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Anna

Alla fine degli anni ’80 erano pochi quelli che usavano Internet, quindi le amicizie “particolari” nascevano molto faticosamente.

L’inserzione era sobria ed esplicita, d’altra parte anche il giornale era privo di sottintesi. Per Anna non era mai stato semplice acquistarlo, provava vergogna ed imbarazzo nel richiederlo all’edicolante, ma in diversi modi se l’era procurato più volte nell’ultimo anno, non ne poteva fare a meno. Questa volta si trovava alla stazione Termini ed aveva dato cinquantamila lire ad un senegalese che le voleva vendere un accendino. Consegnandogli la banconota, gli aveva detto: – il resto è tuo se vai all’edicola, mi compri questo giornale e me lo porti qui. – Al senegalese non parve vero. Quando il giovane di colore si rese conto che si trattava di un giornale porno ci provò, la ragazza era bella ed elegante. Anna ebbe, per l’approccio, una reazione infastidita. Lo fulminò con lo sguardo e l’uomo ne rimase talmente sorpreso che non seppe cosa fare, un attimo dopo quando aveva ritrovato il coraggio la ragazza si era allontanata e stava salendo su un taxi. La sera stessa, Anna, in albergo sfogliò il giornale accuratamente e come sempre di fronte a quelle immagini si eccitò, non riuscì a trattenersi. La sua mano s’insinuò tra le cosce, poi risalì, era bagnata. Era un surrogato, ma ormai anche il suo fidanzato aveva sempre più funzione di un surrogato, lei smaniava per altre sensazioni, molto più forti e complesse di quelle che Andrea poteva e sapeva offrirgli. Aveva bisogno di un orgasmo, lo raggiunse in fretta guardando la foto di una ragazza strizzata dalle corde e legata in una posizione incredibile. Dopo, insoddisfatta, disse a se stessa: – se stavolta non scovo niente d’interessante l’inserzione la faccio io. – Le lesse tutte attentamente, ma solo verso la fine, quando stava per inveire esasperata e disperata, ne trovò una interessante. La rilesse diverse volte. Era promettente. Rispose subito e di getto, il giorno dopo spedì la lettera dall’aeroporto, nell’attesa del volo che l’avrebbe riportata a Milano.

Mirella e Dora

Mirella camminava a passo svelto verso la fermata della metropolitana milanese più vicina, la donna aveva molte ragioni per essere preoccupata. Indossava un vestitino nero stretto e succinto, calze e scarpe nere con un tacco discreto, ma senza esagerare. Era carina ed attirava l’attenzione degli uomini. Mirella aveva trentatré anni, era minuta, con un corpo piccolo e nervoso, due polpacci sviluppati sostenevano delle belle cosce lunghe e bianche, i capelli castani incorniciavano un visetto chiaro su cui spiccavano gli occhi celesti ed un nasino circondato da simpatiche lentiggini. Mirella era truccata in modo raffinato, gli occhi celesti erano ben evidenziati, il seno piccolo, efebico, ma deliziosamente impertinente sembrava fosse stato lasciato libero sotto il vestito.
Era appena uscita dallo studio dove lavorava, era la segretaria di un famoso avvocato, e si stava dirigendo a casa di Dora. Da molti anni Mirella conduceva una doppia vita. Di giorno era una segretaria brava, efficiente, irreprensibile. Uscita dall’ufficio liberava la sua passione torbida e masochista, non ne poteva fare a meno, era la sua droga. Godeva quando veniva umiliata, frustata e trattata come un oggetto e solo questo le permetteva di sopportare una prima vita normale, molto normale. L’avvocato per cui lavorava era contentissimo della sua segretaria e non nutriva il minimo sospetto su di lei.
Dora era la sua padrona e non amava le schiave in ritardo. Dora sarebbe arrivata dopo Mirella, ma voleva trovare tutto pronto ed in ordine, altrimenti s’infuriava, Mirella sapeva che, in tal caso, ne avrebbe fatto le spese.

Per essere ancora più precisi Dora non era neanche la sua padrona, ma l’amica ed amante del suo padrone. Mirella aveva infatti un padrone, Alberto, da più di cinque anni. Era Alberto che sera per sera, e nel tempo libero, le dava quelle sensazioni che lei aveva sempre desiderato e che poi le permettevano di avere giornate normali ed equilibrate. Alberto qualche ora prima le aveva telefonato e le aveva ordinato: – per un breve periodo ti cedo a Dora. Ti telefonerà e prenderai ordini da lei, non so se vuole che tu ti trasferisca a casa sua o se ti convocherà quando ne ha voglia. Fai come vuole lei. –
Mirella era rimasta senza parole e senza fiato, per qualche istante non riuscì a dire niente, il mondo sembrava crollarle addosso.
Lui le diede tempo, poi lei rispose: – sì Padrone. – Lui buttò giù la cornetta. Mirella si rodeva dalla gelosia, aveva pianto, lui non le aveva neanche dato delle spiegazioni, ma era nella sua natura ubbidire e comunque in gran parte sapeva di cosa si trattava. Questa era la seconda e più importante ragione per la quale Mirella era preoccupata. Il suo padrone l’aveva, sia pure temporaneamente, ceduta a Dora perché aveva trovato un’altra schiava e Mirella sentiva che era una pericolosa rivale. Per lei non poter servire il suo padrone era peggio di un trauma. Della nuova sapeva poco. Non l’aveva mai vista, ne aveva solo sentito la voce al telefono. Si ricordava benissimo quel colloquio avvenuto il giorno prima e si ricordava da cosa era stato preceduto. Il suo padrone da un po’ di tempo era inquieto, desiderava nuove esperienze. Le aveva chiesto di mettere un’inserzione su un giornale particolare. Mirella non ne fu contenta, ma avvertiva che lui smaniava troppo e che se non avesse obbedito sarebbe andata incontro a conseguenze peggiori e poi ormai era totalmente succube del suo padrone, appunto una schiava, ed obbedì. Scrisse l’inserzione ed il suo padrone l’approvò.
L’inserzione recitava: Sono una schiava felice e soddisfatta del mio ruolo e del mio Padrone. Lui, nella Sua magnanimità ha deciso di selezionare altre schiave che desiderano condividere la mia esperienza. Il mio Padrone è un uomo attraente, molto cerebrale, veramente esperto. Lui saprà guidarti verso quel piacere che sogni ogni notte. Seguiva un F.P. Arrivarono delle lettere, non molte. Alcune erano di coppie, proponevano esperienze comuni e scambi, queste ad Alberto non interessavano; altre, la maggior parte non soddisfacevano quelli che per Alberto erano requisiti imprescindibili: convinzione, stile, eleganza e disponibilità. Una di esse però richiedeva, molto gentilmente per dire la verità, il numero di telefono del padrone, per un colloquio rapido e diretto. Alberto la lesse, era seccato per il fatto che la schiava non avesse dato invece il suo di numero di telefono, però il tono si sforzava di essere umile e contrito, era quello di una donna sottomessa, ma che si intuiva aveva una personalità, indubbiamente trapelava un certo carattere. A parte “il dettaglio” del numero di telefono quella lettera era interessante. Decise di approfondire perché lo stile era elegante, e la scrittura sciolta e ricercata. Si era firmata: una schiava docile ed ubbidiente alla sua prima esperienza, una schiava che sogna un padrone intelligente e comprensivo. Questo era piaciuto ad Alberto che aveva ordinato a Mirella di risponderle e darle il suo di numero di telefono. Mirella pianse ancora, ma ancora una volta malvolentieri ed allo stesso tempo disciplinata obbedì. Qualche giorno dopo ricevette sul cellulare una telefonata, sul display apparve numero sconosciuto, la schiava docile ed ubbidiente pensò Mirella.
In verità, quando quella sentì che a rispondere era una donna, non le sembrò così docile. – Avevo chiesto di parlare con un padrone e mi trovo a parlare con una schiava… –
Mirella in quel momento si trovava in ufficio con il suo principale nella stanza accanto, era arrossita fino alla cima dei capelli e le aveva sussurrato: – ho capito chi è lei, mi richiami tra dieci minuti. Ora non posso parlare. – Così fu.

– Allora, perché non è il tuo padrone a rispondere – la schiava alla prima esperienza l’aggredì. Mirella immaginò di avere a che fare più con una donna dominante che con una candidata schiava. – Non può e non vuole. Mi ha detto che l’aspirante deve prima essere esaminata da me. –
– Te lo sogni ed anche lui. Io sono una donna in vista e prima di espormi devo sapere con chi lo faccio, senza intermediari, ed a quali condizioni. –
Mirella esitò, sapeva che se l’avesse fatta scappare il padrone non gliel’avrebbe perdonata. – Come si può fare? – chiese, – anche lui non vuole esporsi. – L’altra molto pratica e decisa le risolse il problema. – Telefonagli e chiedigli dove e quando ci possiamo vedere. Deve venire lui e da solo. –
– Va bene, mi richiami tra mezzora. –
Mirella si rese conto che per tutto il colloquio le aveva dato del lei e quell’altra del tu. – Maleducata – rifletté avvampando di vergogna. Poi si riscosse doveva chiamare il suo padrone e sperava che non la maltrattasse pure lui. Gli raccontò tutto telefonicamente. Il padrone non era per niente entusiasta di quella candidata, ma non se la prese con Mirella, in fondo ormai era sempre più curioso. Fu così che Alberto e l’aspirante schiava s’incontrarono. La sera dopo Mirella fu affidata a Dora.

Dora era chiara di carnagione, i capelli erano corvini e lunghi fino alla spalla, era robusta, non era molto alta come le ragazze di oggi, ma si difendeva. Era una giovane donna, non più di venticinque anni, ma di carattere. Aveva un corpo provocante e pieno di contrasti. Aveva occhi grandi e neri, con un seno grande e sodo, il corpo era allo stesso tempo muscoloso e sinuoso. Muscolose erano le gambe, in particolare i polpacci, le cosce erano ben tornite, la schiena dritta, ed il petto era generoso, il viso era spigoloso, ma la bocca era carnosa. Quando arrivò a casa erano da poco passate le otto e trovò Mirella già in tenuta da cameriera, pronta a soddisfare i suoi bisogni. Mirella nella sua tenuta, con la crestina bianca ed il grembiule nero ed attillato era deliziosa. L’appartamento di Dora era piccolo, ma accogliente, un trilocale nella zona dei Navigli. Dora era responsabile di un reparto in un grande magazzino, non guadagnava molto, ma più della media e per lei da sola ne aveva a sufficienza per condurre una vita discreta. Da quando aveva conosciuto Alberto, ormai da un anno, aveva scoperto che il ruolo di dominatrice le si addiceva e lo apprezzava sempre di più. Lo aveva sperimentato a spese di Mirella, ma quasi sempre con Alberto presente, poche volte erano rimaste da sole, questa era la prima volta che la schiava sarebbe dipesa da lei per un certo periodo senza la presenza del suo padrone. Era una bella occasione per divertirsi ed era una buona occasione per regolare i conti con quella stronzetta. Fin dal primo momento Mirella si era mostrata gelosa ed indolente nei suoi confronti, almeno questo era il giudizio di Dora. E’ vero, le aveva sempre obbedito ed era sempre stata disponibile nei suoi confronti, ma mai con la devozione ed il trasporto con cui obbediva al suo padrone. Bene ora lui non ci sarebbe stato e lei l’avrebbe ridotta ad essere ragionevole. – Preparami il bagno – le disse appena aveva varcato la porta.
Mirella immaginava quelle che erano le intenzioni della padroncina, per tutto il pomeriggio ci aveva ragionato sopra, ma non aveva trovato il modo per sottrarsi alle sue grinfie. In verità Mirella non era gelosa di Dora, non poteva e non voleva essere gelosa di una padrona, è vero che ogni tanto Alberto la trascurava per lei, ma era un’altra cosa. Invece ammirava molto Dora, sognava di servire entrambi con devozione, solo che con lei non riusciva a comportarsi come con il padrone. Dora era più giovane, molto arrogante, la trattava male e quindi non sapeva come prenderla. Sperava di riuscire ad ammansirla, ma non ne era sicura. Ma questa era solo una parte della verità. Mirella era in tensione ed era distratta dalla nuova prospettiva degli avvenimenti. Sentiva che quella nuova schiava avrebbe alterato l’equilibrio in cui lei si crogiolava da anni con un padrone meraviglioso.
Il bagno fu pronto. Dora si spogliò ed entrò nella vasca. – Rimani qui – le disse, – prendi la spugna e datti da fare. Intanto parleremo di come organizzare questo periodo. –
Mirella cominciò dalla schiena. Intanto Dora le parlò. – Sicché il tuo padrone ha trovato un’altra schiava? –
– Come se non sapesse – pensò Mirella, ma poi educatamente rispose: – Sì Signora. Non l’ho conosciuta, l’ho solo sentita per telefono. – Non disse quello che pensava della nuova schiava.
Dora intuì che Mirella le nascondeva qualcosa, ma ci avrebbe pensato più tardi.
– Il tuo padrone ti ha affidata a me. In questo periodo vivrai qui. Domani porta qui quello che ti serve, sistemati nel mio studiolo, quando ne avrò voglia dormirai nella mia stanza. –
– Va bene Signora. –
– La mattina prima di uscire mi porterai il caffè a letto e la sera mi farai trovare la cena pronta, quando cenerò fuori ti avvertirò. Dovrai fare la spesa ed avere cura della casa. Non so quanto durerà questa storia, per ora ti concedo il lunedì sera libero, ma non pensare di andare a fare bagordi. Il tuo padrone mi ha pregato di sorvegliarti. –
– Signora… non penserà… – protestò Mirella.
– Zitta troietta. Ti conosco bene, so che quando ti vengono le fregole sei incapace di controllarti, ma prova a tradire la mia fiducia e quella del tuo padrone e ti spello viva. –
Mirella era una schiava fedele e devota, mai avrebbe tradito Alberto, era pur vero che le fregole, come sosteneva Dora, le aveva, ma si controllava e cercava di sfogarsi nel modo e nel tempo stabilito da suo padrone che in materia non era avaro. Quella della padrona era una provocazione. Mirella incassò e stette zitta.
Si trasferirono in camera da letto. Dora si sdraiò e non ci fu bisogno di chiedere alla schiava che voleva essere massaggiata.
– Allora, questa nuova schiava. Chi è? – chiese, mentre Mirella si prendeva cura di lei.
Mirella si trattenne dal protestare e non poté evitare la domanda diretta. – L’ho solo sentita per telefono. Non ha voluto incontrarmi. Ha detto che voleva incontrare solo il padrone ed ho combinato un appuntamento. –
– E tu che impressione hai avuto, su, non farti tirare le parole con le molle o te ne pentirai. –
Mirella era sull’orlo di una crisi isterica, la padrona si divertiva a rivoltare il coltello nella piaga, ma ormai era in ballo e doveva ballare. – Mi è sembrata giovane ed arrogante, il suo non era il tono ed il modo di una schiava, era arrabbiata con me perché non era stato il padrone a rispondere al telefono. –
Dora sorrise, erano informazioni interessanti, una schiava impertinente poteva risultare divertente, domarla sarebbe stato piacevole. Quando aveva conosciuto Mirella la schiava era già esperta, ma in quel momento lei non aveva nessun accesso alla principiante. – Sei proprio ridotta male se anche una novellina della tua razza riesce a trattarti male. –
Mirella si trattenne dal piangere, ma non poté che prendere atto che era vero.
Dora la levò d’impaccio. – Per fortuna che ci sono io. Vedrai – disse girandosi ed offrendole il seno da baciare, – ci divertiremo. Ti farò filare. Non credere di poter fare la bella vita. –
Mirella si chinò sul seno grosso e sodo della padrona e lo baciò. Non pensava proprio che si sarebbe divertita, ma dovette ammettere che era già bagnata, era inutile negarlo. Dora riusciva ad umiliarla e ad eccitarla forse anche meglio del suo padrone, aveva un corpo meraviglioso, ma con lui era un’altra cosa. Mirella venerava il suo padrone e ciò, in quel momento, invece di essere fonte di felicità l’angosciava non poco.
– Smettila di sognare, lui non c’è – inveì Dora come se le avesse letto nel pensiero, – e succhiami i capezzoli come si deve. –

La padrona aveva cenato ed ora Mirella era in ginocchio tra le sue gambe e la leccava con dedizione. Per il momento la padrona aveva smesso di tormentarla con la storia dell’altra schiava. Dora era in piedi con la vestaglia aperta ed aveva offerto alla schiava la vista delle sue cosce forti e poderose ed il barbaglio lucente del suo pelo scuro e lucido, poi aveva allargato le gambe mostrandole la fica pelosa e succulenta. Era un segnale inequivocabile. Il viso di Mirella era nascosto tra le gambe della padrona, così come la sua lingua che si insinuava tra le pieghe della vulva. Dora se la godeva senza scomporsi, aveva appena allargato le gambe, come per fare un piacere alla schiava. Mirella teneva le braccia protese sulle chiappe della padrona e sembrava che la stesse sorreggendo ed adorando allo stesso tempo. La schiava ce la stava mettendo tutta, tentava di farsi accettare dalla perfida padrona che nei giorni a venire avrebbe avuto su di lei un immenso potere. Quando Dora venne, strinse le cosce nervose e poderose sul viso della schiava, infine rilassò le gambe e premette con una mano sulla testa della schiava facendola mettere carponi. Dora si sedette sulla schiena della schiava con grande naturalezza. In quel momento squillò il telefono. Il cordless era lì vicino, lei senza scomporsi rispose accarezzando il deretano di Mirella. Una risata scintillante accolse le prime parole che giunsero dall’altra parte della linea. Non discussero molto. – Il tempo di vestirmi e di raggiungerti, ho già cenato, ma ti faccio compagnia volentieri – rispose lei allegramente.
Prima di uscire impartì degli ordini alla schiava. – Non rimanere lì imbambolata come una stupida. Ci sono dei panni da stirare e la cucina da rigovernare, datti da fare, poi vai a dormire e mi raccomando, non ti masturbare. Io esco con il tuo padrone ritornerò tardi. – Mirella era infelice e capiva che quelle sarebbero state settimane, se non mesi difficili.

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Anna ed Alberto

Il giorno prima Alberto aveva incontrato Anna. L’appuntamento era in galleria, scambiarono qualche parola e poi con più calma andarono a chiacchierare in una sala da tè. Si sedettero in un angolo della sala riparati da un tavolino. Entrambi si studiarono per qualche momento. Lui era alto e ben piantato, i quarant’anni erano portati egregiamente, i capelli castani non avevano un filo grigio. Sulla bocca grande e carnosa spiccavano un bel paio di baffi, il naso era anch’esso grosso, l’insieme lo rendeva simpatico a prima vista. Gli occhiali di tartaruga gli davano un’aria intellettuale che alle signore non dispiaceva, vestiva in modo sportivo: pantaloni di velluto e giacca di tweed, sotto un gilè ed una camicia di flanella, le scarpe erano comode. La camminata indolente e dinoccolata unita all’abbigliamento volutamente trasandato ne davano una rappresentazione mite, niente di più sbagliato, dentro era molto duro e cinico. Lei invece era una ragazza molto a modo, aveva ventisette anni, ma era talmente seria che ne dimostrava qualcuno in più. Indossava calze nere, nere erano anche le scarpe, con un discreto, ma non esagerato, tacco a spillo. Fu dal basso che partì l’esame di Alberto, risalendo si accorse che non era bellissima. La ragazza aveva un corpo tornito che sulle anche si allargava come un’anfora e dopo i fianchi tornava a stringersi in vita per esplodere nuovamente sul seno traboccante. Il viso era di un ovale regolare, ma niente di eccezionale, la bocca era piccola e gli occhi erano castani. I capelli anch’essi castani erano riccioli e le ricadevano sulle spalle perfettamente. Era molto curata. Vestiva in modo elegante e severo, allo stesso tempo emanava una notevole carica erotica, si intuiva che era ricca. Il tailleur era firmato ed il maglioncino nero la fasciava deliziosamente, indossava dei gioielli: una fine collana di perle, orecchini piccoli e poco appariscenti, così come l’anellino che portava all’indice, ma di valore. Appetitosa, fantasticò Alberto e schifosamente ricca. Lei era a disagio, ma in grado di dominarsi e di padroneggiare la situazione, non era poco per una candidata schiava alla sua prima esperienza. Un po’ nervosa però lo era, si accese una sigaretta e sedendosi accavallò le gambe, quei pochi e consueti gesti la rassicurarono. Questa sua sicurezza mise invece a disagio Alberto che stupidamente le sorrise. Fu lei a parlare per prima dopo che ebbero ordinato da bere: un tè per lei ed un aperitivo per lui. Gli diede del lei. – Ho delle condizioni da porle, se le accetterà mi metterò ai suoi ordini, altrimenti ognuno per la sua strada. Che ne dice? –
Non andava come aveva previsto, ma rispose con una certa tranquillità.
– Lei è troppo diretta, non dovremmo prima vedere se ci piacciamo … intendo dire .. fisicamente, o nel carattere, o per lo stile … – Anche lui le aveva dato del lei e per il momento erano su un terreno di parità.
Lei sbatté per un attimo gli occhi e poi gli rispose: – lei mi sta bene, è come me l’immaginavo, altrimenti sarei già andata via. Ed io a lei vado bene? –
Diretta e veloce, Alberto incassava. – Sì, la prima impressione è buona, ma ho bisogno di maggior tempo per dire che è ok. – Smisero di parlare mentre il cameriere li serviva, Alberto ne approfittò per cercare di capire chi poteva essere quella ragazza, aveva detto che era una donna in vista, almeno così le aveva riferito Mirella, ma per lui era una perfetta sconosciuta.
– Bene, allora posso esporle le mie condizioni. –
– L’ascolto – rispose laconico Alberto.
– Sono una donna nota, per carità, non sono una diva, ma mio padre è un importante industriale e io sono la sua unica figlia, il mio nome vero lo conoscerà presto, ma per lei io sono e sarò sempre Anna. Questa avventura, così io la definisco, se andrà avanti, non la dovrà mai conoscere nessuno e nessuno dovrà mai sapere della mia vera identità. Mi creda ho i mezzi per assicurarmi che sia così. – Il tono era tranquillo e si vedeva che non intendeva minacciarlo, ma le parole erano inequivocabili e pesanti, mentre parlava guardava diritto negli occhi Alberto che era abbastanza frastornato ed iniziava ad arrabbiarsi. Lei invece proseguì abbastanza tranquilla.
– Secondo. Durante i nostri incontri lei avrà molto potere su di me, ma sarà responsabile, oltre che della mia privacy anche della mia salute. I segni che eventualmente lascerà sul mio corpo dovranno sparire nel giro di qualche giorno. – Questo era già più accettabile – decise Alberto.
– Terzo. Più in là le farò sapere se ai nostri incontri accetterò che partecipino altre persone, che comunque dovranno sempre essere a me gradite. Se questi incontri ci saranno, indosserò una mascherina per proteggere la mia identità. Per ora non lo desidero e comunque voglio prima vedere come funzioniamo noi due. – Era una limitazione seccante, ma ragionevole, quello che ad Alberto non piaceva era il tono con qui le formulava. Fossero state delle umili richieste o meglio ancora delle suppliche le avrebbe prese in considerazione con animo migliore. Iniziava a chiedersi, al di là dell’identità, chi era quella ragazza?
– Quarto ed ultimo. Io sono una donna molto impegnata, lavoro ed ho un fidanzato, non ho quindi molto tempo da dedicarle. Diciamo due sere alla settimana e quando potrò un week-end, probabilmente una volta al mese. Come sappiamo lei ha una schiava e probabilmente altre donne, avrà quindi modo di non sentire la mia mancanza.-
Sicura come una domatrice, pensò Alberto, ora era, oltre che incazzato, incuriosito ed eccitato, per il momento doveva stare al gioco di quella puttanella arrogante.
– Mi chiamo Alberto Bianchi, ed è il mio vero nome. Le sue sono condizioni tutte accettabili, e se troveremo un accordo le rispetterò tutte, non ha niente da temere, ma anch’io ho le mie. –
Lei non lo fece neanche terminare. – Le esponga, se sono ragionevoli le accetterò. –
– Prima devo verificare se, condizioni a parte, lei è all’altezza dell’impegno. –
Lei lo guardò con attenzione. – Mi dica. –
Alberto si consentì una pausa, poi guardandola negli occhi cambiò registro e le disse: – vai in bagno, levati le mutandine e ritorna qui. –
Anna arrossì e per la prima volta non lo guardò più direttamente. Mormorò un va bene, si alzò, prese la borsetta e dondolando inizialmente insicura sui tacchi, ma poi con maggiore scioltezza, si diresse in bagno. Alberto guardandola di spalle si concesse finalmente un sorriso e si disse: – veramente appetitosa, ma molto problematica. Però penso che ne valga la pena. –
Quando ritornò era più sicura, ma evitò di guardarlo negli occhi come aveva fatto fino a quel momento. Si sedette ed accavallò le gambe.
– No cara – disse lui, – metti entrambi i piedi a terra ed allarga leggermente le ginocchia, quindi dammi le mutandine. – Ancora una volta lei arrossì violentemente, ma obbedì. Aprì la borsetta e cercando di non farsi notare gli porse le mutande, erano molto fini e sul pube, notò Alberto, un po’ umide. – Bene – disse lui mettendosele in tasca, – ora parleremo come un padrone fa con una schiava. Io farò le domande e le richieste che per te saranno ordini e tu mi risponderai sollecita ed umile, e quando ti appellerai a me lo farai con i nomi di Padrone o Signore. –
Il tono era lieve ed amabile, nessuno nei tavoli intorno sapeva cosa stava succedendo tra loro due e neanche lo immaginava, sembrava la discussione di una coppia che aveva deciso di trascorrere un piacevole pomeriggio in compagnia.
– Va bene – rispose Anna dopo un attimo d’incertezza.
– Non va bene – la riprese lui sussurrando, – devi rispondere sì Signore o sì Padrone. Potrai evitare questi termini solo in presenza di altri, in questo caso mi darai del lei e solo in questo caso lo farò anch’io. –
Lei si morse le labbra e rispose nel modo giusto. – Sì padrone. –
– Bene, sei intelligente, questo facilita sempre le cose. Ora mettiti una mano tra le gambe, ma prima sposta la poltroncina in modo che nessuno ti possa vedere. – Aspettò che lo facesse e poi riprese. – Accarezzati lentamente, languidamente. Intanto raccontami i motivi che ti hanno portato qui. Perché vuoi quest’avventura, è così che l’hai chiamata. –
Ora lei era davvero a disagio, la sua mano e solo quella si muoveva lievemente tra le gambe, molto in basso, ma Alberto non le faceva pressione perché risalisse più in alto, con voce impersonale iniziò a parlare. – Fin da ragazzina ho sentito il bisogno di essere maltrattata, umiliata, annullata, tutto ciò poi è entrato in relazione con le mie fantasie sessuali, ma non ho mai trovato il coraggio di metterle in pratica. Anzi, con grande sforzo di volontà ho sempre fatto il contrario. Oggi sono una manager. E’ vero, lo sono nell’azienda di mio padre, ma mi creda nonostante sia così giovane l’ho meritato, lui non mi ha mai regalato niente. E’ per questo che sono così dura. In azienda nessuno si sogna di mettermi i bastoni tra le ruote, ma non perché sono la figlia di papà, ma perché in questi due anni ho dimostrato di essere brava. Dopo la laurea sono stata per due anni negli Stati Uniti, per un master ed uno stage. Lì sono andata vicina ad avere un’esperienza di questo tipo, ma poi non ho avuto il coraggio e mi sono tirata indietro. Per me è un’ossessione ed ora ho deciso di averla. Chi sa, forse mi servirà a guarire da questa che reputo un’insana passione, ma che è ormai diventata il mio tormento continuo. –
Mentre parlava la mano era risalita verso l’alto delle cosce e con rabbia aveva pizzicato la morbida carne bianca oltre il bordo delle calze. Solo Alberto riusciva a vedere quello che faceva, il tavolino che avevano davanti li proteggeva da sguardi indiscreti. Anna parlava di sé come se fosse in trance. Lui allungò discretamente una mano e la posò su quella di lei spingendola ancora più in alto, quindi la spostò direttamente sulle gambe della ragazza. Ora erano in due ad accarezzare quelle cosce tornite e succulente. Alberto la sfiorò molto in alto, sentì il sugo che le colava tra le gambe, poi la guardò in viso e vide il labbro della ragazza tremare. L’osservò meglio, era sudata ed il petto era gonfio ed ansimante, poteva avere un orgasmo da un momento all’altro e se aveva capito bene il tipo nessuno le avrebbe potuto impedire di urlare. La pizzicò a sangue nell’interno morbido delle cosce per scuoterla e alzandosi le disse: – andiamo. –
Lei ancora molle e malferma sulle gambe si rese infine conto di quello che stava per succederle, si mise l’impermeabile e docilmente lo seguì.

L’autunno si faceva sentire, il pallido sole pomeridiano era sparito e l’umido imperversava anche in centro. Lui la prese a braccetto e per un po’ passeggiarono in silenzio per le strade dietro alla Scala, lei stava riprendendo il controllo di sé stessa, sentiva il fresco tra le cosce e sulla fica nuda, ma era piacevole. – Padrone posso parlare. – Imparava in fretta.
– Certo – rispose lui.
– Quali sono le sue condizioni. –
– Nessuna – sorrise lui. Sorrise anche lei e si strinse all’uomo.

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La prima notte

Alberto la portò a casa sua, un piccolo e confortevole appartamento in centro. Era lì che viveva da quando aveva, molti anni prima, divorziato. Quando chiuse la porta dietro di sé ordinò ad Anna di spogliarsi. Erano nel soggiorno, era accesa solo una lampada da tavolo. La ragazza se lo aspettava, ma rimase ugualmente turbata per l’ordine secco, immediato, senza alcun preambolo, lui non le offrì nessuna via di scampo. Rimase a guardarla nella penombra, mentre lei si domandava cosa doveva fare. Poi si decise, voleva dimostrargli che era all’altezza della situazione e voleva dimostrarlo anche a se stessa. Una volta che si decise cerco di farlo bene, lo fece con gesti lenti e studiati. Non si era addestrata a fare spogliarelli, ma era una ragazza che aveva classe e un po’ di esperienza. Si levò per prima la gonna e rimase in giarrettiere e calze nere, le mutande non le aveva più ed il triangolo scuro e lucente si mostrò ammiccante. Il nero della biancheria le donava. Tra le calze sostenute da giarrettiere, anch’esse nere, ed il maglioncino risaltava il biancore latteo delle cosce. Alberto ammirò anche la biancheria che indossava, era fine e costosa. Lei sapeva di non essere molto bella, ma era consapevole di avere un certo fascino, stile e classe. Non aveva mai provato seriamente a dimagrire, era cosciente di avere un po’ di chili di troppo, ma quelle rotondità avevano diversi estimatori e comunque lei si sentiva agile ed in forma. Inoltre non era una svampitella come molte delle sue colleghe, la sua segretaria per esempio che non aveva altro da pensare che piacere agli uomini. Lei invece era consapevole del suo valore e del fatto che al mondo c’erano cose più importanti.
Alberto stava in piedi appoggiato al tavolo e l’osservava, un lieve ed ironico sorriso increspava le sue labbra. La ragazza non era uno schianto, ma quel culo tondo e sodo e quelle cosce bianche e tornite lo fecero rizzare immediatamente, quando poi lei si levò il maglioncino e sganciò il reggiseno l’esplodere di quel biancore ed il dondolio che per qualche istante ne seguì lo conquistarono definitivamente. Era grassottella, ma deliziosa, a lui piaceva anche quel pancino prominente che le dava un’aria giovanile ed indifesa. Lei era rossa in volto e non lo guardava, poi abbassò del tutto gli occhi, allungò le braccia lungo i fianchi e si offrì al suo sguardo. Lui si impose di non far precipitare la situazione. Era il primo incontro e doveva essere lungo, eccitante e piacevole.

Aprì un cassetto e le porse delle ginocchiere e dei calzettoni di lana privi di pedalini: – indossali – le disse, Anna obbedì. Alberto era molto abile con la corda ed il cuoio, ne aveva di tutti i tipi e di tutte le dimensioni. Iniziò a legare la ragazza. La corda avvolse tutto il busto di Anna raccogliendo le braccia della ragazza e lasciando scoperto solo il seno, che per effetto della compressione delle corde sul resto del corpo svettò più evidente in fuori, lo stesso effetto si ottenne sulle natiche, mentre il lieve rigonfio della pancia rientrò completamente. Un bel pezzo di corda rimase libero e pendente dietro la schiena della ragazza. Alberto l’accarezzò su quel seno grosso, sodo ed al tempo stesso piacevolmente morbido, insieme al culo era la parte migliore della ragazza. Lei si lasciò sfuggire un sospiro ed i capezzoli bruni rizzarono. Alberto li sfiorò con il dorso della mano poi ritornò al suo lavoro. Legò l’estremo di un laccio di pelle morbida intorno all’ascella destra di Anna e l’altro capo sulla gamba del lato opposto proprio sopra al ginocchio, compì operazione analoga sull’ascella di sinistra, ed i lacci si incrociarono all’altezza del seno, lì Alberto agganciò una corta e leggera catenella. Ora la ragazza era proprio costretta a stare in ginocchio. Una lunga striscia di cuoio fu fatta passare dietro la schiena della ragazza, all’altezza dei fianchi e poi alla base delle cosce, i capi della striscia ritornarono dietro la schiena della ragazza. Per finire ancora due stringhe sempre di cuoio furono avvolte intorno alle caviglie di Anna. Ora Anna era stata tramutata in un burattino nelle mani del suo padrone che si divertì a provare cosa succedeva tirando le varie corde ed i diversi lacci che le pendevano dal corpo. Tirando la corda che veniva fuori dalla schiena si poteva trascinare la ragazza, che scivolava sulle ginocchiere, dove si voleva; tirando i due capi della striscia che le passava intorno ai fianchi ed alle cosce si otteneva di farle venire fuori il culo, tirando ancora risulta visibile ed offerta pure la vulva; con i due lacci delle caviglie si poteva farle stringere o allargare le cosce a piacere; ed infine tirando in basso la catenella collegata alle strisce di pelle, tese ed incrociate sui seni, la si poteva far piegare in avanti verso il pavimento. Alberto provò a tirare tutte le corde e portò la ragazza in diverse posizioni, tutte molto eccitanti.
– Penso che mi darai grandi soddisfazioni – commentò. Non c’era niente di doloroso in quelle posizioni, Anna non soffriva. Il padrone la toccò tra le gambe e la trovò fradicia di umori. – Sei calda e quando sei in queste condizioni perdi completamente la testa, come stava succedendo al bar. Devi essere più disciplinata, mettere questa carica erotica al servizio del tuo padrone, altrimenti ti dovrò punire. Ora raffreddati un po’, intanto io esco e vado a cena con la mia amante. Ritornerò più tardi. – Quando Anna aprì la bocca per protestare una pallina di gomma vi finì dentro, fece per sputarla, ma era già imbavagliata. Lui, tirandola per le corde che la legavano alle caviglie, la trascinò sul parquet facendola scivolare sulle ginocchia in camera da letto. Qui tirò la corda che le passava tra le cosce e la fece inarcare portandola ad esporre il culo in alto, legò la corda alla spalliera del letto e agganciò la catenella che le pendeva sul davanti ad un piede dell’armadio. Anna era col culo in aria e chinata in avanti, senza avere le mani libere da poter appoggiare a terra, non era in una situazione facile. La lasciò lì, legata, gemente ed immobilizzata, quindi uscì dalla stanza. Erano le sette di sera. Non andò via subito. Passando nel soggiorno, non visto aprì la borsetta di Anna e dal portafoglio tirò fuori la sua patente, se voleva poteva chiederle quelle informazioni e lei avrebbe risposto, ma lui non voleva chiedere. Non c’era dubbio, quello che leggeva era un cognome davvero importante, Anna era il suo nome vero, anche se ne aveva un altro ancora. Alberto considerò che se Anna voleva poteva davvero rendergli la vita difficile. Alberto non era preoccupato, uscì infine dall’appartamento borbottando: – cara Anna sarà un piacere domare una riccona come te. Ti renderò umile e servile come neanche puoi immaginare, tu pensi di giocare, ma vedrai che questa è una faccenda molto seria. –

Anna era invece angosciata e sul serio. La posizione non era per niente comoda, cercava di stare in equilibrio senza rovinare con la faccia a terra ed iniziava a sentire dei dolorini in ogni parte del corpo, sapeva che sarebbero peggiorati, ma era anche furiosa e spaventata. Furiosa con quel bastardo che l’aveva abbandonata senza battere ciglio, senza neanche darle una vera palpata, era davvero umiliata, si domandò se era davvero quello che voleva. – Quel bastardo se la sta spassando con qualche bagascia da quattro soldi, mentre ha a disposizione me per la prima volta, calda e disponibile ad ogni suo desiderio. Bastardo, bastardo e bastardo, ma riuscirò a farti ragionare. – Anna era furente. Era anche terribilmente spaventata e per un sacco di motivi. Poteva sentirsi male ed era sola, il suo padrone poteva finire sotto una macchina e lei sarebbe rimasta incapace di liberarsi, poteva entrare un ladro e trovarla già nella posizione migliore per essere violentata. Smise di pensarci, ogni nuovo pensiero descriveva una situazione peggiore della precedente. Smise anche di agitarsi, poteva solo farsi del male e ne aveva già in abbondanza. Quando si calmò ripensò a quello che le era successo fino a quel momento. – Era quello che volevo – si disse, – non voglio essere trattata con i guanti, altrimenti dov’è il divertimento, e sapevo anche che c’era una concorrente. Devo conquistarlo. – Pensò che nonostante tutte le condizioni che gli aveva messo, lui pur senza contraddirle, aveva comunque fatto quello che voleva, allora ritornò ad eccitarsi ed a bagnarsi, se solo si fosse potuta toccare …, ma quel bastardo l’aveva legata proprio come un salame.

Ritornò verso le undici e la tastò tra le gambe, la trovò spossata e bagnata in basso, il viso sfigurato ed il trucco disfatto, era sudata ed eccitata. Era positivo. Sciolse la corda dalla spalliera e la sganciò anche dal davanti, lei ritornò diritta dolorosamente, gemendo e mugugnando attraverso il bavaglio, ma felice di poter distendere i muscoli e la schiena, anche se continuava a stare in ginocchio. – Ora ti leverò la pallina dalla bocca – le disse, – ma tu non dovrai parlare. Intesi? – Lei annuì, in quelle ore si era arrabbiata e quietata, ma anche se ancora riluttante, aveva riconosciuto che lui era il suo padrone, ora era contenta e riconoscente che fosse tornato e che si prendesse cura di lei.
Lui l’accarezzò sulle guance e lei s’intenerì, aveva sempre sognato momenti come quello. Sottomessa aprì le labbra e lui le passò un dito sopra che lei baciò delicatamente, si stava bagnando come una maiala. La penetrò con l’indice in bocca e lei glielo ciucciò devotamente. Alberto ne fu soddisfatto, per essere alla prima esperienza si stava comportando bene, ma dubitava che sarebbe sempre stato così. Smise di toccarla, anche lui era eccitato e la voleva. Lì, davanti a lei si spogliò. Lei lo guardava, in ginocchio dal basso verso l’alto, e lo valutava. Alberto non era più un giovincello, era un po’ appesantito, ma tutto sommato era ancora in forma, le spalle erano larghe, come il petto che non era molto peloso, sui fianchi e sul ventre c’era un po’ di grasso, ma niente di veramente allarmante. Anna apprezzò quello che vedeva, guardò in mezzo alle gambe, c’era un bel cazzo semieretto ed un bel cespuglio nero. Quello spogliarello era per lei. Alberto sapeva di non essere male e si metteva in mostra. Non era vanitoso e non erano neanche quelli i mezzi che utilizzava per irretire le donne, ma al primo incontro tutto poteva servire. Si accovacciò accanto a lei e l’accarezzò tra le gambe, era un lago e appena si sentì sfiorare sulla vulva fu come se avesse preso la scossa, allargò le ginocchia per permettergli di penetrarla e lui lo fece. Quando il dito le entrò dentro gemette e s’inarcò. Col pollice lui continuava a toccarla sul clitoride mentre un altro dito entrò dentro la ragazza che ora si dimenava sulla mano come un’indemoniata, era tutto quello che poteva fare. Alberto la lasciò così infoiata e al tempo stesso frustrata, lei ne rimase delusa, stava per protestare, ma il solo sguardo del padrone la convinse che non era il caso.
Il padrone si sedette per terra davanti alla ragazza, allungò una mano e tirò la catenella legata alle cinture di pelle che si incrociavano sul seno. La ragazza fu costretta a chinarsi in avanti, avrebbe sbattuto col muso a terra se non fosse stata trattenuta per una spalla dal padrone. Invece la sua bocca fu trascinata lentamente verso il cazzo di Alberto che eccitato l’attendeva trepidante. Anna iniziò a pompare, non era una gran pompinara, ma bisognava scusarla, era legata ed emozionata e ciucciare cazzi non le piaceva poi molto. Avrebbe imparato a fare meglio, Alberto ne era sicuro, ma intanto se la godeva mentre spingeva il ventre in su verso la bocca della ragazza e l’accarezzava sulle mammelle che pendevano invitanti e gonfie, fino a quasi a sfiorare il pavimento. Anna era partita un’altra volta, pensava di riuscire a godere anche con una semplice carezza sul seno, ma Alberto fu di avviso diverso voleva fottersela e riempirla in un altro modo. Uscì da lei, ancora una volta Anna ci rimase male, ma sapeva che non era ancora finita e attese trepidante il nuovo atto. Lui le girò dietro tirò i lacci delle caviglie e le fece allargare le gambe, tirò ancora la cintura che le avvolgeva i fianchi e fece inarcare nuovamente Anna fino a farne venire la fica in fuori, a quel punto l’infilzò. Anna gemette felice, quello le piaceva moltissimo. Trovarsi immobilizzata, impalata brutalmente, alla mercé di un quasi sconosciuto che la utilizzava senza curarsi di lei era la realizzazione di una delle sue più eccitanti fantasie. Alberto teneva la ragazza attraverso le cintura e la faceva andare avanti o indietro allentando o tirando le cintura a piacimento, erano come le redini di un cavallo. Per Anna era troppo, solo la paura di svegliare il vicinato e dare scandalo le impedì di urlare, ma gemette e soffocò le grida fin dal primo momento che si sentì penetrare. Voleva gridare: – Sì così, sfondami, sono la tua puttana, continua ti prego, – ma non lo fece, lui le aveva impedito di parlare e lei allora miagolava come una gatta in calore. Poi Alberto prese entrambe le cinture con una mano sola, l’altra andò sulle tette. La palpò vigorosamente e le strizzò i capezzoli. – Finalmente – pensò Anna che se avesse potuto toccarsele sarebbe stata anche più brutale. Quando poi la mano scese sulla vulva piena e gocciolante lei s’inarcò e si dimenò e quando la toccò sul clitoride mugolò come una pazza. Due minuti dopo sentì l’orgasmo salire e si abbandonò come se fosse svenuta, non sbatté il viso per terra solo perché Alberto la teneva attraverso le cinghie. Lei ormai era inerte e lui la manovrò con le cinghie facendola andare su e giù a piacere finché il fiotto di sperma non riempì la ragazza, Anna ebbe un’altra violenta, lunga e piacevole convulsione. Lui infine, delicatamente la lasciò andare verso il pavimento dove la ragazza rimase a contorcersi, a stringere le cosce l’una all’altra ed a godere a lungo.

Molto dopo l’una, mentre Anna si rivestiva chiese umilmente al padrone se le era piaciuta.
Lui la guardò a lungo mettendola in imbarazzo. – Per essere la prima volta non sei stata male, ma hai molto da imparare. Dalla prossima volta inizierò ad addestrarti. –
Lei colse la palla al balzo ed allora chiese se potevano rivedersi la sera dopo.
– No. Domani ho già un impegno, ma ti posso ricevere qui alle sette dopodomani, poi vedremo come passare la serata. –
Non era vero che Alberto avesse un impegno e desiderava anche rivederla al più presto, ma era ora che la ragazza capisse chi era che guidava le danze. Mortificata Anna rispose come si conveniva. – Sì padrone. – Era dispiaciuta, ma quando fu sulla strada di ritorno ripensando a tutte le sensazioni di quella giornata divenne euforica. Quella notte dormì pochissimo, ma il giorno dopo sprizzava ugualmente energia e sul lavoro, se possibile rispetto alla sua normale efficienza, rese anche di più. Più volte durante il giorno si disse: – penso di poterlo controllare e di poter gestire, almeno per qualche tempo, tranquillamente una doppia vita. –

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