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Racconti Erotici Etero

La mia dea ventenne

By 10 Agosto 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Lavoro per una ditta di trasporti da dieci anni ormai, carico e scarico le merci dai magazzini centrali per poi portarle ai piccoli supermercati in giro per la regione. Ho passato i 40 anni ma il mio lavoro, nonostante io faccia giornalmente le ore piccole, ha sempre giovato al mio aspetto estetico e per questo gliene sarò sempre grato. Il sole che prendo dalla cabina del mio camion, insieme ai muscoli che riesco a mantenere per i pesi che sposto ogni giorno mi mantengono in forma e diciamolo, alle donne piaccio. Sono divorziato qualche anno fa dalla mia ex moglie e da allora vivo la mia vita come meglio mi pare, improvvisando e cogliendo l’attimo.
Stavo guidando come ogni mattina verso il negozio in cui dovevo scaricare dei bancali di frutta e verdurea ed ero quasi arrivato. Svoltai l’angolo e mi infilai nella stradina che portava allo scarico merci, mi girai col camion nel piazzale e mi accorsi che dietro di me avevo una delle commesse del negozio, proprio la ragazza dell’ortofrutta. Mi salutò con la mano, mi fece un sorriso, aspettò che finissi la manovra e parcheggiò la sua macchina vicino all’entrata. Scese dalla sua auto, mi salutò di nuovo e si diresse verso la porta, poi tornò indietro. Aprì la porta del conducente e si chinò in avanti per prendere qualcosa, così io ebbi modo di guardarle per l’ennesima volta quel suo bel fondoschiena. Ah, quante fantasie mi assalivano ogni volta che la vedevo! Bella come non mai e giovane: alta e mora, negli ultimi tempi era anche dimagrita parecchio e il suo aspetto era notevolmente migliorato. La pancetta era sparita, le gambe si erano assottigliate, il sedere si era alzato e il tutto, incorniciato da dei fianchi miracolosi, la rendevano una dea. Anche il portamento era migliorato e lei si sentiva più sicura di se, rideva e scherzava di più. Mi smontava l’idea di non potermi spingere di più con lei quando mi rendevo conto che poteva essere mia figlia, aveva appena 23 anni. Riemerse dal sedile dell’auto e mi colse in flagrante nella contemplazione delle sue natiche, ma mi mostrò il cellulare e mi disse: “…Un giorno o l’altro ci lascerò la testa in macchina!”. Feci una risata acuta e le risposi “Guarda guarda, hai ancora lo stampo del cuscino sulle spalle!” e con un sorriso malizioso mi rispose “E’ dura avere vent’anni e dormire solo tre ore a notte per essere al lavoro puntuali!” e dicendo ciò entrò nel negozio senza voltarsi.
Restai impappinato a pensare a quello che aveva appena detto, a immaginarla in qualche discoteca con le sue amiche, minigonna, tacco, sguardi di malizia con i ragazzi e… “Stai attento a quella la, sembra tanto buona e cara ma sotto sotto… E’ una streghetta!” era il macellaio, mi rise addosso e mi diede una pacca sulla spalla, poi mi lasciò a fare il mio lavoro. Feci firmare le bolle al direttore e ripartii.
Qualche giorno dopo capitai di nuovo nello stesso supermercato, questa volta per scaricare surgelati. Era metà pomeriggio e volevo trovare una pretesa per parlare con lei, la mia bella fruttivendola. Entrai in negozio, scherzai un po’ con gli altri ragazzi e poi chiesi di lei. “Credo sia nel magazzino a tagliare cocomeri” mi rispose Alessia, la ragazza della gastronomia. Mi diressi al magazzino e la trovai alle prese col più grosso cocomero che avessi mai visto, in punta di piedi a cercare di concentrare il peso sulle braccia per riuscire a tagliarlo con un lungo coltello che teneva nella mano destra. “Ciao bella!” girò la testa di scatto verso di me e con un cenno di testa mi sorrise e mi disse “Ciao Alex, hai bisogno di qualcosa?” “Si, devo controllare la bolla dell’altro giorno, credo ci possa essere qualche sbaglio” “Certo, andiamo in ufficio e vediamo di trovarla”. Mi superò e si diresse verso l’uscita del magazzino, lasciandosi dietro un profumo di cocomero che mi inebriava. Arrivati all’ufficio, non so come, senza pensarci le dissi “Sei tutta da mangiare, sai di cocomero, con questo caldo ci vorrebbe!” e subito dopo pensai CHE IDIOTA. Imbarazzatissima arrossì, rise nervosamente alla mia battuta e mi diede ragione con un “eh si, ci vorrebbe”. Mi porse la bolla e io feci a finta di controllare qualche cosa nella seconda pagina, poi le dissi che era tutto apposto, salutai la mia giovane dea mora e uscii dal negozio. Mi misi a trafficare con la sponda del camion che non ne voleva sapere di funzionare e dopo dieci minuti, quando avevo sistemato e stavo per risalire sul camion, mi squillò il telefono e così mi sedetti sul muretto li a fianco prendendomi un attimo di pausa. Era il mio capo, mi disse che l’ultimo carico era stato fatto da un altro trasportatore quindi il mio turno era finito, potevo portare a nanna il mio bilico e tornarmene a casa. Erano mesi che non finivo alle cinque di pomeriggio, tutto felice mi avviai al camion quando sentii la porta sul retro del magazzino aprirsi e la mia dea che usciva, bellissima. Jeans lunghi scuri, scarpe da ginnastica e canotta bianca sportiva che definiva per bene tutte le sue curve. “Che ci fai ancora qua?” disse lei sorridendo “Niente, problemi col camion e ora ho finito il turno..” “oh…” fece una pausa avvicinandosi alla macchina poi si girò e sorridendomi mi chiese “ti va un caffè?” ero spiazzato. La mia dea mi chiedeva di prendere un caffè. Wow, non potevo di certo rifiutare! “Certo, c’è un bar qui vicino, possiamo andare la!” sorrise maliziosa e mi disse “il mio appartamento non è molto distante, davanti c’è un piazzale grande dove puoi sistemare il tuo giocattolone” e indicò il mio camion. Oddio, la mia giornata fortunata. Oddio, un caffè a casa della mia dea. Oddio, sento che si sta eccitando qualcosa li sotto nei pantaloni. Per fortuna sono larghi e non si vede. La mia mente vagava e pensava gia a quello che stava succedendo. Lei stava ancora aspettando una risposta e le risposi “Ok! Vai davanti e fai strada”. Felice salì in macchina e partì, io mi affrettai a starle dietro. Dopo cinque minuti eravamo arrivati, mi fece segno verso il piazzale dove avrei dovuto parcheggiare il mio “giocattolone” e lei si infilò in un vialetto di selciato. Sistemato il camion, scesi e la seguii, trovandola all’entrata di un condominio che sembrava nuovo. Aprì la porta e cominciò a salire i gradini, avevo una gran bella vista del suo fondoschiena da quel punto, seguendola per le scale, la mia mente vagava nei pensieri più assurdi e sentivo la patta dei pantaloni stringere sempre di più; cercando di mantenere la calma pensavo “infondo è solo un caffè” ma alla mia mente e al mio pisello non bastava per autoconvincersi che era meglio tranquillizzarsi. Finalmente arrivammo al piano, c’era solo la sua porta. Aprì ed entrai nel suo paradiso. Un bel appartamento, piccolo ma adeguato a una ragazza di vent’anni meno di me. Vent’anni cavolo, ma ti rendi conto? Sei a casa di una ventenne, una che potrebbe essere tua figlia, continuavo a pensare. E più ci pensavo più la mia eccitazione saliva. “Siediti pure, vado a cambiarmi e torno, questi vestiti sanno di cocomero!” e uscendo dal salotto mi fece l’occhiolino. Avevo il pisello duro come una roccia, non riuscivo a controllarlo e non riuscivo a smettere di pensare a lei, nella stanza a fianco, che si spogliava e sceglieva dall’armadio quali capi mettersi. Starà togliendo i pantaloni, pensavo, ora la canotta, è in intimo, ora sceglie dei pantaloncini comodi da casa e una maglietta, magari un po’ larga ed esce.. Sentii la porta della camera aprirsi, mi voltai cercandola con gli occhi e girandomi verso il corridoio. La vidi nella semioscurità e il mio cuore per un attimo si fermò. Credevo di morire. La mia dea camminava verso di me con i piedi nudi e addosso niente di più che un paio di slip di pizzo nero che lasciavano vedere tutto il ben di dio la sotto e un sensualissimo babydoll anch’esso di pizzo nero. Sembrava una pantera mentre camminava per venirmi incontro, io, la sua preda. Con un sorrisino malizioso si avvicinò e mi si sedette cavalcioni in braccio, appoggiando la sua passerotta giusto sopra il mio arnese che ormai stava per far esplodere i pantaloni. Sorrise, poi mi disse “non era forse questo che volevi?” poi mi baciò. Fece entrare la sua lingua nella mia bocca e giocò con la mia che era vogliosa di lei. Senza pensarci troppo mi alzai dalla sedia prendendola in braccio, accarezzandole le cosce e le natiche e mi avvicinai alla porta, attraversai il corridoio, arrivai all’uscio della camera e l’appoggiai li, fermandomi a leccarle il collo e poi più giù, sui suoi seni meravigliosi, i suoi seni da dea, leccarle i capezzoli e sentirli duri e rizzati in aria che volevano solo me. La accarezzavo tutta tenendola in braccio appoggiata li sulla porta. Da quanto non sentivo un corpo così bello, così sodo, così giovane? E lei era li, che ansimava e rideva, divertita di aver fatto suo un’altro uomo, di aver vinto anche questa volta. Aprì la porta che quasi non me ne accorsi e per poco non persi l’equilibrio, si liberò dalla mia presa forte e mi spinse sul letto, dove finii con un tonfo. Mi guardai intorno e vidi una stanza piccola ma con un letto stranamente dalla forma rotonda e rossa, pieno di cuscini comodi e mi accorsi che un’intera parete, quella dietro al letto, era interamente adornata di specchi. Le lampade a fianco il letto erano coperte da teli rossi e capii dove ero: la sua tana da tentatrice. Sedendosi sopra di me ricominciò a baciarmi con foga facendo strisciare la sua lingua sulla mia e mordendomi le labbra, poi il collo e le orecchie. Mi leccava e mi baciava come se non fosse mai sazia e cominciò a muovere i fianchi strusciandosi sul mio pisello che ormai non ne poteva più di stare chiuso nelle mutande. Mi prese la mano destra e la portò con delicatezza sopra le sue mutandine. Era chiaro quello che voleva, no? Feci scivolare due dita sotto gli slip e sentii che era bagnata come non mai, mugolava e sorrideva maliziosa, mi sembrava di sognare. “Gioca un po’ con lei, ha tanta voglia di te!” senza aspettare altro infilai due dita nella sua vagina che era calda e bagnata e lei apprezzò inarcandosi all’indietro con la schiena e offrendomi in un piatto d’argento il suo seno morbido. Le succhiavo i capezzoli turgidi e nel frattempo giravo le dita dentro di lei mentre la guardavo godere delle mie cure, insaziabile. Mi sfilò la maglietta che ancora avevo addosso e mi spinse giù facendomi finire sdraiato nel suo letto color passione. Si sfilò dalle mie dita e si piegò su di me, mi baciò in bocca, incontrò la mia lingua poi cominciò a scendere sul collo, sulle spalle, sul petto, sulla pancia. Cominciò a slacciarmi i pantaloni mentre passava la lingua sui miei addominali e me li sfilò assieme ai boxer, trovando finalmente il mio pisello duro e sull’attenti. Alzò gli occhi verso di me e guardandomi cominciò il più fantastico pompino della mia vita. Andava su e giù prendendolo tutto nella bocca umida aiutandosi con le mani, poi scendeva giù a leccare le palle e risaliva sull’asta, leccando come se fosse il suo gelato preferito, cercando di non perderne nemmeno un po’. Ero eccitato e scalpitavo come un toro guardandola leccarmi e accogliermi tutto nella sua bocca. Ero ai limiti della resistenza ma la mia dea se ne accorse, riemerse da li sotto e mi ficcò per l’ennesima volta la lingua in bocca. Si alzò dal letto e sensualissima si sfilò la canotta soffice, mettendo in bella mostra il suo seno, poi gli slip, scoprendo la sua fica ben rasata e curata. Mi risaltò addosso e questa volta, finalmente, prese in mano la mia asta e se la infilò dentro. Cominciò a cavalcarmi come mai nessun’altra aveva fatto prima, muovendosi e strusciandosi su di me. Avevo il cuore in gola, mi sembrava di venire da un momento all’altro. Le accarezzavo il suo sedere perfetto, lo volevo toccare. Lei ansimava e sembrava non dispiacere del mio giocattolone. “Fammelo sentire di più, di più, fammelo sentire tutto!” mi implorò, e io non aspettavo altro. La presi di peso e la girai nel letto, misi la mia dea a pecorina, dio che spettacolo ai miei occhi, e la penetrai di nuovo, più forte, facendo sbattere le palle sulla sua patata bagnata. La vedevo tutta, il suo culo, la sua schiena e dallo specchio la sua faccia rossa di eccitazione e il suo seno che dondolava a ritmo delle mie spinte. La penetravo sempre più forte, aggrappandomi ai suoi fianchi mentre lei alzava il sedere per sentirlo ancora di più. Urlava da quanto le piaceva “ooh si, così mi piace, di più! Di più!” mi implorava guardandomi negli occhi dallo specchio. Ero sudato e paonazzo dallo sforzo ma continuavo a infilarglielo dentro e fuori con foga, fino all’utero, sentendo le contrazioni della sua vagina che mi massaggiavano. Oddio, che sogno, la mia dea che godeva del mio pisello! Sentii le sue gambe cedere dallo sforzo e la mia piccola cadde in avanti, con le gambe divaricate e il fiatone. Non le lasciai tempo di respirare, mi stesi su di lei, la puntellai con il mio pisello e mi infilai di nuovo nella sua caverna. Leccandole la schiena e le spalle arrivai all’orecchio e le dissi “tesoro, arriva solo adesso il bello non cedere!” e ricominciai a penetrarla col mio pistone, sempre più a fondo, strusciandomi sulle sue chiappe che erano una favola. La mia dea godeva come un’ossessa, ansimava e godeva sempre di più, muovendosi come poteva per aiutarmi. La girai per la seconda volta e ora lei si trovava sotto di me, vogliosa, con le gambe aperte pronte ad accogliermi di nuovo. Si appese al mio collo e mi infilò la lingua in bocca, poi si portò il mio pisello alla vegina e aggrappandosi ai miei fianchi con le gambe mi infilò dentro di nuovo. Ora aveva di nuovo lei la situazione in pugno e la cosa la eccitava da matti. Si muoveva sotto di me e urlava di piacere “Prendimi tutta!” mi urlò e raccolsi le ultime forze, cominciai a spingerle il pistone dentro sempre di più mentre lei urlava e mi implorava di continuare, leccandomi il collo e mordendomi le labbra. Sentii l’eccitazione salire alle stelle e lei urlare “Mi piace, mi piace, Vengo!!”. Aprì le gambe per farmi affondare nella sua caverna e urlando di piacere scaricai il mio nettare nella sua vagina umida, mentre lei veniva infilandomi la lingua in bocca. Mi accasciai su di lei e la guardai in faccia, bella e col fiatone, appagata e sorridente. “Allora dimmi” mi chiese con voce dolce e sensuale “com’era questo cocomero?”

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