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Racconti Erotici Etero

LA PRIMA COSA BELLA

By 28 Marzo 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Non so come iniziammo.

Eravamo due amici che frequentavano lo stesso gruppo, lo stesso bar, nati lo stesso anno nello stesso piccolo paese di campagna, compagni di classe prima all’asilo, poi alle elementari, poi alle medie.  Nessun interesse in comune, se non quello di frequentare la stessa compagnia di coetanei.

Nel gruppo c’era sempre qualche flirt in corso, ma io, me ne rendo conto col senno di poi,  forse perché sembravo più grande e forse perché, nonostante la mia inesperienza, davo l’idea di una sicura di sé e aggressiva, intimorivo i maschietti, che mi lanciavano frecciatine, sguardi maliziosi, ma che non si facevano quasi mai avanti.  Io nemmeno, del resto. Ancora non ero diventata la pantera sicura di sé che si sarebbe presa quello che voleva,  ci sarebbero voluti ancora alcuni mesi, perché avvenisse tale trasformazione, e forse tu hai avuto un ruolo importante affinchè si realizzasse.

Sì,  perché, nonostante un fisico quasi perfetto, nonostante i vari apprezzamenti che spesso facevate al mio sedere ritto, al mio decolté, alle mie gambe tornite, non mi rendevo davvero conto dell’effetto che facevo a voi ragazzi, di quanto scatenassi i vostri ormoni già in tumulto per l’età.

Ho iniziato a realizzarlo quando mi sono trovata di fronte la tua insistenza, il tuo rifiuto a sentirti dire di no, ad essere allontanato, e più tu insistevi, più mi attiravi a te, nonostante cercassi di mostrarmi infastidita dalle tue avance, perché sentire quanto mi desideravi faceva ribollire  il mio desiderio, i miei ormoni, tenuti a freno troppo a lungo.

Sì, adesso ricordo, è iniziato  tutto uno stupido pomeriggio , maggio o forse giugno,  di sicuro è caldo, i vestiti sono leggeri, siamo come al solito  al bar che sta in mezzo ai giardini pubblici, qualcuno ha la bella idea di giocare a nascondino, come dei bambini.

Lo sfortunato di turno inizia a contare, faccia contro il tronco di un albero, io corro a nascondermi dietro al bar, dove le cassette vuote di bibite ammassate una sull’altra e lo sgabuzzino della caldaia  formano un angolino riparato e nascosto, dopo pochi secondi arrivi anche tu, con la scusa di nasconderci bene mi dici di stringermi al muro, ti schiacci contro di me e il tuo odore mi arriva prepotente, imparerò a conoscerlo bene, mescolato al profumo D&G, mi piace da morire, per anni continuerò ad eccitarmi ogni volta che lo sentirò.

Sei magro,più alto di me di almeno 10cm,  i muscoli sono appena disegnati ma tonici, tesi,  la pelle già olivastra di suo è abbronzata di un bellissimo color nocciola, come i tuoi capelli un po’ lunghi,  le labbra carnose, il volto di ragazzino si sta trasformando in quello di un uomo, la mascella  ha perso già la dolcezza di qualche anno prima ed è diventata più forte e squadrata.

La tua personalità non spicca nel gruppo ma sei decisamente un bel ragazzo, probabilmente come me non sei ancora consapevole della tua bellezza, non sai sfruttarla, la timidezza ti fa apparire più impacciato mentre potresti fare il figo della situazione, ma adesso che siamo soli io e te non contano altro che i nostri due corpi giovani e belli, la nostra voglia acerba, e mi basta sentire il tuo inguine strusciare contro il mio per bagnarmi, il tuo petto premere contro i miei seni, per farmi desiderare di restare lì, col tuo corpo addosso al mio, il più a lungo possibile.

Forse tu ti accorgi di qualcosa, forse non riesco a fingere che non mi piaccia la situazione, fatto sta che trovi il coraggio di infilare una mano tra noi due, di arrivare  in mezzo alle mie cosce e iniziare a strofinarla sopra la stoffa dei miei jeans.

“Che fai, fermo!” ma il tono è troppo debole, troppo poco convinto, non convince nemmeno me, tu provi a risalire fino al bordo dei jeans e a riscendere giù, ma stavolta le dita scorrono sulla stoffa dei miei slip e il fatto che nonostante le mie proteste verbali  io tiri in dentro la pancia per farti spazio ti incoraggia a sbottonarmi i jeans con l’altra mano, arrivare col palmo al mio monte di venere e spalancare  per la prima volta le porte del mio piacere.

La tua mano libera mi prende dietro la nuca e avvicina il mio viso al tuo, mi baci, la tua lingua impacciata e famelica si infila con foga nella mia bocca e stavolta non reclamo, non ho più forza né voglia di opporre resistenza, resto lì  con le braccia lungo i fianchi a pomiciare con te, ipnotizzata dal piacere che la tua mano grande e nodosa mi sta regalando, semplicemente continuando a strofinarsi contro la mia passera, attraverso il cotone sottile ormai completamente bagnato.

Capisci che mi piace e ti fai ancora più coraggioso, infili la mano tra la pelle e la stoffa, scendi giù veloce e infili il tuo dito medio nella mia fica, mi stacco dalla tua bocca per obiettare, non voglio passare per una facile, queste cose si fanno dopo essere usciti insieme, si fanno se sei la sua ragazza “ufficiale”, non di nascosto, così,  all’improvviso, ma ho appena iniziato a scoprire quanto poco mi importerà di tutte queste cazzate, rispetto al piacere che posso ottenere dagli uomini.

“No, dai, fermo, che fai!  Cristian smettila, ti prego” , questo è quello che dice la mia voce, ma il mio corpo dice “continua, continua, sì , ti prego, mi fai impazzire, mi piace un casino!”.

“Non ce la faccio a smettere, Eva, mi fai eccitare troppo, dai, ti prego, lasciami fare, fatti toccare”. Sento la voglia prepotente nella tua voce, sento l’eccitazione nelle tue mani, nel volume e nella durezza del tuo pacco che preme ancora contro le mie gambe e ti lascio continuare, lascio che il mio corpo scopra i primi sussulti del piacere,  lo lascio godere.

Poi delle voci, ci ricordiamo che siamo ancora nei giardini, con gli altri, mi assale la paura di essere scoperta e mi stacco in fretta, mi ricompongo, riabbottono i jeans e provo ad uscire, ma mi sembra impossibile che gli altri non mi leggano in faccia cosa ho appena fatto, cosa abbiamo appena fatto.

Quel primo incontro clandestino ti ha spalancato un mondo di opportunità, avevi capito che mi piacevi, che era piaciuto anche a me quello che avevamo fatto, che anche io avevo voglia di rifarlo.

Così abbiamo iniziato a trovare ogni scusa possibile per appartarci, ogni volta io fingevo di non volere,  ma ti lasciavo fare quando mi raggiungevi, ti seguivo quando mi chiamavi,  non mancavo mai.

In gruppo eravamo gli stessi di prima, nessuno sapeva niente di noi due,  ma se per caso i nostri sguardi si incrociavano sentivo il fuoco divamparmi  in mezzo alle gambe, ti vedevo sorridere appena, tra l’eccitato e l’imbarazzato, per quella cosa che c’era tra noi e che ingenuamente non sapevamo come definire, forse per il timore di pronunciare quella parola che ci suonava ancora poco familiare, “sesso”.

Dietro casa tua c’era un grande filare di pioppi, che risaliva il fianco della collina, circondato da siepi e rovi alti, un giardino segreto a nostra completa disposizione. Quell’estate iniziammo a darci appuntamento lì, se il ritrovo al bar col resto della compagnia era per le 4, tu alle tre ti facevi trovare nel prato, seduto sul tuo scooter nuovo fiammante, io arrivavo sul mio “ciao”  traballante sul terreno irregolare.

 Poche, pochissime parole, dopo pochi secondi eravamo già persi nell’intreccio di lingue, inevitabilmente si finiva sdraiati sull’erba, tu mi toccavi il seno senza avere il coraggio di spogliarmi, infilavi le mani sotto la stoffa del reggiseno, le prime volte piano, timido, poi, incoraggiato dalla debolezza dei miei reclami, sempre più sfacciato, fino a baciare i miei seni, a leccarmi i capezzoli, sdraiato su di me con tutto il tuo peso.

Mi faceva eccitare da morire sentire il tuo corpo sul mio, sentire le tue dita inesperte strizzarmi le tette sode, sentire il tuo pacco gonfiarsi sotto i pantaloni e premere con forza contro il mio inguine,  le mie mani però  si limitavano ad accarezzarti la schiena, scorrevano sotto la t-shirt, arrivavano ai capezzoli, scendevano lungo la tua pancia piatta, appena scolpita, ma si fermavano lì, timorose di sembrare sfacciate, poi col tempo si fecero più coraggiose, ti sbottonavano i jeans e ti accarezzavano l’uccello attraverso la stoffa dei boxer, strusciavo la mia mano distesa sulla protuberanza del  tuo cazzo e mi meravigliavo di come rapidamente crescesse sotto al mio tocco, diventasse grosso e duro, ma non mi spingevo mai a toccarlo direttamente, tu non chiedevi, ti accontentavi di quelle carezze velate, del mio corpo che comunque ti concedevo più di quanto forse ti avessero mai concesso altre prima di me.

Mi stupivo ogni volta di quanto  ti piacesse toccarmi, che  ti facesse eccitare tanto farmi godere infilandomi le dita nella fica,  senza alcuna delicatezza, senza maestria, eppure la foga con cui spingevano dentro di me era tutto, il fastidio dato dalla tua irruenza e il lieve dolore quando a volte esageravi, quando  le dita diventavano due, poi tre, erano niente in confronto all’eccitazione e al piacere che mi facevi scoprire. Ero io a godere, eppure eri tu a gemere di piacere, a sussurrare continuamente, mentre facevi entrare e uscire le dita dalla mia fica, “bella Eva, bella, bella sei, quanto mi fai eccitare…”.

Dopo i primi incontri mi feci più spudorata, coraggiosa, iniziai a prendere un po’ di iniziativa, dopo che mi avevi masturbato con foga ti facevo sdraiare a pancia in su e a cavalcioni mi strusciavo su di te, come una cavallerizza al galoppo a cui nessuno avesse dato lezioni , ma che sapesse istintivamente come cavalcare.

Inguine contro inguine, le prime volte entrambi vestiti, sentivo la consistenza dura del tuo cazzo persino attraverso la stoffa spessa dei tuoi jeans, poi i pantaloni iniziarono a calare, mettevo la gonna di proposito per sollevarla, i miei slip bagnati contro  i tuoi boxer , che spesso finivano per contenere la sborrata provocata dai miei movimenti.

Bastò poco tempo, pochi incontri, perchè entrambi non ci accontentassimo più di quel godimento “superficiale”, tu provasti a spogliarti, ad abbassarmi gli slip, ma non avevi con te i preservativi, per l’ennesima volta le uniche a violare la mia intimità furono le tue dita.

Poi qualche giorno dopo mi dicesti di venire nel garage dietro casa tua, attrezzato a “rustico”, quello dove a volte organizzavamo le feste con gli amici,  perché tanto i tuoi sarebbero stati fuori tutto il giorno e nessuno mi avrebbe vista arrivare.

Sapevo cosa avremmo fatto, ormai lo volevo da troppo tempo anche io, non mi importava niente di tutte le menate che si facevano le mie amiche sulla prima volta:  visto che di storie serie non ne avevo, ma voglia di sesso sì, decisi di dar retta alle mie pulsioni, piuttosto che ai falsi moralismi.

Mi rivedo come fosse appena ieri, non ricordo i vestiti che indosso, forse una minigonna di jeans,  ma ricordo benissimo il completino di pizzo rosso corallo che brilla sulla pelle abbronzata, sopra un  balconcino, che strizza e solleva  la mia terza  bella rotonda fino a farla straripare quasi dalla stoffa,  sotto un perizoma alla brasiliana, che incornicia perfettamente il mio sederino tondo e ritto.

Sono da te, entriamo nel garage seminterrato, la luce filtra debole dalle tende a quadretti che nascondono il bandone di ferro verde e vetri opachi,  un po’ impacciati ci sediamo sul piccolo divano di pelle marrone, il tuo odore mi inebria, mi sono  vestita sexy per te e tu te ne accorgi, forse col pensiero hai già fantasticato su cosa succederà e gli ormoni sono  impazziti, allunghi una mano sulla mia coscia abbronzata e liscia e inizi ad accarezzarla, risalendo piano sempre più su,  mentre le nostre bocche si sono già incollate e le mie mani ti accarezzano i capelli, la nuca, le spalle.

Stranamente oggi  sei tu il più timido, il più insicuro, io la più sfacciata, forse perché da maschio senti la pressione della prima volta, l’ansia da prestazione, mentre io non sono affatto preoccupata di doverti dimostrare niente, anzi e riesco a godermi il momento senza alcuna paranoia o preoccupazione, mi lascio andare completamente.

Hai infilato la mano sotto la gonna e hai iniziato a strusciarla in mezzo alle mie gambe, sono già bagnata, non aspetto altro, alzo una gamba e la poggio oltre le tue, sono a cavalcioni su di te adesso, ti sfilo la maglietta e inizio a baciarti i capezzoli come non ho mai fatto,  tu capisci che sta proprio andando come speravi, tiri fuori i preservativi dalla tasca posteriore e subito dopo ti sbottoni velocemente i jeans,  li tiri giù fino alle ginocchia sollevandoti sul bacino, mentre sono ancora sopra di te, mi sfili il top e inizi a toccarmi le tette, a strizzarle, tenti di sganciarmi il reggiseno, io più impaziente di te corro in tuo aiuto e lo tolgo da sola,  ti lascio affondare il viso sulla mia pelle non più costretta dalla stoffa, baciarla, leccarla, morderla.

Siamo entrambi fuori di noi, completamente succubi dei nostri ormoni e della bramosia maturata dopo parecchie giornate di preliminari, dopo anni di masturbazione.

Non ricordo come, ma riusciamo ad infilare il preservativo sul tuo cazzo bello eretto, mi sembra grande in confronto alle due dita con cui di solito mi penetri, ma non mi preoccupo nemmeno un attimo, credo che non riuscirei a resistere un minuto di più, lo voglio e ne sono certa, è la cosa di cui in questo momento sono più sicura al mondo: voglio il tuo cazzo, lo voglio dentro, voglio che spengi questo fuoco che mi brucia e mi consuma senza darmi mai pace.

Mi sfilo il perizoma e ritorno sopra di te, struscio ancora la mia fica contro il tuo uccello ed è così bagnata che appena te lo prendi in mano per appoggiarlo in mezzo alle mie grandi labbra entra dentro con una facilità impressionante.  Mi impalo su di te, seduto su quel divano, come sul trono di una divinità che venero con passione, nessun dolore, pochissima resistenza dalle pareti della mia vagina, che bramavano essere penetrate e ti accolgono con piacere, inizio a muovermi su di te come se l’avessi già fatto altre volte, senza pensare, mi piace da morire, sto godendo, i miei fianchi ondeggiano sul tuo cazzo trovando il piacere, l’appagamento che cercavo da tanto, è solo l’istinto a guidarmi e mi guida davvero bene, anche troppo: ti sto facendo impazzire e dopo pochi minuti ti sento gemere, sei venuto.

Mi dirai subito dopo: “cazzo Eva, quanto mi hai fatto godere, ti muovi troppo bene, ma sei sicura che eri vergine?” .

Non mi chiedi nemmeno se mi è piaciuto, forse perché te ne sei accorto da solo, è palese, l’impegno e la passione che ho messo in quei movimenti sono stati più eloquenti di mille parole. Certo, non ho fatto in tempo a raggiungere l’orgasmo, ma non so ancora cos’è e cosa si provi quando arriva, mi è sembrato già bellissimo così, la sensazione più bella che abbia mai provato, so solo che ne avrei voluto ancora, che ne voglio ancora.

Scoprirò più tardi, da amiche più grandi ed esperte, che la  mia prima posizione è stata davvero azzeccata, per la donna è una delle più soddisfacenti.  Io non so se è merito della posizione di per sé, o perché è quella della mia prima bellissima volta, ma è rimasta nel tempo una delle mie preferite, che mi fa eccitare e godere sempre moltissimo, forse proprio perché ogni volta che mi ritrovo in quella posizione, non posso fare a meno di tornare con la mente a quel divano di pelle marrone e alla combinazione afrodisiaca dell’odore della tua pelle  e del profumo che usavi. Ho provato persino a regalarlo al mio primo vero “fidanzato”, quel profumo di marca, ma non ho più ritrovato quell’odore magico che mi ha fatto perdere la testa e la verginità.

Adesso tu sei sposato, tua moglie non è bella quanto te ma hai due bellissime bimbe, abiti sempre nello stesso paesino dove siamo cresciuti, e quando vengo a trovare i miei genitori, passeggiando per il paese o nel bar di sempre per salutare gli amici di una volta, capita di incontrarti. Sei diventato un bell’uomo, ma sempre inconsapevole del tuo sex-appeal e un po’ timido. Ho notato come mi guardi quando credi di non essere visto,  so che mi trovi sempre molto bella e soprattutto molto sexy, probabilmente ancora più adesso di quando eravamo ragazzini. Ma quando ci fermiamo a parlare un attimo, scambiandoci le solite frasi di buona creanza, “come va”, “che belle le tue bimbe”, “ma tu quand’è che ti sposi?”, scorgo ancora, in fondo ai tuoi occhi, la scintilla, la stessa che accendevamo uno nell’altro  tanti anni fa, quell’attrazione magnetica, quella reazione chimica che i nostri corpi scatenavano quando si trovavano vicino e.. per un attimo… mi sento di nuovo l’adolescente che ero.

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