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Racconti Erotici Etero

Le cose cambiano

By 22 Maggio 2018Dicembre 16th, 2019One Comment

Svilita. Confusa. Quasi alle lacrime. Al tassista non dico neppure grazie, gli lascio la mancia e sbatto la portiera scortese. Poverino, non c’entra nulla. Apro il portone senza nemmeno guardarmi dietro come faccio di solito quando rincaso tardi la sera, salgo i due piani di scale veloce quasi nascondendomi, anche se non solo è improbabile che incontri qualcuno alle tre e un quarto di un venerdì sera, ma nulla all’esterno può lasciare sfuggire anche solo un piccolo indizio di quello che ho appena fatto. Di quello che mi è appena successo. Della vergogna che provo. Mi tolgo gli stivaletti a tronchetto che indosso, apro la finestra della camera e mi lascio cadere sul letto. Dalla pochette estraggo una sigaretta e la accendo mentre sono distesa sul matrimoniale. è la mia prima sigaretta a letto, credo. Di sicuro la prima in questa casa, dove vivo da due settimane. Ho ripreso a fumare da quando mi son trasferita qui, non fumavo da quando ero ragazzina. Il mio ex non voleva. Aspiro profondamente e nel semi buio sbuffo fuori dalle narici; riporto subito la sigaretta alla bocca, e i miei occhi cominciano a lacrimare. Cosa mi è successo? Chi sono?

Mi chiamo Matilde, e sono una ragazza snob. Devo compiere 25 anni tra poco, e ho cominciato da poco la pratica per diventare avvocato. Avete presente una di quelle ragazze complessate sul proprio aspetto fisico? Ecco, non sono io. Sono una di quelle che pur avendo un cervello (110 e lode vuol dir poco, però), si reputa non carina, ma proprio bella. Sono castana chiara, magra magra ma tonica da yoga e palestra, statura nella media.

Ed è proprio grazie alla palestra se sono uscita questa sera. Vivo qui da un mese, e a parte la palestra, ho frequentato esclusivamente lo studio dove lavoro. Quando ci si lascia dopo una lunga relazione, è uno dei modi di reagire più comune: è successo anche a diverse mie amiche. Non è depressione, è solo voglia di stare sole. Mentre mi asciugavo i capelli in spogliatoio, si è avvicinata Sofia, l’unica ragazza con cui ho un po’ legato nei corsi di body pump e yoga: “Hai impegni stasera?”, mi ha chiesto diretta. “C’è la festa di una mia amica, poche persone, ambiente elegante, mi fa piacere se vieni”. Ho risposto d’impulso un sì e ci siamo messe d’accordo che mi sarebbe passata a prendere alle 10.30.

Tornata a casa, ho sentito un brivido mentre mi truccavo: “E se conosco qualcuno?”. La parte razionale di me ha scacciato il pensiero immediatamente, quella irrazionale ha controllato la ricrescita sulle gambe, per fortuna inesistente. Quella razionale ha scelto una canotta coperta e accollata da abbinare a una giacca leggera; quella irrazionale ha scelto un completino intimo che avevo comprato e mai utilizzato, e un paio di shorts bianchi e blu molto corti ma non troppo aderenti con dei collant leggeri. Una battaglia che mi ha sempre contraddistinta: la figlia di papà a cui non è mai mancato nulla, e la ribelle che a 16 anni è scappata di casa per tre giorni senza lasciare traccia per andare a vedere un ragazzo conosciuto su facebook a 400 chilometri da casa.

Sofia mi è passata a prendere in leggero ritardo con la sua Smart, e mi ha chiesto della mia situazione sentimentale in maniera sfacciata. Addosso indossava dei jeans di marca strappati e una giacca di pelle, e mi ha dato l’impressione di una ragazza molto più chiassosa di quello che mi era sembrata in palestra. Qualche canzone cantata a squarciagola in coda, due Instastory e siamo arrivate a casa di quest’amica. Casa è riduttivo, è un loft non troppo grande ma molto ben arredato, credo ci viva da sola. Comunque, la festa è carina. Mi sono sentita subito a mio agio, gente della classe sociale da cui provengo. Quando Sofia è sparita, sono uscita in balcone a fumare una sigaretta. Come ho scritto, ho ricominciato da qualche settimana, ero una fumatrice al liceo quando ero un po’ ribelle.

Filippo si è avvicinato con nonchalance, con un negroni in mano e un flute di prosecco per me. Ho molto apprezzato. “Faccio il dottorato di storia, ma sono un artista” mi ha detto quasi subito. Come per dire che non apparteneva molto a quell’ambiente, ma anche per fare il figo. Così mi ha mostrato sul cellulare qualcosa delle installazioni che fa. Non sono un’esperta, ma mi ha incuriosita. Siamo rimasti sul balcone un bel po’, l’intesa era evidente ma insomma, io non sono una di quelle lì no?”

E invece mi sono fatta stregare. Tanto che male fa? Che male fa se pensi che è carino!?. Che male fa se pensi e poi ricacci indietro nel tuo subconscio un “quasi quasi se ci prova…”? Che male fa se mentre mantieni il controllo completo dei tuoi pensieri, il tuo corpo non risponde e si mette a provocarlo come se fosse a parte, come se non fosse tuo? Se quando siedi sul divano ti sporgi verso di lui con il fianco dopo aver accavallato le tue lunghe gambe. Se ti tocchi i capelli mentre ti parla con voce sempre più sicura. Oddio, quando un uomo infonde sicurezza con la sua voce. Oddio quando me l’ha messa, ho sentito dei crampetti lì sotto. Ma non è possibile. Non sono una di quelle, io. E invece ho riso come fanno le stupide. Sarà stato il gin tonic. Sarà stato che Sofia era ubriaca marcia e io avevo bisogno di un passaggio.

“è tardi, mi chiamo un taxi”.

“Ma no, tranquilla, ti porto io”.

“Sicuro?”.

“Sicuro!”

E poi “Ah, ma sai che abito a cinque minuti da te?”. E così la lingua è corsa in avanti senza il freno, senza che il cervello lo dicesse davvero: “Un giorno mi piacerebbe vedere qualche tua installazione”.

“Ne ho qualcuna a casa, se vuoi”.

“No dai, è tardi”.

E poi la sua autoradio però ha passato Ed Sheeran. Mentre canticchiavo Filippo mi ha detto: “Se vuoi suono anche la chitarra”. E io avevo voglia di cantare.”C’è parcheggio proprio sotto casa mia. Vuoi salire? Io suono e tu canti, hai una bellissima voce”.

Dì di no, stupida. Qualcosa tipo “No, mi devo alzare presto per studiare”. O qualcosa di molto più brusco: “Ti conosco appena, non mi pare il caso”. Ecco, sì. Matilde è saggia e stronza. Matilde “Perché no? Però non farti strane idee eh!” non è affatto saggia.

E così la mente ha continuato a dire “no, no”. Diceva “no” mentre finita Perfect le sue labbra hanno cercato le mie. La mia voce ha detto “Ehi, non eravamo qui per questo”, mentre il mio corpo si è sporto verso di lui durante il bacio. Istintivamente le mie gambe si sono chiuse quando mi son resa conto di essermi eccitata mentre il mio corpo aderiva (“troppo Matilde, troppo, alzati e vai via”) al suo.

“Daaaaai”, ha detto la mia voce ancora meno convinta quando ha iniziato ad accarezzarmi le cosce e il sedere. Non ho sentito una parola di tutto quello che mi ha sussurrato tra un bacio sull’orecchio e una leccata sul collo. Recitavo come una scolaretta: “Cosa mi fai fare, smetti”, ma talmente poco convinta che mi sono fatta schifo da sola quando mi son accorta che la mia mano è andata sulla sua pancia sotto la maglietta, e che il mio bacino spingeva forte contro il suo.

Con una mossa abbastanza inaspettata mi son sentita salva quando ha smesso di tastarmi il sedere (“Che bel culo hai, Matilde”, “Ma cosa dici” con malcelato orgoglio per il mio lato b perfetto) e mi ha fatta distendere, mettendosi al mio fianco. Ma appena la sua mano ha cominciato a giocare tra l’elastico dei miei collant e gli shorts, ero persa. La Matilde-con-tutto-sempre-sotto-controllo voleva alzarsi. La Matilde di ieri sera faceva la ragazzina. Diceva no ti prego, e poi tirava in dentro la pancia, solo una ragazza può capire la mossa. Così la sua mano si è intrufolata prima sopra i collant (“Mi fai impazzire, Filippo”), e poi, senza trovare resistenza alcuna, e entrata sotto il completino di Yamamay. Completino in condizioni pietose; appena mi ha sfiorata e se ne è accorto, l’artista ha fatto un sorrisino compiaciuto. Io mi son vergognata e ho chiuso gli occhi, mi sono morsa il labbro inferiore ma ho inarcato la schiena. “Fammi quello che vuoi tizio strambo dai modi garbati che ho conosciuto quattro ore fa”. Non lo ha detto la mia voce. L’ha detto la mia figa. Sì, figa. Perché ricordo di aver sentito un flash, un bagliore illuminante che mi ha detto “abbandonati, sii zoccola, goditi ogni secondo di questa serata, te la meriti Matilde”. Ho recitato il mio ultimo “ehi” e il mio ultimo “ma cosa mi fai fareee” fradicia, con il collant e le mutandine già alle caviglie, e un cazzo di dimensioni assolutamente normali che svettava da ridicoli boxer azzurri.

Sì, cazzo. “Prendimi Filippo, approfitta di questa serata che domani Matilde torna in sé”. Non l’ho detto. Lui si è alzato per meno di un minuto, non a sufficienza per alzarmi e andare via, ma a sufficienza per farmi beccare mentre godevo un po’ da sola mentre cercava, srotolava e si infilava un preservativo. “Guardala”. Mi ha detto sogghignando. Ho taciuto e mi sono offerta. “Fai piano”, ho miagolato, ma in realtà il mio corpo voleva essere sbattuto subito su ogni superficie di questa casa radical chic di merda, voleva essere penetrato con vigore mentre il mio viso era spiaccicato sul vetro della finestra come una zanzara e lui mi tirava i capelli da dietro dicendomi quanto son troia.

Invece è entrato dolce, da sopra. è sempre strano con il preservativo quando non sei più abituata né al sesso (erano più di due mesi che non lo facevo), né tantomeno a usarlo. Ero stretta ma per fortuna le dimensioni normali e l’incredibile pozzanghera che avevo di sotto hanno aiutato. Pensavo a quanto fosse sbagliato concedersi, ma il mio pube spingeva forte verso l’alto. La mia figa si contraeva e stringeva urlando “da qui non esci senza avermi fatto venire, ti sei approfittato di una povera innocente, stronzo”. Ho raggiunto l’orgasmo dopo poco, mordendomi talmente forte le labbra che ora, a un’ora di distanza, me le sento come quelle di Nina Moric. E dopo qualche secondo era tutto finito, mentre lui si sfogava nel lattice. La scarica elettrica ed emotiva ha dato sfogo alla rabbia. Ero incazzata. Con lui, con il mondo, con me stessa che “che cazzo faccio”. Glielo ho anche detto: “Sei contento ora? Ecco, io no”. Lui ha fatto spallucce e si è offerto di portarmi a casa, io ovviamente l’ho mandato principescamente affanculo e ho inforcato perizoma, collant e shorts e ho chiamato un taxi.

“Lasciami il tuo numero, ti prego”, ha detto senza sapere neppure il mio cognome per cercarmi su Instagram.

“Se avessi voluto rivedermi, mi avresti rispettata”, gli ho ringhiato. Al che giustamente l’artista, compiaciuto dell’orgasmo e finito il patetico ruolo del duca di sto cazzo impaurito, mi ha detto con tono serio e maschilista. “Rilassati Miss vergognosetta, ti ho appena scopata, e ti è pure piaciuto. A quelle come te piace sempre”.

“Addio, grazie per le canzoni” gli ho detto rimettendomi gli stivaletti. “Ma guarda questa”, ha replicato lasciandomi andare.

Catania 35 mi ha riportata a casa in un tragitto da soli 8,50 euro e forse 5 minuti .

Ed eccomi qui, sul letto, mentre divoro una sigaretta. Spengo la luce, me ne accendo la seconda e ci ripenso. E se fosse questa la vera Matilde? E se volessi e meritassi di divertirmi? Scaccio il pensiero: “Così ragionano le troie”. Ma magari lo sono davvero. Anzi, lo sono davvero. Solo una troia si bagna così. E non intendo si bagna così quando Filippo-l’artista mi sfiorava un’ora fa. Intendo ora, e qui, ripensando alla serata. A quanto sono bagnata ora. Solo le mie dita potranno darmi sollievo. Non provo più vergogna, ma orgoglio, un orgoglio grande come questa nuova città. Non c’è nulla di male a capire. Non c’è nulla di sbagliato a essere così. A quelle come me piace sempre. Miss vergognosetta è sparita. Adios, principessa Matilde.

Sei. Mi sveglio alle sette meno un quarto e il mio primo pensiero è sei. Ho dormito forse quattro ore, il trucco è colato sulla federa del cuscino e sono ancora con la canotta elegante in sintetico, gli shorts a strisce verticali bianchi e blu sbottonati e i collant. Penso di essere svenuta subito dopo l’orgasmo che mi son regalata ieri sera. Bevo un sorso d’acqua e mi spoglio lentamente, prendo un paio di leggings da palestra e una maglietta e mi rimetto con la testa sul cuscino. Sei. Che numero di merda. Io quando giocavo a pallavolo adoravo il sette.

Uno. Davide . Due. Ryan. Tre. Pietro. Quattro. Giacomo. Cinque. Riccardo. Sei. Filippo. Filippo che ha approfittato della mia pazzia. Pensare a ieri sera mi fa star male. Pensare al mio passato molto meno.

Penso a Giacomo, e mi intristisco. Mi sento sola, un po’ smarrita per aver chiuso quella che ritenevo la storia più importante della vita. Ma non andava, obiettivi diversi, giusto così. Mi trattava un po’ troppo principessa. E io lo assecondavo, facendo la fidanzata perfetta. Oddio, mica tanto perfetta. Era febbraio dell’anno scorso quando l’ho tradito, senza pietà. Senza ragionare, esattamente come è successo ieri. Accucciata in un angolo di una scuola di sci a fare un pompino a un maestro che avevo conosciuto il giorno prima. Un cazzo bellissimo. Un cazzo che mi ha usata per la mezz’ora successiva in una sorta di dormitorio dove c’eravamo solo lui ed io.

Giacomo era rimasto a casa a studiare, e sono salita in montagna da sola per festeggiare la mia laurea. “Una pazzia può capitare”, mi ero detta prima di concedermi di mia spontanea volontà a Riccardo. Avevamo flirtato tutta la sera in maniera quasi innocente, poi mi ha trascinata fuori, mi ha baciata, mi ha portato nella scuola di sci. Avevo la coda quella sera. “Sei una dea”, mi diceva mentre mi teneva per i capelli e mi scaricava in bocca il suo sapore rantolando. Ho ingoiato, io che con Giacomo non lo facevo quasi mai. Siamo tornati al locale, l’unico aperto, e lui è stato un po’ con i suoi amici mentre io ballavo da sola per lenire il senso di colpa. Ho anche chiamato Giacomo: “Amore mi sto divertendo un sacco, mi manchi”. E poi Riccardo che torna, io che mi struscio su di lui e il cervello che riparte completamente per le sue. E a quel punto : “Matilde voglio scoparti”. “Mi pare un’ottima idea”. Mi pare un’ottima idea, ho risposto. Io. Effettivamente doveva essere un campanello d’allarme. Nel letto a castello (sotto, per fortuna), mi ha prima spogliata sommariamente, poi si è infilato il preservativo ed è entrato. Inutile raccontare in che condizioni fossi, simili a quelle di ieri, direi. Poi mi ha girata, la faccia contro il muro, lui in piedi. E per almeno 10 minuti mi ha usata, dicendomi cose irripetibili mentre io mugolavo. Sono venuta a ripetizione, come non succedeva da tantissimo. Penso di avergli anche sussurrato “trattami come una puttana” mentre mi stantuffava con il rumore del letto che cigolava in sottofondo. Poi è venuto. “Ora dobbiamo uscire che gli altri tornano”. Non ho fiatato. Aveva lo sguardo soddisfatto. E io non mi sentivo in colpa, tanto da aver praticamente rimosso quello che era successo il giorno dopo. Serenissima. Ma con una zoccola che forse si faceva di nuovo strada in me. “A quelle come te piace sempre”. Mi sa che quel coglione di artista di ieri sera aveva ragione.

Deb

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