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Racconti Erotici Etero

La Morte delle Sorgenti

By 4 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Faceva tanto, tanto freddo.

Il bosco era tutto bianco, ricoperto di neve. Gli alberi secolari avevano indossato i loro candidi mantelli, per ripararsi dalle intemperie dell’inverno.

Io affidavo i miei sospiri al vento’ Oh, era come una melodia, che vagabondava fra i ghiacci.

Era facile mettersi ad ascoltare, con il cuore pieno di malinconia. Ma non s’udiva che il nulla, soltanto, un mesto silenzio d’inverno.

Eppure, c’era un’allodola, che rallegrava il sogno con i suoi canti tristi’

Oh, sì! Il caro uccello, vagabondando sulle nevi, metteva in cuore una letizia nuova, anche se tutto rimaneva chiuso chiuso in quel grigiore.

L’allodola aveva due ali grandi grandi, per volare lontano, sapete? E aveva un lungo becco, per stanare gli insetti di cui si cibava. Ricordo anche che sapeva parlare, sì! A modo suo, ma lo faceva, ed era tanto bello ascoltarla.

Allora, la cara bestiola andava a trovare tutti i giorni, sempre, la sua cara amica.

E lo sapete chi era quest’amica? Lo sapete? Non lo indovinereste mai, mai, mai.

Era una sorgente triste’

Io non so se avesse un nome, e quale nome la lingua mortale avrebbe potuto scegliere per lei, ma dalla sua fonte non sgorgava più una sola goccia d’acqua, il gelo dell’inverno le toglieva la vita, a poco a poco.

L’allodola andava a posarsi lì intorno, su uno dei ramoscelli morti.

E se le parlava, la sua amica quasi non riusciva più a risponderle, da tanto, tanto tempo.

– Che cos’hai? – le diceva sempre. ‘ Perché non riempi il silenzio bigio bigio con il tuo gorgoglio allegro? Su, che la tua anima ritorni in te, riprenditi, e non morire’

Ma la sorgente era vecchia, tanto vecchia, sapete? Lo era divenuta fatalmente, e le parole sue morivano in sussurri, prima ancora che riuscisse a proferirle.

E l’amica sua restava lì, a cantare’

– Quanto sei bella! Oh, figlia della primavera, non rimanere qui, migra verso il paese della felicità, baciato da un raggio di sole!

Così mormorava la sorgente, con la sua voce di moribonda, ma l’amica non l’avrebbe lasciata volentieri, mai, mai, proprio mai.

La primavera doveva arrivare anche lì, tanto, tanto presto!

L’allodola lo sapeva, l’aveva letto nella luna, nelle stelle’ Oh, sì, lei li conosceva tutti, gli astri, li chiamava per nome, e sapeva leggere i loro volti.

Ma arrivarono gli uomini cattivi, quel giorno’

Oh, sì, giunsero con i loro fucili, e misero le tagliole dappertutto! Che incubo, quel continuo abbaiare dei cani da caccia!

L’allodola si salvò rifugiandosi nel suo nido.

Ma poi, vennero anche i boscaioli, con le scuri e le seghe, che facevano un rumore capace di spaventare i più coraggiosi. Pareva la voce dell’Orco’

Che paura!

I cattivi non avevano pietà, uccidevano le vecchie querce, gli abiti dai grossi fusti, perché volevano trasformarli in mobili di lusso, o bruciarli vivi, dopo averli trasformati in legna da ardere. Altri li avrebbero trasformati in navi, altri addirittura in case.

L’allodola piangeva.

Oh, sì, perché distruggevano anche la sua dimora, e assassinavano i suoi nidi!

E allora fece una promessa tanto triste, una promessa che mi mette malinconia al solo ricordarla. La sconsolata disse così:

– Oh, cattivi! Voi non godrete mai più del mio canto, prima che sia risorta la primavera!

Ma la primavera non risorgeva.

Oh, forse, la luna e le stelle avevano detto bugie? Forse non brillavano più come una volta, nell’azzurro turchino del cielo?

No, non era per questo’ Non era così!

La verità era diversa’ Oh, gli uomini, passando per il bosco, abbattendo gli alberi e infine bruciando quel che restava, avevano assassinato la primavera.

Davvero, sì!

E i fiori non si aprivano più.

Le gemme non spuntavano, l’erba non nasceva spontanea dalla terra, che restava sempre fredda, tanto fredda, e grigia come la morte.

E la neve triste cadeva sempre, sempre, sempre’

Che cosa si poteva fare, dunque? Tutto sembrava morto, per non risorgere mai più. Tutto sembrava addormentato in un sogno troppo lungo e fatale! E l’allodola andò a trovare di nuovo la sua amica sorgente’

Oh, cosa le disse!

La povera fonte non rispose che tristezze, la vecchiaia e il freddo la consumavano. Disse:

– Io non ho più vita da dare alla natura. Più nulla mi resta, perché l’eterno gelo dell’inverno ha distrutto il mio cuore, incapace di dare una sola goccia alla primavera’ Solo la mia anima pulsa ancora, solo quella.

L’allodola era ancor più sconsolata della sua amica.

Perché gli alberi non fiorivano più, sì, li avevano abbattuti quasi tutti e non si potevano trovare rami coperti di gemme o di fiori, su cui fare il nido!

– Se muori tu, morirò anch’io’

– Allora, moriremo insieme, abbracciate l’una all’altra!

Le due amiche si parlarono così.

E la sorgente ormai s’era inaridita. Oh, i presentimenti di morte che aveva sussurrato alla sua amica si avveravano!

Però un giorno cercò di fare un miracolo, che tutti credevano impossibile, proprio impossibile, sì.

L’allodola sapeva tutto, e aveva pregato la sua compagna di rinunciare, perché così facendo avrebbe perduto la sua vita!

Alla sorgente restava un’ultima goccia d’acqua, una soltanto, prigioniera dei ghiacci’ E aveva deciso di donarla alla natura, per regalarle il risveglio, sì!

E lo fece.

Regalò la vita sua ai fiori, ai rami degli alberi, all’erba verde, ai germogli’ Fu tanto semplice, ahim&egrave: bastò lasciar cadere l’ultima stilla del calice su una gemma che non aveva forza per schiudersi.

La sorgente morì.

Però, a poco a poco, le piante cominciarono a germogliare e a fiorire. Sì, accadde così, perché la piccola gemma si schiuse e trasmise la sua vita tutt’intorno.

Le rose sbocciavano’

Oh, l’erba cresceva, ed era verde, tanto, tanto verde. Piccole margherite bianche affioravano dalla neve, ormai sciolta, e rendevano i prati meravigliosi.

Succedeva così, sì!

Gli uccelli riempivano il cielo, il silenzio grigio non c’era più, perché si era colmato di quei canti allegri, di quei cinguettii vivaci vivaci che regalavano la vita a chiunque li ascoltasse.

Il vento freddo si era trasformato in brezza tiepida, la neve non c’era più!

I ghiacci si erano sciolti!

E ogni tanto si sentiva il gorgoglio amico di qualche ruscello, o di qualche torrente, che aveva ricominciato a scorrere placido.

L’allodola vedeva tutto questo ed era felice, ma niente poteva consolare il dolore per la perdita della sua migliore amica.

Oh, che cosa mai avrebbe potuto sbocciare, senza la cara sorgente? Soltanto una stagione triste, sì! Soltanto quella, soltanto quella.

La povera allodola volava sulla cose belle che vi ho raccontato, piangendo.

– Se muori tu, morirò anch’io!

Vi ricordate? Aveva detto così, una volta, aveva detto così, ahim&egrave, sì!

Tutti gli animali del bosco si erano risvegliati. Tutti, persino gli orsi e gli scoiattoli che erano rimasti, dopo il passaggio dei cacciatori.

Fra tutti gli esseri che abitavano il bosco, uno ce n’era, particolarmente famelico e crudele, di cui non vorrei parlare, purtroppo.

L’allodola conosceva quella creatura crudele.

Era appena uscita dalla tana e si guardava intorno, perché cercava qualcosa da mangiare. La fame la divorava ed era disposta a sbranare qualsiasi animaletto che potesse saziarla.

Ricordo che vagabondava disperata per il bosco’

Oh, sapete chi era? Lo sapete?

La volpe!

E fiutava, fiutava, fiutava fra i cespugli, alla ricerca di cibo, ma non trovava nulla. Il suo manto rossiccio era stato reso ancor più fulvo dall’inverno e dalla rabbia, tanto che allora sembrava di fuoco. L’allodola sapeva della fame di quest’amica, sapeva che cosa avrebbe fatto di lei, se l’avesse catturata.

Cielo!

Non fu difficile riuscire a farsi mangiare.

Ricordo che l’allodola era scesa a terra, e come insensata continuava a piangere la morte della sorgente sua amica.

E la volpe, con un solo balzo, la raggiunse, la prese e la sbranò.

Forse, per una volta, la terribile cacciatrice della foresta aveva avuto pietà di un’infelice, ponendo fine alle sue pene, cessate insieme con la sua vita. Oh, sì sì sì sì!

Quando il mio destino accadde, fu per me come risvegliarsi dal sogno del mistero. Mi risvegliavo a poco a poco, ero donna, alzavo piano le lunghe ciglia nere, e le mie pupille azzurre già vagavano intorno.

Ero bianca, e nuda, distesa su di una roccia. Tutt’attorno sbocciava una primavera verde e lussureggiante, fatta di fiori rossi e celesti, e di primule viola.

Il rumore vago di una cascata sorprese i miei sensi. Già ne scorgevo le acque di cristallo, che maestose toccavano le rocce, e bagnavano la mia lunga chioma.

Ero donna, sì, ero senza veli, portavo soltanto una ghirlanda adorna di rose con dei petali color di zaffiro, e senza spine’ Una nube turchina mi avvolgeva, mentre a poco a poco mi accorgevo che una mano aveva cominciato a sfiorarmi.

Oh, sì, era stato il suo tocco a dare inizio al mio risveglio!

Non so quale essere fosse accanto a me, in quegli istanti, i magici istanti. Forse, aveva la parvenza di un uomo’ Ma le mani divennero non una, bensì due, tre, quattro e forse più.

Una stella bianca s’era accesa. Brillava’

E l’Essere prese a toccare la sua donna, con le sue membra misteriose, lambiva i capezzoli dei miei seni grandi, le mie braccia lisce e carnose, mi carezzava lì dov’ero più femmina, senza che potessi vederlo, ma soltanto sentirlo.

Gridai, perché ero donna, germogliata chissà da quale sorgente del mistero, e felice del mio piacere fatto di purezza e di candore. Ero posseduta da quelle mani, mi voltai, sul letto di roccia sul quale ero nata, una virilità era penetrata nella mia vulva, profumata di lilla, e mi possedeva. Rialzai la testa, abbandonando i capelli all’indietro, per lasciar sfuggire dalle mie labbra scarlatte i lamenti con cui dichiaravo l’orgasmo ai miei amanti.

L’acqua di cristallo di una sorgente fluiva sui nostri corpi astrali, come una cascata di smeraldi.

Qualcuno volle accarezzarmi con una perla.

E ora che vi ho narrato il mio risveglio, sapete come muoiono le sorgenti, sapete della storia di un’allodola, morta, per rinascer donna.

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