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Racconti Erotici Etero

*IO NON TI CONOSCEVO BENE**

By 4 Gennaio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Il nostro rapporto &egrave arrivato alla frutta, non ci resta che separarci.
Dopo un anno trascorso insieme ora -nello stesso letto in cui abbiamo l’amore fino a sfinirci- sembriamo due sculture su un sarcofago.
Il re e la regina.
Morti.
Marmo freddo da cattedrale.
Westminster.
-Cosa vuol dire un anno d’amore…- cantava chi, Mina? mah!
Finalmente ti decidi:
-Io vado a dormire nello studio, &egrave meglio-
Mi volto dandoti la schiena, alzo le ginocchia fino ad abbracciarle strette al petto e mi accorgo che le labbra tremano, sto per piangere.
Dove &egrave finito il nostro amore delle tempeste, quella passione che ci portava a toccarci appena possibile, a far l’amore fino allo sfinimento, a divorarci a vicenda come cannibali?
Eccoci qui a dormire separati sotto lo stesso tetto, incapaci di comunicare, di confortarci a vicenda.
Più soli che se non ci fossimo mai incontrati, perché non c’&egrave desolazione che possa eguagliare quella di una passione morta per sempre e che credevamo se non eterna almeno un pochino più longeva.
Meglio essere in una caverna a vivere come un eremita oppure girare di pub in pub cercando un uomo da rimorchiare che starti vicino adesso.
Ora il letto condiviso diventa una zattera malsicura in un mare infestato da squali, un pianeta morto privo di atmosfera su cui siamo erroneamente atterrati.
Non c’&egrave più spazio intorno a noi per sopravvivere, l’anima affonda come un sasso.

Io mi sono fatta confondere dal solito venditore di collanine e specchietti colorati, tu hai smesso di parlare, dopo l’ultima litigata feroce.

Eppure in questa solitudine gelata, di pietra, la carne si risveglia…quasi a dimostrare che la resa non &egrave completa, che forse il fuoco si può riaccendere.
Così mi alzo, intuendo confusamente che sto commettendo un inutile errore e camminando in punta di piedi lungo il corridoio scivolo nello studio.
Alla luce azzurra della luna che filtra dalle persiane mi infilo nello stretto divano accanto al tuo corpo caldo e immobile.
Potremmo essere due estranei che si sono appena conosciuti in un bar o in una assordante discoteca, per l’assenza palpabile di intimità che c’&egrave tra noi… eppure sono eccitata e lo sei anche tu.
-Che cosa stai facendo?-
-Ti sto toccando-
-Pensavo volessi castrarmi, o almeno così mi pareva d’aver capito nell’ultima lite-
-Lo voglio ancora-
Il tono della mia voce ti fa indurire di colpo.
La solita vecchia storia.
Io ammansita, ti cerco, tu sadico, con quella specie di crudeltà che spesso dimostri, mi aspetti al varco della mia debolezza: il sesso.
E questa situazione mi eccita.
Potresti essere benissimo uno stupratore, un fattorino invitato ad entrare per una sveltina.
Siamo asettici, gelidi ed esperti.
Ti prendo in mano e tu mi frughi tra le cosce.
Mi pugnali con forza, mi fai male ma chissà perché in questo momento il male diventa piacere.
Mi giro, faccio perno sulle tue dita e ti prendo in bocca; vorrei staccarti il fallo con un morso, per lasciarti monco ‘ chissà se si può dire in tal contesto- e zampillante sangue arterioso sul candore del lenzuolo.
Invece ti solletico con la lingua, ti mordicchio appena un po’, ti avvolgo con destrezza nel calore delle mie labbra.
Tu gemi, mentre mi accarezzi fondo e i cerchi rossi e viola del piacere si avvicinano nella mia mente confondendomi.
Ma io ti voglio dentro di me, mi pare di non averti mai desiderato tanto.
Tu stai lì immobile, in silenzio, l’uomo che morì con un’erezione e che poi diventò ancor più duro con il rigor mortis.
Mi arrampico sopra di te, e ti prendo dentro, usandoti come un vibratore, con freddezza.
E l’orgasmo arriva tumultuoso.
Grido e allora tu cominci a muoverti in cerca del tuo piacere, come se questo fosse nascosto dentro di me in profondità e dovessi pescarlo, tirarlo su dal fondo come faresti con un pesce che ti sfugge agitandosi.
Ecco.
Abbocca.
No, non proprio.
Adesso.
Io osservo lo spettacolo da molto lontano, quasi assistessi a un film ad alta tensione erotica in cui io stessa sono la protagonista.
E che quindi conosco a memoria.
Ecco, ce l’hai fatta, ecco, ecco, ecco…
Non ti muovi più resti immobile.
Senza parole.
Senza gemiti.
Pesce e pescatore ansimanti sulla riva del mare.
Ma che tipo di uomo &egrave uno che non fa il minimo rumore quando viene?
Un uomo morto?
E come mai ci penso solo adesso?
Davvero, io non ti ‘conoscevo’ bene.
All’improvviso mi sento sporca, vagamente necrofila.
Scendo da quel fallo senza vita, mi sdraio al tuo fianco e penso:
-Come abbiamo fatto a stare insieme per un anno e all’improvviso diventare così estranei l’uno all’altro? Sembriamo due vagoni merci che hanno percorso un tratto di binari incatenati l’uno all’altro prima di venir staccati e spediti ai poli opposti della terra.
Però potresti anche dirmi qualche parolina dolce di circostanza.
Lo dovresti sapere che le parole mi riscaldano sempre.
Ma noi non conosciamo più parole d’amore, anzi neppure parole.
Le parole sono l’unico linguaggio che non riusciamo più a parlare-

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