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La cantina

By 17 Dicembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

non ci vuole un sesto senso sviluppatissimo per capire che non trovi la bottiglia che mi avevi assicurato di aver visto qualche minuto prima, quando ti avevo fatto visitare la cantina.
scendo i gradini, i passi rimbombano, sicuramente capisci che sta arrivando qualcuno. sei allo stesso tempo certa che sia io quel qualcuno che sta arrivando. per questo motivo non ti muovi. rimani piegata a controllare le etichette dei vini sdraiati nel secondo scaffale.
ti trovo così quando gli scalini finiscono, la luce della cantina è quasi vellutata, sembra accarezzarti. non ti giri nemmeno, dici solo “non c’è più”. mi fermo al lato opposto della stanza, sposto una bottiglia, si scontra leggermente con un’altra, il tintinnio ti dovrebbe scuotere, i miei passi di poco fa ti avrebbero dovuta scuotere. rimani impassibile, ti sposti un poco a destra restando nella stessa, provocante, posizione. anzi, sempre meno impercettibilmente pieghi le ginocchia sporgendo il culo coperto dalla gonna. guardo i tendini d’achille tesi dai tacchi.

“alzati la gonna”. l’ordine è quasi sussurrato, ho paura che qualcuno possa sentire al piano di sopra. non dovrebbero esserci problemi, prima di scendere ho fatto partire, nello stereo, il cd con la carmendi bizet. in lontananza, molto in lontananza, si sente la voce della callas che canta la habanera, l’aria più sensuale di tutta l’opera. non ti volti, non dici nulla, le mani prendono la gonna e la fano risalire sui fianchi. il tuo culo bianco sembra lampeggiare nella penombra della cantina. in tre passi sono dietro di te. appoggio il bacino alla natica sinistra, senti l’erezione completarsi. ancora non ti muovi, vuoi dimostrare di essere brava e forte, so che ti stai bagnando, so che ti sei bagnata scendendo ogni scalino, so che eri già bagnata quando hai pensato alla possibilità di farti scopare lì, durante la cena, mentre i miei amici parlano tra loro al piano di sopra. forse mentre qualcuno accenna qualche battuta sempre meno velata su quello che ipotizzano stia succedendo nella penombra della cantina.
nella penombra della cantina i tuoi occhi distinguono la plastica nera che proteggeva il collo della bottiglia (che volutamente non hai trovato), cadere a terra. sai di essere tutta in mostra in quella posizione, dopo avero sollevato la gonna le mani sono andate ad appoggiarsi al primo scaffale, quello più basso. ti sei piegata ancora di più in avanti esponendoti completamente all’umidità dell’aria e ai miei occhi. sai che sto pensando che sei una cagnetta stupenda e questo ti fa serrare ancora di più le cosce. 
abbasso piano le mutandine e senti subito il vetro freddo appoggiarsi alle labbra fradicie della fica, lo senti entrare inesorabile, il mio cazzo, stretto nei pantaloni, è lì, che si muove addosso al tuo fianco sinistro. spingo la bottiglia con tutte e due le mani, entra per tutto il collo, entra fin dove la puoi accogliere e forse anche di più. un gemito fugge dalle labbra, tolgo la bottiglia con un gesto brusco, ti senti vuota d’improvviso.
“prendilo in bocca, subito”. quasi ti butti in ginocchio, slacci senza furore ma senza eccessive lentezze cintura e bottoni. ti spingo la testa, scopo la tua bocca, gli occhi si riempiono di lacrime, una supera il confine della palpebra e scende sulla guancia sinistra sbavandoti il trucco. ti ordino di prenderne ancora di più e lascio la testa. prendi fiato e cerchi di farlo entrare tutto in gola. ti senti soffocare ma vuoi andare oltre, vuoi che la punta del naso arrivi ad affondare tra i peli del mio pube. sai che non c’è mai riuscita nessuna finora. ti impegni e per poco non ci riesci, forse ce l’avresti fatta e per questo è quasi con disappunto che ubbidisci al mio ordine di alzarti appoggiandoti di nuovo allo scaffale.

il cazzo gocciola della tua saliva, lo vedi luccicare nella penombra e ti pieghi in avanti pregustando il momento in cui lo accoglierai. e infatti è dentro di te pochi secondi dopo. i colpi sono secchi e regolari, così come i gemiti che ti strappano. vengono intervallati dalla mia voce che sussurra sconcezze e ti chiede se vuoi che continui. vado avanti alternando il ritmo, un paio di volte mi lascio prendere la mano e due sonore sculacciate arrossano il tuo culo bianco. quando vieni mi fermo dentro di te, ti ordino di sporcarmi tutto il cazzo del tuo orgasmo.
quando lo tiro fuori è, se possibile, più gocciolante di quando era entrato. in un istante sei di nuovo in ginocchio a guardarmi negli occhi, ti lascio libera di scoparti la bocca da sola finché non ti sposti più in basso per obbedire all’ordine di leccarmi le palle. quando sono entrambe bagnate della tua saliva ti faccio staccare.
“prendi la bottiglia e mettila a terra”. esegui senza dire nulla. ti faccio alzare e mettere di fianco a me. vedi dall’alto dei tuoi sandali da zoccola la mia mano che sega il cazzo finché non vedo, cerco di dirigere le gocce sulla bottiglia, la sborra bianca risalta sullo scuro del vetro. mi appoggio a te, mentre mi baci l’orecchio e il collo.
“adesso la pulisci” è l’ordine successivo. un sorriso di soddisfazione ti attraversa il viso e gli occhi e ti inginocchi nuovamente per pulirla con la lingua. mille spilli sembrano conficcarsi nella tua nuca, un forte strattone ti fa inarcare la schiena. senti i capelli tirare fortissimo e gli occhi si riempiono un’altra volta, in questo caso però non di lacrime di piacere.
“con la figa, la devi pulire”. il lampo negli occhi questa volta è di sfida. tieni la bottiglia con una mano mentre l’altra solleva la gonna. il vetro inumidito dei tuoi umori e del mio orgasmo scivola con facilità. “puliscila bene, sarà quella che serviremo”. facendo perno sulle punte dei piedi vedo che riesci a fare entrare ed uscire un paio di volte il collo della bottiglia.
un rumore ci distrae attirando la nostra attenzione verso l’entrata della stanza. un’ombra risale di corsa gli scalini. “così può andare” dico mentre ti porgo la mano per aiutarti ad alzarti. tengo la bottiglia tra le mani mentre e la avvicino alla tua lingua che pulisce le gocce di sperma che erano scivolate troppo in basso per essere accolte dalla tua fica. risali le scale davanti a me, osservo i fianchi ondeggiare al ritmo impostogli dai tacchi, immagino il tuo sesso ancora dilatato, coperto solo dalla stoffa sottile della gonna. immagino quando, dopo la cena, lo allargherò ancora di più, immagino i tuoi gridolini da cagnetta quando ti prenderò di nuovo, subito, sul tavolo fino a dove poco prima di cenava tutti insieme. immagino. siamo arrivati.
“non si trovava proprio”. alcuni quasi non si accorgono del nostro ritorno, altri sorridono maliziosi. sedendoti senti quanto sei bagnata, porterai con te questa sensazione per tutta la cena e ti ricorderà quello che è successo e quello che succederà dopo. probabilmente macchierai la gonna e la sedia coi tuoi umori.
non poso la bottiglia sul tavolo ma la porgo a un’amica, chissà perché sembra così accaldata? quando prende la bottiglia tra le mani queste sono quasi tremanti…la avvicina senza farsi notare al naso, si direbbe che, se potesse, ne leccherebbe il collo. io e te ci scambiamo uno sguardo d’intesa. buon appetito.

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