Skip to main content
Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

LA VENERE E IL VILLANO (PARTE SECONDA)

By 15 Dicembre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Dopo una buona mezz’ora, Mario il Villano parve risvegliarsi dall’assopimento in cui era sprofondato e mi guardò come un uomo giovane può guardare una donna nuda. Forse, mi dissi, era in preda all’erezione. Lungo la strada che correva sopra l’argine, avevano fatto capolino dei gruppi di contadini, che con dei falcetti raccoglievano l’erba per i conigli. Due o tre cani di campagna correvano intorno a loro, a destra e a manca, abbaiando di quando in quando. Poi, quelle figure volgari, di bifolchi, avevano ceduto il posto ad una desolazione vaga ed era apparsa una casa diroccata, costruita in prossimità dell’argine, sui muri della quale qualcuno aveva dato sfogo alla propria creatività, usando colori e pennello.
– Vi abita qualcuno? – chiesi al Villano.
– Una volta, forse; oggi, nessuno ‘ mi rispose lui, vagamente, dopo il lungo silenzio.
– Guardi! Hanno ammonticchiato delle mele rosse e verdi a ridosso di uno dei muri maestri: significa che non &egrave disabitata, o comunque che qualcuno si occupa ancora di quella catapecchia. Il camino, però, sembra essere in procinto di rovinare da un momento all’altro.
– Eh, ma sa, una casa lungo il fiume! &egrave brutta, &egrave brutta! Potrebbe straripare!
In quel mentre, il Villano mi parve incapace di formare delle frasi di senso compiuto. Nondimeno, egli mi divertiva.
– Si ricorda di qualche alluvione? – gli chiesi.
– Sì, ve n’&egrave stata una, alcuni anni or sono ‘ mi disse lui. – Quasi tutta la bonifica &egrave andata sotto. Anche quella catapecchia! Ci si poteva spostare solo con le barche a remi. &egrave stata una disgrazia, quell’annata… Ho perso quasi tutto il vino della mia cantina. L’acqua &egrave penetrata nell’interrato e buona parte delle botti sono perite così… Ricordo che il vino rosso si &egrave mescolato all’acqua torbida…
A quel punto, dalla bocca contratta in una smorfia di rabbia e di disappunto del Villano sfuggirono delle imprecazioni da bifolco, proferite con una voce che aveva il sapore ed il carattere selvatico di quel paesaggio rurale.
– Ho ancora in mente il languore delle poche case, costruite sulla bonifica, che sembravano distrutte dall’acqua torbida… – riprese Mario il Villano. – Poi, dopo quella piena, ho perso anche tutte le mie galline. Una donnola &egrave venuta a servirsi nel mio pollaio. Non ha risparmiato neppure il gallo. Gli ha bevuto il sangue.
Dopo quelle parole, egli scoppiò a ridere. In realtà, non ve n’era alcuna ragione. Ad ogni modo, io mi divertii a mia volta. In quel mentre, i miei seni grandi, lasciati parzialmente scoperti dall’abito che portavo, sobbalzarono ripetutamente. Il mio interlocutore ne approfittò per godere della vista del mio corpo.
– Caspiterina! – gli dissi. – Si direbbe che lei voglia mangiarmi con gli occhi!
– Com’&egrave spiritosa, lei! – fece Mario il Villano.
– Quanti casoni ho visto lungo queste sponde! Alcuni sembrano molto vecchi.
– E lo sono davvero, mi creda.
– Lei ne sa costruire?
– Mio nonno li sapeva fare bene. Io mi arrangio. Una volta ne ho costruito uno, con l’intenzione di usarlo per riporre l’erba per i miei conigli, ma un temporale improvviso l’ha mandato in mille pezzi. Non era abbastanza solido.
– Ci vorrà molto per arrivare alla sua cascina?
– No, manca poco, ormai.
– Lei tiene dei cani?
– Cinque o sei cani di campagna, non di più. &egrave per difendermi dai briganti e da quei disgraziati che vengono a fare dei danni…
– Davvero?
– Sì, poi tengo sempre il fucile da caccia a portata di mano. Non vado mai a dormire senza e lo tengo carico…
– E lo stesso deve dirsi per quell’altro schioppo, che lei ha? – gli chiesi io; poi, mi trattenni. – Ma mi dica, che genere di lavori si praticano in questo periodo?
– I lavori del tardo autunno… Quando saremo arrivati, le spiegherò ogni particolare e le farò visitare ogni angolo della mia fattoria. Vedrà che non ci annoieremo… Con lei, credo che sarebbe impossibile annoiarsi.
Il barchino approdò ben presto ad una delle sponde del fiume che attraversava la bonifica. Oltre l’argine, si discerneva una sorta di grande casa di campagna, desolata, solitaria, circondata da pioppi, magnolie e pochi altri alberi da giardino. Il latrato di un cane annunciava la presenza di esseri umani. S’udivano, altresì, i versi rochi di alcune galline e, ben presto, ebbi modo di discernerle: erano bianche, grandi e ruspanti. Una figura femminile, apparsa quasi all’improvviso, tirava verso di loro dei chicchi di mais e le guidava chissà dove, lungo una stradina ghiaiosa, fiancheggiata da siepi verdastre. La proprietà era cinta, sul lato che guardava verso la strada che correva presso l’argine, da un grande cancello rugginoso, sul quale cresceva l’edera. Per contro, lungo i lati correvano soltanto delle reti metalliche, mentre il versante posteriore dava direttamente sui campi e non aveva alcuna recinzione.
– Ecco, signorina, &egrave arrivata! – mi disse il Villano, allegramente.
Poi, egli mi prese la mano e fu un contatto piacevole, perché due pelli così diverse, appartenenti a due persone di sesso opposto, avevano modo di toccarsi. Il mio caro compagno mi guardò ardentemente negli occhi e fece come per baciarmi quella bella mano, ma non gli riuscì ed io scoppiai a ridere allegramente della sua goffaggine.
Fu così che il Villano mi assunse e mi presentò alla sua governante, una donnona in grado di preparare da mangiare e di fare gli altri lavori domestici ma che, sessualmente parlando, non valeva più nulla. Poi, la sera, prima di andare a dormire, dopo che avemmo mangiato la polenta davanti al caminetto rustico, il mio padrone di casa mi disse in un orecchio, nel suo italiano migliore e badando bene che soltanto io potessi sentire:
– Vede, signorina, tra le sue mansioni sarebbe compresa anche la prestazione sessuale…
Me lo dimostrò presto.
Infatti, nei giorni che seguirono, il Villano prese l’abitudine di entrare nella camera che mi aveva assegnato; accadeva nel cuore della notte, quando meno me l’aspettavo. Io avevo prestato il mio consenso; ad ogni modo, non avrei mai rifiutato, perché necessitavo del suo vitto e del suo alloggio. Era incredibile come il Villano riuscisse a darmi del lei e, allo stesso tempo, a farmi tutto quello che mi faceva sotto le lenzuola, di soppiatto, quando la sua governante non poteva vederci. Devo specificare che costei dormiva da tutt’altra parte e, con ogni probabilità, non udiva nemmeno le grida, i gemiti, i sospiri ed i versi selvaggi che, di notte, provenivano dalla mia stanzetta, quando venivo posseduta dal mio padrone di casa. Mi piaceva denudarmi e poi rivestirmi in presenza di quell’uomo, alla luce vaga della lampada. Era un gioco carnale, fatto di pelle femminile e maschile ad un tempo. Io lo svolgevo portando indosso soltanto la mia vestaglia rosa; non mi dispiaceva toglierla e farmi mettere a gambe in su, per poi prenderlo dentro.
– Se devi farlo, fallo! – dissi una notte al mio uomo, per incitarlo, dandogli del tu per la prima volta, mentre lui esitava, la bocca spalancata davanti alle mie forme. – Prendimi per il sedere! Sbrigati! Sbrigati! Sbrigati!
E così, accadde che scoprissi il piacere di farmi trovare seminuda, dopo la doccia, mentre ero intenta a curare le unghie dei miei piedi o ad accarezzare la pelle delle mie gambe. Non di rado, durante i preliminari amorosi, mi facevo toccare la schiena e le spalle femminili da quelle mani robuste. La cosa che più mi divertiva, però, era eccitare il mio uomo con il mio comportamento e sapere che, per fare tutto ciò che facevamo, occorreva che sia lui che lei si togliessero le mutande. Era un gesto quasi meccanico ed inevitabile, che praticavamo sempre, sul mio letto, in occasione di quegli incontri. Poi, si arrivava al dunque.
In occasione dei nostri coiti notturni, il Villano prese ben presto l’abitudine di emettere i miei stessi versi, sia pure con voce maschile. Io mi dicevo sempre che, ormai, eravamo un cuore solo ed un amore solo.
Lo dovette capire anche lui, quella sera, mentre passeggiavamo insieme sull’argine maestro ed un tramonto di fine autunno tingeva dei suoi colori le sponde del fiume, i prati resi bruni da quella stagione d’oblio e le poche figure che caratterizzavano il paesaggio della bonifica: qualche casolare diroccato in lontananza, un olmo, il cui tronco pendeva malinconicamente da un lato, un vecchio trattore, che spargeva tutt’intorno il rombo confuso del suo motore un po’ arrugginito. Qualcuno arava in lontananza, sì…
– Dimmi un po’, vecchio mio ‘ dissi al Villano. – Vorresti vivere tutto solo con me, in mezzo a questi campi? Tutto solo con me, la tua Venere…
Egli mi rispose di sì, con un cenno.
Poi, le nostre sensazioni svanirono, nella quiete della bonifica, in una visione di fronde ormai spoglie e di bagliori rossastri, che tingevano delle loro luci i tetti lontani delle idrovore sperdute e dei capanni, costruiti in prossimità di un vicino stagno, dove nuotavano le folaghe e le gallinelle d’acqua.

Leave a Reply