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Racconti Erotici Etero

L’AMORE SULL’ERBA

By 20 Maggio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

C’era una volta l’amore sull’erba, ovvero il piacere dei sensi e della pelle. Le belle lo praticavano sovente. Capitava di frequente di vederle senza veli, i grandi seni al vento, stretti dalle mani dei maschi, i capezzoli tormentati da labbra che succhiavano forte. Consumavano le loro felicità ardenti nei parchi, sulle panche. Più di rado le vedevate presso le fontane, le belle gambe nude piegate, il piede dalle dita lunghe, scalzo, soavemente appoggiato al bordo della vasca, come avrebbe fatto Giunone. Le belle erano giunoniche, sì, i lunghi capelli erano le loro vesti, null’altro le ricopriva. Portare qualcosa indosso, in quegli istanti, sarebbe stato quasi un delitto.
Le visioni sensuali di cui or vi narro apparivano per lo più nelle tarde primavere, nelle estati dolci e sul far degli autunni, mai d’inverno.
Anche lei, sì, lei, la mia bella, soleva consumare l’amore sull’erba. Me la ricordo ritta, in piedi, mentre si toglieva una dopo l’altra le favolose scarpe decolleté col tacco a spillo, rosse o nere; poi, veniva il turno della gonna, che non arrivava mai a coprirle il ginocchio, da quant’era corta, attillata, piacevole. Infine era la volta del suo top scollato e dell’intimo: via anche quelli, per poi restare con niente, soltanto la pelle. Nessuno protestava per quei nudi, né per quella sessualità libera e felice, vissuta tra i fili d’erba e le margherite.
Io ardevo della mia eterna giovinezza e come un passero o un fringuello di campo volavo, balzavo di fiore in fiore, di ramo in ramo, perché tutto intento osservavo (spesso dall’alto degli alberi) le scene d’erotismo e di carne che si consumavano sui prati. L’eterna giovinezza era nelle chiome meravigliose delle giovani donne, l’eterna giovinezza era nell’aria, inebriata di luce dorata, l’eterna giovinezza era una tortora amica o un ruscello furtivo che bruiva oltre le siepi di caprifogli.
A volte, prendevo lo stelo di uno di quei fiori, lo privavo d’ogni estremità e lo portavo alla bocca, facendolo squillare, proprio come una tromba. La felicità m’inebriava, allorché abbracciavo forte la mia donna, nuda e senza veli, e mi rotolavo con lei sull’erba, meravigliosa e bagnata di rugiada. Ci rotolavamo insieme, sì, ridendo e sorridendo, stringendoci da buoni amici e baciandoci sulla bocca, ardentemente. Il ricordo di quelle rosse labbra mi accompagnerà per sempre. Erano eterna giovinezza, come quella pelle.
Nel nostro parco c’erano tante statue antiche e bianche. Alcune di esse raffiguravano personaggi della storia romana, altre erano degli omaggi, dedicati alla mitologia germanica. Tra quelle, credetti di discernere il fantastico Odino e la magica Freya, che mani di artisti sconosciuti avevano voluto scolpire bella, come una Venere del nord.
D’estate, l’acqua delle fontane dissetava. Io mi sedevo all’ombra di un caff&egrave, leggendo un quotidiano vecchio, che pareva stampato su carta straccia. Qualche signora ricca prendeva il gelato. Io guardavo incuriosito i passanti, i turisti, che sembravano parlare mille lingue sconosciute ed essere attratti da ogni cosa.
So soltanto che la mia bella mi parlava in una specie di tedesco, che sapeva di mare, di tulipani, di mulini a vento, nonché di tutto il tormento e della gioia di un popolo.
L’amore era fatto per essere vissuto a cuor leggero, senza troppi pensieri nella testa e con il sorriso sulle labbra. Bisognava sapere che per eccitare quelle donne occorreva carezzarle, baciarle, toccarle, spesso per delle mezze ore, prima di arrivare al dunque. Erano raffinate, esigenti. Desideravano sentire il contatto delle dita virili sulle belle gambe nude, sulle natiche e soprattutto là, dove la natura permetteva loro di godere intensamente. Dovevate farle chinare in avanti, magari appoggiarle ad un tronco, mettervi in piedi, dietro di loro, tenere stretta la loro mano in una delle vostre, mentre con l’altra carezzavate il clitoride e le grandi labbra, meglio se con unguenti profumati ed eccitanti, che avrebbero consentito alle vostre compagne di godere forte, durante il successivo e quasi inesorabile rapporto sessuale. Di unguenti afrodisiaci se ne potevano trovare tanti, ogni donna aveva le sue preferenze. Se poi con la lingua le stuzzicavate, sia sulle grandi labbra, che sulle piccole e sul clitoride, era ancora meglio. Non avevano molto pelo. La natura le faceva quasi tutte lisce, pulite; quelle che nascevano con delle lunghe chiome in mezzo alle gambe, invece di vantarsene, si rasavano e si profumavano diligentemente, per provare maggior piacere durante il coito, il sesso orale o la masturbazione.
Nei giardini c’erano anche degli omosessuali, sia maschi che femmine. Li vedevate correre e saltare nudi, come farfalle, con dei grandi mazzi di fiori in mano o tra le labbra.
Mi accadde sovente di vedere qualche giovane intenta ai piaceri proibiti delle donne. Le muse dei parchi, le muse dell’amore sull’erba non si vergognavano di farsi vedere mentre, con il dito medio, solcavano le loro belle vulve, morbide, vellutate e così pronte a bagnarsi di quella specie di miele profumato che &egrave il muco delle femmine. In quegli istanti mandavano dei lamenti, dei sospiri affettuosi, del versi soffocati, dei singhiozzi di passione, perché toccavano l’orgasmo. Le loro piccole labbra diventavano scarlatte; io credevo di vedere il clitoride e persino il monte di Venere pulsare, pulsare e pulsare, di piacere.
I parchi in cui si faceva l’amore sull’erba erano proibiti ai fanciulli.
Una volta, io e la mia donna ci spogliammo nudi e ci mettemmo su una panca, schiena contro schiena, tutti e due i piedi appoggiati ai bordi. Lei prese a masturbarsi ed io pure. Fu una masturbazione di coppia, sì, praticata come insegnano gli antichi manuali cinesi, in modo da sentirsi uniti, affettuosi, amici.
Un’altra volta lei si era alzata la gonna e, mostrandomi di non portare alcun velo sotto, aveva cominciato a toccarsi la vulva. Aveva appoggiato le scarpe sul tronco di un albero ed era rimasta a piedi scalzi sull’erba. Io, senza riuscire a resistere, l’avevo penetrata, onde consumare con lei un frenetico accoppiamento. Alla fine, qualcuno ci aveva sentiti strillare, come due animali selvaggi.
L’amore sull’erba era magico, quanto le guance vellutate delle giovani vergini, che per la prima volta si accingevano a scoprirlo. L’amore sull’erba era fatto di passerotti che saltellavano tra i fiori e di libellule, di farfalle dalle ali dai mille colori e di primule splendide. C’erano anche i tulipani: rossi, bianchi, dorati.
Le vergini arrivavano a giugno e non desideravano altro che essere iniziate alle gioie della carne. Ricordo che una di esse, bionda, salì sull’altalena, dopo essersi liberata di tutti i suoi veli. Cantando, prese a dondolarsi, mentre le sue chiome volavano nel vento e tutti potevano ammirare le sue gambe di statua greca, oltre a quello che vi stava in mezzo. Portava indosso soltanto una sorta di braccialetto dorato, stretto, poco sopra la caviglia e due o tre anelli, che le abbellivano le dita. Aveva anche un piccolo tatuaggio, a destra dell’ombelico, che le adornava il ventre piatto ed assai profumato. Aveva sofferto tanto, quando il tatuatore glielo aveva fatto! La pelle sue era così liscia, che’ Io la guardavo e mi chiedevo chi sarebbe stato il fortunato maschio che avrebbe avuto il privilegio di sverginarla. Che sguardi ridenti e pieni di felicità! Che viso! Che pelle! Che membra, gigantesche e bellissime! E si dondolava, si dondolava, sull’altalena, cantando, ridendo, sognando, scherzando’
Non dimenticherò mai il suo profumo, quell’amore sull’erba e la mia eterna giovinezza.

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