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Racconti Erotici Etero

Jane, nera amica.

By 3 Giugno 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

L’invito era chiaro: ‘per favore mi vieni a fare qualche fotografia alla sfilata?’ la mia amica Jane, africana, era stata una modella una decina di anni prima, ed ora senza guadagnarci un euro si offre per sfilate di stilisti africani durante manifestazioni a sfondo etnico. Una festa per le donne africane, mostrare la loro bellezza in abiti disegnati per loro, per le loro forme, i loro colori. Un momento di pura africanità nella nostra città ormai multietnica. Ci vado volentieri. Mi piace Jane ed il suo corpo che sembra quello di una ventenne, magro con seni aguzzi ed un grande sedere, sporgente, fantastico da seguire con gli occhi, quando cammina. I suoi grandi occhi felini, un po’ a mandorla, sul naso schiacciato quel tanto che basta per darle quell’aria selvaggia, sopra due labbra grandi, carnose, che avevo potuto sfiorare alcune volte salutandola, e delle quali fissavo i movimenti mentre parlava con suo accento inglese.
La serata passa veloce, scatto foto quando passa con movenze da professionista, lo sguardo ammiccante, il passo dritto ed il portamento severo ed invitante. Al cocktail beve forse più del normale, ma per lei è un’abitudine. Ride con il suo modo di fare alla mano. A volte fragorosa, ti riempie il cuore di vivacità e vorresti sempre farla divertire, raccontarle storielle per vedere il suo viso contento. Mi guarda con occhi ai quali non puoi dire di no mentre mi chiede ‘perché non andiamo a casa tua così mi fai altre foto con questo bel vestito?’. Le hanno lasciato uno di quegli abiti con colori vari, forti, rossi e marroni e gialli e verdi, che ti fanno venir voglia di andare in Africa e confonderti con tutta l’umanità, e divertirti con gli occhi. In testa, sulle decine di treccine che terminano ognuna con una piccola conchiglia bianca, ha una specie di turbante della stessa stoffa e colori del vestito. Oltre la piccola scollatura si intravedono i neri capezzoli, grandi e sporgenti.
‘Perché no? Ho giusto delle birre in frigo che aspettano di essere bevute!’. So che le piacciono le birre.
Voliamo via sulla moto. Lei con le cosce in mostra fuori dello spacco, con gli automobilisti che si vedeva chiaramente ne erano distratti, mi stringeva al punto che sulla mia schiena sentivo i suoi seni, ed il suoi risolini alle mie battute.
Arriviamo a casa e ci sistemiamo in salotto. Le birre vengono stappate e versate in grandi bicchieri. Non ci vuole poi molto a berle ridendo, con un sottofondo di musica del sud del mondo, a basso volume. ‘Cominciamo allora?’ Prendo un paio di faretti e li punto su di un angolo con qualche bel quadro, dove contrastare i colori del suo vestito. Si allunga sul muro, come se volesse arrampicarsi. Le scatto decine di foto intere e di primi piani. Ha uno sguardo intenso, morbido, eccitante. Il vestito non è più stretto in vita. Sembra ora più largo, così da mostrare di più dei suoi seni. Con mosse che vedo solo sulle riviste patinate, si alza la gonna con una mano, e le sue gambe lunghe e lucide, sembrano quasi non entrare tutte nell’inquadratura. E’ bellissima, ed il mio cuore batte sempre più forte, ed addirittura sembra scoppiare quando si gira, sempre con la gonna alzata fino alle anche, mostrando uno dei sederi più belli che si siano visti al mondo. Mi sorride, ma quasi non riesco ad apprezzarlo, rimanendo ipnotizzato da quel che mostra incorniciato da un perizoma bianco che le slancia ancora di più, se possibile, le cosce color del mogano. Mi avvicino fingendo un primo piano e sempre più fino a sfiorarla, con la scusa del mirare tramite il display della fotocamera. ‘mettiti così’ alzandole un braccio e poi scostandole una gamba. Ha la pelle più liscia che abbia mai toccato. Risalgo ed ora la mia mano è sul gluteo. Lei gira il volto e mi guarda negli occhi. Ride. Avvicino la mia bocca alla sua fino ad unirle. La risata termina. Getto la fotocamera su di una poltrona, la giro completamente e l’abbraccio stringendola. La bocca morbida mi accoglie, ma la sua lingua sembra remissiva, pur rispondendo alla mia. Sa di birra ed alcool, è grande e morbida, le sue labbra sembrano il doppio delle mie, sembrano un materasso soffice e bagnato. Si stringe sempre più senza dire una parola, senza un gemito. Mi da una spinta e mi manda a sedere su di una sedia. ‘stai fermo lì e lasciami fare. Togliti pantaloni e mutande’. Non sono abituato a questi comandi e mi sento stranamente in balia di lei. La situazione mi piace, però’
Tolgo la cintura, sfilo i pantaloni del tutto, poi tolgo i boxer. Sono eccitato, un po’ offuscato dalla birra e mi sembra di sognare. Jane, ondeggiando, si toglie l’abito, rimanendo in perizoma, poi si inginocchia di fronte a me, socchiude la bocca, mi sorride, mi impugna ed abbassa la testa facendo scomparire il mio sesso nella sua bocca calda. Si toglie, e con la lingua incredibilmente veloce, mi regala forti sensazioni da farmi chiudere gli occhi, estatico. Quando li riapro, la vedo sorridere mentre mi dona piacere, mentre la sua mano sinistra con lunghe unghie mi sfiora il petto strappandomi quasi i peli e lasciando i segni bianchi del suo premere la pelle. Delicatamente si rialza, con movenze che avrò visto mille volte al cinema ma che non credevo potessero verificarsi nella mia vita. E’ in piedi, sposta il peso del corpo da una gamba all’altra effettuando una specie di danza in un ritmo che non è quello della musica del cd. Poi lentamente si sfila il perizoma, e inizia a toccarsi tra le gambe, come per ravvivarsi i foltissimi peli ricci, ritagliati per dare la forma di un cuore nero. ‘Ora baciala’ mi dice avvicinandosi, alzandosi in punta di piedi ed allargando le gambe mi strofina il suo ventre sul viso ‘ma non toccarmi’. Mi abbasso un poco per arrivare al punto giusto e lo bacio sopra il cuore scolpito, e sotto. Tiro fuori la lingua, curioso di sapere se i suoi sapori ed odori sono diversi da quelli delle donne bianche. Non mi sembra, i miei sensi mi tranquillizzano e l’unica differenza che trovo è in quei strani peli marroni e neri durissimi: mi graffiano quasi la faccia, ma sono al contempo come un cuscino di crine, seducenti e profumati.
‘Basta così, non muoverti più’. Fa un passo indietro, prende il mano il mio sesso e piegandosi sulle ginocchia lo punta sulla sua fessura ed aiutandosi un po’ muovendolo nelle varie direzioni, lo inserisce senza fatica divaricandosi con due dita. E si siede su di me, lasciandomi completamente imprigionato nella sua trappola calda. Mi abbraccia e mi bacia il collo mentre comincia a muoversi sempre più veloce. Ha lasciato in testa il copricapo, dal quale alcune treccine mi sfiorano solleticandomi.
Io, Jane e la sedia, siamo ormai un tutt’uno simbiotico. Una scultura di legni diversi: mogano, abete e noce. Fermo, rimango con quel dolce peso su di me, mentre lei piano oscilla in tutte le direzioni che le sue anche permettano. Quando viene avanti i nostri ventri scivolano e si fondono con il sudore e come due ventose sembrano non volersi distaccare. Va indietro e si allontana e mi sento come spezzare il sesso che rimane in lei ma cerca di piegarsi innaturale contro la forma che, comoda, la riempie. Penso a come lei possa sentirsi posseduta da me, se gli uomini che ha avuto della sua stessa razza abbiano, è logico, dimensioni più grandi delle mie. Ho paura di non essere all’altezza e come per gioco mi inarco un poco, spingendo in alto per supplire ai miei limiti. Stringo e spingo le sue natiche in modo che possa rimanere inserita. I miei pensieri non sono rilassati. Dovrei godere ma mi faccio stupide remore. E finalmente riesco a capire che quanto immagino, non le importi. Lo capisco dalla bocca che mi bacia, dalla lingua che mi affonda, dai suoi gemiti sempre più alti e da quanto la morsa che mi stringe diventi sempre più lubrificata. Il sudore che respiro dal suo corpo è una malattia che mi fa impazzire. Le mani che la scorrono impetuose sembra corrano via su strade conosciute, lisce come liscia in modo assurdo è la sua pelle. Incredibile più del velluto, più di qualsiasi materiale nell’universo è la sua pelle. Sa di sole, di montagne in ombra, fresche di ruscelli ma calde di vita che corre sui pendii.
Sale e scende, piano, poi forte, poi si alza, si divincola, e ridiscende come un’indemoniata. I suoi occhi si aprono per un momento e nella sua bellezza vedo che le piace come la sfioro, come le mordo il naso, nel modo in cui le stringo la schiena come se avessi paura che mi scappi via. La bocca socchiusa per respirare, forse perché lei è un leopardo ed io la preda, mi annusa, mi studia. Apre la bocca di più. Forse mi mangia. Ma no, ‘Fermati, aspetta’ mi dice con la voce bassa ed un minimo di accento strano. Mi prende la base dell’asta e si sfila, lenta. Mi vedo ora con il suo trofeo in mano, lucido, bagnato, e scopro con la sola vista che le sue cosce sono ricoperte di rivoli di liquidi trasparenti. La visione mi fa esplodere il cervello. So che questo è un momento che ricorderò per sempre. Sembra che fiumi scorrano da lei come se il suo corpo fosse la terra, un monte che origini una sorgente di acqua splendida. Mi immagino di essere un pesce che risalga la sua corrente. Il suo flusso di energia come una stella in balia di correnti dello spazio. Un buco nero che mi inghiottirà.
Ora è di nuovo in piedi e si sposta verso una scrivania in legno ricoperta di una finta pelle verde. Pelle su pelle, sembra, si siede mettendo in mostra la sua sorgente stessa. Ho sete, e la voglio bere. Si getta indietro, poggiando sulle braccia e riversando la testa ed il collo sembra offrirsi senza parole inutili. Le prendo i seni con le mani, solo quel poco per sentire che i suoi capezzoli sono rigidi e vogliono certo essere presi in considerazione. Lo faccio, li bacio e ne è contenta. Vedo smorfie di piacere ben diverse da quelle di pochi secondi prima, e come un riflesso dilata ancora più le cosce e spinge di più la nuca lontano da me, come due calamite che si respingono. Le stringo le colline soffici e mi getto con le labbra verso quel magico triangolo morbido. Spingo il più possibile la lingua in lei. E’ pazzesco come sia liquida la sua corolla, come una pianta carnivora che mi digerisca. Vorrei essere un insetto curioso che possa venir digerito dai suoi umori. Sento come se quello fosse il mio destino per questa vita. Diventare cibo per lei. E tra i petali, sembro un colibrì o un ape che veloce, cerca nettare e trova ben altro. Non è nettare ma un fluido vischioso che mi sporca, anzi mi lava sempre più mentre insisto sul punto cenrale, rigonfio come un piccolo monte da scalare, un sensibile piccolo giocattolo che non mi stancherà mai. Mi dice di continuare, ed obbediente continuo. Le cosce mi serrano la testa come se dovessero staccarla. Penso alla mantide. Forse me la staccherà. Ma perché ho questi pensieri? Devo godermi il momento, non dimostrare di aver paura. Di niente! E’ solo un bottone di rosa. Le mie dita insinuano in lei, ritmiche, in controcanti lenti ma forti in intensità. Il rumore che ascolto è uno sciabordio di risacca, musica in cui vorrei danzare come un guerriero al plenilunio. Aumento e diminuisco. Non so cosa fare, attento alle risposte del corpo che ho sotto la bocca, ora sono io ad inghiottirla. Sono io la bestia che sola, senza il branco va al pozzo. E’ un’oasi, una vasca termale, un elisir dolce in una coppa di legno. E’ la mia donna in quel momento, e potrei uccidere se qualcuno volesse togliermi il suo gusto e la mia voglia di proteggerla. E’ una regina ed io la sua ancella, l’operaia, il fuco. Non so chi sono ma sono qui per servirla.
Sento che aumenta il ritmo dei suoi gemiti mischiati ai si, agli yes, a semplici mugolii sempre più forti. Insisto, continuo cercando di non perder il ritmo. Ho il viso completamente bagnato di lei: ne sono beato, assorto nei profumi che sembrano cambiare in continuazione, ma che sono invece sempre lo stesso, delicato. Come un sommelier cerco di darle una connotato usando semplici parole abusate: fruttato, agrumato, selvatico, denso. Ma che ne so io! Ora sono pazzo di lei. Come faccio ad esaudire in semplici descrizioni la mia voglia di dare un nome alle cose, alle azioni, a definire come per catalogare ogni momento della vita, questo sprazzo di esistenza che mi vede protagonista e vittima sacrificale?
La sento gemere forte, mischia parole nuove a quelle che conosco. I suoi dialetti cambiano, le sue intonazioni scoloriscono ma sono pur sempre la voce di una donna che sta godendo. Non potrebbe fingerlo. Il suo sesso mi dice di no mentre mi esprime i suoi pensieri liquidi, col quale parlo da vicino e nel quale la mia lingua si confonde. Stringe sempre con le cosce lasciandomi solo nella mancanza di rumori e voci che mi giungono ovattati in questo limbo uterino nel quale mi è dolce il dondolare i mie pensieri. Non sono semplicemente perso in quel che faccio, ma penso. Penso ai suoi odori, alla pelle liscia che ogni minuto in più sconvolge questa esperienza. Al fatto che la mia bocca non si stanca mai di succhiare, a come faccio a resistere in una posizione innaturale. Penso che è facile sollevare le sue esili gambe, senza sforzo, per rendere molto più agile e saporita l’azione di sprofondarmi in lei. Ma ora basta, penso. Non so se è arrivata al culmine del suo piacere. Sembrerebbe di si, per le sue frasi sempre più alte, quei gridolini sempre più acuti e forti, poi seguiti da un cambiamento del respiro. La tengo stretta per le caviglie che uso per divaricarle le gambe dritte mentre tiene ancora gli occhi chiusi. Le sollevo e lascio che raggiungano come un compasso un angolo di 90 gradi, al cui vertice, la fessura sembra respirare e piangere come una bocca o un grande occhio gonfio. Appoggio l’apice del mio sesso su questo occhio, come per accecarlo e rimettere al loro posto quelle lacrime dense che ho cercato di togliere, prima, con baci pesanti. Non faccio fatica a spingere, si apre di nuovo con eleganza e morbida sicurezza, e penetro millimetro dopo millimetro in un interminabile viaggio dalla destinazione certa. Arrivo in fondo non so quanto tempo dopo, ma sento che non posso più entrare. Mi fermo e mi concentro su questa parte di me nascosta da lei. Ora la sento tutta. Mi sfilo ancora con un movimento che non sapevo di conoscere e del quale mi stupisco in quanto non credo sia naturale. Cerco di controllarmi e non appena sono quasi completamente uscito, do’ al contrario di prima una spinta vigorosa, veloce, forte, fino a sbattere senza dolore il pube e le mie sfere ovali ormai piene, contro la sua area fiorita. Risponde con un gemito, come se il diaframma provasse uno sforzo compresso e lasciasse uscire tutta l’aria dai polmoni. E sembro un pazzo mentre con la forza che consente il mio corpo, spingo forte dieci volte, il tempo col quale lei sta iniziando ad esprimere il mio ritmo con la voce sempre più acuta; spingo col bacino e per reazione stiro le sue gambe tirandole come se dovessi staccarle, con un gesto, dietro le mie spalle, come se non dovessi arrivare in fondo, aiutandomi, e sentire che al culmine sbatto in lei, in fondo, senza poter insistere. Sento montare in me il piacere, troppo presto, troppo forte, che se dovessi continuare ancora per qualche secondo non potrei più tirarmi indietro. Ma mi fermo. E respiro profondamente. E la guardo in viso mentre sta aprendo gli occhi e mi sorride spalancando la bocca grande mostrando i denti bianchi. Il piacere di vederla sorridere è pari a quello dell’amplesso. Infilo di nuovo piano e lei richiude di nuovo occhi e bocca lentamente sollevando il mento e lasciandosi scappare un gemito. Mi fermo ancora. Devo baciarla, e mi piego verso di lei mentre lascio piano le gambe a penzolare verso il basso. Passo le braccia sotto la schiena per stringerla forte mentre poggio le labbra sulle sue e comincio a rincorrere la lingua che non fatico a bloccare tra le spire scivolose, poi dribblo e sfioro il palato come per solleticarla. Lei scivola via dalle labbra e mi sfiora l’orecchio con un soffio, poi ruota il collo e con esso agile e sinuosa, come una serpe o un rettile, una lucertola, un coccodrillo ruota completamente il corpo scivolando da sotto il mio che non preme forte, che non la comprime, la lascia spostarsi libera. Ora sotto la mia bocca è la nuca calda e profumata, stende le braccia in avanti, allungandole. Le blocco con le mie. La spina dorsale che sento sotto di me ora si inarca come una gatta. Sento le natiche tonde, grandi, muscolose che guizzano e si muovono come se avessero una vita loro riservata. Devo vederle con i mie occhi. Scivolo con la bocca dalla nuca alla colonna e scendo ed arrivo ad esse, dove sprofondo il naso e la bocca chiudendo le palpebre. Sembra che mi stia immergendo in un fiume di torba, in carne sudata morbida e profumata. Lascio uscire la lingua per assaporare e solleticare, e nel buio di queste profondità esploro creandomi una dolce mappa tridimensionale in cui non posso perdermi. Lei dilata per lasciarmi sprofondare ancora e raggiungere il fondo che ora non è così lontano. La lingua si modifica, scorre, si rilassa, poggia, appuntisce ed entra, come se stessi massaggiando o spalmando burro, come se stessi raccogliendo marmellata, o sugo dal piatto. Come in un gioco entro ora in un piccolo pertugio, rotondo, ora in una profonda fessura, e non so cosa scegliere. Non scelgo e passo da uno all’altro con stupide mosse scherzose a prima vista, ma serie nella sistematicità della scoperta per evitare che nessun minimo spiraglio di pelle rimanga non assaporato. Ma non voglio che pensi che dia importanza solo una parte di lei. Mi preoccupo di quel che pensa, e desidero che si senti amata. Tolgo il viso da lei e mi alzo, iniziando a carezzarla dal collo fino a tutte le gambe. In primo piano le sue anche piene e rotonde attirano l’attenzione come se fossero il centro del mondo. Le stringo spingendo i pollici nei muscoli, che non cedono. è’ resistente, soda, elastica e liscia, mi sento attirare come una calamita, e come un gioco ad incastri, rispondo al suo inarcarsi e mostrarsi mia, completamente abbandonata: gira il volto per guardarmi negli occhi e sorride. Li chiude e fa un piccolo gemito mentre il mio sesso inizia a penetrarla di nuovo e con tutta calma, le stringo i fianchi e la tiro a me. Fino in fondo. Facilmente.
Solleva una gamba come per darmi più spazio ed oscilla soavemente insieme alle mie spinte lente. Vedo il suo profilo chiudere gli occhi mentre mugola piano, e gli angoli della bocca sollevarsi come una bambina contenta. Voglio rendere felice questa donna che sto amando, ma non so come. Cerco di giocare piano con lei, di non lesinare movimenti normali a scatti repentini sperando di darle sensazioni sempre nuove e diverse, come piccoli particolari di un quadro, sfioro alcune vertebre e spingo altre, pizzico alcuni angoli di lei nascosti, ed altri in primo piano. Stupisco o annoio in questi pensieri di piaceri a singhiozzo. Ma con sorpresa tira indietro un braccio facendolo passare sotto al corpo, si sfiora un seno, e da lì capisco che vuole che le stringa l’altro, facendo passare una mano sotto la sua ascella umida, sfioro il morbido rotondo seno graffiandole con le mie poche unghie quel vertice fantastico e morbido, carnoso e ruvido, come un cioccolatino ripieno, una piccola ciliegia calda. Ma lei continua con la mano ed ora la sento mentre tra le dita lascia scivolare il mio sesso già preso dal suo corpo, e lo sfiora per la sua lunghezza nel momento in cui è fuori, accarezzando ed allo stesso tempo cercando di reinserilo piano ma decisamente fino in fondo. Ed allarga il palmo, come per prendere e solleticare le mie piccole sfere ormai pronte a spremersi. E sembra lei stessa strizzarle prima del dovuto, delicatamente come per bloccare una fuga che non ci sarà. Ed io resto a simulare caotici movimenti di un animale pazzo, ad entrare e lottare per la vita, a giocare e cacciare e stanare prede in semplici fori caldi.
E capisce che non fuggirò e dopo una tiepida, languida, delicata carezza, risale di pochi centimetri raggiungendo l’apice della sua entrata, che a lungo avevo degnato di attenzioni, ed inizia a sfiorarsi. Intinge dapprima le dita più in basso raccogliendo umori e liquidi vischiosi come una crema per il corpo, e con essi aiuta tra le dita, il suo fiore di carne ad assecondarla nel suo godere. E gira su di esso, e sfrega con un movimento rotatorio che non vedo ma intuisco da come il suo braccio si muove, dal gomito che sporge e segue l’arco che disegna. Lo fisso rapito alternando lo sguardo alla sua bocca, dalla quale ogni tanto la lingua fuoriesce per umettarsi le labbra. E’ brava ed allenata, si è amata da sola molte volte. Chissà quante notti ha dormito sola con il suo stesso desiderio privato. E le palpebre oscillano e capisco che l’occhio ruota, in un ritmo che sembra danzare con la bocca e la mano, in una sinfonia per strumenti silenziosi. Infatti solo piccoli respiri, come se stesse trattenendo il fiato, escono da narici e labbra andando ad appannare il tavolo sotto di lei. Ma il rumore delle sue dita sono musica mentre in un rumore di liquidi miscelati come una maionese, o come un dolce zabaione del quale vorrei mangiare la crema montata a neve. Ora il volume della sua voce aumenta ad ogni rimescolare, ad ogni spinta e con la sua voce bassa mi dice di continuare. Mi sprona, invita, esalta, ed in lei mi sento il dovere di assecondarla. ‘Si’ dai amore continua’ io penso. Lei lo dice piano. Forse ha timore ed usa le parole che ho in mente, gli stessi suoni, e mi sprona ‘dai, adesso, non uscire ti prego” le stesse parole che voglio. ‘adesso, adesso now! I’m coming yeah’si, si, si’. Anch’io lascio uscire dalla mia bocca un si, una vocale lenta, biascicata come un affanno, nervosa come un latrato, troncata dalla spinta del mio corpo che ora lascia uscire come una fonte quel getto che ambivo ma che volevo rimandare sempre più lontano nel tempo. Ancora ultime forti spinte che vanno a decrescere, mentre mi sento prosciugato della mia anima, al tempo spesso la riempio di mio, sento di passarle me stesso, la mia mente, travasare forza, energia ragione che lasciandomi vuoto, mi abbandona togliendomi i pensieri. Ma mi godo i rivoli bianchi che escono da lei, scivolando sulle cosce scure, lasciando quel contrasto che mi colpisce l’immaginazione. E mi sembra di vedere lumache sulla sua pelle che scivolano lasciando una bava che so, profuma di me, avvinghiate per non cadere, ma scivolano via lentissime, miste ad un liquido trasparente. E mentre sento ritirarmi come se fossi sconfitto, continuo a lanciare il mio sguardo percorrerla mentre respiriamo forte, per accumulare ossigeno, per incamerare suoni, nuovi pensieri, mentre accarezzo il corpo di lei, che al contatto mi risponde con un sorriso.

Se avete commenti, consigli o semplici parole di incoraggiamento a continuare o a lasciar perdere, per favore scrivetemi: arzakk@libero.it
Grazie

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