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La moglie dell’ingegnere – 18. Relax in giardino

By 11 Giugno 2022No Comments

Non si sta nemmeno a rivestire “Tanto -dice- ormai è buio, chi vuoi che ci veda…”. Ha ragione, ‘sto matto, e così lo seguo fuori, anche io completamente nuda. Prima di uscire però, pesco al volo nella riserva dell’ingegnere una bottiglia bella fresca di sidro della Normandia.

“E quella? Perché l’hai presa?” L’ho presa per ingannare il tempo necessario a portare la cabina di betulla svedese alla giusta temperatura, e ce la scoliamo seduti schiena contro schiena sull’erba davanti alla piscina. Ce la passiamo bevendo direttamente alla bottiglia, scambiandoci poche parole ogni tanto, come vecchi amanti che non hanno bisogno di molte cose per stare bene insieme.

“Uno spinello ci starebbe veramente bene” se ne esce lui a un certo punto. Ridacchio divertita buttando giù un sorso di sidro… già, ci manca solo questo: troia, ubriacona e drogata… Ma l’ho pensato ad alta voce e il ragazzo protesta ridendo che un po’ d’erba ogni tanto non è drogarsi, che una bottiglia in compagnia non vuol dire essere alcolizzati, e che tra due adulti consenzienti che si piacciono farsi una bella scopata non è una colpa, ma un diritto costituzionalmente garantito.

Ridiamo piano, mentre la frescura della notte ci penetra lentamente. Siamo a metà ottobre, e anche se la giornata è stata assolata e calda, ora la temperatura è calata e l’erba del prato comincia a essere umida. Nuda come sono, la sento farmi il solletico nel solco tra le natiche e sfiorare piano la fessura anch’essa umida… mi piace questo contatto tra i miei due “giardini” e poi un po’ di fresco dopo le scaldate che ha preso oggi, può farle solo bene, alla mia passerina, no? Ai capezzoli senz’altro sì, e infatti sono lì più tesi e impertinenti che mai, ‘sti due impuniti…

Ci tiriamo su rabbrividendo, leggermente intorpiditi dal fresco e dal sidro, tanto che per non barcollare siamo costretti a sostenerci reciprocamente passando un braccio l’uno intorno ai fianchi dell’altro. Così teneramente abbracciati facciamo il nostro ingresso in sauna, e la botta improvvisa di calore torrido ci stende definitivamente.

Ci abbandoniamo alle due estremità della panca di legno che corre lungo una delle pareti della cabina e restiamo lì, inebetiti dal caldo, a fissarci senza quasi vederci. Dopo qualche minuto di totale abbandono, le lunghe gocce di sudore che cominciano a corrermi lungo il corpo mi restituiscono una vaga consapevolezza del mondo circostante.

Nella bassa luce soffusa della cabina mi prendo tutto il tempo di ammirare il corpo di Leonardo. Ha la testa reclinata di lato e non riesco a capire se ha gli occhi aperti e se anche lui mi sta guardando. Il suo torace luccicante di sudore si alza e si abbassa al ritmo calmo della respirazione. Si è abbandonato con la schiena contro la parete, quasi sdraiato, con un piede sulla panca e l’altro a terra.

Lascio che il mio sguardo scenda in basso, tra le sue gambe aperte, verso quello splendido animale dotato di vita propria che ora giace a riposo. Anche così, tranquillamente accucciato tra le cosce muscolose, anche così piccolo mi pare grande e bello. Un cucciolone che dorme… chissà se sogna… chissà se sogna una Elisa che lo cavalca.

E mi piacerebbe poterlo coccolare senza che si impenni, giocare con lui quando è così piccolo e indifeso, farlo sparire tutto nella mia bocca, magari addormentarmi come una bambina, succhiando quello strano ciuccio come ci si succhia il dito quando si è piccoli…

E intanto, senza rendermene conto, lascio scorrere le mani sul mio corpo, senza malizia, solo per liberarmi dal velo di sudore che mi va ricoprendo. Ma quando arrivo a sfiorarmi i seni, eccoli, quei delinquenti dei miei capezzoli: sono lì ritti, appuntiti, a reclamare carezze, e non posso fare a meno di pizzicarli mentre tutti i miei sensi si risvegliano.

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