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La donna che amo

By 6 Luglio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Io le sfioravo spesso i capelli tinti di un rosso ramato, morbidi e lunghi, biondi, raccolti sovente in uno chignon. Siamo stati una delle coppie più chiacchierate del paese, infatti, io e Elena, ci siamo conosciuti alle scuole medie. Lei, figlia di un imprenditore internazionale e di una cantante americana, decise, successivamente, di andare in un college degli Stati Uniti e si fece accompagnare anche il suo ragazzo, io, figlio di un insegnate di yoga e di una ereditiera. In America ci facemmo subito conoscere, molto belli già allora, ci mettemmo subito in competizione e, come nei più classici film adolescenziali, io divenni il leader della squadra di nuoto e lei il capitano della squadra delle cheerleader. Vivevamo assieme nella casa della nonna di lei e, di conseguenza, il nostro rapporto era a livelli molto alti, come conviventi all’età di appena diciannove anni. Finito il college, tornammo in Italia, dove decidemmo di sposarci.

Il matrimonio fu pagato da entrambi i genitori: una cerimonia senza precedenti, più di centocinquanta invitati, situato in un parco floreale enorme, con l’orchestra, il coro gospel, un infinito buffet e un’eleganza quasi innaturale. La perfezione, però, fummo io e lei, io con il mio smoking nero e lei con il suo abito bianco, lunghissimo, accompagnato da tre bambine. La cerimonia fu eclatante, tanto che se ne parla ancora oggi. Per il viaggio di nozze andammo tre settimane alle Hawaii.

 

Elena mi disse che voleva un figlio da me. Quelle parole mi resero felice, piansi di gioia e iniziammo a provarci. Dopo un anno e mezzo di tentativi falliti, decidemmo di farsi visitare. Ero io lo sterile. Entrai in una profonda depressione che durò quasi un anno. Poi iniziammo a pensare alle adozioni.

Il fratello di mia madre decise di aprire un ristorante in Finlandia e chiese a me di andare a supervisionare i lavori. Con questa scusa, Elena ed io partimmo per un anno. Per i primi giorni, dormimmo in hotel, poi comprammo casa. Una sontuosa nelle vicinanza del locale che sarebbe diventato il “Ristorante”. Erano già passate tre settimane, i lavori procedevano benissimo e Elena ed io giravamo per la città. Un pomeriggio, decidemmo di andare a passeggiare al porto. Finché eravamo seduti a contemplare il mare, vidi un ragazzo, biondo, alto, molto muscoloso che stava scaricando delle casse da un furgone e le portava dentro un bar. Anche Elena lo vide e lo fissava insistentemente, ma l’episodio non diede alcun esito.

Un paio di sere più tardi, il locale dove il ragazzo stava scaricando, organizzava una festa di beneficenza, dove venivano messi all’asta ragazzi e ragazze. Per curiosità andammo a vedere di cosa si trattasse e trovammo molte persone disposte a staccare un assegno per i modelli e per le modelle che stavano sul palco. Seduto in disparte, vidi lo stesso ragazzo di pochi giorni prima. Mentre Elena andava a parlare con delle donne conosciute dalla parrucchiera, io andai a sedermi vicino a quel ragazzo che tanto turbava i miei pensieri. Lui mi squadrò dalla testa ai piedi e poi si presentò: Lyly. Era molto cordiale e gentile, per questo iniziammo subito a parlare; era lì per aiutare la sorella, l’organizzatrice dell’evento, in caso di necessità. Aveva smesso di studiare, per aiutare suo padre nel suo mestiere calzolaio. Elena continuava a guardare verso di noi, poi capii che non osservava me, ma il ragazzo, il cazzo del ragazzo che disegnava una forma alquanto generosa da sopra i pantaloni. La serata si concluse in allegria e noi tornammo nella nostra villa.

Mentre eravamo sul letto, l’eccessivo alcool assunto da Elena, iniziò a parlare al posto suo; iniziò a criticare i vestiti delle sue amiche, poi si mise a fare apprezzamenti al ragazzo e ridendo disse: «C’è l’ha enorme, probabilmente riuscirebbe a mettermi incinta». Quelle parole arrivarono come un coltello diritte al mio cuore, una pugnalata che mi fece morire dentro. Il secondo colpo, però, me lo diedi da solo, infatti, mentre ero coricato, illuminato solo dalla luce della luna, pensai che Lyly e Elena avrebbero potuto dare alla luce un bellissimo bambino, che io avrei cresciuto come mio. Piansi tutta la notte e, appena il sole sorse, andai a correre. Corsi per un’ora, arrivai in un parco e stetti li per un’altra ora, poi tornai. In quelle tre ore capii che la gioia di un figlio avrebbe sovrastato il dolore di un tradimento.

Portai Elena nel ristorante più lussuoso di Helsinki. Dopo aver pranzato, parlai a Elena di ciò che avevo pensato e di come non ne avrei sofferto. La sua risposta si fece attendere per tre giorni, poi disse sì.

Ora toccava a me e andai a parlare con Lyly, gli esposi il problema che avevo e come lui sarebbe potuto essere la soluzione. Lyly accettò senza tanti pensieri e mi chiese se avessi voluto essere presente o no all’atto sessuale. Ovviamente risposi di no. La sera, Lyly e mia moglie andarono a mangiare in un ristorante, mentre io ero in un hotel ad immaginarmi il futuro, ma i pensieri finivano sempre su quello che stavano facendo.

Ovviamente, la storia si ripeté per vari giorni consecutivi, ma il terzo, in particolare, fu per me decisivo. La terza sera decisi di andare a spiare la situazione. Era mezzanotte, Lyly aveva il suo enorme cazzo duro nella bocca di Elena che gemeva, succhiava avidamente, gli accarezzava l’addome scolpito e lui accompagnava la testa nei movimenti. All’improvviso, lui si spostò e la fece girare, Elena, come una bimba al parco giochi, si girò e iniziò a pregare Lyly di scoparla forte. Mentre lui la penetrava, lei lo incitava e i suoi occhi brillavano di gioia. Lui la penetrava con colpi violenti, sempre più forti e Elena non faceva altro che godere, godere e godere. Nel momento di sborrare, successe una cosa alquanto inaspettata, Lyly estrasse il suo cazzo e glielo puntò in faccia, riempendola di sperma, che Elena premurosamente raccolse ed ingoiò. Non potevo crederci, mia moglie mi stava tradendo, mi illudeva di voler rimanere incinta, quando in realtà voleva solo un nuovo cazzo.

Turbato e arrabbiato tornai in hotel. Pensai e ripensai alle immagini viste e il mio cazzo non accennava a tornare moscio, in costante erezione svettava verso l’altro entrando in contrasto con i miei pensieri. Decisi di spiarli anche la sera successiva. Mi posizionai alla finestra, gli vidi avvinghiati in un lungo abbraccio, le lingue si cercavano; poco dopo Lyly scese con la testa e fece avere un orgasmo sensazionale a Elena con la sua lingua le sue dita. La successiva penetrazione fu piena di passione e forza; Elena era felice, io ero eccitato e Lyly era un vero amante.

Tornai in hotel e la mattina seguente affrontai Elena, rimase imbarazzata e dispiaciuta, ma quando le diedi il permesso di proseguire quella relazione, a patto di farmi essere presente, mi baciò e mi disse che quello era il miglior regalo che le avessi mai fatto.

Quella sera cenammo assieme, poi Elena e Lyly iniziarono a baciarsi, salimmo in camera e io mi misi seduto sulla poltrona. Nel vedere i loro corpi fondersi in uno, nel sentire come il suo piacere era esaltato, da quello che era veramente un bel cazzo: circa venti centimetri di carne che mi umiliavano, mi facevano sentire inferiore, i miei dieci centimetri non avrebbero più avuto effetto su mia moglie. Elena e Lyly continuarono a fare sesso, provando varie posizioni, ed io, che stavo guardando questo porno in 3D, ero eccitatissimo. Come promessomi da entrambi, le tre eiaculazioni finirono nel ventre di Elena, per regalarmi il bambino che desideravo.

Un mese ed ebbi la notizia che sarei diventato padre. Lyly era molto contento, anche perché la relazione non si interruppe, anzi divenne più passionale e nel vederla così felice non ebbi altra idea che prolungare il nostro soggiorno per almeno un anno. Fu il mio primo anno da marito cornuto e ne desiderai altri cento.

Dopo il compimento del quinto mese del piccolo Luca, decidemmo di tornare in Italia e di lasciare a Lyly la custodia della villa. Una volta in Italia, i festeggiamenti per il piccolo furono strepitosi e i regali non vennero di sicuro a mancare.

 

Io ero felice, una bella famiglia, un sogno che si realizza. Ma a Elena mancava qualcosa, non era gioiosa come prima, si era spenta.

Dopo nemmeno due settimane, Elena mi confessò che aveva bisogno di un cazzo grosso, non avevo più le facoltà per soddisfarla e per questo dovevo attivarmi per trovare una soluzione. Lyly aveva aperto un incolmabile vuoto che la stava logorando. La risposta ai nostri problemi si fece attendere qualche settimana, ma poi arrivò, alta, muscolosa, rude e mascolina. La risposta si chiamava Berta, un congolese che, per un problemino con l’alcool, si schiantò con la macchina sul cancello della villa. Dopo aver chiamato il nostro medico di fiducia, il quale ci disse che non aveva nemmeno un graffio, ci occupammo della macchina, distrutta completamente, la facemmo rimuovere e, nel frattempo, mia moglie preparava un letto per il giovane. Vidi, ancora una volta, gli occhi di Elena, brillare di una luce, quella luce che un anno e mezzo prima iniziò a splendere, da quando le dissi che poteva continuare la sua relazione con Lyly. Quella notte, a letto, Elena mi parlò con la sua voce sensuale e mi disse che aveva avuto l’occasione di toccare con mano la dote del giovane nero che dormiva nella camera in fondo al corridoio. Me ne parlò come i bambini parlano dei regali che porta Babbo Natale, felici e curiosi di provare i nuovi giocattoli.

Il giorno seguente, Berta si presentò, si scusò e chiese se c’era qualche modo per ripagare i danni, ma senza parlare di soldi perché lui non ne possedeva. Era originario di Brazzaville, in Congo, era dovuto venire in Italia per cercare un tenore di vita un po’ più alto, ma non lo aveva trovato e si arrangiava rubacchiando qua e là, compresa la macchina che non sapeva ancora di aver distrutto. Elena era persa nei suoi discorsi e presa dall’eccitazione di avere un uomo, un vero uomo, in casa, promise di pagare la macchina e in cambio lui avrebbe dovuto lavorare come tutto fare nella villa. Euforico, Berta accettò e chiese subito dove potesse trovare qualcosa da fare.

Elena subì una trasformazione che rese felice sia me che Berta. Iniziò a girare per casa in completini intimi sexy e coglieva ogni occasione per mettere in mostra le sue grazie. Un pomeriggio arrivarono i risultati delle analisi del sangue di Berta e, dato che risultavano perfette, Elena mi invitò a lasciarli soli. La mattina seguente uscii presto con Luca, ma, dopo aver portato il piccolo da mia madre, tornai a casa per non perdermi nulla. Vidi subito Elena a bordo piscina, con un bikini striminzito che copriva a malapena i capezzoli; vidi anche Berta che potava le piante, o meglio fingeva, perché non staccava gli occhi da mia moglie. Iniziarono a scambiarsi sguardi, Elena prese a leccarsi le labbra, mentre Berta si toccava insistentemente il pacco, che cresceva a dismisura. Poco dopo, lei si alzò, si avvicinò al ragazzo e si inginocchiò, gli tolse i pantaloni e liberò un boa nero duro come il marmo. Iniziò a succhiarlo e Berta a gemere. Io persi completamente ogni contatto con la realtà, il contrasto tra il bianco di Elena e del nero di Berta mi portò ad uno stato di eccitazione mai visto. Loro rientrarono in casa, io andai a prendere la macchina e feci finta di tornare a casa. Entrato in salotto, trovi mia moglie intenta a cavalcare Berta sul divano. Alla mia vista Berta si pietrificò, ma io mi avvicinai e dissi «Ciao Amore» e la baciai in bocca, poi mi rivolsi a Berta «Quando hai finito qua dovresti terminare di tagliare la siepe davanti alla piscina!». Berta rimase allibito dalle mie parole e riprese la sua occupazione, mentre io mi dirigevo verso la piscina, per sbollentarmi un po’. Dopo poco, Berta venne a finire il lavoro alla siepe, non persi l’occasione per chiedergli com’era mia moglie a letto, dato che da quasi due anni non la toccavo, in quel senso. Mi disse che era una selvaggia e mi chiese se potesse farci ancora sesso, ovviamente non potei rifiutarmi; dal canto suo mi assicurò che non avrebbe mai fatto sesso anale, in quanto era contro i suoi principi morali. Berta tornò in casa, ma io non lo seguii, aspettai una ventina di minuti: entrai in cucina giusto in tempo per vedere l’enorme cazzo d’ebano coprire il viso di Elena con il suo succo bianco.

Da quel momento, appena il cazzo di Berta accennasse ad un’erezione, gli era sufficiente urlare il nome di Elena, la quale arrivava a rimediare a quel problemino. Io, in quella condizione, non potevo fare altro che godere di piacere riflesso della mia dolce mogliettina e viziare il piccolo Luca. Avevo perso anche il titolo di “uomo di casa”, occupato dal nuovo arrivato.

Quella nuova disposizione famigliare era destinata a finire in fretta. Infatti, il giorno del primo compleanno di Luca, Elena mi prese in disparte e mi confessò di essere incinta. Mi crollò il mondo addosso, un bimbo nero, di cui non ero di certo il padre, avrebbe distrutto tutto quello che, la gente credeva, io fossi. Dopo un primo momento di panico, Berta propose un viaggio a Brazzaville, dal quale saremmo tornati con un bambino adottato. La soluzione mi sembrò un po’ tirata, ma era l’unica che avevamo.

Dicemmo a tutti che partivamo per un mesetto. Durante il nostro soggiorno a Brazzaville, Elena e Berta continuarono a fare sesso, mandammo delle foto a Lyly, informandolo delle novità e lui ci presentò la sua fidanzata una modella finlandese.

Dopo un paio di settimane, demmo la notizia che avremmo girato tutta l’Africa e non fissammo una data di ritorno.

Sei mesi dopo la nascita di Belgacem, detto Sem, tornammo a casa. La storia ufficiale lo vide abbandonato dalla madre e, quindi, presa da compassione, Elena decise di adottarlo.

 

La relazione con Berta si concluse, quando l’uomo conobbe Sabrina, una ragazza disposta a sposarlo. Così tornammo alla situazione iniziale, con un figlio in più, ma sempre senza un uomo per Elena.

La situazione degenerò in otto giorni. Elena divenne cattiva, violenta, pronta a spaccare il mondo per avere un gran cazzo per le mani. Avrebbe pagato qualsiasi cosa per essere soddisfatta sessualmente. Fortunatamente arrivò Gerard a risolvere la situazione.

La madre di Elena aveva invitato Gerard, un professore di scienze di una scuola svizzera a parlare con noi. Il suo obiettivo era convincerci a iscrivere i nostri figli nella sua scuola, in modo da ricevere una delle migliori istruzioni d’Europa, assicurandoci sbocchi lavorativi per il futuro. Tutto allettante, ma il punto che attrasse di più Elena, fu Gerard. Alto, possente, stempiato, occhi verdi, grandi mani e viso da stronzo. Gli occhi di Elena iniziarono a brillare di luce propria. Questo significava un nuovo bebè in arrivo.

Elena lo invitò a cena. La vidi prepararsi: abito rosso lungo, con una scollatura profondissima “celata” da un velo in tinta, tacchi bianchi, calze autoreggenti nere, trucco sensuale e capelli mossi. Suonò il campanello, Elena mi si avvicinò e mi disse «Dai, che se stasera va bene, scopo» poi andò ad aprire. Gerard entrò in abito elegante e riempì di complimenti mia moglie.

La cena fu perfetta e, anche se ogni tanto dovevo lasciare la tavola per controllare i bambini, Elena e Gerard si scolarono due bottiglie di ottimo vino rosso. Si spostarono in salotto, dove si sedettero vicini e, inebriati dall’alcool, iniziarono a parlarsi. Poi Elena esordì con il racconto della Finlandia, poi concluse con il nostro ultimo viaggio in Africa, non dimenticandosi di narrare delle mie corna. Fu lì che Gerard le mise una mano sul sesso e mi chiese cosa mi eccitasse, per la prima sera divenni il regista di una notte di sesso. Dopo una lunga sessione di sesso orale da parte di Gerard a Elena, ho voluto vederli in varie posizioni. Quella notte, Elena ebbe cinque orgasmi, Gerard due e io sei, anche se le mie eiaculate non erano nemmeno un terzo delle sue. La cosa che più mi piaceva di Gerard era il cazzo, spesso e alto come una lattina di birra, sapevo che avrebbe lasciato il segno su mia moglie. Fu così.

Dopo l’iscrizione alla scuola di Gerard dei nostri figli, ci trasferimmo in Svizzera, dove Elena e Gerard continuarono la loro relazione. Facevano sesso in continuazione, erano diventati affiatatissimi e io ero veramente parte della loro vita sessuale, spesso dirigevo i loro rapporti come un regista porno. Ero felice e rimasi così per sempre, infatti, Gerard e Elena rimasero assieme per anni, tantissimi anni e mi diedero la gioia di altre due figlie e un figlio, Giovanna, Greta e Gabriele.

La nostra vita divenne perfetta, spesso organizzavamo party invitando Lyly e Berta con le loro famiglie trasformandoci in un’unica grande e affiatata famiglia. L’estate eravamo tutti ospiti nella nostra villa ad Helsinki o nella casa italiana, dove tutti insieme eravamo felici. Ovviamente in questa nuova famiglia, Lyly e Berta non toccarono mai più mia moglie, solo Gerard ne fu beneficiario.

 

Tutt’oggi ringrazio i tre uomini che mi hanno reso padre e hanno reso mia moglie una donna vera. Li amo davvero.

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