Skip to main content
Racconti Erotici Etero

La casa delle bambole

By 8 Maggio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

 

Vivevo ormai a Napoli da un pò di tempo. Mi ero trasferito lì per potermi dedicare agli studi universitari. Abitavo con due amici del Liceo e un altro ragazzo conosciuto lì, anche lui studente. 

Ambientarsi non fu per nulla difficile e il senso di smarrimento dovuto al passaggio da un piccolo paese ad una grande città, rumorosa e sempre sveglia fu facilmente superato anche perchè, da un lato conoscevo già un poco Napoli, essendo stata meta di qualche “filone” scolastico o per qualche giornata di shopping. Da l’altro potevo contare sulla compagnia di diversi amici che come me avevano scelto di frequentare l’Università a Napoli, con i quali ci si confrontava e si condividevanovle prime difficoltà della convivenza e le nuove esperienze che la città ci faceva vivere.

Cercavamo di rimanere sempre in contatto e spesso ci organizzavamo per uscire insieme. 

Un Giovedì, giorno in cui spesso gli studenti universitari si incontrano in locali o bar, uscii con un bel gruppetto di amici del vecchio liceo.

L’appuntamento era in un appartamento vicino Piazza Cavour di una amica di nome Costanza. Condivideva la casa con altre ragazze, tutte provenienti da paesini vicino al mio e che in gran parte già conoscevo. Mi presentai con due amici, uno dei miei coinquilini e un’altro ragazzo che, però, abitava in tutt’altro quartiere e che avrei ospitato, prevedendo di fare le ore piccole.

Entrati fummo accolti da Costanza con un abbraccio e due baci sulle guance. Fu sbrigativa e ci fece accomodare in salone perchè doveva ancora finire di prepararsi. Era ancora in tuta, una tutina che le cingeva fianchi e gambe disegnandone le curve e una semplice canottiera. Gli sguardi di intesa con i compagni mentre ci dava le spalle non vennero a mancare. A Napoli, sebbene era autunno faceva ancora caldo. Inoltre non era raro, anzi assolutamente frequente, che le ragazze ci accogliessero poco vestite, con la sola biancheria o anche in accappatoio. Certi comportamenti da buon ospite sembravano esser rimasti giù dal treno che ci accompagnava a Napoli.

Nel salotto incontrammo subito altre ragazze: Ilaria, che abitava con Costanza, si stava finendo di asciugare i capelli nel salotto per liberare il bagno, sempre stanza più ambita. Altre due erano sedute al tavolo. Erano Laura e una ragazza che vedevo per la prima volta. Laura era dello stesso paese di Costanza, non abitava nella stessa casa delle ragazze, ma vicino via Mezzocannone in una delle prime traverse venendo da Spaccanapoli. Laura aveva fatto un Liceo diverso dal mio, ma ci eravamo conosciuti già durante l’anno precedente e uscivamo spesso insieme dalle mie parti. Una ragazza molto carina, che a primo acchito non attira l’attenzione, ma che poteva facilmente stupirti quando si agghindava per seratine divertenti. La verità è che si trascurava un pochino, sembrava non le interessasse apparire bella, ma che quando lo faceva ti lasciava senza fiato, con il dubbio se davvero fosse o meno lei. Quello che non la lasciava mai era, però, un senso di ingenuità che a volte la faceva sembrare svampita. Forse era quello a renderla ai miei occhi poco sensuale.

La ragazza accanto a lei si chiamava Rosita e scoprimmo essere una sua coinquilina proveniente dalla provincia di Salerno. Ci sedemmo difronte alle ragazze e ben presto fummo rapiti da Rosita… o meglio dai suoi occhi. Rosita era una bella ragazza dalla carnagione leggermente scura, accentuata dai resti dell’abbronzatura estiva e da un fondotinta che la valorizzava. Una bocca piccola, stretta, ma dalle labbra abbastanza carnose, un bel nasino e dei capelli lisci neri che le cadevano a metà schiena. La cosa più bella del suo viso erano sicuramente gli occhi. Due smeraldi incastonati in quel visino sensuale. Verdi, brillanti, grandi e truccati in modo da sembrare leggermente allungati, quasi all’orientale. Nel complesso era davvero un volto molto bello e il trucco, forse un pò troppo accentuato la faceva sembrare soprattutto molto sexy. Unico neo: fidanzatissima.

Non ci volle molto tempo che Costanza fu pronta e ci invitò ad uscire insieme a Laura e Rosita. Le altre, visto che erano ancora indietro con i preparativi ci avrebbero raggiunto più tardi. Noi dovevamo incontrare altri ragazzi e eravamo già in ritardo.

Ci dirigemmo verso Piazza Dante e dove ci aspettavano altri ragazzi, prendemmo una birra in un bar e cominciammo a scendere via Toledo tutti insieme.

Mentre camminavamo tra una chiacchiera ed un’altra mi ritrovai dietro a Laura e Rosita che camminavano a braccetto. Prima nel salotto, stando seduta, non avevo potuto apprezzare il resto del fisico. Ora a ben vedere, il lato b della ragazza sembrava reggere bene il confronto con il viso. Aveva un fondoschiena prorompente, rotondo, un pò largo sui fianchi se si voleva essere pignoli e, a guardarne il movimento, sembrava essere anche bello sodo. Fu motivo di non poche allusioni.

Mentre sorseggiavamo e ridevamo dietro di loro, fummo sicuramente scoperti da Rosita a guardarle il culo. Il suo sguardo si fermò sopratutto sul mio. Ammutolitomi mi nascosi dietro la bottiglia. Mi catturò e mi fece scorrere un brivido nello stomaco insieme alla birra. Negli occhi c’era una lieve punta di rimproverò, ma anche compiacimento e malizia. Forse fu solo mia impressione, ma mi sembrò che quando si rigirò davanti, accentuò un pò il movimento con i fianchi per farci godere di quella vista. Mi ero eccitato al solo sguardo e dovevo volgere altrove occhi e pensieri per non dare spettacolo in mezzo alla strada.

Giungemmo in piazza del Gesù dove entrammo in un bar per prendere altre due birre e poi ci sedemmo su degli scalini per fare quattro chiacchiere. Ad un certo punto fui chiamato da Laura e mi avvicinai a lei. Mi spiegarono che Rosita non era riuscita a superare i test di ammissione per Medicina e ora si era iscritta ad un corso di Biotecnologie. A differenza di Medicina, però, nel piano di studi c’era un esame di matematica, materia che le era ostile. Le ragazze avevano chiesto se potessi darle una mano, dato che non me la cavavo affatto male. In effetti era così e avevo anche aiutato i miei compagni con la prova di matematica dell’esame, quindi avevo già sperimentato le mie capacità come insegnante. Accettai ben volentieri, soprattutto per fare un favore a Laura.
Confesso che in quel momento, i pensieri che mi avevano sfiorato poco prima per la strada erano spariti e accettai senza sapere a cosa stavo per andare incontro.

Nello sguardo di Rosita un grazie di complimento e sicuramente nulla che mi facesse venire in mente una qualche possibilità di avere un rapporto diverso con lei quale quello di due amici che si davano una mano nello studio.

 

 

Due giorni dopo quel Giovedì sera chiamai Laura per raggiungerla a casa come d’accordo.

Mi disse che lei era impegnata e non ci sarebbe stata, ma mi diede il numero di telefono di Rosita e l’indirizzo preciso, visto che ancora non c’ero mai stato. Non fu difficile trovare il palazzo anche perchè era su via Mezzocannone, proprio nelle vicinanze di Piazza San Domenico, una di quelle piazze dove spesso gli universitari si incontrano, quindi già conoscevo la zona. La via su cui si affacciava il portone, poi, era abbastanza conosciuta, ribattezzata via “pisciazza”. In pratica dopo svariate birre uno dei vicoli dove sia uomini che donne a volte tendevano a svuotare la vescica. A parte questo piccolo sgradevole particolare il palazzo, sebbene vecchio, non sembrava poi malaccio.

Davanti al portone chiamai Rosita per farmi aprire. Mi ero dimenticato il cognome a cui bussare. Mi aprì e cominciai a salire a piedi. Il loro appartamento era al terzo piano, solo che sapere ciò non era sufficiente a misurare l’impresa, infatti, capita spesso nei vecchi palazzi di Napoli che le scalinate si fanno più ripide e si inerpicano scomode salendo più del previsto. Nelle case antiche il soffitto, infatti era molto elevato e quel terzo piano era quasi un sesto.

Arrivai davanti al portone trafelato. Era socchiuso. Mi annunciai mentre ero con un piede sul pianerottolo e l’altro all’interno.
“Entra… entra…” la voce di Rosita dalla destra. Appena si accedeva in casa un corridoio andava sulla destra dove in fondo si apriva in una stanza dove era ricavato il tinello. Vi era il tavolo dove probabilmente mangiavano le ragazze e oltre, sulla sinistra, un altro corridoio che portava alle stanze ed ai due bagni. Mi spiegò poi Rosita che erano in quattro ragazze in casa, ognuna con la sua stanza.  
“Sei salito a piedi??” mi chiese “Pazzo” senza attendere la mia risposta. Mi venne incontro, verso il portone. Non vi erano finestre all’ingresso, per cui era leggermente scuro, non riuscii a vederla bene mentre si avvicinava, ma una cosa mi rimase impressa: le babbucce. La ragazza sexy che avevo conosciuto il Giovedì precedente era quasi sparita. Indossava una felpa abbastanza larga, forse del fidanzato, che ne nascondeva le forme, una tuta e le babbucce con la faccia da cagnolino. Non il massimo, ma in fin dei conti dovevamo solo studiare. L’unica nota positiva era proprio quella tuta. Una di quelle elasticizzate che cingono fianchi e gambe, quasi un leggins. All’epoca non aveva ancora spopolato, ma un po’ li ricordava. Certo che ti lasciava comunque un senso di insoddisfazione, infatti sebbene disegnavano bene il fondoschiena della ragazza, non riuscivi a vederli sexy. Era pur sempre una tuta.
“Dovrai imparare a conservarti le monete da due centesimi, ti serviranno per l’ascensore” mi disse Rosita mentre mi porgeva gentilmente un bicchiere d’acqua.
“Vado a prendere il libri”. E sparì nel corridoio mentre io ne seguivo i passi guardandole il culo. Deglutii anche senza aver bevuto nulla. Mi scoprì nuovamente e sorrise, mentre io rimasi impassibile, per quanto potessi. Ritornò in cucina dopo poco e cominciammo a studiare. Nel mentre prendevamo confidenza, parlavamo del più e del meno e lei ogni tanto si offriva in piccoli servizi da buon ospite: un caffè, dei biscotti o una fetta di torta portata da casa. Ed ogni volta si ripeteva la stessa scena. Lei si sporgeva per raggiungere gli oggetti dagli stipetti in alto e io le guardavo il sedere. Ero come ipnotizzato. Comunque non ve la tiro a lungo anche perchè il leit motiv era quello: lei da un lato sembrava una perfetta anfitrione, dall’altro una gatta morta dalle infinite piccole provocazioni. Io il pollo che stava lì imbambolato.

Una sera arrivò una sua coinquilina, Roberta, prima del solito. Roberta era di qualche anno più grande rispetto Laura e Rosita, frequentava giurisprudenza e era impegnata in varie attività sociali in città. Era abbastanza alta, capelli castani lunghi che le scendevano fino a metà schiena e che era solita portare legati con una coda alta. Occhiali sul viso dai lineamenti delicati. Il contrario del carattere, che fin dal primo incontro sembrò abbastanza spigoloso. Autoritaria e un po’ scazzata, ma forse era colpa del cambio di orari che le aveva scombussolato un po’ di cose. Scoprimmo, infatti, che da quel dì in poi sarebbe stato sempre così, le avevano cambiato gli orari. Giustamente volle prepararsi qualcosa da mangiare e noi dovemmo liberare il tavolo. Rosita mi invitò ad andare in camera sua e dopo aver scambiato qualche convenevole con la coinquilina appena conosciuta la seguii.

All’interno la solita mobilia da studente, quali scrivania di fronte al balcone, letto al lato, armadio sulla destra e così via. Le pareti erano tappezzate di sue foto, soprattutto primi piani. Mi spiegò che la zia le regalò un book fotografico per il diciottesimo capodanno. Un regalo azzeccatissimo, visto che come già vi ho detto era davvero un bel viso. Sembrò leggermente imbarazzata mentre me lo diceva e io andavo scorrendo le varie foto. Ve ne erano anche alcune con il fidanzato e, cosa che mi lasciò più basito, sembrò ancor più in imbarazzo quando mi spiegò del ragazzo accanto a lei. Non vi diedi peso più di tanto e riprendemmo a studiare.

Da quel giorno in poi vi furono due sostanziali cambiamenti: incominciammo a studiare sempre chiusi in camera sua, cominciò a vestirsi in modo diverso. A parte le babbucce, ovvio.

Avevano il riscaldamento condominiale e, per accontentare le anziane vicine, anche se faceva ancora caldo a Napoli, i termosifoni erano accesi e in quella piccola stanzetta la temperatura si alzava facilmente, senza che la ragazza facesse alcunchè. Per questo vestiva spesso canottiere estive, che a me poi non spiacevano, perchè lasciavano spesso intravedere il reggiseno e ciò che copriva. Non ero l’unico ad accorgersene. Una sera, infatti, si alzò dalla sedia e, girando attorno alla scrivania andò verso il balcone e chiuse gli scuri. Prima che mi fosse impossibile vedere oltre feci caso ad una luce accesa nel palazzo di fronte al nostro.
“Penso che quel vecchio mi spii. Lo riprendo spesso che mi guarda le tette mentre studio” disse un po’ infastidita mentre si porta le mani dietro la schiena, sotto la canottiera.
“Scusami, ma non ce la faccio” continuò mentre si toglie il reggiseno da sotto la maglia. Come facciano le donne a liberarsi di questo da sotto gli altri vestiti è qualcosa che per me ancora ha il sapore di mistero. Fatto sta che prima di sedersi l’ha già riposto sul comodino accanto al letto.

Ora se prima ogni tanto allungavo l’occhio verso la scollatura, figuriamoci adesso. Proprio per questo decisi di allontanarmi e sedetti sul letto mentre lei svolgeva degli esercizi. Cercavo di distrarmi con le foto sui muri, ma non fornivano molta distrazione, anzi!

Ad un tratto, trovandomi completamente distratto mi chiese di avvicinarmi per controllare dei passaggi. Senza pensarci nemmeno mi ritrovai in piedi alle sue spalle mentre lei era seduta. I miei occhi, però, vi fecero subito caso. La posizione era eccezionale, in pratica era come se la canottiera non vi fosse. Passavo continuamente dai fogli ai seni, senza soluzione di continuità. Son sicuro che lei mi vedeva farlo. Rimasi un attimo incantato a fissarle lo scollo tra i due seni. Ricordo solo che piano piano svanì mentre le tette si avvicinavano, stava stringendo le spalle.
“Ma allorra non centra l’età, è proprio una cosa di voi maschi arrapati” Le sentii dire.
Proprio mentre ero cascato in quella piccola valle mi stava chiedendo conto di una particolare trasformazione e io non le stavo rispondendo. Subito sentii il sangue scorrermi sotto pelle. Dovevo avere il viso paonazzo per l’imbarazzo. Volsi subito lo sguardo sul foglio mentre scattai sull’attenti. Non una mossa molto intelligente, visto che il resto del sangue che non era andato a colorarmi la faccia mi riempiva il cazzo in un’erezione non più contenuta. Nè l’esser stato scoperto, nè la risatina di Rosita riuscì a sgonfiarlo.

Sembrava che volessi balbettare qualche scusa, forse un minimo di ritegno mi fece star zitto, mentre lei si girò quel tanto che bastava e attirò il mio sguardo sui suoi occhi.
“Vabbè in fondo mi sembra anche giusto” E le spalline della canottiera non c’erano più, lasciandola cadere sui fianchi. “Vieni qui a darmi lezioni senza mai nulla in cambio.” Aggiunse mentre mi prendeva un polso e portava la mia mano sul seno nudo.
“Ahi, è fredda!!” Disse lei.
“Giustamente.” Pensai io, che tra viso e cazzo non avevo più sangue.
La riscaldò tra le sue un istante per poi portarsela con la sinistra sulla guancia. La destra, invece aveva raggiunto i miei pantaloni giusto sulla patta. Un brivido mi scorse lungo la schiena quando sentii la sua mano premere sul mio pacco sporgente.

“Lascia che almeno possa ricambiare in qualche modo” Concluse sorniona, usando ora entrambe le mani per liberare la mia erezione. I bottoni sembrarono ricoperti di burro per quanto facilmente si slacciarono dalle asole e il boxer sparì subito sotto le palle, mostrando il cazzo ormai turgido. Per fortuna che quando va in pappa il cervello il corpo continua a fare il suo dovere.
Tirò fuori la lingua e cominciò a toccarlo con la punta poco sotto la cappella. La mia mano era ancora lì dove l’aveva lasciata lei.
Risalì l’asta e arrivò con la lingua sulla cappella gonfia, quindi alzandosi leggermente con il busto vi portò le labbra sopra e la nascose tra queste regalandole una sorta di bacio. Ridiscese sulla sedia chinando leggermente la testa all’indietro in modo da accompagnare l’uscita della cappella da quelle carni naturalmente rosse. Tutte le mie forze erano concentrate a non venire subito concludendo alla grande quella figura di merda di cui ero appena stato protagonista.
Appena ne fu libera chiuse le labbra, allungandole sui lati e mimando una qualche approvazione per non so cosa. Fatto sta che ogni suo movimento mi sembrava portato a farmi eccitare di più. Mi prese il cazzo con la mano, alzò l’asta e questa volta con il piatto della lingua andò a percorre tutta la lunghezza dalle palle alla cappella. Allontanò il viso un attimo per prenderlo questa volta alla base e abbassarlo per puntarselo alle labbra. Se lo infilò per gran parte in bocca e cominciò a succhiare muovendo ritmicamente la testa. Faceva continuamente avanti indietro facendo sparire parti dell’asta per poi farle ricomparire inumidite della sua saliva. Sapientemente arrivava fino alla base della cappella per poi ritornare ad affondare in un crescendo smorzato solo a tratti. Resistere fu un supplizio, soprattutto perchè quando all’improvviso decideva di rallentare puntava gli occhi sui miei. In quell’istante rischiavo ogni volta di venire e, infatti, andata liscia una, andata liscia la seconda, un’altra volta approfittai del fatto che si fosse tirata leggermente indietro per sfilarmi e scaricare di lato la mia eccitazione. Fiotti copiosi raggiunsero pavimento e scrivania. Qualche goccia grondante dalla cappella anche i pantaloni della ragazza.

“Scusami” riuscii finalmente a dire dopo tanto mutismo mentre le guardavo la piccola macchia sul pantalone.
“Tranquillo, che vuoi che sia, si leva subito”. Poco prima prima di ricacciarsi in bocca il mio cazzo e ripulirlo con cura.
“Così almeno puoi ritirarti senza sporcare troppo”. Disse lei facendomi pure l’occhiolino. Si alzò e riportò le spalline della canottiera sulle spalle. Naso a naso un secondo prima che ci scocchiammo un bacio sulle labbra. Fu in quel momento che la mangiatrice di cazzi che avevo di fronte si trasformò. Con estrema dolcezza e tono leggermente remissivo, come se cercasse anche l’approvazione per un qualsiasi normale servizietto appena concluso.
“Spero solo che come ricompensa sia sufficiente, poi la prossima volta dedici te”
Al momento l’unica cosa che capiì era che per quel giorno era andata. Era ora di ritirarsi ed andare a casa a cenare.
Mi ringraziò come suo solito vicino al portone, dove si allungò sulle punte per salutarmi con due baci sulle guance. Aveva ancora il mio odore sulle labbra, eppure mi congedava come sempre.

Il giorno seguente non ci saremmo visti. Mi segai tutto il giorno pensando a quel magnifico visino che si inghiottiva il mio cazzo e lo succhiava meravigliosamente.
Ci scambiammo anche qualche messaggio, ma mai parlando di quello che era successo.
“Non ti ho chiesto qual è il tuo colore preferito” mi scrisse ad un punto.
“Blu” risposi
“Va bene, ora devo salutarti. A domani. E mi raccomando un pò meno imbambolato, che c’è da studiare tanto :*”
Mi guardarono strano in casa. Mi feci nuovamente rosso all’istante e riposi subito il cellulare come a vole nascondere quello che c’era scritto.

Dormii male tutta la notte. Giù tra le gambe mi doleva ogni cosa. Mi ero girato e rigirato sotto le lenzuola con il membro sempre gonfio. Ogni pensiero era rivolto al pomeriggio seguente. Inutile dire che la mattinata l’Università fu completamente inutile. Se da una parte diede un pò di riposo tra le gambe e un pò si sangue al resto del corpo che ormai ne era in riserva, dall’altra non prestai attenzione a nulla di quanto fu detto a lezione quel giorno. Non che ne avessi mai ricordato comunque molto, ma quella mattina fu buio totale.

Tornai casa per pranzare e, dato che avevo combinato poco e nulla in aula, il primo pomeriggio passò con un lungo caffè passato sul divano della cucina con un coinquilino parlando del più e del meno. Forse l’unico momento di vera pace e distrazione. 
Mi avviai prima rispetto al solito orario per farmi un giro, non riuscendo a combinare nulla di proficuo a casa e preferii scendere per la strada. Avrei allungato la strada passando per le vetrine di via Toledo e parte del Rettifilo per risalire via Mezzocannone da sotto.

Arrivai al portone del palazzo in perfetto orario, quasi spaccando il minuto. Non avevo con me i due centesimi. Stavo per prendere le scale quando una signora mi invita a salire insieme a lei.
“Che piano??”
“Terzo, grazie” le rispondo con un sorriso di circostanza.
Preme solo il terzo e scende con me. E’ la dirimpettaia delle ragazze. La saluto senza esser ricambiato. La sua gentilezza si era fermata appena entrata nell’ascensore.

Probabilmente aveva passato la quarantina. Non da molto a mio avviso. Una donna matura, ma molto piacente. Sicuramente poteva ancora giocare le sue carte. Portava una gonna nera che le arrivava poco sotto le ginocchia che si stringeva verso il basso, costringendola a tenere le gambe abbastanza strette. Una camicia rossa con piccoli particolari ricamati con un filo leggermente più scuro della tinta della camicia che si apriva sul petto lasciando intravedere una maglia nera che le fasciava il corpo. Una giacca nera tenuta sulle spalle, ma in cui non aveva infilato le braccia, una borsa di pelle nera che reggeva dal basso accanto al corpo e scarpe con tacchi alti e fini di un colore rosso molto scuro, quasi bordeaux. Una signora elegante e con un tocco sensuale.

Entrò in casa mentre io aspettavo che mi aprissero. Sentii le sue scarpe cadere appena dietro il portone. Evidentemente le erano scomode. Intanto Rosita arrivò alla porta e mi aprì. 

Mi cinse subito le braccia al collo e mi stampò un bacio sulla guancia lì sul pianerottolo. Non so spiegarlo, ma ebbi la sensazione che la signora ci stesse guardando dallo spioncino, infatti mi girai verso il portone alle mie spalle.
“Cosa c’è??” Mi chiese la ragazza.
“Nulla” risposi in prima battuta. Poi le spiegai di essere salito con la sua vicina.
“Quella vecchia megera…” Commentò la ragazza mentre ci inoltravamo in casa, verso la sua cameretta “… penso non ci sopporti, forse le fa invidia che le cadono le tette e a noi no”
In verità, devo ammettere, a me non sembrò affatto che gli anni avessero appesantito i seni di quella donna. Sicuramente pieni e morbidi, come giusto che fosse a quell’età, ma si manteneva molto bene.

La nostra Rosita quel pomeriggio si presentò con una maglia di color panna di quelle che sembrano avere almeno due taglie in più del dovuto, con uno scollo che lasciava sempre una spalla scoperta e di riflesso il laccetto del reggiseno. Blu.
Le gambe erano quasi completamente scoperte, si riusciva solo a intravedere uno short di colore scuro da sotto l’orlo della maglia che arrivava a coprirle i fianchi. Ai piedi le solite ed immancabili babbucce con il muso di un cagnolino.

Mi chiusi la porta alle spalle e la presi subito per il fianco trascinandola a me. Rosita si trovò a doversi rigirare su se stessa. Appena il suo viso fu verso il mio accennò un’espressione di stupore, piacevole stupore a mio avviso. Le sue mani andarono a finire sul mio petto e le labbra vicine le une alle altre. La baciai sulle labbra, ma lei le allontanò velocemente tirandosi indietro con la schiena, sempre stretta dal mio abbraccio.
“Ahh, ahh prof…” disse con un lieve accenno di rimprovero “prima il dovere, poi il piacere” divertita sicuramente dalla delusione che si stava dipingendo sul mio volto mentre la presa obbligava i nostri bacini a stare uno attaccato all’altro e sicuramente le permetteva di sentire l’accenno di erezione che mi stava prendendo.
La liberai e sgusciò via facendo strusciare con malizia la sua mano sul mio pube.
“Chiudi te le imposte??” Chiese mentre tirava fuori i libri dalla borsa e cominciava a disporli sulla scrivania. Ormai era diventata prassi e così feci. Il vecchietto non c’era, quindi si era perso quella piccola scenetta.
Ritornai dall’altro lato della scrivania. Rosita si era già seduta sulla sua sedia. Si era messa giusto sul pizzo lasciando dello spazio libero dietro di se.
“Dai, vieni..” mentre giocava con la penna tra le dita “basta che mi prometti che non ti distrai troppo. Così stiamo pure più caldi”.
In effetti la temperatura aveva cominciato a calare, ma come già ho detto la loro casa non risentiva del freddo, anzi rimaneva sempre un forno. Comunque non giustificava la cosa.

Non mi rifiutai di certo e alzando una gamba mi misi seduto dietro di lei. La visuale non era la stessa della scorsa volta, ma lo scollo largo di quella maglietta mi lasciava comunque abbastanza spazio per osservarle parte dei seni e il reggiseno blu.
Calai subito gli occhi nella scollatura appena mi sedetti e lei lo notò, ma non disse assolutamente nulla.
Cercai di mantenere l’implicita promessa fattele sedendomi lì e cercai di dedicarmi allo studio. Devo riconoscere che la ragazza ormai andava abbastanza spedita per conto suo. Il mio compito si limitava a correggere qualche errore di disattenzione, di segno o a suggerirei qualche trucchetto meno intuitivo, ma che permetteva di saltare qualche passaggio e velocizzare la soluzione. Il resto era controllo del risultato.
Ciò non mi entusiasmava affatto, e come era logico cercavo qualche diversivo. Il risultato fu un pomeriggio di palpeggiamenti più o meno espliciti. Cominciai a carezzarle dolcemente la pancia, quasi come un piccolo premio di riconoscimento per gli esercizi svolti bene. Quindi mi spostai sulle gambe. Facevo camminare le mie mani sulla pelle nuda della ragazza dall’orlo degli shorts fino alle ginocchia e ritorno. Un po’ come a volerle riscaldare e al tempo stesso massaggiare con delicatezza. Mai nulla di eccessivo. Lei non si opponeva in alcun modo. Si lasciava toccare senza proferir parola, con la testa china sui libri. Nel frattempo il suo odore cominciava ad occupare l’intero spazio delle mie narici, tanto che mi fu naturale spostarle la coda tutta da un lato per scoprirle il collo e annusarlo da vicino. Aveva un buon profumo. Era quasi impassibile mentre il mio respiro le accarezzava soffice la pelle e a tratti le labbra la sfioravano lentamente. Non riuscì a trattenere giusto un piccolo brivido. Sentii il tremolio scorrerle per la schiena. Ad entrambi scappò una risatina sommessa. Si girò leggermente senza darmi lo sguardo. Le baciai la guancia come a voler impedire quel movimento del volto, anche se era inutile visto che la ragazza stessa lo aveva interrotto lasciandolo incompleto.
Mi feci più audace e le mani le risalirono i fianchi sulla maglietta, raggiungendoli i seni al di là della stoffa. Finì di scrivere e si pose ritta sulla schiena lasciando che le mie mani le scorressero sulla maglia. Io avanzai con il busto portando il petto dietro la sua schiena. La strinsi a me mentre lei riprese a scrivere.
In tutto questo un leggero dolore mi prese tra le gambe. Era turgido da un bel po’ ormai e si ricordò della pessima notte passata.

L’unica reazione della ragazza la ebbi quando mi decisi a toccarle il sesso. Entrambe le mani,  ritornate a massaggiarle le gambe cominciarono a cercare anche l’interno delle cosce e lentamente a risalire sempre più sù. I pollici che puntavano verso i nostri corpi uniti raggiunsero per primi gli shorts, ne percorsero quel poco di stoffa per ritrovarsi a deviare sulla sua pancia mentre le altre dita, quasi unite riuscivano a raggiungerle il sesso. La fortuna fu dell’indice che strusciò sopra il pube della ragazza, trovandola già accaldata. Fu in quel momento che esitò, smise definitivamente di scrivere lasciando la penna sospesa a qualche millimetro sopra il foglio. Alzò per un attimo la testa portando i suoi capelli ancor più vicini al mio naso. Mi inebriò di uno splendido odore di frutti esotici, doveva essere il suo shampoo. Al tempo stesso divaricò leggermente le gambe invitandomi a continuare. Le mani andarono a congiungersi e la sinistra si portò sulla destra che, invece, rimaneva incollata al corpo della ragazza con le dita che premevano sulla stoffa per ricercare le curve delle labbra di Rosita. Mosse leggermente il collo. La penna ritoccò il foglio, ma ormai vi era distesa sopra, libera della presa della ragazza.
“Mi sa che abbiamo smesso di studiare per oggi”
Disse con calma serafica. La mia mano si riscaldava del calore che emanava il pube della ragazza. La sua, invece, mi raggiunse il mento. Una carezza prima di alzarsi interrompendo le mie carezze. Stretta tra me e la scrivania si ritrovò leggermente piegata con il culo che mi si mostrava sotto il naso. Non staccavo gli occhi da quelle curve. La posa, seppur involontaria era per me molto eccitante. Con le mani sul bordo della scrivania e girata con il solo collo verso di me riprese la sua ironia mordente.
“Vuoi stare ancora lì a fissarlo o mi fai uscire”

Mi feci indietro con la sedia provocando quel classico e fastidioso stridio dei piedi della sedia che strusciano sul pavimento. Lei ebbe spazio per girarsi. Rimise le mani sulla scrivania scambiando la destra con la sinistra. Vi poggiò anche il sedere. Mi guardò dritto negli occhi. Poi guardò il letto accanto a noi.
“Perchè non ti metti più comodo??”
Non me lo feci dire due volte. Mi alzai dalla sedia con un’evidente erezione nei pantaloni che mi dava una noia indescrivibile. Mi sedetti sul letto.
Lei spostò la sedia e si mise giusto davanti a me. Si sbottonò lentamente gli shorts e li lasciò cadere sul pavimento. Si liberò nello stesso momento delle babbucce e degli shorts scoprendo i suoi piedi. Quindi si tolse anche il maglione mostrandosi con la lingerie di pizzo blu.
“Lo so che già lo avevi notato, ma ha visto che bella biancheria”
Annuì con un cenno della testa e un sorriso di soddisfazione.
“Blu come piace a te”
“Per la verità io preferisco la biancheria la preferisco chiusa nel cassetto” Risposi di getto mentre gli occhi scorrevano la figura di Rosita dal basso all’alto e viceversa in modo continuo.
“Basta chiedere prof!!” Portandosi le mani dietro la schiena.
“No, no!!” La interruppi subito. “Non privarmi però di questo. Lo faccio io. Avvicinati”

La ragazza riportò le mani sui fianchi e con due passi mi fu di fronte. Mi sporsi leggermente sedendomi giusto sul pizzo del letto. Allungai le mani sulle gambe di Rosita. Questa volta risalendo potei sentire la sua pelle al posto della stoffa dei pantaloncini. Salendo le girarono attorno alla figura per ritrovarsi a toccarle il sedere. Le dita si infilarono sotto lo slip e le chiusi stringendo forte le natiche della ragazza. Quindi ritrassi indietro le mani e le portai sull’addome di Rosita. Giocai un po’ con l’orlo dello slip lasciando entrare il medio solo con la punta sotto l’elastico. Girai fino ai fianchi, poi con entrambe le mani cominciai a spogliarla di quel triangolo blu.
Fui due volte compiaciuto. Il sesso era coperto giusto da un striscia di pelo tenuto molto curato, scoprii poi che si diceva “alla francese”. Mostrava le grandi labbra piccole e rotonde, un po’ gonfie per le attenzioni finora ricevute, che lasciavano intravedere le piccole labbra appena. Inoltre era già bagnata. Portai subito due dita sopra il sesso della ragazza lasciando che si bagnassero dei suoi umori, quindi vi avvicinai anche il viso. Dapprima ne sentii il profumo, certamente meno delicato di quello della sua pelle e dei suoi capelli, ma ovviamente molto più eccitante, poi lo cercai con le labbra. Le avvicinai leggermente schiuse alla sua pelle. Sentii un lieve solletico dei suoi peli sul labbra superiore, mentre quello inferiore si godeva il sapore dei suoi umori. Le feci avvicinare come in un candido bacio. Scivolarono velocemente l’una vicino all’altra. Mi ritrassi con il busto per godermi un’altra volta la vista del sesso di Rosita. Non ce la facevo più. Il cazzo voleva strapparmi mutande e pantalone. La ragazza lo notò e si abbassò fino a inginocchiarsi tra le mie gambe. Mi sbottonò i pantaloni e tirando leggermente gli slip mi liberò il membro che svettò turgido ritto in mezzo a noi. Per la seconda volta Rosita si prodigò in un pompino indimenticabile. Ancora oggi mi sovviene chiaro in mente. Appena liberato dai vestiti aprì la bocca e glielo fece scomparire tutto dentro. Senza mezze misure. Mi sentii avviluppare tutte le carni. Quando chiuse le labbra mi toccava quasi l’addome con il naso. Si ritrasse molto lentamente con un movimento fluido. Sguardo fisso sul mio. Mai da quando i suoi occhi mi catturarono quel Giovedì sera sarei riuscito a immaginare quella scena. Mi sentii scorrere un brivido lungo tutto la schiena quando lo lasciò libero e cominciò a dondolare davanti al suo viso. Lo prese alla base con presa salda e lo bloccò per ricacciarselo nuovamente in bocca. Cominciò a muoversi avanti e dietro con la testa risucchiando ogni volta che si allontanava dal mio bacino.
“Togli la mano” Riuscii a dire con voce strozzata. Ero troppo intento a trattenermi.
Lei obbedì subito e si portò entrambe le mani sulle ginocchia chiuse davanti a se. Continuò a succhiarmi l’anima per qualche minuto. Anche quella volta non durò molto. Era bravissima con le labbra e io non riuscivo a resisterle, ma questa volta non ebbi remore, le venni copiosamente in bocca. L’unica accortezza fu avvisarla, ma lei non diede alcuna risposta e continuò a muovere la testa tra le mie gambe con il cazzo racchiuso tra le sue labbra. Un po’ gliene sfuggi dall’angolino destro della bocca. Cadde sulla mia scarpa.
“ E che fai, lo sprechi??” dissi io scherzando, restando poi incredulo del gesto di Rosita in risposta.
Chinò il capo e baciò la scarpa macchiata raccogliendo il seme che vi era caduto.
“ Non ti deluderei mai, Prof ”

Era tardi, dovevo andare e nemmeno questa volta avrei ottenuto altro, ma non volevo andarmene così. La feci alzare. Aveva le ginocchia leggermente arrossate e la fica fracida. Gli umori la rendevano lucida. Me la ritrovai giusto davanti al naso e la toccai. Appena vi poggiai le dita sopra Rosita ebbe come un piccolo sussulto. Mi ritrassi, la guardai questa volta io dal basso e poi le indicai di stendersi sul letto. Ancora una volta eseguì senza opporre alcuna resistenza. Le feci allargare le gambe accanto a me e mi piegai verso il suo sesso quando mi fermò. La guardai leggermente perplesso.

Non disse nulla, si portò la mano tra le gambe e cominciò a toccarsi. La osservai con un misto di eccitazione e curiosità allo stesso tempo, studiavo come si toccava e cercavo di imprimermelo bene nella mente. Era già bagnata da tanto e non ci girò molto intorno. Dopo averla accarezzata qualche volta tra le gambe e l’inizio del sesso si strinse le grandi labbra tra l’indice ed il medio per poi spingere verso il basso. Lasciò scivolare le due dita sui suoi umori fino a risalire verso il clitoride tenendole premute sulla sua pelle. Quando arrivò alla sua metà lasciò quella pressione, permettendo alle labbra di distendersi e si cercò il clitoride con le dita ora unite. Cominciò a stuzzicarlo con movimenti circolari della mano e una leggera pressione. Qualche secondo dopo cominciò a farlo dall’interno. Non pareva aver avuto nessuna difficoltà a farle entrare. Erano scivolate come su del burro sciolto. Continuò a stimolarsi il clitoride con l’indice mentre si penetrava da sola con il medio e l’anulare. Non durò molto nemmeno lei. Poco dopo e sembrò esausta, spossata dal suo stesso orgasmo.
Raggiunsi la sua mano con la mia. Senza esitazione alcuna le portai due dita nella fica, le estrassi e le leccai avidamente mentre la fissavo. Sembrava veramente stremata. Cercò di fare lo stesso con le sue, ma la precedetti. Con una mano le presi il polso e fermai la sua mano. L’altra era già sul suo sesso. Le bagnai dei suoi umori e questa volta mi allungai per raggiungere la sua bocca. Le lecco imitando la mia stessa avidità.

Mi alzai e mi ricomposi mentre era lì distesa con il solo reggiseno addosso. Mi avvicinai al capo del letto e mi abbassai per darle un bacio sulle labbra. Aveva ancora il mio sapore, ora misto al suo.
“Ci vediamo Lunedì” le dissi.
Accennò un sì con la testa senza proferire verbo. Lasciai la stanza avendo l’accortezza di non far vedere cosa fosse successo al suo interno e mi ritirai per la cena.

Ora dovevo resistere tre giorni per rivederla.

Durante il fine settimana non ci sentimmo molto. Sapevo che l’avrebbe passato in gran parte con il ragazzo, quindi era meglio darsi un po’ alla macchia. In verità il fatto di essere il terzo incomodo non occupava molti dei miei pensieri. Ben altra attenzione aveva, invece, il nostro appuntamento. Il mio treno sarebbe arrivato in stazione prima del suo. L’avrei aspettata lì, purtroppo la Feltrinelli ancora non aveva aperto, mi dovetti accontentare di perdere del tempo al McDonald. Un’oretta dopo la vidi sbucare carica come un mulo: trolley, zaino e due buste, una per mano.

“Non credevo che dovessi traslocare l’intero armadio”. Mi avvicinai per salutarla, offrendole una mano.
“Se devo restare il fine settimana voglio avere scelta”. Rispose lei atteggiandosi a snob, ma smascherata da una fine risatina mentre mi passava la busta che le impegnava la stessa mano del trolley. “Grazie mille”.

Uscimmo dalla stazione e prendemmo l’R2 fino all’Università e poi risalimmo via Mezzocannone non con poche difficoltà tra la strada dissestata e il carico per l’intero Reggimento Cavalleggeri.
Prendemmo l’ascensore, dove ne approfittai per darle un bacio. Ricambiò e le nostre lingue impegnarono quei due minuti per salire in una piacevole battaglia. Quando arrivammo al pianerottolo, si avvicinò al portone, prese le chiavi e prima di inserirle nella serratura si portò il dito davanti alle labbra per invitarmi a fare silenzio. Giustamente non voleva rogne con le coinquiline. Sapevamo che Laura sicuramente non c’era, sarebbe venuta l’indomani . Neppure Monica, la quarta ed ultima coinquilina che chiudeva il cerchio, sarebbe dovuta esserci, era su in costiera dove degli amici avevano una casetta in collina. Delle coinquiline rimaneva soltanto Roberta. Entrammo in casa come dei ladri, muovendoci furtivamente fino in camera sua. Ladri dal giusto tempismo visto che nemmeno due minuti dopo sentimmo il rumore delle chiavi girare nella toppa e poi delle buste che venivano posate sul tavolo della cucina. Un rumore di tacchi si avvicinava alla porta e poi andava oltre. Roberta era rientrata. Rosita si avvicinò alla porta e quando fu sicura che Roberta non era nei pressi uscì dalla stanza portando con sé lo zainetto con le provviste che si era portata dal paese. Poco dopo fu seguita da Roberta. Si era cambiata le scarpe dato che non si sentivano più i tacchi. Parlottarono un po’ in cucina mentre io rimanevo steso sul letto con un piede ancora sul pavimento e le mani dietro la testa.
Sentii Rosita congedarsi poco dopo che il microonde aveva finito di scaldare.
“Scusami, ma ho molto da studiare, non ho fatto nulla questo fine settimana, ti spiace se mangio in camera”
“No, no, figurati” rispose Roberta che cominciò a sistemare la spesa ” Ora sistemo e vado anch’io, mangio giusto un’insalata che oggi siamo andati fuori a mangiare e sto ancora piena”.

Rosita si presentò con un contenitore di plastica fumante. Dentro una porzione di lasagna che poteva sfamare il già citato Reggimento Cavalleggeri. Aveva con sé una sola forchetta e un coltello. Io mi alzai mettendomi seduto sul letto e lei mi si sedette avanti. In un religioso silenzio consumammo la nostra cena con Rosita che imboccava alternativamente l’uno e l’altra, lasciando la conversazione ai soli sguardi tra l’intesa e il divertito. Qualche boccone scappato alla forchetta fu la scusa per cominciare a spogliarla. Quando, infatti, del sugo andò a sporcarle il maglione chiaro che indossava non esitai a toglierglielo facendole continuare la cena in reggiseno. Quando poi, la scena si ripetette e non c’era maglione da togliere mi chinai sul suo petto e con le labbra le tolsi la pasta che era scappata alla forchetta. Per fortuna avevamo quasi svuotato la vaschetta e decisi di prenderla dalle sue mani e spostarla verso il comodino mentre con il corpo spingevo Rosita a stendersi sul letto.

Risalii il torso strusciando le labbra sulla sua pelle e cominciai a baciarle le labbra mentre era ormai distesa sul letto. Mi lasciò fare per qualche minuto prima di cominciare a nascondermi la bocca. Sfuggiva ogni affondo e se la rideva mentre il naso andava a schiacciarsi su una guancia o sull’altra. Se la rideva ad ogni schivata riuscita, dandomi solo la soddisfazione di qualche fugace bacio a stampo tra le finte evasive.

“Mi sa che non ti son bastate le lasagne” disse ad un tratto con una voce quasi impercettibile.
Alzai leggermente il viso e la guardai con occhi interrogativi.
“Visto l’appetito che hai… “
“No, erano buonissime “
Stavolta fu lei a guardarmi, ma lo sguardo non era lo stesso. Quasi in cagnesco. Fin dalle elementari non sono mai riuscito a parlare con un tono di voce basso. Capii e mi ammutolii qualche secondo.
“Le ho fatte io, con queste manine”, mentre le faceva risalire sui miei fianchi fino a congiungerle dietro la mia nuca.
“Anche un ottima cuoca” Mi limitai a rispondere cerando nuovamente un bacio, che, però, non arrivò.
“Mi piace soddisfare gli altri, soprattutto chi dico io”. Il suo sguardo si mostrò mutevole come sempre. Ora era chiaramente malizioso.
“In questo momento non è lo stomaco da soddisfare” Inutile nascondere la mia impazienza e poi, inutile rinfacciarlo a noi uomini, in momenti come quello è la testa di sotto ad avere la meglio.
Lei giocava con le mani dietro il mio collo. A tratti accarezzava la base dei capelli, poi si dedicava a far scorrere le dita tra le scapole.
“Mi dica Prof, vediamo cosa posso fare per lei”.
“Oggi non c’è lezione, non sono il tuo professore”. Parlare mi era indolente. Da una parte consideravo le parole superflue in quel momento, dall’altro perché dovevo continuamente concentrarmi per conservare un tono quanto più basso possibile.
“Ma non credo che ti spiacerebbe più di tanto, a quale maschietto non piacerebbe più di tanto giocare avendo una posizione di vantaggio… “
Non la seguivo. In effetti non era possibile diversamente, il sangue era tutto nelle parti basse. La guardai perplesso.
“Beh, poter scegliere cosa fare… “
Restavo sempre più confuso, se non altro per il suo atteggiamento completamente ambiguo. Era chiaro che volessi baciarla con trasporto, con passione, con avidità ed ingordigia, ma volevo baciarla e lei si rifiutava. Le sue parole non seguivano affatto le sue azioni.
“Non posso credere che non ti va di fare il professore che si approfitta della sua alunna”.
“Un’alunna che sfugge”.
“Un’alunna che vuole sentirsi con le spalle al muro”.
“E’ questo che ti piace?” La mia domanda era ovviamente retorica. Il tarlo l’aveva messo bene. Lavorava ai fianchi la ragazza. Probabilmente fin dall’inizio. Ed io il pollastro che era caduto sempre nel tranello.
Alzò la testa facendosi forza con le mani unite dietro la mia nuca. Si avvicinò alle mie labbra, sentii il suo respiro sulle mie. Le schiuse e poi le strinse sul mio labbro inferiore per riaprirle dopo e far uscire la lingua con cui mi leccò l’angolo della bocca.
“Va bene come incentivo?”
“Quindi vuoi che faccia il professore cattivo?” le risposi mentre mi appoggiai con il corpo sul suo, rifacendola scendere sul cuscino. Le braccia poggiandosi sulle sue spalle le rendevano difficile muoversi. Non rispose mentre nel suo sguardo incominciavano a mescersi paura ed eccitazione.
“Ti serve questa scusa per fare del sesso con me?”
Coglione. Non furono le sue parole, ma quello che pensai di me.
“Certo che sai proprio come parlare ad una donna!” Disse lei girando il volto e con un tono che ormai rompeva quel quasi silenzio che ci eravamo imposti nello scambiarci quei sussurri. Mosse la spalla con forza per divincolarsi e naturalmente non potei che lasciarla fare.

Scivolai sul lato, mentre lei si mise a sedere dandomi le spalle. Mani appoggiate sul bordo del letto e testa leggermente china sul pavimento mentre i piedi cercavano le solite babbucce. Tentai di portarle la mano sulla pelle nuda della schiena, ma al solo sfiorarla si mosse come ad evitarmi e desistetti dal continuare.
“Ti pensi che sia facile per me?” Disse senza nemmeno accennare un minimo movimento per guardarmi.”… Pensavo andasse diversamente, ma forse ho sbagliato persona”.
Si alzò, sinceramente non ho la minima idea di cosa avesse intenzione di fare, ma qualsiasi cosa fosse glielo impedii. Le presi il polso, lo strinsi con forza impedendole di continuare ad alzarsi.
“Scusami” mi limitai a risponderle, “Ma non capisco, mi confondi ed io non sono nella tua testa”.
Si girò. Sembrava come delusa e con il senno di poi potrei anche comprenderla. Mi guardò, ma non c’era rimprovero o rabbia.
“E’ proprio quello che ti sto offrendo, e tu non lo capisci”.
Mi sentivo stupido, qualcosa oltre al sangue mancava al mio cervello per poterla comprendere e tutto lo smarrimento si concentrò nel mio sguardo che supplicava qualche spiegazione in più.
Sospirò, si girò leggermente con il busto portando il ginocchio sul letto. Congiunse le mani tra le gambe e con la pazienza della maestra cercò di rispondere alle mie tacite domande.
“Mi piaci, voglio fare l’amore con te, ma non ho bisogno solo di un maschio con cui farlo. Già ce l’ho. Quello che cerco è altro. Non te lo so spiegare bene. Ma voglio che mi coinvolga, che mi prenda dalla testa”
Il sangue era ritornato a fluire. Lui prima di me aveva capito che ormai la situazione me l’ero giocata. Mi tirai su con le mani per mettermi seduto con le spalle al muro, di lato rispetto a Rosita, pronto a farle sputare qualcosa che aveva dentro:
“E da lui non puoi averlo?”
“Non è così facile come credi. Conosci una persona in un modo e ti fai conoscere per tanto tempo. Ci sono amici, altre persone coinvolte. Ti metti una maschera.”
La situazione meritava molta attenzione, visto che le frasi della ragazza non sempre sembravano avere un nesso.
“Poi un giorno ti stanchi, ma che fai? Butti tutto? No, non puoi. Però qualcosa dentro cresce. E sta lì. Lo senti. Lo senti soprattutto quando prendi il treno e sei lontano da quella vita, da quel ruolo che ti sei scelta. Ti chiudi in una stanza e sei più libera di prima. Puoi pensare, fantasticare e ritrovarti delle mani che ti frugano tutto il corpo senza che tu glielo abbia concesso. Ma non fai nulla. Ti danno la sensazione di essere un giocattolo alla sua mercé mentre ti toccano senza ritegno. Ti senti nuda, esposta. E ti piace. Quelle mani ti fanno sentire qualcosa di suo e mentre ti toccano la pelle altre dita ti s’infilano nella testa. Forse ho visto in te quello che volevo vedere io”.
Ora sembrava quasi scusarsi lei. Abbassò nuovamente lo sguardo. Le ripresi il polso come avevo fatto prima, ma questa volta la tirai forte a me. Quasi mi cascò addosso. Le cercai il viso e non le diedi il tempo di sfuggirmi. La baciai. Le mani le raggiunsero il volto da un lato e dall’altro e la tenevo ferma mentre le mangiavo letteralmente le labbra. Mi piacevano troppo.
La liberai solo per un secondo, il tempo di cingerla per le spalle e spingerla a stendersi sul letto tra me e il muro, come se mi mettessi d’ostacolo tra lei e il resto della stanza.
“Non so se posso darti quello che vuoi. Però ci voglio provare”

Allentai leggermente quell’abbraccio per lasciarle la possibilità di guadagnarsi quel minimo di spazio per guardarmi negli occhi. I suoi cominciarono a saltare dall’uno all’altro dei miei. Erano leggermente umidi.
Una cosa sicuramente l’avevo capita. Non le era stato semplice parlare.
La lasciai mentre, riprendendo il tono che spesso usavo durante lo studio per rimproverarla di qualche errore di distrazione, le dissi “Però mettiamo subito in chiaro qualche regola…”.
Lei si tirò su il naso e mani davanti al petto attese la fine della frase.
“Quando vengo a trovarti non ti voglio più vedere con le babbucce!”
“Stronzo!” Questa volta fu lei a dirlo. Però sorrideva. Aveva capito le mie intenzioni e io ero riuscito nel mio proposito.
“Io praticamente mi metto nelle tue mani, e tu mi prendi per il culo!” Sottolineò fingendosi offesa.
“Ma io non sto scherzando.” E mi alzai di scatto cercando di raggiungere i suoi piedi con le mani. Si oppose giusto quel poco per non farmela vincere troppo facile. Le tolsi le babbucce e le lanciai alla parte opposta della stanza. “Da domani non voglio vederle mai più”
“Ma dai, cosa ti hanno fatto di male?” pronunciando il labbro inferiore a simulare il suo dispiacere.
“Nulla, ma non mi piacciono…” mi distesi nuovamente accanto a lei ” e hai anche delle ballerine??”
“Certo che ho delle ballerine”
“Via dai miei occhi anche quelle”
“Ma…”
“Niente ma. Non ho mai visto cosa più antisesso delle ballerine. Orrende, orribili, orripilanti, brrr…” Scuotendo collo e braccia ad amplificare il ribrezzo.
“Altro?” Chiese Rosita.
“Sì, basta scherzare” e mi avvicinai nuovamente al viso. La baciai e lei ricambiò. Era il prologo ed entrambi lo sapevamo: non v’era romanticismo, solo voluttà.

Mentre le lingue s’incontravano a metà strada sul confine continuamente ridisegnato dalle nostre labbra, mi ritrovai cavalcioni su di lei. Sciolsi la lingua dall’intreccio con la sua per alzarmi sulle ginocchia e togliermi la maglia. Lei sfruttò quel momento per liberarsi dal reggiseno. Di lei apprezzavo soprattutto gli occhi ed il fondoschiena, ma devo riconoscere che aveva anche un bel seno. Non era grandissimo, ma aveva una bella forma e come potei constatare la settimana prima era anche bello pieno. Quando mi riabbassai su di lei puntai con il viso il suo petto. Cominciai a baciarla sotto il collo costringendola a spostarsi con la testa ogni volta che mi spostavo da un lato all’altro del petto. Lentamente scendevo verso il basso a guadagnarmi i suoi seni. Feci scorrere le labbra sulla sua pelle lasciando che si chiudessero e schiudessero in piccoli intervalli come passi sul suo corpo. Girai attorno ai capezzoli come a voler rendere meno faticosa quella scalata salendo per i fianchi di quelle belle colline. La sommità mi regalò dei capezzoli già inturgiditi che si discostavano nettamente dalla delicatezza fino ad ora assaporata. Li strinsi dolcemente tra le labbra e mi allontanai fino a quando non sfuggirono a quella presa delicata. Vi ritornai, ma questa volta a stringerli furono i denti. La sentii sussultare un attimo a sentire quel contatto, quando, poi, mi ritrovai ad allontanarmi nuovamente, sentii la sua schiena inarcarsi a seguire il mio movimento fino a quando non la liberai e si ridistese sul letto.
Finito di giocare con i seni cominciai a scendere sul suo corpo. Con la bocca leggermente dischiusa le feci strusciare le labbra sullo stomaco, sull’ombelico fino a raggiungere l’orlo del pantalone. Mi alzai nuovamente con il busto, spostandomi più in basso e le portai le mani sul primo bottone. Le sbottonai il pantalone e quando lei cercò di fare lo stesso con me la spinsi nuovamente sul cuscino. Quando tutti i bottoni lasciarono le loro asole, le portai le mani sui fianchi e le affondai sotto l’orlo del pantalone andando a prendere anche gli slip. Li tolsi entrambi facendole alzare le gambe, quando le riportò sul letto le feci raggiungere dalle mie mani, gliele allargai leggermente e mi beai della sua vista completamente nuda ed esposta davanti a me. Me ne compiacqui per qualche secondo prima di allungare le mani sul suo sesso. Non ero l’unico già eccitato. Mi abbassai con la testa tra le sue gambe e cominciai ad assaporare il sapore dei suoi umori.
Ero troppo eccitato per continuare a giocare con lei, d’altro canto anche lei era già un lago, quindi le infilai la lingua direttamente in fica senza tante esitazioni. Mi bagnò tutta la bocca mentre la lingua la penetrava senza ritegno. Andai diretto al clitoride, lo raggiunsi con la punta della lingua e abbi l’ultima, superflua, prova della sua eccitazione. Si era indurito come una piccola pallina da flipper. Lo titillai qualche secondo prima di rialzarmi. Inginocchio tra le sue gambe aperte mi sbottonai e li abbassai insieme ai boxer liberando l’erezione che si era ripresa già da un po’ dopo il rischio corso dalla mia stupidaggine. Mi guardò con quei occhi che mi facevano impazzire e si portò l’indice vicino l’angolo della bocca mentre attendeva mansueta che continuassi. Mi presi il cazzo turgido tra le mani e glielo portai sul sesso. Scivolò sui suoi umori andando a penetrarla rapidamente. Le piccole labbra lo lasciarono passare senza indugio avviluppando l’asta una volta entrato. Mi chinai con il corpo sul suo e lentamente cominciai a sollevare il bacino per poi ridiscendere tra le sue gambe. La fica ribolliva di un piacevole tepore, sentivo il calore avvolgermi il pene insieme alle sue carni. Cominciai a farmi forza sulle cosce mentre aumentavo gradualmente il ritmo. Gli affondi cominciarono ad essere sempre più incalzanti e insieme al ritmo saliva anche il piacere. Dopo non molto sentii montare anche l’orgasmo. Attesi fino all’ultimo prima di uscire dalla sua fica con il cazzo lucidato dai suoi umori, tanto che quasi mi scivolava dalla mano quando cominciai a segarmi davanti a lei. Le schizzai due o tre volte il mio seme sull’addome prima che cominciò a colarmi su quella striscetta di peli che tanto mi piaceva. Con la mano umidiccia andai a prendere un po’ dello sperma che le era finito sulla pancia e glielo portai alla bocca per farle assaggiare i nostri umori mischiati. Rosita aprì la bocca e attese che io continuassi. Quando lo feci entrare nella sua bocca chiuse le labbra attorno al dito e lo succhio avidamente guardandomi dritto negli occhi. Lo ritrassi e mi rispose con un sorriso senza distogliere mai lo sguardo dai miei occhi. Conquistai dello spazio accanto a lei raggiungendola con il viso sul cuscino. Ci baciammo e attendemmo qualche minuto uno accanto all’altro prima di pulirci con qualche salvietta per evitare di lasciare insieme la stanza. Ci addormentammo di lato, uno davanti all’altro con Rosita che aveva le mani piegate davanti al petto e la fronte poggiata alle mie labbra.

Leave a Reply