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Racconti Erotici Etero

La demi-vierge, l’intellettuale e il kiwi

By 21 Dicembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

La demi-vierge, il pornointellettuale e il kiwi

dalle Memorie d’un dildo di Poly

Domanda – Ma lei, dov’era in quel tempo?

Risposta – Mah, credo nei coglioni di mio padre.

Emma Kruger preferì mantenere la spallina del reggiseno sul braccio. La sua scollatura – che nel ventesimo secolo si sarebbe detta “generosa” – aveva già attirato lo sguardo del suo interlocutore.

D – E l’incesto?

R – No, mio madre non era abbastanza carina. Senta signorina potrebbe tirarsi su quella spallina del reggiseno. Mi turba…

D – Ma lei, cosa pensava di fare da grande?

R – Ma cosa sta facendo? Signorina per cortesia si copra. Riesco a vedere l’aureola del capezzolo.

D – Ehi, non guardi i miei seni. Risponda piuttosto alla mia domanda. Cosa pensava di fare da grande?

R – Prima volevo diventare dottore… Avevo il mito del dottore, bello – anche se bello non lo sono mai stato, così dicono – che innamorava le pazienti, quelle carine, magari col cancro, ma carine… Cristo, signorina, adesso vedo anche un capezzolo. Il reggiseno non mi sembra di qualità… È di tessuto-non-tessuto?

D – Poi?

R – Poi cosa? Mi piacciono i reggiseni, a dir il vero…

D – Intendevo da grande…

R – Sì scusi, ma mi sta turbando, mi fa perdere il filo. Poi visto che di giovinettte non ne vedevo neanche l’ombra pensai di diventare ginecologo; potevo, se non altro, toccare con certezza quello che m’interessava.

D – Insomma il mitico ritorno all’utero.

R – No, no. Non riuscivo a entrarci. Ma, ma cosa fa?

Emma si tolse la camicia restando col busto scoperto.

D – Vuole che mi tolga anche il reggiseno?

R – Certo se vuole, ma non ne vedo la necessità. Però se lo tolga, se lo tolga pure.

D – Dov’eravamo rimasti?

R – Al reggiseno…

D – Diceva che non riusciva a entrare nell’utero.

R – Ah sì! Quindi pensai di diventare un fisico nucleare, poi un ingegnere atomico poi un ingegnere e basta come Gadda – che c’entra Gadda? – perché non capivo un accidente. Confusione… molta confusione. I medici – sa… i medici d’una volta – dicevano che esageravo con il piacere solitario…

D – Dopo?

R – Una crisi. Con Dio ero in rotta: non aveva creato neanche una religiosa passabile. Chissà forse così avrei potuto crederci alla barzelletta. Sa ero giovane, con i miti dei giovani…

D – E?

R – Sa una cosa? Non ho mai parlato di queste cose con qualcuno che non porta il reggiseno. Gesù, ma che fa? Si sta togliendo la gonna… Ma…

D – Trovò una soluzione, mi pare?

R – A cosa scusi?

D – Come a cosa? Mi può sfilare i collant?

R – Certo sì. Sa non ho mai parlato a qualcuno sfilando i collant.

Emma lasciò che l’interlocutore esplorasse con lo sguardo i suoi inguini.

D – Continuiamo?

R – Signorina? Posso chiamarla Emma?

D – Certo.

R – Emma ci siamo dimenticati di togliere le scarpe. Non fa un bell’effetto vedere i collant abbassati con le scarpe… Senza offesa, fa un po’ mignotta.

D – Ha ragione. Faccio da sola.

Alzò prima una gamba poi l’altra lasciando intravedere mutandine e peluria, peluria e mutandine.

D – Ha trovato una soluzione, si diceva.

R – Certo: ero convinto di diventare l’assorbente di B. Shields.

D – Ma cosa dice? E come mai non…

R – Fu un grosso problema: non usava assorbenti. Mi dissero che se ne stava tutto il tempo…

D – Abbiamo capito, abbiamo capito. Lasciamo perdere.

Emma s’accarezzò i seni, inumidì le dita con un po’ di saliva, e con i polpastrelli ne percorse i contorni. Quando furono eretti li strinse tra il pollice e l’indice titillandoli come se dovesse arrotolare una caccola.

R – Posso continuare?

D – Certo. Allora?

R – Beh. Cambiai idea e decisi che sarei diventato un preservativo.

D – Idea originale: lei crea posti di lavoro, altro che disoccupazione. Mi fa pensare… no niente, certo che un preservativo…

R – Già, già. Un preservativo! Ne fanno anche la pubblicità. Chi vuole che li usi con quelle semi-madonne che ti dicono d’infilarlo. Eh, eh. Se la pubblicità la facesse che ne so, Angelina Jolie, vorrei vedere! Comunque, dopo, mi stancai. Il fatto è che il preservativo, si usa e si getta anche se conosco colleghi intellettuali risparmini che praticano il ri-uso. È effimero, il preservativo è effimero… Signorina, anzi, Emma, sa che non ho mai parlato con qualcuno che mi ascolta in mutandine. E sa un’altra cosa? Intravedo un po’ di peluria.

D – Ma che dice?

Emma si tolse anche le mutandine. L’interlocutore ebbe un sussulto. Si lisciò il mento, si guardò nelle tasche della giacca per controllare se per caso aveva spiccioli, tanto per fare qualcosa; infine pensò al missile intelligente che in Iraq aveva distrutto una scuola, bambini inclusi… tuttavia nel basso ventre qualcosa si mosse.

D – Qual è l’odore che preferisce?

R – L’alito.

D – Suo?

R – Magari, come faccio a sentirmi l’alito?

D – Non c’interessa.

R – Peccato.

D – Senta, ma su quali libri s’è formato?

R – Su quelli tascabili. Non ricordo bene, come ha l’abitudine di dire Andreotti. A proposito di Andreotti vorrei dire…

D – Abbiamo capito, abbiamo capito. Piuttosto: una domanda intima.

R – Non so se potrò rispondere.

D – Mi permette? Come gestisce il rapporto con la sua partner?

R – Quando siamo, come dire, nudi?

D – No, quando siete, come dire, vestiti.

R – Beh, a casa siamo quasi sempre nudi, per quanto…

D – Allora, come lo gestisce?

R – Che gliene frega? Anzi, scusi… comunque è la mia compagna che lo gestisce per tutti e due. Non so perché, ma è così. Mi lascia, si fa qualche amante, poi mi riprende senza neppure avvertirmi. Questa è libertà, cara Emma. Mi fa annusare?

Emma s’alzò in piedi e s’avvicinò all’interlocutore. Alzò una gamba allungandola sul tavolo, in maniera che il sesso socchiuso e umido fosse a portata di naso.

D – Amore libero?

R – Si spieghi.

D – Amore libero?

R – Ah, ora capisco. Non so. Mi fa toccare?

Emma lasciò che la mano dell’interlocutore lisciasse il suo sesso.

D – E la politica? Come si comporta con la politica, anzi, come si comportano i politici con lei?

R – Educatamente mai. Sa, io li conosco. Ci vado a pranzo, con loro. Sa, ho notato che quelli che rubano di più sono anche i più gentili, i più generosi; è come se privando qualcuno di qualchecosa scaricassero la loro rabbia, il loro disagio… Ha presente gli adolescenti destrutturati che rubano al supermercato? Uguale! E poi mi lasci dire una cosa, qualcuno disse – Platone? Aristotele? Adorno? Eva Kant? Vico? – che sono dei buffoni: è ancora vero.

D – Mi perdoni, non vorrei rubargli il mestiere, ma, ho la sensazione, che i buffoni ce lo mettano continuamente nel c…

R – Certo, certo, basta premunirsi con un po’ di vaselina, ma non basta mai. Adesso il problema è più grave: c’è una degenerazione totale… e anche la vaselina non è più quella d’una volta. Mi fa toccare di nuovo?

Emma acconsentì. Stavolta l’interlocutore percorse la fessura, sicuro di quello che stava facendo. Emma sospirò – un sospiro, a dir il vero, che sconfinò in un gemito – e l’interlocutore, spaventato, ritrasse la mano.

D – Si assume la responsabilità di quello che dice, vero?

R – Ho detto qualcosa?

D – Mi sembrava. Ma non ha paura di ritorsioni?

R – Certo, come tutti. Non sono un eroe. È per quello che lecco culi a destra e a sinistra.

D – Che linguaggio, per Dio! Ma lei, se non sbaglio, lavora per un importante gruppo editoriale, quindi…

R – Quindi uno schifo.

D – Perché non se ne va?

R – Dico, starà mica scherzando? Finché si tratta di discutere, pontificare, scrivere qualche editoriale mi va anche bene, ma andarmene dal gruppo non se ne parla; eppoi chi mai mi prenderebbe?

D – E con la chiesa, dopo le sue frequenti crisi pubblicizzate sui giornali?

R – So solo una cosa. Mi permetta: se Dante dovesse rinascere e riscrivere un’altra comoedìa – come la chiamiamo io e i miei colleghi – sarebbe un bel problema. L’Inferno dovrebbe comprendere cinque o sei volumi formato Treccani e forse più: preti pedofili, preti ladri, religiosi corrotti e non solo: amministratori, attori, registi, attrici, zoccole di regime…

D – Bella ideologia del cazzo, mi scusi, la sua. Quando è maturata?

Emma si distese sul divano costringendo l’interlocutore a seguirla con lo sguardo. Inarcò le reni offrendogli le terga.

R – Ho perso il filo. Posso sedermi vicino a lei?

D – Faccia pure. Chiedevo: quand’è maturata?

L’interlocutore era ammaliato da quella carne nuda, da quel sesso, così oscenamente esposto, voluttuosamente offerto. Qualche minuto prima, al tatto la superficie gli era sembrata quella d’un kiwi, che lui amava carezzare a lungo prima di sbucciarlo e arrivare alla polpa. Anzi considerava un vero e proprio sacrilegio togliere la peluria che pazientemente – immaginava – era cresciuta sul frutto per proteggere il succoso interno. A volte completamente inebetito si mangiava il kiwi con la peluria e tutto, fatto che gli costava un’erezione con conseguente perdita di liquido spermatico: in altre parole veniva all’istante come un rubinetto senza guarnizione.

R – Dicevo? Ah, sì, è maturata! Dice bene lei, è maturata, già, proprio come una mela, anzi no come un kiwi, proprio come un kiwi. Lo sa lei come maturano i kiwi?

D – No.

R – Neanch’io, ma non importa. È maturata – l’ideologia, non il kiwi – in un bar di via Colossi, sa, quello un po’ sporco, con poca luce. Ecco lì. È nata dopo numerose e accesissime polemiche sul colore della carta igienica: perché bianco o tutt’al più grigio? Stiamo parlando ormai di decenni fa. Adesso le cose sono cambiate, dico per la carta igienica, ma la sostanza rimane.

D – Cioè?

R – Che la carta igienica di qualsiasi colore essa sia, assolve perfettamente allo scopo per cui è stata creata – tra parentesi chi l’ha inventata? – non so se mi spiego…

D – No, non si spiega…

R – La carta igienica, cioè, serve esclusivamente per togliere la m…

D – Ah! Molto raffinato. Lasciamo perdere, per carità. È stato chiarissimo. Ma questa ideologia ha un nome? Un’etichetta? Ce l’ha qualsiasi scoreggia, adesso.

R – Lei mi fa rabbrividire, Emma. Comunque dice bene. Ecco, questa potrebbe essere, anzi, è l’ideologia del purè. Contenta?

D – Sì, sì. Ma perché, che cosa significa?

R – Non lo so.

Emma sospirò. Nuda, nascose la testa tra i cuscini del divano e, gemendo, si lasciò sopraffare dal piacere.

 

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