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Racconti Erotici Etero

La sosta in rada

By 18 Febbraio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Aveva già notato quella barca, la notte precedente al porto di Veli Rat. La solita passeggiata in banchina si era conclusa con l’attento esame delle altre barche ormeggiate. I ragazzi avevano commentato quel 12 metri, attrezzato per non toccare terra , dotato di pannelli solari e di timone a vento. Batteva bandiera olandese. Lei aveva semplicemente osservato incuriosita il nome dello scafo La mia africa, chiedendosi chi mai potesse desiderare restare nella sua solitudine così a lungo da considerare un 12 metri la sua africa per mesi e mesi. Si era intenerita nel vedere una timida piantina di basilico messa a giardinetto, legata per bene. Aveva pensato che anche un navigatore solitario doveva poter avere una via di fuga da tutto quell’orizzonte blu.
Adesso erano in rada, una bella rada riparata sufficientemente ampia da garantire libertà di manovra. In realtà in rada erano in due. Loro e La mia africa.
Si soffermò a guardare lo scafo, mentre si asciugava i capelli. Si chiese quanti anni potesse avere nell’anima chi compie una scelta così radicale. E poi lo vide. Non si poteva non vedere. Nudo, completamente nudo era uscito in pozzetto e stava salendo sulla tuga per legare meglio la randa. Distolse lo sguardo. La metteva a disagio non tanto la sua nudità, ma la completa mancanza di ostentazione. Sono nudo. Punto e basta, sembrava dire il suo corpo. Osservò con la coda dell’occhio i movimenti sicuri di chi governa da solo uno scafo che conosce intimamente. I capelli la colpirono. Capelli ricci, pieni di sale. Risultavano quasi brizzolati sotto il sole, ma il volto sotto i ricci era di una ragazzo giovane. Quanti anni potrà avere? Si chiese, forse 30, 35, non di più. Con una certa immaginazione, pensò, potrebbe essere mio figlio.
Si accorse che per tutto quel tempo aveva continuato a spalmarsi la crema solare sul corpo, e che i capezzoli erano induriti da tutto quel passare e pensare. Cercò di diminuire il dolore di quell’improvvisa erezione premendoli col palmo delle mani, cercando di riportare il suo corpo alla ragione.
Finì per farsi troppe domande, e la curiosità la spinse a prendere il binocolo. Si sdraiò in pozzetto, con aria indifferente mise a fuoco l’orizzonte e lentamente girò lo sguardo verso lui. Occhi, occhi chiari quasi trasparenti nel loro grigio lucido, e una pupilla nera, così contrastante con l’iride chiara da risaltare oltre quel grigio.
La pelle cotta dal sole, lo sguardo pieno di rughe e di porti, lo sguardo degli uomini di mare. Stava mangiando un pomodoro. Tagliava fette di pomodoro col coltellino svizzero e le accompagnava in bocca. I denti si schiudevano leggermente lasciando intravedere la lingua che raccoglieva il succo colante.
La vide. Non si spiegò come, ma la vide sicuramente. Gli occhi fissavano attraverso il binocolo i suoi. Lei avvampò mentre lui portava il pomodoro alla bocca, addentandolo con malcelata avidità. Vide le labbra succhiare il pomodoro, la lingua cercare succo e semi inghiottendoli.
Passò una notte insonne, o tale le sembrò il mattino successivo. Una notte umida, in cui si mischiarono sudore e umori nascosti. Dovette alzarsi più volte per scacciare l’immagine di quella bocca che addentava il rosso del pomodoro. La calma di vento non scacciava dalla sua testa l’immagine di lui che addentava e la toccava, di lui che la toccava caldo, alla luce della luna.

Alle 6 di mattina decise di alzarsi. Era mattiniera. Al mattino la legavano riti quotidiani che imponevano il ritmo a tutta la giornata. Soprattutto in barca a vela, alzarsi molto prima degli altri, prepararsi il caffè, sedersi in pozzetto con l’ipod e la moleskina mentre tutto intorno poteva individuare i respiri di chi era lì con lei in quel momento, di solito gabbiani e qualche occhiata di passaggio.
Come sempre si spogliò per il primo bagno della giornata. Sperava che l’acqua fosse fredda, per svegliarle i pensieri. Più l’acqua le intirizziva la pelle, prima prendeva confidenza con il suo sentire.
Scese lentamente dalla scaletta di prua. Il rito prevedeva l’assoluto silenzio. Solo lei e la rada, e la curiosità per quell’africa misteriosa ormeggiata a poche bracciate.
Cercò di abituarsi in fretta al gelo che le lambiva le caviglie. Complice la notte agitata, quella mattina la limpidezza dell’acqua le ricordava il ghiaccio. Prese coraggio e si lasciò scivolare all’indietro per entrare in acqua senza fare il minimo rumore.
Il suo corpo completamente nudo tardava a rassegnarsi al freddo della rada non ancora accarezzata dai raggi del sole. Il seno le doleva con i capezzoli eretti, i muscoli addominali si contraevano per cercare calore. Iniziò velocemente a nuotare intorno alla barca . Si sentiva in pace, immersa nel silenzio. Il freddo non cessava di procurarle fastidio, così si decise per qualche bracciata a dorso, che l’avrebbe portata in spiaggia più velocemente.
Si rese conto di essere molto vicina alla causa della sua notte insonne. In imbarazzo prese a nuotare più vigorosamente, nel timore di poter esser sentita o peggio ancora vista. Si voltò per riprendere silenziosamente a nuotare a rana, ormai dalla riva la separavano non più di 20 bracciate.
Si voltò e lui era lì. La guardava, immobile.
Il motore del suo corpo si spense. Rimase a galleggiare con lo sguardo fisso in quello di lui, con quello sguardo dalle pupille nere come la notte. Lei sentì il suo corpo sciogliersi, percepiva la corrente di succo caldo che la stava bagnando mentre si avvicinava. Non potè far altro che attendere, e lui si avvicinò, le cinse le spalle e nuotando sul dorso la portò verso riva. Lei galleggiava, galleggiava inerme sentendo il corpo di lui aderirle al petto, i rapidi movimenti di gambe, che sfioravano le sue, le braccia che la cingevano stringendola alle spalle. Solo gli sguardi parlavano per loro in quelle dense bracciate. Lei adagiata sul suo corpo lo aiutò a raggiungere la riva mentre sentiva già la sua erezione premerle addosso.
Indietreggiò un poco per farla sdraiare sulla sabbia ancora fredda. Si avvicinò al corpo ansante, sdraiandosi al suo fianco. I capelli ricci colavano acqua di mare sul suo collo, e la lingua spalmava quel sale attraverso la pelle, attraverso il pulsare delle vene. Lei socchiuse le labbra , desiderando sentire il suo sapore dentro la bocca, chiedendosi di cosa può sapere un uomo che addenta in quel modo. E lui la accontentò addentando le sue labbra. Sentì il sangue uscire e bagnarle la lingua. La stava possedendo entrando in lei attraverso il sapore del suo sangue.
iniziò a penetrarla, rimanendo di lato al suo fianco. Le afferrò la caviglia per sollevare la gamba, e entrò in quel mare salato.
Si fermò appena fu tutto in lei. Si fermò e si mise a fissarla. Lei avrebbe voluto urlargli in faccia di muoversi, ma era soggiogata dal suo sguardo. Lentamente uscì da lei, e di nuovo se ne rituffò fino in fondo. Di nuovo fermò ogni movimento. Poi al rumore della risacca e seguendo il suo ritmo uscì da lei e tuffò le dita nel suo gusto salato. Le muoveva rapidamente, la scuoteva con quel continuo e incessante movimento. Quando fu completamente bagnata, quando ormai il confine tra lei, il suo interno salato e l’acqua di mare pareva annullato tolse le dita e le portò alle labbra. Le addentò, per berne il succo. Le rughe si allargarono in un sorriso , mentre faceva scivolare nella bocca di lei lo stesso sapore.
Era arrabbiata arrabbiata con se stessa. Stava permettendo a quell’uomo di usarla, di possederla come lui desiderava. Non le era mai capitato di attendere in silenzio le mosse dell’altro. Non le era mai capitato di desiderare che l’altro continuasse all’infinito, infinitamente ad attendere.

La bocca si avvicinò al collo, iniziò a baciarle la nuca mentre lei respirava salsedine.
Prese la sua mano, aprì la bocca e si mise a succhiarla mentre rideva con gli occhi. Intrecciò il dito medio a quello di lei e docilmente accompagnò le mani nel suo interno. Il dito di lui premeva e intrecciava gli umori e i sospiri di entrambe.

Era così sorpresa dall’arrendevolezza che il suo corpo provava, spaventata dal lasciarsi andare senza ritorno, che non avrebbe voluto godere, non avrebbe voluto proprio. Ma le dita la sfioravano, la accarezzavano mentre lui era immobile, dentro, a bere il suo succo.

Gli parlò, gemendo quanto lo odiasse per quello che stava provando, con sarcasmo rimproverò a se stessa l’evidenza della sua gioventù, Tirò fuori l’angoscia che aveva in corpo e lui sorrise. Sorrise mentre spingeva, spingeva sempre più a fondo. Dovette cedere, era inevitabile. Rest sull’orlo di se stessa sino a godere, sino a sentire il suo succo caldo sul ventre.

Rimasero a dondolare al ritmo della risacca, come conchiglie gettate sulla riva.

Lui prese una piccola patella, muovendo la sabbia ancora rugiadosa. Passò la punta della lingua all’interno della concavità inumidendola. Si avvicinò alle sue labbra e la baciò a lungo, mentre con la mano schiacciava sui capezzoli l’impronta della patella.
Si lasciarono così, pieni di sabbia e di sale.

Guadagno a fatica la distanza dalla scaletta di poppa. Salì i gradini, osservò il pozzetto, ancora addormentato. Si avvicinò alla moka, ormai fredda. Il rito del mattino meritava del nuovo caffè caldo

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