letto a baldacchino; io ero nuda, Oscar invece indossava soltanto la camicia, e mi teneva le cosce ben aperte con entrambe le mani e mi scopava con amorevole dolcezza, e di tanto in tanto mi baciava le caviglie. Però c’era una cosa che mi frullava per la testa, ovvero le parole che ci eravamo scambiati nel tassì, a Roma. Cosa voleva dire quando diceva di avere dei dubbi sul fatto che un giorno io possa fare ricerca o addirittura avere una cattedra? E mentre il suo cazzo entrava e usciva dal mio corpo glielo domandai.
– Volevo dire che non credo che la carriera universitaria sia un qualcosa che riguarderà il suo futuro ‘ mi rispose.
Poi mi fece mettere a quattro zampe e con entrambe le mani mi allargò le natiche e sentii il suo glande sfiorare il mio orifizio anale. Mi prese da dietro e iniziò a scoparmi vivacemente.
– Come fa ad esserne certo? ‘ gli chiesi. – Lei una volta mi ha detto che dopo la tesi sarei potuta diventare la sua assistente, e io credevo, sì credevo che fossero cose vere quelle.
– Ma signorina Martina, sono cose che si dicono dopo il coito. Lei &egrave una macchina per far godere gli uomini. Una vacca da monta, e non vedo come questa sua caratteristica possa abbinarsi ad un eventuale carriera universitaria.
Non capivo come facevo ad accettare passivamente quei commenti di Oscar. Fosse stato un altro a dire quelle cose, gli avrei dato un bello schiaffo. E invece non so per quale motivo, dette da lui, quelle affermazioni acquisivano un certo valore. Dovevo essere matta a farmi dire certe cose.
A quel punto sentii Oscar sfilare il suo cazzo dal mio buco del culo, e il suo sperma zampillare fuori, sulle mie natiche. Dopodich&egrave si rimise i vestiti e mi disse che doveva andare. Lo aspettavano per pianificare gli ultimi dettagli della mostra fotografica.
La galleria si chiamava Praderas ed era molto grande, piena di corridoi, e sulle pareti era pieno di fotografie giganti che ritraevano cazzi in erezione (di tutte le forme e di tutti i colori), tette e culi. Era un vero e proprio concentrato di apparati genitali esposti al pubblico. L’ambiente era piuttosto buio e dei faretti illuminavano le fotografie di Oscar. Nel vagare lungo questi corridoi l’impressione che si aveva era di grande irrequietezza, perché si faceva fatica a vedere in faccia la gente, che era accorsa in massa per vedere la mostra fotografica. L’ultima stanza era tutta dedicata a me, nel senso che le fotografie esposte, in tutto venti, mi ritraevano in varie sfaccettature. In alcune mi si vedeva durante la penetrazione. Una in particolare era un primo piano del cazzo di Oscar piantato nel mio condotto anale. La fotografia che invece stava sulla parete in fondo alla stanza era un primo piano della mia vagina. Soltanto in alcune di queste si vedeva il mio viso, nelle altre invece il vero protagonista era il mio corpo.
Notai che le persone trovavano quelle fotografie di grande interesse. Alcuni le guardavano anche per cinque minuti prima di passare avanti, e io ebbi come l’impressione di essere nuda. In un certo senso lo ero.
Ad un certo punto sentii delle mani che mi accarezzavano il sedere e quando andai a girarmi vidi Sabrina, che stava guardando il quadro davanti a noi, ovvero quello della penetrazione anale. Poi Sabrina mi diede una sculacciata affettuosa e mi sorrise.
– Non c’&egrave che dire, questo culo l’hai fatto lavorare davvero tanto.
– Ciao Sabri!
– Ciao tesoro. Senti un po’, c’&egrave da fidarsi del tuo professore?
– Cosa vuoi dire?
– Voglio dire che dopo tutto quello che hai fatto per lui, un posticino all’università sarebbe il minimo.
A quel punto ripensai a quello che mi aveva detto Oscar, e cio&egrave che non ci sarebbe stato nessun posto per me all’università. Ero una vacca da monta, questo mi aveva detto, e che quindi non c’era nessuna possibilità di inserirmi nel mondo dell’università. E io che non mi ero neppure offesa. Forse stavo sbagliando. Forse ero troppo ingenua, e forse aveva ragione Sabrina. Avrei dovuto pretendere qualcosa.
– No, credo che non ci sarà nessun posticino ‘ le dissi.
– Che stupida che sei. Svegliati! Fatti furba.
Arrivò anche Stefano che mi strinse in un tenero abbraccio. Sabrina non gli disse niente di quello che ci eravamo dette, e forse fu meglio così. Anche perché non ce n’era motivo. La cosa riguardava solo me e lei. Quello che mi aveva detto era soltanto un consiglio tra amiche. Mi dovevo fare furba. E così quella stessa sera, in albergo, mentre praticavo un pompino a Oscar, decisi di parlargli. Lui era seduto su una sedia e io ero per terra, in mezzo alle sue gambe, con il suo cazzo eretto in bocca. Lo tirai fuori e cominciai a parlargli, ma segandolo delicatamente.
– Sa, ho ripensato a quello che ci siamo detti ieri, e cio&egrave al fatto che io non avrò mai una carriera universitaria. Ebbene, ho preso la mia decisione. Dopo la tesi, le nostre strade si divideranno, e lei non potrà più avermi professore. Mai più.
– &egrave davvero un peccato signorina Martina. Però capisco la sua scelta. E adesso, se non le dispiace’ – con un gesto della mano mi fece capire che dovevo finire il lavoro che avevo cominciato, e cio&egrave farlo venire con la bocca. E così ripresi il suo cazzo duro tra le labbra e lo feci sborrare.

Fine.

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